lunedì 6 settembre 2010

ENRICO PIETRANGELI - § * * * IN UN TEMPO ANDATO, con biglietto di ritorno * * * §

In un tempo andato




con biglietto di ritorno


Enrico Pietrangeli

II° edizione in elettronica del gennaio 2007


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Sommario

Prefazione alla seconda edizione in elettronica


Biglietto di andata

Capitolo I - Il tempio Hare Krishna


Capitolo II - Il festival di Castel Porziano


Capitolo III - La casa di Paolo


Capitolo IV - Le piazze di Roma


Capitolo V - La festa di Giorgio


Capitolo VI - La lite


Capitolo VII - La solitudine


Capitolo VIII - L'autostop


Capitolo IX - Firenze


Capitolo X - Il paesello


Capitolo XI - La discoteca


Capitolo XII - La festa patronale


Capitolo XIII - La pianta di marijuana


Capitolo XIV - Il ritorno di Walter


Capitolo XV - L'appuntamento con Francesca


Capitolo XVI - Il cinema


Capitolo XVII - La scuola


Capitolo XVIII - La manifestazione


Capitolo XIX - La partita


Capitolo XX - L'arresto di Lucia


Capitolo XXI - Mimì


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Capitolo XXII - La morte di Lucia


Capitolo XXIII - La scomparsa di Lorenzo


Biglietto di ritorno

Capitolo XXIV - La chat line


Capitolo XXV - Il ritorno al tempio


Capitolo XXVI - Il mercatino di modernaria


Postfazione alla seconda edizione in elettronica


Enrico Pietrangeli


Narrativa Contemporanea


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Sommario

Prefazione alla seconda edizione in elettronica

Questo romanzo di formazione di Enrico Pietrangeli, in un ambito in cui il

“Bildungsroman” sembrava ormai essere uscito dai canoni letterari correnti,

ci propone sapientemente un vivo, riconoscibile ritratto generazionale,

attraverso le vicende del protagonista, evocate, rivissute, non soltanto narrate,

in un febbrile, e quanto mai denso e imprevedibile, percorso, interiore ed

effettivo “in un tempo andato”, di cui il titolo del volume già sembra voler

smentire la compiuta, privata storicizzazione , con il suo “biglietto di

ritorno”.


Siamo negli anni Settanta, per l'esattezza alla fine del decennio che vide

culminare una serie di ben noti frangenti sociali, politici, culturali e di

costume, con il '77, di cui si va in questi mesi a rievocare (c'è chi dice a

celebrare) la ricorrenza nel suo trentennale.


Il protagonista del romanzo li attraverserà, ora da testimone partecipe, ora da

involontario interprete di drammi accanto a lui consumatisi, ora da portatore

di una già ben definita coscienza critica di quanto lo circonda,

determinandone le esperienze più ineludibili e cocenti.


La narrazione dei fatti è ricca di pathos, ma sempre molto lucida, a tratti

velata di nostalgia, ma non esente da un salutare, saggio disincanto, ora

amaro, ora ironico. La scrittura piana e lineare rivela una scelta di

“understatement”, che sarebbe sbagliato scambiare con una trasandatezza

espressiva o latitanza stilistica.


La cifra della scrittura dell'Autore è, infatti, prettamente “jazzistica”,

apparentemente sottotono, ma con le dovute, opportune impennate, al

passaggio narrativo giusto, all'inevitabile snodo espressivo, di una classe

sottile, non sterilmente virtuosistica, che un orecchio avveduto saprà

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sicuramente cogliere.


Non è casuale il ricorso al parallelismo con la struttura musicale, per la prosa

di Pietrangeli, perché questa è tutta intessuta di richiami e riferimenti, come

una virtuale colonna sonora dei fatti raccontati, a quella che rappresenta la

vera e più emblematica cultura giovanile di quegli anni, la fin troppo

mitizzata, e direi, però, per me, giustamente, grande musica degli anni

Settanta.


Chi voglia, insomma, entrare in questo spaccato di un periodo tanto

fondamentale per la nostra cultura giovanile, anche per quella attuale, che,

all'esperienza di quella, tanto è debitrice ed emotivamente vicina, non perda

una così significativa testimonianza, tanto affabile e schietta, di un'esperienza

dolorosa ma esaltante, forse anche di una sconfitta, (o forse no…), ma ricca

di “piccole conquiste” di cui andare comunque orgogliosi.


Vi si troverà, certo, l'onestà di un “resoconto” profondo e coraggioso, redatto

con il prezioso strumento di un lavoro di scrittura ostinato e generoso; ed in

grandissima parte, a mio modesto avviso, anche di ragguardevole efficacia,

ulteriormente arricchita dal lavoro di ri-scrittura di questa nuova edizione in

elettronica.


Francesco De Girolamo


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Prefazione alla seconda edizione in elettronica

"Vent'anni è solitudine perversa


Vent'anni e l'avvenire ti spaventa


Vent'anni è rabbia, sete e acqua salata"

C. Lolli

Nulla di quanto è narrato in questo romanzo corrisponde alla realtà, tranne il contesto storico in

cui si svolge. Ogni riferimento a eventi accaduti o a persone e luoghi esistenti è casuale. Lo

stesso narratore, comunque si manifesti, è personaggio d'immaginazione, da non confondere con

l'autore.


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CAPITOLO I


Il tempio Hare Krishna

“Insomma, ci si vede direttamente alla salita del Poggio Laurentino per il

prashada” concluse impacciato Lorenzo rivolgendosi al suo amico, prima

d'interrompere la comunicazione, mentre nella stanza irrompeva un altro

personaggio a dissolvere ogni astratto scenario telefonico:


“Tu e quello scemo di Walter! Droga e telefono! Non avete altra sana

intenzione da spendere nella vostra vita...”


“Dio! Che maledetta voglia di continuare a pisciarsi addosso altri fantastici

teatrini ed invece... rotture di coglioni, sempre e solo rotture di coglioni sopra

ogni salutare evasione...” pensò Lorenzo, fulminato da improvvisa routine

nevrotico-famigliare, mentre, dall'altra parte, Walter temporeggiava alla

ricerca di una qualche disperata battuta che rifacesse il verso a quell'insolito

abbinamento: “droga e telefono”.


A Lorenzo, vittima di quella interruzione, non restava altro da fare che

sbuffare, accennare un vano tentativo di contrasto all'intrusione o, più

semplicemente, rassegnarsi.


Si era persino specializzato nell'ingurgitare il cibo così rapidamente (potenza

delle antiche e radicate ansie ereditate dalla madre) da non dover subire

ulteriori strascichi di mortificanti ramanzine. Ma questa volta le previsioni

furono superate tanto che Lorenzo, riagganciando la cornetta ed indossando il

giubbotto, non impiegò più di una manciata di secondi ad uscire. Trattenendo

quanta più aria possibile nei polmoni, una volta valicata la porta di casa,

emise un lungo sospiro. Ora i suoi pensieri vagabondavano altrove,

finalmente liberi, avvolti in una città di sogni in technicolor.


Era ormai lontano ogni frenetico desiderio di fuga ma, mentre tutto andava

delineandosi a rilento, sopraggiunse uno sconosciuto angelo. Lorenzo lo

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percepì nell'attivarsi di una potente ricetrasmittente tra la sua anima e

l'esterno e, non sapendo bene cosa stesse accadendo, mutò improvvisamente

espressione rimanendo, per un istante, folgorato.


“Devi lasciarti andare” mormorò l'angelo, dolcemente, come a volerlo

rassicurare e lui, per tutta risposta, balzò sul primo autobus col cuore in gola.


Aveva lo sguardo spiritato e la faccia poggiata contro il finestrino, quando

l'angelo puntò il dito indice sopra un cartellone pubblicitario enunciando:


Quanti imbronciati volti


vanno, più o meno a branchi,


su eventuali borse e bustine,


tra enormi matronali seni


liberano qua e là profumi


sopra asfalto e rifiuti...


e tutto scorre a rilento,


fin su quel cartello


dove una stella sorride


al prodotto naturale:


LYCIA PERSONA


non copre gli odori, li elimina.


Nei pochi istanti scorsi, che a lui sembrarono interminabili, i suoi occhi

furono risucchiati dentro un incantesimo; poi, stringendo tra le mani un

foglietto sgualcito e scritto in fretta, non poté fare a meno di rileggere più

volte, lentamente, quelle stesse parole. Il trasbordo dall'autobus alla

metropolitana avvenne in modo del tutto inconsapevole, tanto che la realtà

circostante avrebbe potuto fare a meno di lui (o viceversa?).


Fortunatamente sono stati instaurati dei capolinea per i più distratti, luoghi

dove qualcuno avrà sempre cura di dirvi che è ora di scendere. È in una

situazione come questa che Lorenzo si rese conto di essere giunto a

destinazione, barcollando... ancora inebriato dai suoi stessi pensieri.


Non vedendo ancora l'amico, si sedette lungo la gradinata dov'era situato il

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Capitolo I

tempio ad attendere:


“Tanto Walter arriverà come al solito in ritardo... - pensò tra sé finendo poi

aggrovigliato tra contorte supposizioni - Se entro direttamente... non

vedendomi qui fuori, penserà per certo che...”


Non fece in tempo a continuare che lo intravide dal basso, affannato, risalire

la scalinata. Walter, a compensare l'esile struttura di Lorenzo, aveva una

corporatura grassoccia e lo sguardo beffardo del giocoso provocatore. Pareva,

con l'occasione, essersi adeguato con il proprio look all'integralismo libertino

degli arancioni. Indisponente quanto basta; pronto ad elencare una lunga lista

di maestri spirituali con il povero devoto di Krishna costretto a prendere

contatto con lui.


I lunghi capelli di Walter, cotonati e spudoratamente ossigenati (una volta

erano castani, così almeno li ricordava l'amico), cadevano sopra una tunica

alla Demis Roussos, ovviamente arancione, e si notavano qua e là luccicare i

lustrini di quei foulard trasparenti ed inzeppati di pachuli.


Quel che si dicevano, incontrandosi, era una sorta di piccolo battibecco

ritualistico con ascendenze futuriste, nato a caso, una sera, nel tentativo di

comporvi sopra allegorici versi e, dato che i maestri spirituali avevano già un

ruolo da prime donne fin dall'epoca, entrambi erano soliti rivolgersi l'un

l'altro usando l'appellativo Prabhù, ovvero: maestro.


“Prabhù, sei sempre tu... suppergiù, come mi vedi tu?” disse Walter facendosi

incontro all'amico.


“Prabhù, a dirti il vero, non ti riconosco più... Vai sul frocesco anche tu?”

ribatté Lorenzo.


L'India, con le sue filosofie di vita, che si sarebbe potuta già facilmente

archiviare come mito dei trascorsi anni Sessanta, era ancora una forte

attrattiva soprattutto alla fine degli anni Settanta, quando tutti quei gruppi

religiosi approdati in occidente si erano ancor più radicati nel territorio

richiamando, oltre ai primi pionieri figli dei fiori, anche altre fasce d'interesse

e cultura nella popolazione e parte della crescente schiera dei delusi

cosiddetti in riflusso.


La musica era molto influenzata da queste tendenze, tanto che, se prima

l'India aveva fatto pensare quasi esclusivamente a George Harrison, in

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Capitolo I

seguito, da Stevie Wonder a Carlos Santana, tutti ne furono un po' pervasi.

Persino gli italianissimi New Trolls sarebbero stati parte attiva del fenomeno,

dove la scelta, naturalmente, era già ampia e multiforme di guide spirituali

(Maraji, Osho, Prabhupada etc.). Con l'avvento della fusion, un intero filone

s'immerse nelle acque del sacro Gange: dai Tri Atma a Leonard Shankar,

passando per Muñoz, Mclaughin e gli stessi Oregon, senza scordare la

splendida Goa di Saro Liotta!


La musica, ieri come oggi, era anche un campo per misurarsi tra incerti

confronti di merito e, proprio allora, Lorenzo rinfacciava all'amico di non

capire Sun supreme degli Ibis soltanto perché da loro dedicata a Maraji.


“Un personaggio che promette di farti volare con la tecnica di meditazione

della rana” ribadiva sempre Walter.


“Beh, se continuiamo a chiacchierare di fuori ci perdiamo il prashada”

considerò Lorenzo. Walter fece come se nulla fosse, insistendo nella sua

presa di posizione, poi cacciò rapidamente le mani in tasca per estrarre delle

cartine. Nel porgerle all'amico, disse:


“Tie', famose 'na canna al volo e imbocchiamo...”


“Fai vedere che hai lì... - replicò Lorenzo avvicinandosi con la mano al

taschino di Walter - No! Non mi dire che giri ancora con l'erba di Giulio!” e,

così dicendo, ghermì la “canna” all'amico.


Avrebbero potuto, quantomeno, contenersi con più pudore nei confronti dei

puritani Hare Krishna, ma il motto per loro era: esibirsi, comunque.


“E poi, vai a capirli quelli lì - seguitò Lorenzo - se sei nato a Vrindavana,

puoi fare quello che ti pare, comprese le canne, ed invece qui ci fanno le

menate sul sesso illecito, la carne e le altre sostanze intossicanti!”


“Non sanno che trip si perdono...” mormorò Walter trattenendo lo spinello a

mani incrociate, in osservanza all'antica tradizione degli eremiti shivaiti, per

poi emettere, insieme al fumo, un breve mantra:


“Om nama shivaya nama om.”


“Questo l'avevo già sentito... ma lo fa Steve Hillage!” precisò Lorenzo.


“Bravo - disse Walter - ma si dà il caso che, a sua volta, lo abbia preso dallo

Shiva Purana.”


“Ecco - replicò Lorenzo - a sparare tutte queste citazioni di testi sacri ci

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Capitolo I

penserai dopo, con il primo devoto che ti verrà sotto nel tentativo di farti la

predica sul mondo materiale...”


Dopo quest'ultima vivace, breve contesa, si decisero finalmente ad entrare.


“Qui si ha proprio la sensazione di trasbordare in un altro mondo...” pensò

Lorenzo inoltrandosi all'interno.


La suggestiva e frenetica atmosfera del Kirtan risucchiò presto i nostri due

avventori in un'estasi danzereccia fatta di salti, con tanto di campanellini e

tamburi!


“Hare Krishna Hare Rama...” continuò diffondendosi, in un crescente,

sincopato ritmo, il mantra dei santi nomi fino a raggiungere, per eccesso di

stress fisico o per orgasmo mistico, il suo culmine finale.


“Era ora! - esclamò Walter - Finalmente arriva il prashada” (che tradotto

letteralmente significava: tante buone leccornie indiane distribuite a sazietà).


Del perché fossero così buone venne subito data una trascendente ragione dal

primo devoto che tentò di avvicinarli:


“Hare Krishna! Buono il prashada, vero ragazzi? E voi sapete perché è così

buono? Questi sono i resti del cibo offerto a Krishna durante il Kirtan.”


“Mica male! - commentò Lorenzo - Potrei averne dell'altro?...” ma, così

facendo, si era distratto abbastanza dal tenere a bada il suo amico che, nel

frattempo, aveva intrapreso lunghe dissertazioni con un altro devoto alla sua

destra.


“Quel che non riesco a capire di Walter - pensò Lorenzo - è come possa

pretendere di dimostrare agli Hare Krishna che il loro diretto maestro

Prabhupada non sia un legittimo discendente nella tradizione della catena di

tutti maestri.”


Insomma, a Lorenzo sembrava un po' troppo presuntuoso essere in casa

d'altri, ospiti, e spiegar loro che non avevano capito niente di quel che

facevano.


Grazie a Dio o, meglio, in questo caso, grazie a Krishna, fu il turno del

devoto addetto al marketing - figura non ancora rilevante ma in forte

espansione fin dall'epoca - e, tra i soliti incensi e gadget orientali, spuntò

fuori il disco di Claudio Rocchi con il maestro spirituale Gurudeva, prima e

fatidica opera del musicista convertito!


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Capitolo I

“E poi c'è anche Paolo Tofani che suona con lui” precisò il simpatico devoto

venditore e, ben presto, furono tutti catturati dal suono della prima traccia

messa sul giradischi...


“Prezzo?”


“Offerta al tempio.”


Qui decollarono estenuanti argomentazioni per avvalorare ogni condizione di

povertà e la soglia delle cinquemila lire fu sufficiente per l'acquisto del vinile

da parte di Lorenzo e della cassetta da parte di Walter.


“Per questa volta possiamo andare” concluse Lorenzo, dopo la trattativa,

ricordando all'amico il comune progetto di partecipare al festival dei poeti di

Castel Porziano, indetto dal neo assessore Nicolini per il giorno dopo.


Non c'era troppo tempo da perdere in futili disquisizioni, quando avevano a

loro disposizione ancora poche ore per procurarsi tenda, sacco a pelo e

relativi poemetti da declamare.


L'attesa generale, nel frattempo, si era fatta sempre più elettrica per via di

certe voci che circolavano su di una probabile partecipazione di Patti Smith

all'evento, oltre agli annunciati profeti del beat americano.


Walter aveva con sé una copia di Lotta Continua e, nella pagina degli

annunci, già intravedeva materiale interessante, del tipo:


Compagna cerca compagni con tenda per partecipare al festival...


“Sì, ma dove rimediamo la tenda?” precisò Lorenzo.


In un simultaneo sfoderare storiche agendine, che vantavano numeri annotati

dalle lontane elementari, incominciarono ad interrogarsi sull'opportunità

d'interpellare questa piuttosto che quella persona, per meglio organizzare il

soggiorno in quell'evento.


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Capitolo I

CAPITOLO II


Il festival di Castel Porziano

L'indomani si ritrovarono, come prestabilito, alla stazione della metropolitana

di Termini, ma senza tenda, neppure un sacco a pelo e tanto meno con una

disperata compagna al loro seguito, rispettando comunque il programma

nello spirito dell'evento, in quanto ad abbondanza di poemetti da declamare.


“Sì, ma che casino c'è qui!” esclamò Lorenzo ancora mezzo assonnato,

ritrovandosi, in effetti, nel pieno di un esodo in massa di giovani.


Solo al terzo treno in partenza riuscirono, in qualche modo, a prendere

posizione sedendosi, come i più, in terra. L'ambiente prese ben presto forma

nelle sue più tipiche consuetudini, tra rullate di tamburi e spinelli sopra

entusiastiche espressioni. Lorenzo era lì, timidamente accovacciato in un

angolo a sbirciare; giocherellava a vuoto, con il dito indice, tra i suoi lunghi e

riccioluti capelli.


“Dicono che sarà un megaraduno bellissimo... e poi è sul mare, stile isola di

Wight, grandioso! Non trovate?” commentò una compagna con languidi

occhi da lince mentre, dall'altro lato del vagone, c'era un gruppo di Piacenza

che diceva di essere venuto dopo aver letto un articolo di Re Nudo

sull'avvenimento. Lorenzo ammiccò all'amico:


“Ma va'... allora è veramente importante, se si muovono da così lontano...”


“La paranoia è comunque garantita” aggiunse sferzante Walter mostrando il

programma ufficiale che inseriva, tra gli altri, il nome del poeta Evtushenko.


“Bene, ci mancano solo i cori dell'armata rossa, quelli che trasmettono

quando sono in vena a Radio Onda Rossa, e siamo a posto così” replicò

Lorenzo.


Nonostante i fatidici cori, la radio in questione era, se non altro, un punto

d'aggregazione per molti giovani. Non tutti erano necessariamente

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politicizzati, malgrado l'evidenza che voleva subito, e a tutti i costi, una

giusta rivoluzione.


Del resto, il movimento fu una coinvolgente ed irripetibile esperienza con

condivisione di bisogni e idealità nello spontaneismo associativo: nelle

scuole, nelle piazze e persino nelle fabbriche. Ovunque si consumò una

breve, ma esaltante, stagione di sogni. Queste illusioni, purtroppo, furono

anche condizionate e sfruttate dalle sempregrigie ragioni della politica.


Come dimenticare tutta la diversità di sfumature con cui ci si rivolgeva nei

confronti di chi aveva scelto la lotta armata?


“I compagni che sbagliano...”


“I compagni incasinati...”


“I compagni incazzati...”


“I compagni clandestini...”


Resistenza o terrorismo? Furono sufficienti pochi anni ancora per togliere

ogni dubbio.


Lo stesso Walter, a dir poco, aveva dei trascorsi politici alquanto confusi e,

probabilmente, non sarà stato la sola mosca bianca al riguardo.


“Mio caro Prabhù, potenza del Kali Yuga, pensa un po' tu...” sillabò Walter

per attirare l'attenzione di Lorenzo e raccontargli di quel pariolino di Luca,

suo compagno di classe al liceo:


“...Sembra che, da un giorno all'altro, gli abbia dato di volta il cervello

diventando non solo autonomo ma persino fricchettone!”


Lorenzo, che frequentava un altro liceo, non poté fare a meno di ricordare un

altro suo compagno, un tale Palmieri; da zelloso sempre in prima fila nelle

assemblee, si era poi, di punto in bianco, trasformato in un bel fascistello.


“Infelice idea, è diventato il primo bersaglio utile di tutta la scuola...”


“Del resto, Antonio, il fratello di Simona - precisò Walter - oltre le cantilene

di Leo Valeriano e l'epico vento di maestrale dei Janus, pare che stia in fissa

persino con Guccini! L'anno scorso lo strimpellava con la chitarra tutte le

sere durante il raduno dei fasci a Campo Hobbit e nessuno, naturalmente, ha

osato contraddirlo...” Antonio aveva fama di duro picchiatore fascista al

Tuscolano e Simona era la sorella gruppettara che frequentava il Mamiani.


Nel turbine dei tamtam sulle conversazioni intrecciate, il treno giunse a

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Capitolo II

destinazione.


Walter era preso, forse anche troppo, dalla sua stessa presa: una stravagante

paffutella di Genova con cui aveva attaccato bottone nel viavai d'ingenue

domande mentre scendeva dal treno.


“Prabhù, abbiate fede... - disse rivolgendosi all'amico - abbiamo rimediato la

tenda” e, dalla soprastante radura di dune, si dileguò verso la spiaggia, dove

dominava la struttura di un grande ma fatiscente palco.


Lorenzo provò un profondo senso d'insofferenza nei confronti dell'amico

fuggiasco, poi si lasciò andare, sino a sdraiarsi, con gli occhi puntati

sull'orizzonte, verso tutto quel movimento di gente in prossimità del mare.


Si era finalmente rilassato nel caldo e materno abbraccio della sabbia quando,

come una saetta a ciel sereno, gli piombò improvvisamente addosso l'angelo

con un sordo tonfo sul ventre. Dopo un debito soprassalto iniziale, Lorenzo lo

riconobbe e sospirò intimidito:


“Va a finire che questo qui, da grande, mi farà fare il poeta...”


“Esattamente - replicò imperturbato l'angelo - ed ora datti da fare, prendi

carta e penna e scrivi. I tempi a disposizione per le trasmigrazioni delle

ispirazioni sono pochi e preziosi; è bene che tu, d'ora in poi, ti tenga pronto!”


Perversa gioia del tormento,


cantata per altri versi


che parlano d'amore:


sono quelli riveduti,


sputati clandestinamente


sulla strada ferrata


che mi porterà altrove.


I cerini hanno cambiato


l'intestazione pubblicitaria,


ho slacciato le scarpe


per poi togliermele.


Lorenzo era lì, che si stropicciava gli occhi, seduto a rimirare quel pezzo di

carta, chiedendosi, inebetito, se ci fosse un senso in tutta questa storia. Ma la

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Capitolo II

paura più forte gli sopraggiungeva ora, in prossimità del festival e

dell'annunciato spazio libero concesso a tutti:


“Leggerò le poesie?...” rimuginava dubbioso.


A distrarre Lorenzo provvide un tale “sfigato” di Parma chiedendogli

insistentemente soldi che, peraltro, neppure lui aveva. Questo primo

approccio fu in qualche modo provvidenziale. Altri tre ragazzi, incuriositi da

quel tizio, si sedettero e vennero fuori interessanti spunti di conversazione.


Si chiamavano Giorgio, Maria e Lucia, erano della Garbatella e, da quanto

Lorenzo aveva capito, anche loro frequentavano un centro di meditazioni

trascendentali degli arancioni. Lucia, che amava alla follia Crosby, Still,

Nash & Young e portava sempre con sé la cassetta di Four way street, non

perse molto tempo, dietro l'incoraggiamento di Lorenzo, a mettere il nastro

nel riproduttore.


Col calare della penombra della sera, una suggestiva aria di festa prendeva

forma. S'intravedevano ovunque fuochi con gente intorno, ma dal palco,

nonostante il vivo frastuono di alcuni scalmanati, nulla lasciava presagire un

imminente inizio.


Lorenzo, nel frattempo, si era lasciato andare, socializzando con l'inaspettato

gruppetto di nuovi amici. Lucia si dimostrava molto disponibile nei suoi

confronti e lui se ne beava, gratificato, dato che in quegli occhi si era in

qualche modo immerso lasciando la sua anima vibrare ogni più forte

emozione. Erano pupille azzurre e di una tonalità intensa, come quella del

biondo dei suoi capelli, incastonate tra i delicati lineamenti del volto in un

corpo esile e nondimeno formoso. Non tardarono, tra i due, spontanee,

reciproche tenerezze, ma non era questo il festival degli amanti appartati:


“Fatelo pure, per carità... ma qui si sta tutti insieme” commentò Giorgio,

sotto i suoi ridenti baffoni, con un tono più esortativo che indispettito. Poi,

sciogliendo i suoi lunghi e ondulati capelli neri, tirò fuori una scatolina dal

taschino, disse di avere dei californiani:


“... un trip fantastico!...”


Erano due minuscole ostie di carta assorbente con sopra impressa una mezza

luna; Giorgio le prese e, dopo averle tagliate con una lametta, le condivise

con i presenti.


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Capitolo II

Sul palco, a sorpresa, aveva preso il microfono Aldo Piromalli, poeta italiano

che viveva ad Amsterdam e, da circa venti minuti, stava insultando tutto e

tutti con il suo poema “Affanculo”. Il pubblico applaudiva e fischiava tra un

“bravo” scaraventato a squarciagola e uno “stronzo” che fungeva da eco di

ritorno.


Venne poi il turno dei sixteen e scorsero volti di personaggi come Ginsberg,

Ferlinghetti ed il trapiantato Gregory Corso fintantoché prese posizione sul

palco il poeta romano Dario Bellezza. Aveva un aspetto goffo,

deliberatamente contenuto dietro i suoi occhialoni e talune gestualità lo

svelarono in un'incoerente innocenza provinciale, desiderio e memoria di

un'infanzia mai del tutto perduta. A un certo punto, dal pubblico, si sollevò

un coro di:


“Nudo! Nudo!” e lui, dal microfono, polemizzò:


“Le persone più travestite sono le persone più nude...” sollevando ulteriori

gesti di scherno e dissenso.


Abbandonò, infine, la lettura ed il palco con un sonoro:


“Siete tutti degli stronzi fascisti!”


Il gruppetto con Lorenzo decise di alzarsi ed avventurarsi verso la spiaggia,

in uno zigzagare tra bizzarre situazioni che, di volta in volta, si presentavano

sul loro procedere...


“Eh sì! C'è proprio l'aria di Woodstock qui intorno...” andava pensando

Lorenzo e si trovò, all'improvviso, di fronte al mare fissando un raggio di

luna riflesso che lentamente si gonfiava fino a divenire vorticoso. Sentì poi

un cupo e profondo Om vibrare, sembrava provenire dal molo, ma non era

plausibile... era così avvolgente...


Ogni percezione si andava alterando nel progressivo assorbimento dell'LSD

ingerito e Lorenzo stette l'intera notte a vagabondare tra un falò e l'altro. Finì

col ritrovare Walter al mattino seguente, lungo la riva adiacente al palco. Se

ne stava nudo nella posizione del loto con un reggiseno intorno al collo.


Quel che fosse effettivamente accaduto durante la notte nessuno dei due

sarebbe stato in grado di spiegarlo all'altro ma, mentre Lorenzo sembrava

essere tornato in sé, Walter continuava a farneticare parlando di una tale

“Esmeralda e la sua figa perla calda”.


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Capitolo II

“Possibile che scopare gli fa 'st'effetto a questo qui...” pensò Lorenzo, di

nuovo insofferente nei confronti dell'amico. Tentò più volte d'invitarlo ad

alzarsi, quindi, restando inascoltato, desistette e si avviò da solo. Guidato

dall'olfatto sensibilizzato dall'appetito, giunse in prossimità di un enorme

pentolone organizzato ai bordi delle impalcature. Nella ressa del pasto caldo,

Lucia, poco più in là, lo intravide:


“Ehi, Lorenzo!... Ma che fine hai fatto stanotte? Noi siamo rimasti con un

gruppo laggiù, ma poi... tu sei sparito, ricordo solo che eri un po' speed e non

riuscivi più a startene fermo...”


Lorenzo, non avendo di che giustificarsi, le accennò un sorriso, poi si

avvicinò con la bocca alla sua guancia e la baciò con un tenero modulare

delle labbra.


Quindi, aspettando il proprio turno di zuppa, iniziò a parlarle di una sua

vecchia conoscenza: Paolo. Era andato ad Amsterdam ma stava già

ritornando, come annunciato nella sua cartolina. Tutto questo gli parve

un'ottima occasione per trascinare Lucia altrove, con argomenti che, di certo,

non sarebbero stati meno interessanti...


Walter aveva, in qualche modo, percepito l'odore del minestrone e, subito

dopo, Lorenzo se lo ritrovò alle spalle, pronto a benedire l'iniziativa di andare

a trovare Paolo e, soprattutto, disponibile a rinvenire solo nel momento meno

opportuno.


Dopo aver mangiato, pianificarono di partecipare alla serata per la lettura.

Nonostante l'illusione di vedere comparire Patti Smith l'indomani (proprio

allora stava spopolando con la bellissima Because the night) decisero che

sarebbero poi rientrati per recarsi insieme dal loro amico.


Protagonista fuori programma, sin dal primo pomeriggio, fu un tale che

(chissà come...) conseguì ben presto l'appellativo di professore. Girava

completamente nudo, come pressoché tutti, ma con il pene tinto di verde,

cercando di fare altri proseliti tra il pubblico. Durante la bella inaugurazione

della serata, fu lui il protagonista, immortalato il giorno successivo, con tanto

di censura, in prima pagina su Il Messaggero. Lorenzo, per quanto volesse

porsi dei limiti, non riusciva a fare a meno di lasciarsi andare ad altre

tenerezze con Lucia.


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Capitolo II

“Che strana situazione - pensò tra sé - finisco tra orge di sballoni in festa per

poi ficcarmi nelle storie intime...”


Walter, che non poteva farne a meno di esagerare, continuava ad essere su di

giri, per cui si supponeva che avesse approfondito i suoi studi sulle sostanze

psichedeliche. Ne dette conferma più tardi, a sera, prendendo posizione sul

palco dopo essersi accapigliato con una ragazza napoletana che da circa

un'ora tratteneva il microfono dicendo:


“Che v'aggio di', sto bene... vi voglio a tutti bene... cioè è comme 'na

dimmenzione nuova, che v'aggio di'... facimme esperienza.”


Walter esordì dicendo che non avrebbe letto le sue poesie bensì quelle di un

compagno finito in un manicomio criminale, dove avrebbe composto, in un

trasversale delirio, niente meno che un'ode a Hitler... Dopo il primo fatidico

verso:


“Oh tu! Adolf Hitler...” il palco si oscurò ed egli venne immediatamente

allontanato a spintoni. Lucia si preoccupò vedendo che Walter era fuori di

testa, inconsapevole di quello che avrebbe potuto fare, cosicché investì

Lorenzo dell'eroico incarico di recuperare l'amico, ormai definito da tutti

come “quel pazzo nazista che prima era lassù”.


Soltanto un'ora più tardi, nei pressi dell'infermeria mobile, lo ritrovò

accovacciato con una benda in fronte a fianco di un tipo che aveva tutta l'aria

di aver esagerato con l'alcool e che, soprattutto, senza dare segni di reattività,

appariva disponibile ad ascoltare la poesia del suo amico internato.


Sul palco, intanto, era il turno dei russi e certe frange di autonomi mostravano

sempre più insofferenza sino ad arrivare a un tentativo di carica, culminato

con l'occupazione delle strutture. La rissa sul palco venne intesa da Lorenzo

come un provvidenziale segno divino che, oltre a favorire il rientro, gli

permetteva pure di evitare la lettura delle sue poesie e di non sentire più le

relative ansie che portava al seguito.


Fu così che Lorenzo e Lucia, sebbene con diverse difficoltà, riuscirono a

prelevare Walter e ad accedere alla stazione per prendere, poco prima che

chiudesse, l'ultima corsa serale della metropolitana e fare rientro a Roma.


20

Capitolo II

CAPITOLO III


La casa di Paolo

Da qualche tempo, Lorenzo e Walter cercavano di realizzare un viaggio che,

nel culmine dei loro diciassette anni, sembrava una sorta d'iniziazione cui

doversi sottoporre per accedere a non meglio identificati, supposti gradi di

elevazione. Il fatto di potersi ritrovare con Paolo, che aveva appena

completato una simile esperienza, dilatava smisuratamente la loro rispettiva

immaginazione.


Il giorno dopo, fu Lorenzo il primo a prendere contatto con Paolo, verso

mezzogiorno, ma in seguito, dopo la chiamata di Lucia che gli annunciava di

essere stata già contattata da Walter per vedersi alla Lampada Osram, nel

primo pomeriggio, ed andare tutti insieme, ebbe un po' a crucciarsi

dell'invadenza di campo da parte dell'amico. Lorenzo avrebbe voluto essere

lui il primo a risentire Lucia.


“D'accordo - ripeteva tra sé - non hanno senso 'ste cazzo di menate e gelosie,

ma io le sento e come!”


Quindi, per spezzare quest'aria di “privati interessi” e nel tentativo di

riattivare idealità comunitarie e libertarie, Lorenzo prese quel disco di Gaber

contenente il brano La Comune per metterlo sul giradischi.


“Tanto poi c'è l'altra traccia, quella de Lo Shampoo - pensò tra sé - l'ascolto e,

male che vada... procedo!”


Walter, ancor prima di contattare Lucia, aveva già investito proficuamente

buona parte della mattinata. Nonostante il dispendio di energie nelle bravate

delle ultime due notti, pensò bene di non perdere l'occasione per celebrare un

imprecisato evento degli spiriti d'aria con l'avvicinarsi delle prime luci del

nuovo giorno. Walter non aveva eccessiva confidenza con Lorenzo su queste

sue ultime, magiche inclinazioni, unico vincolo che lo forzava alla

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riservatezza ma, nondimeno, l'amico non gli avrebbe mai prestato troppa

attenzione al riguardo. Di fatto, Lorenzo sapeva solo che Walter, in quel

periodo, frequentava un gruppo “non ben definito”. Inoltre, ricordava la sfilza

di libri delle edizioni Mediterranee che, tra incensi e quanti altri insoliti

feticci, risiedevano comodamente, a portata di mano, nel secondo ripiano

della sua libreria. Il fatto che poi questo gruppo dedito alle arti occulte fosse

frequentato da alcune donne mature, era, per Lorenzo, sufficiente a dare una

ragione al tutto, consapevole della passione che l'amico nutriva per le

eccentriche tardone disinibite. Lui era al corrente, in ogni caso, dei non

lontani trascorsi di Walter al Centro Evoliano e, anche dopo la svolta

movimentista, il suo amico continuava a coltivare interessi per l'esoterico

riciclando in filtri la giallognola copertina della rivista Solstitium.


Lucia, nel frattempo, non aveva alcuna intenzione di staccarsi dal letto e

continuava a fantasticare tra raggi di luce che penetravano la stanza dalla

finestra socchiusa. Ovviamente il telefono era lì, a portata di mano, insieme

all'inseparabile orsacchiotto della prima infanzia. Consumava una cospicua

quantità di liquirizia e si trastullava stiracchiandosi per poi sorridere

pigramente a sé stessa. A lato del letto, c'era il suo piccolo e disordinato

laboratorio di perline che il gatto continuava a disperdere girovagando; di

sopra dominava una lunga mensola sovraccarica di audiocassette che

Lorenzo, di certo, avrebbe molto gradito curiosare.


“Alle due e venticinque, angelo permettendo, sarò lì” si ripromise

quest'ultimo, dopo aver terminato il suo shampoo, mentre si accingeva a

raggiungere gli altri al convenuto appuntamento.


“Come al solito... nessuno s'intravede all'orizzonte...” blaterava tra sé, una

volta giunto, traversando in tutte le direzioni la Lampada Osram (celebre

luogo d'appuntamenti, già immortalato da Baglioni e che, di lì a pochi anni,

sarebbe sparito per sempre...). Naturalmente, mentre lui era in anticipo, gli

altri erano in ritardo, cosicché passarono altri venti minuti prima che

s'intravedesse all'orizzonte la sagoma di Walter con il fiatone:


“Non ce l'ho fatta... sono fatalmente ricaduto sul letto per rialzarmi di

soprassalto e correre via all'appuntamento... “ spiegò rivolgendosi all'amico.


“Scommetto che... anziché dormire stanotte, ti sarai dato da fare con un'altra

22

Capitolo III

delle tue bravate...” replicò Lorenzo, in un accenno di rimprovero. Intanto il

pataccone di Termini faceva già le tre e un quarto e Lucia ancora non si

vedeva; Lorenzo così decise di andare a cercare un telefono, mentre Walter

sarebbe rimasto lì ad aspettare.


Lei era ancora in casa; si scusò, come un enfant terrible, ridacchiando

all'apparecchio, promise che si sarebbe affrettata ma non precisò che doveva

ancora prepararsi. Alle quattro e mezzo la ragazza giunse finalmente a

Termini, con aria innocente: come se nulla fosse. I due, colpiti dalla sua

radiosa presenza, evitarono ogni commento e si avviarono insieme a Lucia

prendendo l'autobus per Trastevere.


Il viaggio non durò più di venti minuti e scorsero tutti con poche battute e

molti sottintesi giochi di sguardi. Perlopiù fuggevoli occhiate tra Lorenzo e

Walter, complici, quand'anche diffidenti, nel lanciarsele discretamente l'un

l'altro.


Aperto e solidale con tutti, Paolo era pronto ad accoglierli alla porta con

calorosi baci e abbracci.


“Ci devi dire tutto!” esordì Walter un po' sovreccitato.


“Stai buono... storie incredibili” replicò Paolo, dietro i suoi spessi e tondi

occhialini alla Gramsci, avviandosi verso la cucina per preparare una tazza

del suo speciale tè indiano.


Presero poi tutti posto in un piccolo soggiorno con a terra grossi cuscini

variopinti e al centro un tavolinetto basso di legno intarsiato. Paolo era, per

quei tempi, uno dei pochi fortunati cui i genitori avevano concesso non solo

un intero spazio a sua disposizione ma anche una moto: un Ducati, con tanto

di marmitta a spillo! Grazie a suo padre, un famoso avvocato, aveva sempre

qualche soldo in più rispetto ai suoi amici, ma la cosa, nello spirito di

un'epoca, non era fatta pesare. Spesso, la sua dimora diveniva un vero e

proprio punto di riferimento per diverse persone e tutte le loro iniziative al

seguito.


Lorenzo apprezzava i molti dischi di Paolo per lui impossibili da comprare,

per cui, come si presentava l'occasione, ne approfittava per registrare

qualcosa di nuovo. Si mise subito ad indagare per scoprire quali preziosi

vinili fossero stati portati da Amsterdam: “la mitica”, da dove erano passati

23

Capitolo III

un po' tutti, dai Beatles ai Pink Floyd. Ed ecco che, mentre scorreva con le

dita tra le copertine, vennero fuori una serie di nomi del posto, come gli

Ekseption, i Focus e Van Leer... Lorenzo si soffermò sull'intrigante grafica di

un gruppo per lui completamente sconosciuto: gli Sweet Smoke, dove un

coloratissimo indiano era in procinto di aspirare un joint con sopra, impressa,

la bandiera a stelle e strisce. Dopo averlo mostrato ai presenti, lo collocò sul

piatto e Paolo, di ritorno con il suo tè, commentò:


“Bravo... hai trovato veramente un bel pezzo, è un gruppo olandese tra

progressive e fusion e, oltre alla bellissima copertina, suonano davvero molto

bene!”


“Ma raccontaci di questa storia dei coffee-shop, ci sono? Li hanno aperti sul

serio?” chiese Walter con una certa bramosia di avere certezze in merito.


“Ma certo che ci sono - confermò Paolo - ed è qualcosa di eccezionale,

ragazzi, credo che sia come vivere in un'altra dimensione, sapete... non so

spiegarvi bene, è da vedere! Anche le persone sono diverse: là ognuno si fa le

sue storie e se poi ne avete una in comune, bene, vivetela pure insieme!”


“Wow!” esclamò Lucia, catturata da quelle parole, mentre Paolo, voltandosi

verso un angolo della stanza, prendeva da un armadietto una sfarzosa pipa ad

acqua di cui il vetro, nella rifrazione della luce, lanciava a tratti un

caleidoscopico arcobaleno.


“Alta psichedelia!” commentò Walter, poi aggiunse: “Ma dentro cosa ci

metti? Non avrai mica portato un po' di fumo da lassù?”


“Ebbene sì - disse Paolo - ecco del marocchino 00 di prima scelta, godi

popolo!”


“Ma con la polizia tedesca... come hai fatto?” chiese Walter, consapevole

della dura repressione in corso, e poi continuò: “L'anno scorso, Eva, una

compagna, è stata perquisita, fermata e sbattuta in gattabuia per tre giorni

soltanto perché le hanno trovato un misero spinello addosso.”


“So' fascisti 'sti cazzo de tedeschi!” sentenziò Lucia risentita. Paolo riprese

subito parola precisando:


“Ci sono metodi e metodi... l'importante è non farsi notare e, se possibile,

attraversare la frontiera come fanno i normaloidi.”


“Giacca e cravatta...” interruppe Walter.


24

Capitolo III

“No, non necessariamente - proseguì Paolo - bisogna comunque pensare ad

imboscare per bene il tutto e... ecco qui la mia giacca a vento da trasporto.”


Mostrandola, Paolo fece notare agli altri come, nelle intercapedini delle

cuciture, aveva pazientemente occultato i suoi preziosi souvenir.


Walter, a quel punto, non perse altro tempo ed aggiunse polemico:


“E i cani? Guarda che quelli hanno i cani addestrati!”


“Guarda che, se usi il cellofan e lo profumi sopra per bene, quelli si perdono”

rispose Paolo.


“Sarà...” commentò scettico al riguardo Walter.


“Ma è vero che lassù hanno aperto una discoteca anche gli arancioni?” chiese

Lucia.


“Ne ho sentito parlare, ma non ci sono mai stato” e, così dicendo, Paolo

iniziò ad accendere la sua nuova sontuosa pipa.


“Che roba, ragazzi!” commentò entusiasta per poi precisare: “Arriva con una

freschezza inaudita e ti piomba dritta sul cervello.”


“Io mi sono un po' rotta de 'sta roba qua, sarà anche bello questo disco ma

cambiamolo. Non mi prende per niente!” si lamentò Lucia. Lorenzo non

tardò a recepire quel messaggio e, dopo averle chiesto cosa preferisse

ascoltare, mise su Ho visto anche degli zingari felici di Claudio Lolli. Quindi

si accasciò, prendendo in mano il cannello della pipa, ad un angolo del

giradischi, standosene un po' per i fatti suoi, mentre gli altri, di tanto in tanto,

continuavano a scambiarsi brandelli di conversazione. Passati venti minuti,

comunque non più del tempo della durata della facciata di un disco, Lorenzo,

spinto dalla sete, si alzò per dirigersi in cucina. Appena in piedi, voltando lo

sguardo al centro del piccolo soggiorno orientaleggiante, fu trapassato da un

dardo nel vedere Lucia sdraiata sui cuscini con Walter mentre si baciavano…


“Ma sì, ma che diavolo me ne può fregare...” pensò in un primo momento.

Poi, colto da un irrefrenabile sentimento di gelosia, accusò un improvviso

malessere e, scusandosi, fece presente agli altri che sarebbe stato costretto a

ritirarsi anzitempo. Inutili furono i tentativi di Paolo per farlo desistere dalle

sue intenzioni, assicurandogli che, se voleva, avrebbe potuto riposarsi lì, sul

suo letto, senza affaticarsi ulteriormente nel ritornare a casa.


Lucia, nel frattempo, si era aggiunta anche lei agli altri interpellandolo sul

25

Capitolo III

perché di tanta fretta e, resasi conto di quanto fosse profondamente turbato,

non volle saperne di lasciarlo andare da solo. Insistette tanto


ed infine si ritrovò ad andarsene con lui o, meglio, qualche passo indietro, al

suo seguito.


Ai silenzi e risposte a mezza bocca di Lorenzo, lei replicava avvicinandosi

sempre più con audaci ed affettuose esortazioni:


“Ma dai, non fare così... parliamone insieme.”


Lorenzo aveva assunto l'aspetto di una lastra di granito. Avrebbe voluto

partecipare al suo invito ma era bloccato ed incapace di esprimersi. Titubante,

pensava:


“Adesso, se le dico tutto, questa non solo mi prende per un frustrato ma

anche per scemo, visto che poi, a conti fatti, non ci si conosce che appena da

un po' di tempo... e nient'altro.”


Ad un tratto, nello scoordinato girovagare dei due, mentre attraversavano

ponte Garibaldi, lei fece un balzo e, risoluta, gli si piazzò davanti, quindi

cominciò energicamente a baciarlo stringendolo contro la ringhiera a lato.

Lorenzo si lasciò andare a quei baci e pianse, tra l'avvicendarsi delle carezze

sopra i suoi capelli. Fu così che lei iniziò a rincorrere quel pianto con le

labbra arginando, in un'imponente diga, tutto l'acerbo dolore di Lorenzo. Lui,

esaurita ogni lacrima, le prese la mano e la condusse sull'isola Tiberina, sopra

quell'angolo di prato inselvatichito dove aveva già trascorso molte delle sue

più pigre, allettanti ore. Nel dolce tepore dell'imbrunire, le confessò quanti

suoi intimi desideri fossero legati a quel luogo; poi la baciò di nuovo e,

infilandole le mani sotto la maglietta, cominciò a sfiorarle i seni alitando sul

suo profilo fintanto da sentire in lei partecipe ogni più remoto spirito. Stettero

a lungo amoreggiando e, solo a tarda notte, dopo un lungo idillio che culminò

con una reciproca ed appassionata masturbazione, s'incamminarono alla volta

dell'abitazione di Lucia. Lorenzo, naturalmente, era felice di accompagnarla e

non gli pesava affatto fare il giro più largo. Arrivati sotto casa di Lucia, lui

non sembrava molto convinto di andarsene e, scivolando tra altri baci e

smielati fraseggi, si ritrovarono incastrati tra l'atrio ed il portone a fare

l'amore, con lei a cavalcioni su di lui in piedi ed una mano poggiata sull'anta

d'ingresso, pronta ad avvertire per tempo la vibrazione di un'eventuale chiave

26

Capitolo III

che fosse, di lì a poco, intervenuta a rovinare l'agognato amplesso.

Fortunatamente questo non accadde e consumarono il loro primo rapporto

condominiale nell'incertezza che, comunque, qualcuno sarebbe potuto

passare anche a quella tarda ora di notte.


27

Capitolo III

CAPITOLO IV


Le piazze di Roma

Da giorni Lorenzo frequentava appassionatamente Lucia, nella noncuranza di

affrontare un necessario chiarimento sui propri complessi e timidezze. Nel

turbine dei loro incontri, Lorenzo dimenticava persino di avere degli amici,

che, a loro volta, lo avevano dato per disperso. Lucia, dal canto suo, pur

trascorrendo molto tempo con lui, riuscì invece a mantenere dei contatti con

un tale Pierre, un suo amico d'origine francese, per il quale Lorenzo si

guardava bene dal farle piazzate di gelosia.


“In fondo - pensava - questo qui, bene o male, se sta con me non lo vede mai

e, comunque, vale sempre la pena di non sputtanarsi troppo...”


Quel giorno Lucia ebbe una lunga conversazione al telefono con Lorenzo,

come del resto erano soliti fare ancora, non paghi del tempo condiviso

insieme, ma fu la volta che emersero anche i primi motivi di dissenso tra loro.


“Sono due settimane che non vediamo più nessuno. Se va avanti così finirà

che presto tireranno fuori una qualche trasmissione dal titolo Chi l'ha visto?

per sapere che fine avremo fatto. Mia madre poi - proseguì Lucia calcando il

timbro della voce - è esasperata, dice che da quando ti frequento non

troviamo neppure il tempo di parlare insieme. Senti, Lorenzo, per oggi non ci

vediamo e non la devi prendere male, tanto non cambia nulla e poi... ma è

mai possibile che tu proprio non riesca a capirlo?”


Dopo un estenuante silenzio, incalzò con un secco:


“Allora?”


A quel punto Lorenzo ebbe giusto il tempo di commentare:


“Che paranoia!” per poi sprofondare in un cupo mutismo.


“Tempi morti, al telefono...” rimuginava tra sé Lucia, in un riverbero che le

attraversava la mente. Poi, dopo aver tentato ancora invano di attirare

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l'attenzione di Lorenzo, riagganciò piuttosto scocciata.


Lui, resosi conto di quanto avvenuto, restò imbambolato con la cornetta in

mano, che nel frattempo continuava ad emettere quel suo martellante suono

di occupato.


Quindi, preso dal più vivo sconforto esistenziale, estrasse lentamente dallo

scaffale il disco Un uomo in crisi di Claudio Lolli che, già precedentemente,

aveva sonorizzato i momenti più tristi della sua storia con Lucia.


Gli venne in mente quella giocosa discussione con Walter su chi, tra Lolli e

De Andrè, fosse stato il più introspettivo ed impegnato paranoico. Per un

attimo sorrise, commiserandosi con distaccata ironia, poi prese anche lui ad

intonare le parole della canzone che girava sul piatto. Fu un canto terapeutico

e liberatorio: più andava avanti il disco e più lui cantava a squarciagola finché

il telefono, con il suo trillo, lo interruppe di soprassalto.


“Cazzo! - esclamò pensando - magari sarà Lucia” e, con un solo movimento,

afferrò rapido la cornetta in un affannato:


“Pronto!”


“Prabhù, sei sempre tu? Non ti si vede più! Come ti va, suppergiù?”


“Ma sei tu... potevi almeno avvertirmi, mi hai fatto prendere un colpo!”


“Caro Prabhù, il telefono con il preavviso di chiamata, così come lo vuoi tu,

non l'hanno ancora inventato, giuppersù!”


“Sì, ma sono nervoso ed in paranoia nera! Perciò non è aria di farmi queste

menate e, se proprio hai voglia di cazzeggiare, sono disposto a passarti in

blocco tutti i numeri delle mie ex compagne di scuola delle elementari. Nel

frattempo saranno diventate delle belle fighe ed avrai di che divagarti...”

replicò tonante Lorenzo.


“Vuoi dirmi che ti è preso?” chiese Walter cambiando impostazione in una

più consona alla situazione.


Fu così che Lorenzo non seppe trattenersi; dette libero sfogo al risentimento

rinfacciando all'amico l'atteggiamento mostrato con Lucia.


Walter, dal canto suo, replicò etichettandolo come homo familiae, soggetto

preistorico molto legato al suo istinto di possesso. Gli fece anche notare che a

lui non sarebbe mai saltato in mente di fargli pesare la sua latitanza con

Lucia, esortandolo a cambiare atteggiamento nei suoi confronti.


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Capitolo IV

Nell'intercalare di questo vivace battibecco, neanche a dirlo, entrò in scena il

terzo incomodo:


“Voi... droga e telefono, come al solito stai perdendo tempo con quell'altro

imbecille del tuo amico...”


D'improvviso si ritrovarono di nuovo schiacciati dall'evidenza

proibitoria-genitoriale di non poter proseguire e, spinti dal desiderio di

chiarimento e soprattutto dalla voglia di trascorrere altro tempo insieme,

decisero di vedersi poco più tardi in piazza, a Campo de' Fiori, sotto la statua

di Giordano Bruno.


Il luogo dell'appuntamento era, insieme a Santa Maria in Trastevere, uno dei

principali punti di ritrovo per tutti. A qualsiasi ora vi si poteva incontrare

gente e soprattutto di sera. C'era il solito gruppetto di fricchettoni, che

improvvisava un repertorio di percussioni tra cumuli di lattine di birra, ma

anche tanta gente che, più tranquillamente, sostava sugli scalini o in terra a

chiacchierare e a fumare. Non mancavano poi, tra la folla, i pusher di turno,

ai tempi ancora poco professionali, perlopiù ragazzi, che s'improvvisavano

per qualche sera a rivendere un po' di fumo. Di solito, se non si aveva una

faccia da destare sospetti, non passavano più di dieci minuti senza che

qualcuno non si avvicinasse per offrire la consueta stecca a cinquemila lire.

Di fatto, purtroppo, esistevano già quei giri di persone molto lungimiranti e

guardinghe che, rimanendo rigorosamente ai bordi della piazza,

conducevano, velatamente, ben più loschi affari. Fu allora che, tra tutta la

fauna sinora descritta, fece la sua comparsa ufficiale una nuova specie

disumana: il tossico.


Quando Lorenzo e Walter s'incontrarono scambiandosi affettuose pacche

sulle spalle, un tizio dall'aspetto consunto e sguardo da innocente folletto si

avvicinò chiedendo degli spiccioli. Lorenzo, guardandolo, commentò

all'amico:


“Ehi, ma questo è uscito dalla copertina di This was dei Jetrho Tull”, mentre

il tipo si presentò dicendo di chiamarsi Beirut e di essere molto sensibile a

tutto ciò che fosse realmente alternativo.


“Ma tu sei grande!” rimarcò Walter che, rivolgendosi all'amico, mormorò:


“Semmai decideranno di fare un film intitolato Non ci resta che piangere,

30

Capitolo IV

questo qui, di sicuro, da qualche parte lo dovranno mettere...”


Lorenzo sorrise all'amico, poi, con un gesto di solidarietà, invitò Beirut a

trattenersi ancora con loro per consumare una birra insieme.


“Beh... io veramente dovrei andare... cioè, è stata una bellissima esperienza

trattenermi qui con voi ma... nella misura in cui continuo a trattenermi qui, mi

staticizzo e perdo un certo equilibrio alternativo...”


Fraseggiando alla sua strampalata maniera, Beirut prese ad allontanarsi; loro,

rimasti soli, si diressero verso il bar, dove si gettarono subito a parlare del

ciclone Lucia. Trovarono una calda voluttà nel confessarsi reciprocamente

consumando birra e scoprirono infine che, in qualche modo, n'erano entrambi

pervasi avendo, quindi, di che consolarsi. Lo stesso Walter, che di solito

esibiva disinvoltura ed emancipazione, non poté fare a meno di ammettere un

imbarazzante turbamento nei confronti di quella ragazza. Lorenzo si rese

conto di esserne completamente invaghito e, dopo il terzo boccale di birra,

sentendosi sempre più simile ad un soldato al fronte, finì col trascinare fino a

tarda notte il compagno in vicoli per cantare insieme, come due ossessi:


“Con te, Lili Marlein...” ripetutamente e a squarciagola, collezionando una

buona dose d'insulti da parte di chi avrebbe preferito un riposo più tranquillo.


Esausti, infine, si accovacciarono sopra il gradino di un portone, dove,

emettendo ancora qualche parola priva di contesto, finirono con

l'addormentarsi poggiando a peso morto le relative teste, l'una sulla spalla

dell'altro.


Il risveglio, naturalmente, non fu dei più freschi e Lorenzo, che si destò con

un po' d'anticipo sull'amico, sentì l'eco del rombo di una motocicletta

attraversargli le orecchie. Incuriosito, voltò lo sguardo e vide l'angelo.


“Ah... sei tu!” mugugnò tra sé.


L'entità celeste non fece nulla per avvicinarsi, rimase distante, austera e

silenziosa, poi sentenziò:


“Ti annuncio la poesia” e, subito dopo, si dissolse nel nulla da cui era venuta.

Lorenzo, che si guardava bene dal raccontare certi eventi, evitò di accennarli

anche all'amico. Nonostante certe propensioni al misterico di quest'ultimo,

preferì, a maggior ragione, preservare per sé il proprio segreto. Del resto,

31

Capitolo IV

come furono in grado di rialzarsi entrambi, continuarono il loro vagabondare,

più depresso ed incerto, scambiando poche battute. Solo nel pomeriggio,

consumando uno spartano panino seduti sulla gradinata della fontana di Santa

Maria in Trastevere, iniziarono a riprendere un più concreto contatto con il

mondo circostante. Walter manifestò l'intenzione di tornarsene a casa; più

riprendeva coscienza e più si sentiva sconquassato da fastidiose fitte alle reni

e alla testa in un probabile stato febbrile. Si scusò a mezza bocca con l'amico

per poi velocemente congedarsi.


Lorenzo restò solo, sulla scalinata, ma per poco. Una voce proveniente da un

gruppetto di persone, sedute nell'altro lato della fontana, richiamò subito la

sua attenzione:


“Lorenzo... Lorenzo!... Ehi, ma sei proprio tu, come stai?” esordì Giorgio.


Lui realizzò un immediato collegamento a Lucia ed alla circostanza in cui la

conobbe, rabbrividendo, poi abbozzò un timido segno di saluto e si

approssimò al gruppo. Avevano due chitarre, una era in mano a Giorgio che

si accorse subito degli occhi di Lorenzo puntati sullo strumento.


“Sai suonarla?”


“No. Però, come sai, adoro la musica...”


“Allora siediti e prendi i bongos in terra” disse Giorgio interrompendolo.

Dopodiché, voltandosi, fece cenno di un tempo di battuta all'amico con l'altra

chitarra e presero il via insieme in un ritmo avvolgente, dove la voce di

Giorgio assunse quella roca e calda tonalità alla Stephen Stills

interpretandone la viscerale Love is where you with.


Lorenzo rimase affascinato dal pathos di Giorgio tanto che,

complimentandosi con lui, gli chiese:


“Come mai non avevi con te la chitarra al festival di Castel Porziano?”


Giorgio esternò una forma di venerazione per il proprio strumento, spiegando

a Lorenzo che tra il sole e la sabbia non l'avrebbe comunque mai portato.

Quindi, con estrema naturalezza, si rivolse a lui domandandogli di Lucia:


“...Hai avuto modo di rivederla ancora?”


Lorenzo balbettò un “sì” e, con un paio di stentate frasi, peraltro senza nesso,

diede evidente dimostrazione di quanto disagio provasse nell'affrontare

l'argomento. Giorgio si approssimò a lui prendendolo sottobraccio per poi

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Capitolo IV

commentare:


“Ma dai... sono storie normali con quella lì, mica ti sarai preso una cotta... A

Lucia piace scopare e, del resto, non c'è niente di male. Se proprio vuoi una

donna meno emancipata, credo che farai meglio, amico mio, a cercarla

altrove... e comunque il mondo è pieno di donne, che importanza ha se oggi

scopi con Lucia e domani con un'altra? Dammi retta, dormici sopra e domani,

se ti va, chiamami... Ecco il telefono!” esclamò, infine, consegnandogli un

cartoncino strappato dal suo pacchetto di MS con sopra scritto il numero:


5027328 Giorgio


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Capitolo IV

CAPITOLO V


La festa di Giorgio

Il giorno seguente, mentre Lorenzo completava il suo sonno, squillò il

telefono. Era mezzogiorno e lui, ancora in uno stato di dormiveglia, afferrò a

stento la cornetta emettendo un cavernicolo:


“Pronto!”


“Lorenzo! Ciao, sono Lucia, ma si può sapere che fine hai fatto ieri? Ti ho

richiamato per ben due volte e scommetto che tua madre, come al solito, non

ti ha detto niente e poi... perché quella voce d'oltretomba che ti ritrovi, ti senti

bene? O stai ancora dormendo? E se stai ancora a letto, che diavolo hai

combinato stanotte?”


Lorenzo, che riprese di colpo coscienza, restò ammutolito. Non sapeva come

metter fine alla lunga sfilza di domande che Lucia gli stava propinando a

raffica, fintantoché, colto nel suo orgoglio, le rispose perentorio:


“Vado dove cazzo mi pare, proprio come fai tu.” Lucia, mutando espressione,

replicò:


“Adesso non ricominciamo; sei tu, con la tua morbosità, che per poco ieri non

mi metti nei guai anche con mia madre...”


Ed iniziarono così a discutere per poi intervallarsi in lunghi vuoti, senza

parole, fatti di chiusure ed incomprensione, fin quando, stanchi e delusi,

decisero entrambi che sarebbe stato meglio risentirsi l'indomani.


Lorenzo, nonostante la lunga dormita, si sentiva ancora bisognoso di altre ore

di sonno, eppure continuava a rigirarsi nel letto indolente e smanioso.

Alternava qualche pagina di Henry Miller con una storiella di Paperino, nel

tentativo di lasciarsi definitivamente andare all'incombente torpore. Poi si

accese una sigaretta e decise di ascoltare una cassetta dei Magazine,

prestatagli da Lucia.


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Lui non era molto convinto di quel genere di musica lì, la new wave, ma, in

ogni caso, era ben intenzionato a tenersi al passo coi tempi seppure, allora,

fossero solo gli albori ed i primi punk, che s'intravedevano nelle piazze, erano

ancora piuttosto rari ed inquietanti. Lorenzo stesso, mentre ascoltava il nastro

che scorreva, si ricordò di un banale ma feroce episodio intercorso qualche

giorno prima. Era in piazza, ad aspettare che arrivassero le quattro per poi

andare a prendere Lucia, quando un improvviso baccano aveva richiamato la

sua attenzione. Picchio, un ragazzo che conosceva di vista, era stato

spintonato ed insultato da un gruppo di fricchettoni su di giri soltanto perché

lui, in adempimento allo spirito di dissacrante rifiuto e trasgressione, portava

una svastica stracciata sul giubbetto in pelle borchiata.


Un individualismo estetizzante incominciava, di fatto, a prendere piede,

lasciando un retrogusto anni Ottanta. La musica, dopo il terremoto Sex

Pistols, spazierà da vacue tinte new dandy, romantico-decadenti, alla Duran

Duran, a quelle più oscure e disperate, palesemente nichiliste, dei Bauhaus.


Assorto tra i pensieri suscitati dall'ascolto, Lorenzo si accese un'ulteriore

sigaretta. Dal pacchetto saltò fuori il cartoncino con il numero di Giorgio e si

rammentò subito del suo invito. Visto che nulla di meglio s'intravedeva

all'orizzonte, gli sembrò una più che mai valida idea chiamarlo subito per non

perdere quell'occasione.


Giorgio, al telefono, si rivolse a lui in modo diretto e piuttosto brusco:


“Allora? Scommetto che vieni... Fammi vedere, oggi è martedì e Lucia si

strombazza Pierre, il francese... tu lo conosci quello lì?”


“Senti - rispose Lorenzo - lascia stare Lucia e poi, se veramente vuoi che

venga, smettila di provocarmi.”


“Ma no, sciocco - precisò Giorgio più cordiale - è per il tuo bene, non voglio

vederti giù. C'è Maria, la dovresti già conoscere, e poi ci sono Marco,

Carmen e Veronica, insomma siamo tutti ok ed il resto dipende da te. Ti

aspettiamo...” e, così dicendo, Giorgio si congedò da Lorenzo, che, poco più

tardi, lo avrebbe raggiunto come convenuto. Arrabattandosi alla meglio, in

pochi minuti era già pronto per avviarsi all'appuntamento. Giunto dinanzi alla

porta, si annunciò con un breve e discreto trillo al campanello. Era curioso, e

nondimeno ansioso, di conoscere gli sviluppi di un contesto, per lui, del tutto

35

Capitolo V

inedito. Venne ad aprire Maria e si riconobbero all'unisono, salutandosi

affettuosamente, tanto che Lorenzo si rassicurò subito con questo suo primo

approccio. Poi venne il turno delle presentazioni con gli altri tre già

annunciati da Giorgio, che era davanti al fuoco del camino nell'intento di

arrostire delle salsicce.


“C'è un atmosfera calda e tranquilla” pensò tra sé Lorenzo nell'intento di

fermarsi anche lui davanti al focolare. Dopo un paio di minuti tornò Maria

dalla cucina annunciandogli che, di lì a poco, avrebbe avuto bisogno del suo

aiuto per scolare la pasta.


Al centro della sala, sopra un antico e sfarzoso tappeto persiano, il resto del

gruppo continuava ad intrattenersi in un gioco di società.


Maria era una ragazza molto più intrigante di quanto Lorenzo, distratto sin

dal primo momento da Lucia, non avesse mai potuto notare. Aveva capelli

corti e scuri a caschetto ed un vezzoso nasino all'insù. Nei pochi scambi di

battute che intercorsero tra loro, Lorenzo non tardò a riconoscere le tracce di

una profonda amicizia tra lei e Lucia, senza che quest'ultima fosse stata

neppure nominata. Furono sensazioni colte dalla gestualità e dal linguaggio,

simili per quella complicità che nasce tra persone che hanno speso molto del

loro tempo insieme.


Dopo aver mangiato, Marco tornò a cavillare sulla penitenza, per via del

gioco di prima, prendendosela con Carmen, rea di non sottostare alle

decisioni del gruppo.


“Faresti bene a non partecipare più, se non sei in grado di sostenerlo fino in

fondo.”


Giorgio, ostentando quella sua solita aria pacata e piena di sé, intervenne

dicendo:


“Calma, ragazzi, non è il caso che litighiate per questo genere di stronzate e

poi, adesso, viene il meglio: ci sono buone novità dall'oriente.” Richiamò così

l'attenzione generale cominciando a descrivere vaste radure sugli altopiani

della lontana, mistica India. Lorenzo, incantato, iniziò a filmare nella sua

mente le immagini evocate da Giorgio; poi, quando quest'ultimo tirò fuori

una bustina di carta argentata con della polvere bianca dentro, ebbe un

sussulto emettendo un “ma...” che gli si strozzò in bocca.


36

Capitolo V

Quindi, spronato da una sciocca battuta di Marco:


“Vedi Giorgio? È il tipico esempio di tossico indipendente.”


Prese anche lui parte al rituale afferrando una banconota arrotolata per

sniffare.


Un benefico, intenso calore avvolse Lorenzo, colto di sorpresa, e per un

attimo, un fuggevole eppure illimitato istante, toccò il paradiso: risucchiato

nel nulla, in una specie di tuta spaziale imbottita di zucchero filato,

distanziato dal delimitato mondo tutt'intorno.


Giorgio prese la sua chitarra ed iniziò ad intonare un lungo ed intenso blues

di John Mayall, mentre, tutt'intorno, si respirava una statica atmosfera

d'ipnosi generale. Era un'utopia di endorfine dove ogni pensiero, gesto o

parola, appariva incondizionato ed elevato oltre qualunque emozione.

Carmen ebbe improvvisamente un sussulto, non si trattene e vomitò sul

pavimento, mentre Marco, barcollante ed incantato, le carezzava a rilento i

capelli. Maria rivolse i suoi due occhi assenti, la cui pupilla aveva preso la

forma della testa di uno spillo, verso Lorenzo e, in un'indefinita ma piacevole

empietà, lui si sentì risucchiato nel baciarla. Non aveva importanza quel che

stava accadendo, tutto procedeva senza inibizioni e la coscienza appariva

come svanita. Furono momenti senza tempo. Lorenzo, in quest'assenza,

sperimentò una sorta d'iniziazione, sentendosi finalmente distaccato da ogni

suo complesso e timidezza. Non era in grado di riconoscere neppure se stesso

ma, nonostante fosse in quest'irrefrenabile condizione, ebbe,

paradossalmente, la consapevolezza dell'inutilità del proprio io attraverso la

sua alterazione. Il mondo non era che un astratto palcoscenico in cui i nomi

degli attori erano stati lasciati in bianco e, senza che vi fossero copioni a

scandire gli eventi, ogni cosa, fatalmente, accadeva.


Tra rarefatti pensieri, quasi non fossero neppure i suoi, Lorenzo si congiunse

sempre più in intimità con Maria. Ogni contatto, anche il semplice sfiorarsi la

mano l'uno con l'altra, era un lungo ed incerto rituale che celebravano nel

ripetersi dei gesti. Poi, quando la fiamma del camino, cessando il suo impeto,

si ridusse ad un piccolo strato di brace nascosto dalla cenere, questo segnò

per loro l'unica certezza che il tempo trascorso fosse in qualche modo

sopravvissuto. Nella stanza era rimasto solo Giorgio, che si era adagiato

37

Capitolo V

sopra un cuscino addormentandosi. In questa penombra, o forse nel parziale

riemergere delle relative coscienze, Lorenzo e Maria non poterono più fare a

meno di amarsi con quell'inganno che solo l'amore sa dare nel suo eroico

slancio di eternare quanto, su questa terra, ci sfugge inesorabile. Passarono

ancora alcune ore e loro, naturalmente, non chiusero occhio tutta la notte

fintantoché, con le prime luci dell'alba, si ritrovarono seminudi ed in parte

avvolti in un'improvvisata coperta, ancora stretti l'un l'altro nel loro prodigo e

vicendevole scambio di effusioni.


Giorgio, che se ne stava coricato sopra il suo guanciale, con il dilatarsi della

luce attraverso la persiana, sembrava rinvenire a stento dal suo profondo

cullarsi tra le braccia di Morfeo. Dopo qualche movimento incerto, stiracchiò

il braccio destro tendendolo con forza e, nell'emettere un sonoro sbadiglio,

aprì gli occhi ed abbozzò un sorriso compiaciuto nell'indirizzare un rapido e

discreto sguardo verso Lorenzo e Maria. Dopodiché, preso da più incisiva

iniziativa, si alzò, in un solo scatto, augurando un caldo ed ironico

buongiorno. Quindi, avviatosi alla volta della cucina, aggiunse:


“Vado a preparare una tazza di caffè per tutti.”


Lorenzo iniziò a balbettare qualche parola, nel tentativo di ringraziarlo,

sovrapposta ad una buona dose d'imbarazzo. Giorgio si diresse a realizzare i

suoi intenti con aria indifferente, un po' troppo marcata forse, quasi a voler

far capire d'esserci abituato a certe situazioni. Lorenzo, a quel punto, ebbe di

nuovo la certezza di essere quello di sempre:


“Sì, sono proprio io e, come al solito, mi faccio mille paranoie in testa” pensò

tra sé ma, complice un altro sorriso che gli rivolse Maria, iniziò a ridere

anche lui provando, per la prima volta, a sperimentare un'insolita leggerezza

verso i propri limiti e complessi.


Pochi istanti dopo, colto da un repentino pensiero, si rivolse a Maria dicendo:

“Oh no! Cazzo! Dovevo partecipare al programma di autogestione del

collettivo della mia scuola, chi se li sente quelli lì... Se non ci vado,

inizieranno subito a lapidarmi come l'ultimo dei qualunquisti disimpegnati.”


“Ma dai, che ti frega! - lo interruppe Maria - Con i casini che ci sono stati, ho

solo un vago ricordo della scuola quest'anno...”


38

Capitolo V

“Sì, ma è diverso - evidenziò Lorenzo - Mi ero assunto un impegno con il

collettivo politico e quelli, per certo, in qualche modo me la faranno pesare,

magari sputtanandomi pubblicamente alla prossima assemblea... Non la

sopporterei proprio una cosa del genere.”


Sopraggiunse, a quel punto, Giorgio con la sua calda ed invitante tazza di

caffè e, ritrovatisi di nuovo tutti e tre insieme, si distrassero con altre facili

battute. Sul tappeto faceva ancora bella mostra di sé il disinvolto conato di

vomito di Carmen; da quanto ricordava Giorgio, gli altri si erano impadroniti

del suo letto durante la notte.


Fu così che, dopo qualche malizioso sorriso d'intesa, Lorenzo finì per gettarsi

alle spalle i suoi ultimi, mancati impegni che balenavano a tratti rovinandogli

la festa.


Con il progredire della mattinata, in azioni sempre più intrise di una velata,

comune depressione, dettero riprova della loro spossatezza. Lorenzo e Maria

presero quindi congedo da Giorgio, mentre gli altri continuavano il loro

interminabile riposo nella stanza da letto.


Maria non volle saperne di essere accompagnata, visto che abitava poco più

in là e lo stato di malessere le aveva tolto ogni voglia di socializzare. A

Lorenzo, anch'egli malconcio, non rimase altro da fare che raggiungere il

proprio letto quanto prima possibile. Si addormentò, nonostante lo stato di

prostrazione, solo molto più tardi e a stento, tra fastidiose fitte di dolore che

si manifestavano tra le spalle per poi, lancinanti, discendere sulle reni.


39

Capitolo V

CAPITOLO VI


La lite

Trascorsi alcuni giorni da quell'insolita esperienza a casa di Giorgio,

Lorenzo, come tanti altri, ebbe finalmente la certezza di non aver superato

l'anno scolastico da un suo compagno, al telefono; ma il genere di chiamate

più in voga, in quel periodo, erano le lunghe e tormentose telefonate a Lucia

con cui aveva continuato a frequentarsi. I due, per un tacito accordo, avevano

eletto il portone di casa di Lucia ad alcova ufficiale, alternandolo a qualche

serale ed estemporanea gita al mare. Di fatto, sull'altro versante, quello della

comunicazione, più s'inoltravano nel rapporto e più cresceva in loro una

forma d'antagonismo ed intolleranza, che li consumava in una sanguigna e

comune passione. Erano comunque giunti ad una specie di compromesso:

ognuno si concedeva una piccola parte di tempo per sé, senza dover renderne

conto all'altro.


Lucia, quel giorno, si lasciò andare conversando al telefono e raccontò di

essere stata in un posto bellissimo il giorno precedente. Nel momento di

pronunciare con disinibita enfasi il nome del suo accompagnatore,

s'interruppe. Come se, nella gioia di fare partecipe il proprio compagno,

avesse inavvertitamente dimenticato quali fossero i confini da rispettare.


“Sono andata oltre...” pensò impietrita Lucia nell'improvviso silenzio in cui

fece morire il suo discorso.


“Con Pierre - proseguì Lorenzo, dopo una breve pausa - si sa, tutto è più

facile... Basta prendere la macchina e via... Meraviglioso prodigio della

tecnica in grado di portarci comodamente ovunque. Ma quello stronzo di

Pierre, oltre ad avere quarant'anni, i soldi e la macchina, cos'altro ha più di

me?”


“Adesso cosa c'entrano l'età e i soldi con questa storia? - replicò subito Lucia

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- Guarda che non siamo mica andati lì per scopare, anche se tu lo pensi. Sì, è

vero, lui mi aveva fatto degli approcci, proprio a Castel Porziano. Eri sparito

quella sera, te lo ricordi? Ma è stato così... solo dopo ti ho conosciuto

veramente ed il resto della storia lo conosci bene. Insomma... beh, te lo dico,

siamo andati lì solo per avere una bella situazione da vedere, certo che a lui

non sarebbe dispiaciuto ma non è andata così, abbiamo fatto solo un tiro

insieme, ecco tutto!”


Lorenzo tacque, confuso, e Lucia prese di nuovo a parlare esortandolo:


“Dai! Su, non fare così... Non è successo niente e poi avevo già tirato altre

volte e sono qui, non mi sono mica spuntate le ali!”


“Vuoi dirmi che, prima di essere stata in paradiso con Pierre, ci sei andata

anche con Giorgio?” chiese Lorenzo assumendo un timbro di voce più

offuscato.


“Cosa c'entra, adesso, Giorgio in questa storia, tu che cazzo ne sai per dire

certe cose?” incalzò Lucia alterata. Poi, riprendendo i loro consueti, lunghi

silenzi di crisi al telefono, dopo poco più di un paio d'ore, finalmente,

decisero di vedersi e chiarirsi.


C'è da dire, a questo proposito, che ci fu un tempo in cui le chiamate urbane

avevano la sola tariffa di uno scatto indipendentemente da quanto tempo gli

interlocutori s'intrattenessero parlando. Anche i nostri personaggi,

probabilmente, furono tra quei tenaci esempi di resistenza che indussero poi,

negli anni a venire, la compagnia telefonica a rivedere le cose.


Eppure, come si videro, non fecero altro che issare il vessillo della loro

adolescente, orgogliosa rabbia salutandosi, entrambi, con un marcato broncio.

Lorenzo, molto più istintivo di quanto la sua timidezza potesse contenere,

non seppe trattenersi e, appena la vide, preda di perversi sensi disfattivi, le

spiattellò tutto in faccia. Non esitò a dirle, senza alcuna remora, che era stato

a letto con la sua migliore amica.


Lucia s'irrigidì subito in un'espressione di rabbioso dolore, poi le vennero giù

due lacrimoni che le percorsero il viso irrigandolo. Lorenzo, a sua volta, si

sentì fulminato, con lo sguardo dentro quei rivoli che le stavano per

oltrepassare lo zigomo. Quindi, di scatto, quella dolce creatura reagì e, con

41

Capitolo VI

inaudita violenza, si scagliò con le mani sulla faccia di Lorenzo. Quest'ultimo

non ebbe neppure il tempo di capire cosa stesse accadendo: fu un fulmineo

balzo felino mirato ad aggredirlo. Provò un forte bruciore sul volto e d'istinto

la colpì, con incontrollata forza, mollandole una potente sberla. Lucia aveva

una forte indole battagliera e Lorenzo, quando si sentì afferrare i capelli come

immaginava solo gli indiani nei western sapessero fare, non tardò a

rendersene conto. Ne nacque una bella zuffa dove lui, evitando

cavallerescamente di usare la supremazia maschile in fatto di muscoli, cercò,

in definitiva, di difendersi nel parare i colpi, piuttosto che contrapporsi

all'inaspettato avversario.


Non si sa bene in che modo ma, come talvolta capita in questi casi, si

ritrovarono infine abbracciati. Lorenzo provava un sempre più forte bruciore

sulla faccia, dove le lunghe e suadenti unghie di Lucia gli avevano solcato la

carne. Lei sembrava essere rimasta contratta in quella posizione. Stettero lì,

avvinghiati l'un l'altro, in quel comune angolo di dolore e senza più parole.

Per la prima volta, da quando si erano conosciuti, pareva che avessero da

condividere una qualche morte in comune. Era un profondo ed intenso senso

di vuoto e lacerazione dove la solenne Sound of silence di Simon and

Garfunkel risuonava, continua e gelida, dentro la mente di Lorenzo, per

congiungersi a The needle and the damage done di Neil Young che

riecheggiava, profetica, nella testa di Lucia. Piansero ancora; e furono quelle

le sole parole che l'anima liberò in quegli istanti. Poi, come si approssimò la

sera, lei cominciò a tremare, scossa da brividi di reazione nervosa. Lorenzo, a

quel punto, si mostrò preoccupato. Le mise il suo inseparabile giubbetto sulle

spalle proponendole di muoversi un poco più in là:


“Vedrai - sussurrò - fare due passi ci farà senz'altro bene...”


Nel camminare, anche loro iniziarono a mutare quell'umore frastornato e

pesante che aveva fatto seguito alla dura lite. Lucia tirò giù le prime parole

commentando:


“Ma come hai potuto... poi con Maria, potevi perlomeno avere il buon gusto

di sceglierti un'altra.”


“E tu ? - ribatté Lorenzo - Ti voglio bene, lo sai, ma hai cominciato tu...”


“Io sto male così - si lamentò Lucia - Facciamo qualcosa, non ho voglia di

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Capitolo VI

pensarci!”


E nel manifestare quest'intenzione, s'incamminarono di nuovo sino a giungere

nei pressi di Campo de' Fiori dove, consumando la stessa birra insieme,

furono avvicinati da uno dei primi, tristemente noti, tossici del luogo, un tale

detto Spadino. Lo chiamavano così perché girava voce che fosse altrettanto

rapido non solo nel bucarsi ma anche nell'aprire le altrui autovetture.

Spadino, naturalmente, investiva il suo tempo libero in piazza cercando, per

quanto possibile, di mettere a frutto anche quello. Ed era in questo modo che

non perdeva occasione per avvicinare qualcuno e chiedergli i soliti spiccioli

per un “panino”. Lucia, con fare disinvolto, propose subito a Spadino di bere

un goccio allungandogli il bicchiere, poi aggiunse:


“Mi spiace, di monete non ne ho ma ho ventimila lire qui con me e magari, se

vuoi, con i tuoi spiccioli possiamo anche fare qualche affaruccio insieme.”

Lorenzo, a quel punto, intervenne:


“Ma che cazzo fai!... Ma non lo conosci...?!”


“Malfidato il tuo amico, eh? Beh, se volete, venite con me” commentò

Spadino avviandosi.


Fu così che Lucia, senza dare troppo tempo a Lorenzo di dire altro, lo prese

per mano incamminandosi al seguito.


Fu un lungo ed estenuante girovagare. Giunti in prossimità di un bar

adiacente a Santa Maria in Trastevere, Spadino entrò e, poco dopo, tornò

indietro chiedendo i soldi. Lorenzo tentò ancora di manifestare la sua

diffidenza, ma Lucia, come nulla fosse, tirò fuori le ventimila dal borsellino e

rivolgendosi a Spadino disse:


“Tieni, ma guarda che in piazza io ci torno e Pierre, il francese, è un mio caro

amico.”


“Ecco! Adesso anche Pierre...” borbottò Lorenzo snervato, mentre Spadino,

dopo aver raccattato i soldi, rientrava da solo dentro il bar. Dopo più di venti

minuti d'estenuante attesa, se lo videro inaspettatamente sbucare dall'altra

parte, alle loro spalle. Spadino fece un breve ma potente sibilo per richiamare

la loro attenzione e, come si voltarono, diede loro un rapido cenno per

invitarli nuovamente a seguirlo. Percorsero, con passo sostenuto, due o tre

vicoli del quartiere.


43

Capitolo VI

Infine, Spadino sgattaiolò, furtivo, in un cortile dall'aspetto abbandonato,

dove in pochi istanti fu raggiunto dagli altri. Lui era già lì, con la sua sottile

siringa da insulina infilata sul braccio e ne tirò fuori un'altra già pronta per

porgerla a Lucia. Lei, nel vederla, esitò ad afferrarla e Spadino, a quel punto,

ironizzò condiscendente:


“Cosa vuoi, non pretendevi mica di tirare te e l'amico con un ventone... Ok,

comunque, se hai problemi ci penso io.”


E, così dicendo, sotto gli occhi imbambolati di Lorenzo, prese il braccio di

Lucia e le iniettò una parte del contenuto. Poi, estraendole l'ago, si rivolse a

Lorenzo aggiungendo:


“Certo che, se non vi siete mai fatti, con un ventone state una favola tutti e

due. Beati voi perché a me ci vuole un centone soltanto per star bene.”


Lorenzo, che continuava a sostare imbambolato, incapace di reagire alla

situazione, non fece altro che emulare la sua compagna tendendogli il

braccio. Socchiuse gli occhi e sentì un pic sulla pelle in un'ondata

d'improvviso, benefico calore...


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Capitolo VI

CAPITOLO VII


La solitudine

Durante quell'estate, i mutamenti climatici, di cui si parlerà tanto

insistentemente una ventina di anni più tardi, stavano già dando le loro prime,

concrete avvisaglie. Era soltanto l'inizio di luglio ed imperversava, ovunque,

un torrido solleone estivo. L'asfalto urbano ribolliva, tra echi perduti nella

memoria di pigri giorni d'agosto, in una Roma semideserta. Ci si muoveva

lentamente e a stento; non solo per il caldo poiché, nel comune affaccendarsi,

non si soffriva ancora di quell'ansia da indaffarati, tipica dei nostri giorni.


Walter, dopo aver superato gli esami di maturità con pieno profitto, si era

finalmente imbarcato verso il suo sogno di sempre: l'India. Un volo

economico con una linea aerea araba ed un costo di soggiorno irrisorio,

coperto da un anno di risparmi e privazioni.


“Ma come diavolo farà a prendere quei voti se non studia mai e sta sempre in

giro?” andava chiedendosi Lorenzo, in un libero vagare di pensieri fuoriusciti

nell'ozio del suo letto, quel pomeriggio estivo.


“...Farò a meno anche di lui” e, nel trarre questa deduzione, trovò pure

residue energie e volontà per alzarsi dal letto.


Erano trascorsi diversi giorni vissuti sul filo di un'inedia che, più che causata,

sembrava piuttosto cronicizzata da quell'improvvisa calura. Anche Lucia era

fuori, a trascorrere le vacanze in un paese nelle Marche, di dove erano oriundi

i genitori, e lì, neanche a farlo apposta, non c'era neppure un telefono per

sentirla. Una dura solitudine, nel vitale bisogno di contatto e confronto, si

andava prospettando per Lorenzo, che si faceva sempre più preda dei suoi

facili ed inesplicabili esistenzialismi adolescenziali.


“È una bella coreografia per paranoie da angeli, questa qui” pensò, rattristato,

mentre sorseggiava a pieno ritmo la bottiglia d'acqua appena presa dal frigo;

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alzò poi, incredulo, gli occhi in alto, nell'attesa di un cenno che non sarebbe

mai giunto. Era stata interrotta ogni più remota forma di comunicazione,

persino quella delle inopportune visite dal cielo!


In questa percezione di baratro, non appena vibrarono nell'aria le note di In

the court of Crimson king riprodotte dal giradischi, sentì prepotente l'istinto

di lasciarsi andare del tutto alla canicola pomeridiana. Percepì, abbagliato, un

luminoso squarcio oltre l'urbano cavalcavia, che inondava accecante il

paesaggio, incorniciato dalla finestra della sua cucina. Dalle epiche note dei

King Crimson, che sollevavano la visione di un turbine di storia dentro tutta

quella luce, Lorenzo passò ad ascoltare Set the controls to the heart of the sun

dei Pink Floyd ed ebbe la sensazione di oltrepassare quel mitico gong baciato

dal sole, come accadeva nel filmato di Pompei:


“Sì, con il cuore in gola... come quella sera con gli amici al cinema Trianon,

stipati nell'ultima fila. Fu un vero e proprio trip quel film... grazie a Paolo

che, dalle retrovie, non cessava di preparare e far circolare freschi chylom a

tutta la compagnia!”


Immerso nella sua solitudine, Lorenzo rincorreva brandelli di ricordi. Vortici

di suadenti suoni si alternavano all'udito e, a mano a mano, tra lui e la realtà

circostante prese forma un lungo sentiero cotonato di note e di ritmi che gli

carezzavano la pelle. Fu una goccia, una lenta e consistente goccia di sudore,

che, partendo dalla fronte, cadde sul suo costato attraversandolo in un brivido

profondo. Un'estesa vibrazione percorse tutto il suo lungo, esile corpo. Il

piacere, la noia, quella stessa luce... tutto andava percorrendo

l'immaginazione di Lorenzo in un pigro sovvenire, dissociandolo dal mondo,

fintantoché sopraggiunse, inopportuno ed inatteso, un trillo di telefono.


Lorenzo, assorto in quest'ascolto meditativo, si limitò a confondere tra i

labirinti musicali quel sordo e ritmico scampanellare; poi, resosi più cosciente

da tanto insistere, trovò la forza di sollevare il braccio ed attutire il

potenziometro del volume. Quell'incessante molestia riecheggiò più forte e

lui, ancora stordito, sollevò titubante la cornetta. Balbettò, intimorito, un

rauco:


“Pronto... pronto...”


Una voce femminile, dall'altra parte, ripeteva in lontananza:


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Capitolo VII

“Lorenzo... Lorenzo!... Sei lì?... Di', sei tu?”


“Ma chi sei? - replicò Lorenzo divenuto più risoluto - Dimmi chi diavolo sei

e da dove spunti fuori in quest'inferno di deserto che bolle persino per le

lucertole... Insomma, dimmi chiaro e tondo se è uno scherzo di quel pazzo di

Walter, che ha ben pensato di lasciarti quest'incombenza prima di partire,

oppure no... Sei solo frutto di uno strano sogno e, forse, tu non esisti

neppure...”


“Lorenzo... Lorenzo!” continuò la voce dall'altra parte, come a voler

smorzare quell'irrefrenabile delirio: “Sono Maria, possibile che il caldo ti

abbia compromesso la testa, non mi riconosci più?”


“Maria? - esclamò Lorenzo sorpreso - Ma tu che ci fai qui a Roma?... E poi

non avevi il mio numero, che razza di storia è questa? Mi ritrovo solo,

rintanato da diversi giorni in casa e spunti fuori tu, quando gli altri sono tutti

morti o, meglio, a fare i cazzi loro...”


“Lorenzo, calmati! Ti sento molto agitato e, caldo a parte, non ne comprendo

le ragioni. Spero comunque che non ti sia successo niente e il tuo numero,

stai tranquillo, me lo ha dato Giorgio, che è a Firenze con dei compagni di

San Giovanni: Pippo, l'Indiano ed altri...Sì, sai, quelli che si vedono sempre

alla statua... Tu non hai mai bazzicato da quelle parti?”


“Beh... io, a dire il vero, sto proprio lì, da quelle parti, ma conosco giusto un

paio di persone, così di vista... Ecco, io, pur essendoci stato diverse volte, non

è che abbia mai socializzato molto, forse sì... è proprio vero, sono un bel

timidone!” ammise Lorenzo mentre, tergiversando su questa sua insicurezza,

prese coscienza di quali energie avesse accumulato fino a quel momento.


Quel fuggevole ed intenso contatto gli aveva procurato un sottile ma costante

piacere; si era poi propagato sino all'ombelico, fatidico punto della Kundalini,

ovvero il punto dell'energia sessuale, così come lo identificava Lorenzo, in

accordo alle pratiche di Rajneesh. Percepiva un consapevole, forte senso

d'eccitazione; tutte le sensazioni provate avevano preso forma nella voce di

Maria, che colava, suadente, sul suo membro, divenuto ricolmo di pulsante

sangue.


Lei, compiaciuta, apprezzò Lorenzo per il suo spontaneo mettersi a nudo,

senza le solite mascherate sicurezze del genere maschile. Cosicché la sua

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Capitolo VII

voce si fece ancor più penetrante e, con il suo intercalare, tra brevi e sciocchi

vezzi, contenute pause e qualche sospiro, divenne estremamente

confidenziale:


“Dai Lorenzo... sembri un peluche quando fai così, mi viene da coccolarti

come facevo con il mio coniglietto quando ero ancora bambina, ma attento...!

Quello lì, a forza di giocarci, ha fatto una brutta fine... poverino! La mamma,

per fortuna, me lo ha ricucito più volte ed è ancora qui, sai, riposto in un

armadio... sebbene, ogni tanto, me lo porti ancora a letto.”


Lorenzo, non potendo far altro che sbrodolare in quelle confidenze, prese

anche lui a recuperarne dal suo collaudato archivio. Iniziò a raccontarle il

piacevole trauma subito con un inaspettato bacio, inflittogli da una ragazzina

poco più grande di lui, quando era ancora un tredicenne.


“Sai, fu terribile... Non ero più in grado di muovermi, di prendere una

qualsiasi iniziativa, ero la vittima designata ed impotente...”


“Comprendo” soggiunse Maria trattenendo il riso; poi, intrigata, scoprì la

mano che prendeva pigramente contatto con la sua pelle. Lorenzo non poteva

osservare quanto stesse avvenendo ma, avvertendo un improvviso spasmo

che gli attraversava il pene, comprese istintivamente che, in quella

vibrazione, si era liberata tra loro una comune libido; e allora si lasciò andare

e le disse di avere cumulato molta energia sessuale in quel momento.


Maria, con aria smaliziata, non fece nulla per trattenere l'interlocutore ma non

gli diede neppure nessuno scontato assenso; poi, glissando su quanto

accadeva a Firenze, si avvicinò la mano al monte di Venere. Sfiorò appena il

clitoride e, tracciando dei cerchi attorno e sopra, lo strinse, infine, nell'arcata

tra il pollice e l'indice. Emettendo un fugace gemito, iniziò a farfugliare:


“Sai... su a Firenze pare che ci sia un casino di gente e... mmmh... pensa che

Giorgio mi ha detto che hanno impiegato meno di tre ore in autostop...

fortunati... mmmh... non trovi?”


Lorenzo, preso nel suo torpore da autoerotismo, diresse la mano in prossimità

del pene, lambendolo nella tensione di una folgorante carezza.


“Sì... sarebbe bello... sì... vorrei tanto partire... dimmi, dimmi un po', hanno

preso uno strappo dal raccordo? E poi... com'è andata?”


“Bene... anzi, benissimo!” replicò Maria che, dopo un breve silenzio,

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Capitolo VII

perdendo ogni pudore, esclamò decisa:


“Ti prego, dimmi che hai il cazzo in gola, dimmi che non ce la fai più...”


“Cosa vuoi... una deflagrazione?” chiese Lorenzo afferrando il suo membro

in una masturbazione divenuta cadenzata ed energica, tra dannazione e

mistica rivelazione. Risuonavano, compulsivi, versi e suoni di Jim Morrison

nella sua mente e, avvolto nella passione del blues, il suo fallo era divenuto

un inarrestabile esibizionista rockettaro, tra un reciproco andirivieni di

“dai...così...” ed altre piccole indecenze dette a mezza bocca.


In questo modo, con spontanea, comune soddisfazione, sperimentarono un

rapporto erotico via cavo che, negli anni a venire, tramite il prefisso 144,

sarebbe divenuto oggetto di ben altro... o meglio altri, interessanti fatturati.


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Capitolo VII

CAPITOLO VIII


L'autostop

Due giorni dopo, abbandonando la casa nel più completo disordine, Lorenzo

si diresse ad un appuntamento preso con Maria per poi partire alla volta di

Firenze. Sembrava noncurante della faccia che avrebbe fatto sua madre,

anch'ella fuori, quando sarebbe rientrata in quell'improvvisato bivacco... Un

nauseante odore di grassi incrostati e muffe si propagava dalla cucina dove,

tra vari residui sparsi, facevano bella mostra i resti di una serie di passaggi

scoordinati di chi non presta alcuna attenzione, neppure per dissetarsi da una

bottiglia. Il lato del pavimento adiacente il frigo era divenuto un insieme di

stratificate chiazze, a comporre un unico elaborato arabesco e, qua e là, si

addensavano altri rifiuti e polvere.


Fu Lorenzo ad insistere per partire con Maria, appigliandosi all'opportunità di

avere finalmente qualcuno su cui poter contare per uscire fuori dal suo guscio

ed intraprendere qualcosa.


Era comunque tale il suo ritrovato entusiasmo che procedeva a grandi passi,

rubicondo e indifferente al gran caldo. Portava con sé la sua inseparabile

borsa di Tolfa, jeans consumati, maglietta psichedelica e scarpe da ginnastica

devastate con un sogno sulle spalle, avvolto nel suo sacco a pelo militare

comprato al mercatino di via Sannio.


Quelle borse in cuoio, che ricompaiono ai giorni nostri, sono state il dettaglio

di un'epoca, un comune denominatore per tutti. La Tolfa poteva contenere

volantini e molotov, era un elemento riconoscitivo del cosiddetto

gruppettaro della sinistra extraparlamentare, ma era anche, e più

semplicemente, la moda corrente. La Tolfa la usavano tutti, anche chi

indossava scarpe mocassino a punta con aria da fighetto, sebbene questi ne

esibissero di nuove e pulite, soprattutto per distinguersi dagli antagonisti,

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quelli che erano soliti chiamare con l'appellativo di zecche.


Lorenzo si sentiva di nuovo vivo e pieno di energie, compiaciuto da questa

esperienza on the road ed ora, che prendeva forma attraverso un viaggio in

autostop, emozioni e fantasie sfrecciavano, sollecitati più che mai all'idea...

L'appuntamento era dove la Salaria si interseca con il Raccordo e Lorenzo,

non molto pratico di quella zona, ebbe non poche difficoltà per raggiungerla.

In un rocambolesco incedere, equivocando un paio di bus, si accorse, infine,

di essere arrivato. Durante l'ultimo tratto, rimase a scrutare dal finestrino ogni

centimetro del territorio fino ad intravedere la sagoma di Maria. Quindi si

apprestò all'uscita, con un senso di liberazione, per poi andarle

frettolosamente incontro. Lei era lì, contrariata, che aspettava da tempo:


“Che fine hai fatto? Di' la verità... ti sei perso, non eri così convinto quando

mi hai detto di aver capito il percorso.”


“Credimi, ero soprappensiero e mi sono soltanto distratto sull'altro bus... a

Porta Pia” si giustificò Lorenzo smorzando, nel tono, ogni possibile

malinteso per non compromettere il buonumore. Camminarono insieme, per

circa un paio di chilometri, sino a raggiungere, dalla rampa stradale

soprastante, l'imbocco autostradale. Qui iniziarono ad esibire i loro pollici

alla ricerca di un passaggio.


“Nella migliore delle ipotesi non prendiamo nulla prima di mezz'ora ma, da

quanto si dice, qualche volta è anche possibile aspettare un paio d'ore...”

spiegò Maria, rivolgendosi al compagno, dopo una decina di minuti che

sostavano posizionati.


Lorenzo, esibendosi ancor più caparbiamente con il suo dito in mostra, fece

sfoggio di una cognizione da viveur della strada tentando di rassicurarla con

un sorriso. Nello sporgersi, si addentrò nella carreggiata; qualche consistente

strombazzata ed un paio di “vaffanculo” furono comunque sufficienti a farlo

indietreggiare, ad un soffio dall'essere investito.


Maria, passati altri venti minuti, fece gesto a Lorenzo di togliersi di mezzo,

invitandolo a sostare venti metri più in là. Quindi drizzò il pollice. Lorenzo,

abbassando lo sguardo, lo intravide in prossimità della gamba divaricata. Era

lì che Maria, con l'altra mano, tratteneva pudicamente il cappello insieme ad

un lembo del vestito sollevato. Dopo qualche minuto un camionista rallentò

51

Capitolo VIII

per fermarsi, poi, resosi conto della presenza di Lorenzo che lo rincorreva,

ripartì di corsa. Successivamente, non appena lui ebbe riguadagnato la sua

posizione, si fermò una Renault 4 rossa; stavolta Maria fece subito un breve e

discreto cenno di attendere a Lorenzo che, dopo qualche istante, la raggiunse

titubante e guardingo.


“Somiglia a Francesco, il mio professore di fisica alternativo” pensò tra sé,

sbirciando attraverso il finestrino.


Maria, nel frattempo, aveva già avuto modo di chiedere la destinazione e

sentirsi accordare il passaggio, cosicché, tra l'intravedere il conducente e

montare in auto, per Lorenzo fu un tutt'uno.


“Salve! Io sono Luigi, e tu?” esordì l'uomo alla guida rivolgendosi a lui che,

timidamente, dapprima sillabò a malapena il suo nome per poi, un po' alla

volta, lasciarsi andare nella serie di commenti intrapresi sulla cassetta dei

Van der Graaf Generator che girava nell'autoradio, dato che Luigi era un

ammiratore di Peter Hammill ed irrimediabilmente conquistato dal

malinconico spessore della sua voce.


“Io ho già ascoltato qua e là dei brani ma, soprattutto, ne ho sentito parlare un

gran bene da chi, anni fa, ha avuto la fortuna di vederli” aggiunse Lorenzo.

Maria, in un primo momento, non intervenne ma, dopo una decina di minuti,

non poté fare a meno di aderire anche lei a quella magica vela progressiva

che si andava dispiegando nell'evoluzione della suite.


Tra lo spunto musicale e lo scorrere delle parole, si ritrovarono tutti e tre a

proprio agio, riconoscendosi quasi istintivamente. Accadeva, soprattutto a

quei tempi, che la musica fosse elemento determinante nel socializzare e

ritrovarsi come soggetti appartenenti allo stesso branco. Luigi, tra i primi

scambi di sensazioni ed informazioni nel commentare il brano, aveva anche

sancito le sue affinità con loro due e nulla poteva interporre altre distanze o

barriere dovute all'età o a quel timore che, tradizionalmente, pregiudica

l'approccio e l'intesa tra sconosciuti.


Lui era un operaio della Voxson in cassa integrazione e, dopo mesi di lotte

con relativi picchetti e manifestazioni che andava elencando, stava tornando a

Firenze, dai suoi genitori, per tentare una nuova occupazione. Lorenzo gli

confermò tutta la sua solidarietà parlando dell'assemblea indetta dal collettivo

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Capitolo VIII

nella sua scuola dove, a suo tempo, si era deliberato per manifestare a fianco

dei lavoratori. Poi avvenne che, tra politico e privato, scivolò giù

nell'autoradio il nastro con le canzoni di Lo Cascio, Manfredi e tutto il

cantautorato di lotta, tanto che si ritrovarono ad intonarle in un unico coro:


“Rosso è il colore dei nostri fuochi...”


Emozioni ed impegno viaggiavano insieme e, forse, sta tutta qui la grandezza

ma anche il limite di un'epoca e della sua generazione. Ragazzi che, esaltando

l'idealità nell'accomunamento, inteso come certezza del bene comune, hanno

ereditato una coltre di nostalgia avvolta tra le malinconie di tanti inevitabili

fallimenti.


Stanchi del viaggio, si fermarono in un autogrill in prossimità di Firenze,

dove, consumando un panino e una bibita, sdraiarono i sedili per meglio

rilassarsi. Qui, tra una battuta e l'altra, Luigi tirò fuori un pezzettino di nero

porgendolo a Lorenzo.


“Questa è una manna discesa dal cielo” commentò quest'ultimo e, dopo

averlo ben odorato e rimirato, prese a lavorarlo con ogni cura fino ad ottenere

un sottile filo gommoso da inserire nella cartina. Complice un continuo

sinfoneggiare d'insetti al meriggio estivo, i tre caddero subito nel completo

sbrago, dove tutto finisce nel surreale. Poi, in questa dilatata atmosfera,

Lorenzo percepì un soffuso ma dichiarato movimento di corpi tra Luigi e

Maria, i quali, con molta naturalezza, stavano pomiciando.


“Un'esperienza... - pensò tra sé per contenere il disagio - nient'altro che una

libera e condivisa esperienza di cui non ho nulla da preoccuparmi.”


Quindi, fissando qualche frammento di ozioso paesaggio dal finestrino, fece

del tutto per distogliere il suo sguardo da un incondizionato sbirciare.

Dopodiché, un brivido improvviso gli raggelò il sangue, l'inimmaginabile si

fece realtà e la mente, consapevole, si finse ignara protagonista di quanto

stava accadendo, lasciando ogni muscolo del corpo rigido ed impotente a

reagire. In questo stato, che non durò più di una manciata di secondi, Lorenzo

tolse bruscamente la mano di Luigi dalla patta dei suoi pantaloni, discese di

scatto dall'auto e si allontanò, senza mai voltarsi indietro. Nulla poteva

fermare quella marcia, il suo carburante si chiamava paura e, dinanzi al

genere di sensazioni scaturite, non c'era più niente che reggesse. Buoni

53

Capitolo VIII

propositi, dovute maniere e sacrosanti ideali erano stati eclissati in un

sostenuto passo di fuga.


54

Capitolo VIII

CAPITOLO IX


Firenze

Nonostante Firenze abbia un'estensione ridotta rispetto a Roma, dalla sua

fascia periferica al centro urbano intercorrono diversi chilometri e Lorenzo li

percorse tutti a piedi. Ebbe giusto il tempo di tirare un sospiro di sollievo, dal

momento che scendeva dall'ultimo passaggio avuto, prima di rendersi conto

che lì, alla fermata del bus della locale ATAF, non passava proprio un bel

niente. Pare che qualche fiorentino indaffarato e distratto gli avesse accennato

ad uno sciopero dei trasporti e, in ogni caso, non sarebbe valsa la pena stare

ad aspettare tanto tempo invano.


Sfiancato da tanto camminare, mentre risaliva l'ultimo tratto di strada che

fiancheggia l'Arno, si fermò e, in uno sbalzo di pressione, vide un bagliore

che lo fece dolcemente vacillare. Si accasciò, stremato, sopra una fontanella

prossima al muraglione del fiume. Con gli occhi ancora socchiusi,

approssimò le labbra al getto d'acqua, ma, dopo un primo piacevole senso di

frescura, come tentò di deglutire per dissetarsi, sputò, schifato, quel sorso

intriso di recondito sapore. Bevve, infine, ma fu un lungo rituale fatto a

piccoli sorsi, nel rammarico di non avere a disposizione i vecchi ma

collaudati acquedotti di Roma. Rilassatosi, scrutò meglio l'orizzonte:


“Ma sì, quello è proprio Ponte Vecchio” realizzò tra sé e, rincuorato, riprese

la sua lenta ma cadenzata marcia, certo che la fatica ed il ritrovato coraggio lo

avrebbero tenuto lontano dalle sue insicurezze, soprattutto dall'idea di cosa

avrebbe fatto lì, tutto solo...


Giunse, quindi, in quel caratteristico posto dove convivevano turisti e colonie

freak tra esclusive botteghe orafe. I primi animavano il luogo del loro tipico

andirivieni con foto ed annessi, mentre gli altri bivaccavano nella piazzola

centrale del ponte coi loro suoni al seguito. Ad un più attento ascolto, il

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suono dei bongos accompagnava una cassetta che stava riproducendo le note

dei Who con See me, Feel me. Lorenzo stette lì, in un angolo, a fissare due

giapponesi che, dopo aver osservato tanto l'attrattiva dei gioielli in vetrina

quanto l'improvvisato spettacolo di strada, oltrepassarono il ponte

sorridendogli.


“Ma che cazzo si ridono mai questi qui...” brontolò tra sé, intimidito nel suo

miope orgoglio, per restituirgliene uno appena abbozzato; poi, incuriosito,

adocchiò quant'altro stava accadendo tra la folla in movimento. Si

alternavano nuovi volti nella trafila di avventori che, con l'approssimarsi del

tramonto, protraevano la loro sosta nel sovraffollato scorcio di paesaggio che

s'intravedeva dalla piazzola. La cassetta, che si era pigramente accompagnata

con le percussioni, prese di nuovo vigore, tra lattine di Coca Cola tamburate,

sopra un brano dei Led Zeppelin, l'indelebile Whole lotta love.


Vicino al riproduttore c'erano due ragazze, una con capelli rossastri ed

increspati, legati dietro con un foulard ed intenta a leggere Kerouac, mentre

l'altra sembrava che stesse riposando, adagiata sulle sue cosce. Lorenzo

avrebbe voluto vederne meglio le celate fattezze, ma l'impresa non sarebbe

stata facile senza cadere nell'indiscreto. Da un lato del ponte, a ricordare la

roca impostazione della voce di Joe Cocker con la regina delle cover: With a

little help from my friends, sopraggiungeva un duo, chitarra ed armonica che,

approssimandosi alla piazzola, smise di suonare per dirigersi ad abbracciare

dei conoscenti. Nel vederli, Lorenzo sentì un nodo in gola. Tutte le sue

incertezze affettive risalirono, improvvise, sospinte da quel sostare, solo e

lontano da casa, senza un amico su cui contare. Tra quest'ondata di paure,

affranto, socchiuse ancora gli occhi in un rassegnato abbandono. Immaginò

l'angelo in volo, che da Ponte Vecchio si allontanava con ali brillanti nel

rosseggiare del sole, come a volerlo abbandonare per sempre; poi, ad un

tratto, venne distratto da un'inaspettata pressione sulla spalla destra.


“È una mano...” realizzò nel voltarsi di soprassalto, quindi, girandosi

sull'altro lato, intravide Giorgio dietro di lui.


“Ehi tu! Che diavolo ci fai qui? Sei in combutta con qualche angelo

allucinato?”


Lorenzo, preso alla sprovvista, replicò smarrito:


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Capitolo IX

“Ma che dici... tu che ne sai? E poi...”


“Ma dai, scemo - riprese Giorgio - era tanto per dirti chissà quale schifezza

avrai buttato giù... Hai, a dir poco, un'aria stralunata. Di' la verità, hai

mischiato pastiglie ed altro...?”


“No, credimi, sono solo stanco e spaesato... Sì, lo ammetto, non sono avvezzo

ai grandi viaggi... e poi non mangio niente da ieri...” confessò Lorenzo.

Giorgio, a quel punto, lo rassicurò stringendolo sottobraccio e poi

s'incamminò con lui verso un angolo della piazzola, dove Lorenzo riconobbe

subito la prosperosa sagoma di Carmen, la ragazza alla festa... Con lei c'era

Francesca, una donna più matura ma animata di presenza altrettanto giovanile

che, dopo qualche battuta, risultò essere, nientemeno, sua madre.


L'inverosimile, per Lorenzo, era poter concepire una sorta di genitore

veramente amico ed alternativo che, rapportato ai suoi rapporti famigliari, a

lui appariva lontano anni luce.


Francesca, oltre ad essere gioviale, aveva buona comunicativa, si mostrava

molto più aperta e disinibita della figlia e, soprattutto, non appariva affatto un

personaggio fuori luogo. Continuava a tenere banco in stuzzicanti battibecchi

con Giorgio, sorridendo sempre sotto uno sguardo luminoso. Solo le occhiaie,

a dire il vero, marcavano un naturale aspetto non curato, ma tutto questo non

poteva che conferirle ulteriore fascino. Lorenzo si sentì presto confortato

dalla sua presenza, tanto da oscillare dentro una nube di note di Bacharach,

dove tutto sarebbe potuto accadere...


Gli argomenti da non toccare furono evitati anche da Giorgio, ovvero Lucia e

Maria. Quest'ultima non si era fatta più vedere e tanto meno il suo nuovo

amico. Lorenzo, chiaramente, tralasciò superflue spiegazioni sull'accaduto e,

dopo aver degustato una scatoletta di Simmenthal, si apprestò a rendere onore

ad un bel chylom appena preparato da Giorgio. Dall'ininterrotto avanzare

della compilation della cassetta, venne il turno di Lou Reed, che interpretava

Walk in the walkside. Fu così che, dopo aver acceso l'enorme pipa in pietra,

in un intenso ma lento inspirare, Lorenzo si sentì dilatare dentro un'estatica

emozione, di quelle che attraversano anima e corpo. Giorgio, a quel punto,

emise il suo “Bambulè!”


Lorenzo sorrise e, annuendo, portò il chylom all'altezza della fronte, in

57

Capitolo IX

corrispondenza del terzo occhio, per poi lasciarlo tra le mani di Francesca

che, per niente scandalizzata, lo afferrò, alla maniera di un'ordinaria pipa, e

prese a fare delle piccole boccate per porgerlo, in seguito, al suo vicino di

turno.


Giorgio era sempre preso a discutere con lei, imbrigliato a difendere le

contaminazioni del rock con la musica classica. Francesca, pur amando

entrambi i generi, non sopportava questo tipo d'ibridazioni, le giudicava

troppo naïf, ricordando alcuni gruppi sixteen, peraltro famosi, come i Vanilla

Fudge. Cosicché Giorgio si fece forte di ben altri illustri da contrapporre,

come i Gentle Giant, gli stessi Yes ed altri dell'ondata progressiva degli anni

Settanta con cui, probabilmente, lei aveva una minore dimestichezza.

Lorenzo volle, nell'avallare le tesi di Giorgio, farsi contemporaneamente

adulatore della padronanza musicale che, a suo parere, esprimeva anche

Francesca, soprattutto quando ricordava qualche sconosciuto gruppetto della

Merseymania ed altri tempestosi aneddoti della primavera musicale degli

anni Sessanta.


Solo molto più tardi Giorgio si rese conto dell'ora invitando gli amici a

sbrigarsi nel raccattare le proprie cose per dirigersi sotto i portici, dove

avrebbero trovato un posto per dormire. In effetti, giunti in quel luogo,

cominciavano a scarseggiare posti al riparo; a stento, ricavarono uno spazio

all'angolo con piazza della Signoria.


Firenze, di notte, nel suo incantevole centro storico, si trasformava in un

dormitorio per giovani vagabondi. Questo, per certo, le comportava diversi

problemi, ma le conferiva anche quell'appetibile aspetto di città cosmopolita

e libertina cui Roma, città papale, non avrebbe mai potuto ambire.


Una volta sistematisi, ognuno disteso nel rispettivo sacco a pelo, Lorenzo

s'intrattenne ancora a conversare con Francesca, utilizzando la scusa di rullare

un ultimo spinello appena raccattato in giro. A dire il vero, oltre a sentirsi

sempre più ammaliato dalla sua presenza, non sarebbe comunque riuscito a

prender sonno in quel contesto, per lui, del tutto sconosciuto.


Continuava a seguire ogni voce che ancora giungeva in lontananza; si

susseguivano, insonni, i suoi pensieri, tra la magia di essere in strada e le

ampie, curvilinee linee delle tette di Francesca.


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Capitolo IX

In questo perdurare di veglia, mentre sensi e soglia d'attenzione

cominciavano a venirgli meno, avvertì un poderoso calcio arrivargli dritto sui

piedi. Con fare brusco, una squadra di poliziotti intimava a tutti i rifugiati

della notte di allontanarsi dal posto. Erano appena le sei del mattino eppure

avevano una gran fretta di sgomberare tutto; dietro di loro era già schierata

una piccola guarnigione di addetti alla nettezza urbana.


Firenze, organizzata e funzionale, dove ogni cosa, di lì a poco, sarebbe stata

rassettata, con tanto di turisti in coda ai musei.


Quella mattina, nonostante l'ora, la fantasia di Lorenzo venne subito

sollecitata da Francesca, che iniziò a parlare dei tanti tesori rinascimentali

custoditi all'interno dell'edificio, mentre Giorgio, con il suo solito fare pacato

e risoluto, dopo aver rassicurato gli uomini in divisa che in breve tempo se ne

sarebbero andati via, propose, non appena pronti, di andare ad investire i suoi

spiccioli “in un fantastico bar dove viziarsi in colazioni.”


Poi, rivolgendosi a Francesca, la invitò, con una punta di sarcasmo, a non

fomentare oltremodo nell'arte la già troppo pensierosa testa di Lorenzo.


Quest'ultimo, a mano a mano che si andavano toccando nuovi argomenti con

Francesca, oltre a provare inequivocabile attrazione, si sentiva sempre più

incuriosito, catturato dai possibili sviluppi della sua vita: una sterminata

foresta da esplorare che, per di più, sapeva di vissuto e di antico ed era sì

vasta per poterla supporre da lasciare spazio solo alla più sfrenata

immaginazione.


“Giorgio ha sempre quell'espressione sorniona ed il sorriso serrato tra gli

occhi di chi afferra tutto ma, per fortuna, senza intromettersi più di tanto”

pensò Lorenzo lanciando un'occhiata verso l'amico, rassicurato dalla sua

presenza, nonostante qualche piccola fastidiosa invadenza. Raggiunto il bar,

nei dintorni della stazione ferroviaria, consumarono la loro colazione,

dopodiché Giorgio decise che sarebbe andato a ritirare la sua chitarra, lasciata

nel deposito bagagli, per poi suonare in strada e raccogliere altri soldi.


Francesca, dopo aver ingurgitato diversi cornetti, era sul punto di congedarsi

dalla figlia, affidandola scherzosamente a Giorgio e, dopo qualche blanda

raccomandazione, rivolgendosi a Lorenzo, spiegò di dover fare rientro a

Roma in giornata per impellenti impegni.


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Capitolo IX

Giorgio, con al seguito Carmen, s'incamminò a recuperare lo strumento,

mentre Lorenzo, trovandosi a tu per tu con Francesca, cominciò a tirar fuori

argomenti da piantagrane, dicendo che anche lui non poteva più restare a

Firenze e che, oltretutto, avrebbe voluto accompagnarla. Iniziò a mettere in

ballo persino fatti di famiglia, in parte veri, come quello dei genitori separati,

spiegando che comunque non sarebbe rimasto solo a Roma ed avrebbe

raggiunto il padre nel paesello di origine, dove quest'ultimo era tornato a

risiedere stabilmente.


Francesca, dapprima contenuta ed attenta ad ascoltarlo nel suo tormentone,

mostrò d'innervosirsi alle insistenze di Lorenzo e, scrutando l'orologio

impaziente, lo interruppe decisa.


“Ecco... prendi queste centomila e non volermene, ora non ho tempo per stare

con te, ma questo non significa che non abbia voglia di conoscerti meglio. Ti

lascio il mio telefono, così, come rientri a Roma, avrai tutto il tempo per

restituirmi i soldi, va bene? Come vedi, non scappo via e ti lascio un buon

motivo per risentirmi. Adesso fai il bravo, prendi il treno e vai pure da tuo

padre, ti rivedrà con piacere” e, così dicendo, afferrò frettolosamente la borsa

alzandosi dallo sgabello del bar; nel voltarsi, per imboccare l'uscita, lo baciò

sfiorandogli la fronte. Scomparve nel nulla, nel giro di pochi istanti, così

come dal niente era saltata fuori soltanto un giorno prima.


Lorenzo restò ancora seduto ed imbambolato a contemplare le centomila ed il

bigliettino da visita, a cercare una vana conferma che tutto fosse vero.

Giorgio aveva lasciato dettagliate istruzioni sul luogo dove si sarebbero recati

a suonare, ma l'idea di raggiungerli era più che mai remota nella sua mente,

che finiva per prestare attenzione solo a quel sogno da poco svanito. Nel

ritmo sincopato del tempo frantumato dai pensieri, quelli di Lorenzo

tornarono ad alternarsi sulle ultime parole di Francesca:


“…prendi il treno e vai pure da tuo padre, ti rivedrà con piacere.”


E, tra questi trasognati imperativi, prese man mano coscienza di quell'affetto.

Probabilmente non era sua intenzione esclusiva specularci sopra, tanto per

convincere Francesca ma, di fatto, era divenuto consapevole di quel legame

col padre: se lo sentiva scorrere nel sangue. Quindi si avviò verso la stazione,

a passo sostenuto, e la percorse in lungo e in largo, col cuore in gola e nella

60

Capitolo IX

vana speranza d'incontrare ancora quella donna. Di lei non c'era traccia e lui

provò la stessa sensazione d'improvviso abbandono vissuta poco prima al bar.

Subito dopo si diresse a fare il biglietto e, più che mai deciso, saltò sul primo

treno alla volta di Roma, con l'obiettivo di prendere una coincidenza per

l'Abruzzo, dove, a pochi chilometri dal confine col Molise, in una soleggiata

vallata, si estendevano le poche e calorose case di quel paesello tanto caro,

non solo al padre ma alla sua stessa infanzia.


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Capitolo IX

CAPITOLO X


Il paesello

Dopo un viaggio in cui scorsero ancora flashback frammisti tra echi di

pensieri ed altre fantasie, si palesò anche qualche tentazione (il resto delle

centomila costituiva ancora una notevole cifra...). Lorenzo, una volta giunto a

Roma, scese subito con modi trafelati e, dopo un breve sguardo sul tabellone

delle coincidenze, tirò dritto verso l'Esquilino, approdando nella già colorata

e multietnica piazza Vittorio. Con una rapida incursione, si approvvigionò di

quanto sapeva ancora poco diffuso nella remota provincia dove si stava

dirigendo, ovvero un cioccolatino di fumo (una barretta di qualche grammo

gli sarebbe stata di sicuro conforto). Di ritorno alla stazione, per ingannare

l'attesa o, piuttosto, per una forte brama che covava dentro, afferrò la cornetta

di un telefono pubblico, compose un numero e mandò giù gettoni... il primo

segnale di libero... poi un altro e giù la cornetta. Aveva tentato di chiamare

Francesca, ma non aveva saputo resistere per oltre due squilli; poi, intimorito

e spinto da un ulteriore pensiero, compose il numero di Lucia. Il telefono

trillò molto più a lungo ma senza risposta:


“Allora sta ancora in quel fottuto paese...” mugugnò riagganciando.


Superate le telefonate a vuoto, il viaggio e qualche altro sciocco

inconveniente, Lorenzo si ritrovò, finalmente, dinanzi al padre: un tipo un po'

attempato e tradizionalista ma considerato da tutti un “bonaccione”. Aldo,

dopo averlo riabbracciato, stette un po' a rimirarlo da vicino e gli disse di

trovarlo sciupato, malcurato e con due profonde, viziose occhiaie. Lorenzo

rispose di essersi soltanto un po' trascurato da quando la madre era partita

nonché di sentirsi abbastanza preoccupato per quanto, al ritorno, avrebbe

trovato da ridire sul disordine regnante in casa.


Aldo, con aria di dolce rimprovero, stette a lungo a ragionare sulla maggiore

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cura e pazienza che, secondo lui, il ragazzo avrebbe dovuto avere nei riguardi

della madre; poi lo invitò a sedersi e a mangiare qualcosa di caldo.


Lorenzo, un po' seccato, lo pregò di non dilungarsi in ulteriori tormentoni;

quindi mutò espressione e, con sguardo accattivante, gli chiese:


“Senti... ma lo stereo 8, quello che avevi in macchina, lo hai lasciato in

garage?”


“Sì, vai pure... la chiave la trovi sul caminetto” rispose il padre ritirandosi fra

le sue faccende.


Con un breve e ponderato colpo, aiutando una serranda poco scorrevole ad

aprirsi, si ritrovò nell'autorimessa o meglio in quella specie di tempio dove

tutto andava stratificandosi nel tempo, tra scaffalature e cassettiere

sovrapposte, in un perfetto ordine.


“Chissà se quelle cassette di Antonio sono ancora qui sotto...” pensò Lorenzo

mentre si accingeva a perlustrare un angolo prossimo all'entrata. E la sua

mente tornò con un rapido balzo all'anno precedente, a quando Antonio, suo

cugino, aveva cambiato l'impianto stereo in auto prendendo uno dei

primissimi autoreverse stereo 4.


“Una follia... avrà speso una fortuna!” considerò afferrando in mano uno di

quegli ingombranti nastri stereo 8 con in copertina Gary Glitter, ovvero il

duro, folgorante e trash Do you wanna touch me?.


Queste cassette avevano la prerogativa di essere suddivise in quattro canali

utilizzando un ciclo perpetuo in cui il nastro, durante il passaggio, si

riavvolgeva nella medesima bobina; con le ultime novità del mercato,

caddero presto in disuso nel corso di quel periodo. Lorenzo era rimasto

sempre affascinato dall'originale congegno che le governava, anche se spesso

risultava essere problematico, sia per le fuoruscite che per gli stessi difetti di

scorrimento. Usura e difficoltà di conservazione erano garanzia di vita brevis.


Insieme a quella cassetta, ne prese altre ancora arraffando un cartone ripieno

di foto dimenticate. Si sedette nella vettura e cominciò a frugare, incappando

prima su di un nastro di Ike e Tina Turner, poi sopra una fotografia che lo

ritraeva, all'età di nove anni, mascherato da cowboy. Stette ad osservarla per

qualche istante, quindi la scaraventò in terra ed inserì, con un colpo secco,

una raccolta di Buddy Miles nell'autoradio. Trascorsero pochi minuti

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Capitolo X

d'intensa musica nera; dopodiché, pigiando lo switch con il dito irrigidito,

Lorenzo cambiò ripetutamente canale fintantoché uscì, come stregato, in una

corsa che lo portò sui prati della scarpata di fronte al box. Qui, presto esausto,

si accasciò di peso sul suolo, a guardare le stelle, quelle vere e luminose, così

come le ricordava da quando era bambino. Oltre il colle all'orizzonte, si

soffermò alla vista del picco di un monte riconoscendovi il complice di

un'infanzia felice, nutrita di fiabe ed incantesimi, che, per l'occasione, era

illuminato da un'eccitante luna piena. Il denso profumo delle radici saliva

lentamente dalla terra spargendosi intorno a lui e tutto, all'improvviso,

divenne pregno di poesia.


“Angelo del cazzo... adesso che ti sei finalmente deciso a farti i fatti tuoi, ti

sistemo io... Fammi vedere in tasca: ho giusto carta e penna... Bene!” realizzò

Lorenzo mettendosi di buona lena all'opera:


Dica, buon vecchio pelapolli,


che il cibo è un po' malsano,


l'aria è contaminata,


lo spirito oramai perduto.


Se il vento soffiasse ad ovest...


già mi è stato detto,


è tutto uno strano impulso,


il pensiero che ti spinge altrove,


oltre i ricordi persi:


cose antiche ed incatenate.


Sì, dica pure è California,


è terra un po' più rossa,


sangue dei tuoi nemici


che il vento ha sospinto ad ovest.


“Così non va... Cosa c'entrano i polli, l'inquinamento e la California ora che

te ne stai tranquillo nell'oasi naturale della tua infanzia?” sentenziò una voce.


“Ma chi sei...? Ah! Sei tu, scusami per prima... ma adesso che fai? Prima

sparisci, poi parli solo se provocato. Non ti fai più vedere... ma, soprattutto,

64

Capitolo X

non trasmigri proprio un bel niente! Facile parlare e solo quando fa comodo”

continuò Lorenzo blaterando come un ossesso, da solo.


Quindi si alzò, scrollando le spalle, per dirigersi sulla strada alla volta di un

bar in fondo al paese, unico punto di riferimento per tutta la comunità

residente.


I cari, vecchi juke-box circolavano ancora e, tra qualche rigatura di disco e

fruscio di polveri, riecheggiava ancora il tormentone della precedente estate:

Anima mia dei Cugini di Campagna. Dal muretto di fronte al bar, dove si era

appollaiato Lorenzo, fu subito riconosciuto da Claudio, uno dei suoi tanti

amici d'infanzia del luogo:


“Lorenzo!” esclamò alzandosi, dopo un attimo di esitazione, per andargli

incontro.


“Ehi, ma hai visto chi sta chiamando Claudio?” disse Mario, un altro ragazzo,

rivolgendosi a Gianni, un ulteriore adolescente che consumava avidamente

Coca Cola poggiato sul bancone.


“Ma va'...? È tornato!” realizzò Carlo, sollevandosi di scatto dalla seggiola,

per scavalcare tutti gli altri nel riabbracciarlo.


Lui, in effetti, era molto legato a Lorenzo, intimo complice di tante estati

vissute crescendo insieme.


“Allora, Carlo...? Sei sempre un grande, dimmi: che fine gli avete fatto fare al

club? Avete abbandonato tutto a marcire o che?” chiese subito Lorenzo nel

salutarlo affettuosamente.


Il club, all'epoca, era noto anche come cantina, ovvero quanto di più a portata

di mano dove poter far musica tanto per nuovi aspiranti gruppi quanto per

realizzare feste, consentendo di stringere la ragazza più carina nella morsa di

un lento relegato in una mattonella.


Carlo, consapevole dei pochi interventi effettuati, rispose:


“Sai come vanno a finire queste cose... se non ci sei tu a tirar mordente!... E

poi, adesso, hanno finalmente aperto una discoteca qui vicino, la fanno ogni

sabato e domani, di sicuro, ci andranno tutti.”


“Ok - proseguì Lorenzo - avremo tempo per fare le cose insieme, incluso

risistemare il club ed organizzare una festa delle nostre, di quelle nere e

cazzute, d'accordo?”


65

Capitolo X

Mario, sempre un po' tondo e sudaticcio, così come lo ricordava Lorenzo, era

il tipico ragazzo intellettuale di campagna, conosceva ed ammirava ogni

formazione di progressive italiano e fu proprio lui a far scoprire tanti di quei

gruppi allo stesso Lorenzo, dalle amatissime Orme al paradossalmente

romano Banco del Mutuo Soccorso.


Claudio, figlio della locale borghesia, vestiva alla moda dandy-travoltina e

vantava ogni sorta di esperienza; era un vero spaccone che ora asseriva di

essersi fatto persino le canne per subito dopo smettere in un eccesso di noia.

Parlare di fumo od altro attinente era qualcosa fuori luogo per Lorenzo in

quell'ambiente e con quelle persone; così, nel sentire quest'ulteriore sparata,

fu costretto ad essere freddo e conciso nel replicare:


“Claudio, ma quando la smetterai di dire stronzate?”


“Wow! Grande Eugenio! Non trovi?” commentò Mario entusiasta della

fuoriuscita dal juke-box di Musica ribelle di Finardi. Lorenzo annuì

chiedendo notizie di Giuseppe, un autentico personaggio del posto e con un

duro vissuto alle spalle... Orfano dalla prima infanzia, una sorella prostituta

assassinata, il diabete ed un grave handicap alla gamba destra. Sembrava

uscito da una perversa e sinistra trama ma, scavalcando la fiction, Giuseppe

era veramente lì, nell'ultima delle sue disgrazie, quella di dover vivere in un

paese che non lo accettava. Spesso era fatto oggetto di superstizioni e

sciocchi sberleffi, e a volte di veri e propri soprusi. Lorenzo, come pure

Mario e pochi altri, rompevano questa sorta di non scritte, odiose sanzioni,

andando spesso a trovarlo e, soprattutto, facendosi partecipi della sua

passione per l'elettronica. Lo stesso amplificatore, montato al club da

Lorenzo l'estate precedente, con quel caldo suono stile primi anni Sessanta,

così come Giuseppe asseriva che fosse, non fu altro che un suo generoso

regalo a tutto il gruppo.


Mario, dal canto suo, raccontò brevemente che l'inverno scorso Giuseppe era

stato ricoverato presso un centro specializzato a Bologna.


“Ora è qui, sta bene - precisò - ma se ne sta rinchiuso in casa tra cavi,

saldatori e circuiti. Tra un lavoro e l'altro, degusterà qualche spaghetto con

transistor e resistenze...”


“Piantala di fare lo scemo... - lo interruppe Lorenzo - Farò un salto da lui,

66

Capitolo X

magari domattina...”


“Lo troverai a dormire. Non fingere di non saperlo, sai benissimo che passa le

notti sveglio e con la radio a tutto volume” chiarì subito Mario.


“Ok... ricordo tutto benissimo, sono soltanto un po' arrugginito, ma vigile”

replicò Lorenzo, mentre, a pochi metri, vide davanti a lui nientemeno che

Gloria, accompagnata da due amiche, che cadenzava il passo,

pavoneggiandosi, nel rituale di uno struscio tanto in voga nelle province.

Aveva i capelli lunghi di un biondo acceso, come Lorenzo avrebbe giurato di

non ricordare, e, sotto, c'era sempre, lusinghevole, quel suo bel musetto da

indisponente. Ostentava tenacia e volontà attraverso uno sguardo rigido, da

cui lasciava trapelare una composta ma stuzzicante malizia.


“Guarda chi si rivede...” pensò Lorenzo, poi le andò incontro salutandola.


“Dimmi, com'è andata a scuola?” chiese subito Gloria.


“Vedo che cogli sempre gli argomenti più felici e distensivi. È stato un anno

nero... capita; ora sono qui, da mio padre, a non pensarci. E tu?”


“Sono stata promossa, vado a ragioneria, ti ricordi? L'anno scorso ne

avevamo parlato...”


“Sì, hai ragione, ma che si fa di grandioso prossimamente?”


“Domani si va in discoteca... non ti hanno detto niente gli altri? Vieni anche

tu, ci vediamo lì.” Così dicendo Gloria si allontanò per proseguire il suo giro.


Era scoppiata la febbre del sabato sera e gli indelebili segni (chi vivrà vedrà)

erano già impressi un po' ovunque e più che mai in provincia. Il ballo di

massa, orgiastico e propiziatorio, contaminava tutto e tutti lasciando, sola e

perplessa, una lunga schiera di genericamente detti “impegnati”. Questi, a

dire il vero, solo molti anni più tardi, dopo aver ben digerito la new wave,

inizieranno ad andare a ballare.


Lorenzo, pur facendo parte di quest'ultimo manipolo, sia nel suo eclettismo

che nel radicato amore per gli anni Sessanta e le meraviglie del rythm'n blues,

non ebbe troppe difficoltà ad integrarsi facendosi facilmente trasportare da

Aretha Franklin a Gloria Gaynor. Era l'epoca in cui, con un briciolo di

nostalgia, riscoprì Black is black, una vecchia hit dell'infanzia, riprodotta in

salsa disco dalla Belle Epoque.


Mario, lontano dalla città, rischiava di rimanere sempre solo nell'imminente

67

Capitolo X

orizzonte del sabato perché lui, integralista progressivo, proprio non la

digeriva la disco music. Purtroppo, anche in questo genere di cose, la politica

ebbe un certo peso, sia pure indirettamente, per via di talune fasce di bravi

ragazzi pariolini che, dopo quella rivoluzione musicale, avevano eletto il

genere come proprio tempio permanente. La provincia, e soprattutto quella di

Lorenzo, era fortunatamente immune da certe dispute e tutto andava avanti

nella più pura e cristallina innocenza, comprese le ultime polemiche a

riguardo di Mario, che di politica non voleva neppure sentir parlare.


“Non ti capisco mica a te... hai la fissazione della musica seria e pretendi di

esportarla anche agli altri” disse Gianni rivolgendosi a Mario.


“Prendilo, Carlo! Dai, che gli facciamo la stira e domani viene anche lui!”

strillò Claudio afferrando Mario per un braccio ed iniziando, in questo modo,

a metterlo alla berlina in quello strano e un po' violento gioco che consisteva

nell'immobilizzare qualcuno per tirargli il terrorizzato pisello a turno.


Furono momenti chiassosi, di un'eccitante complicità da branco, ma Lorenzo,

nel far proprio l'umiliante sentimento della vittima di turno, si distaccò prima

dagli altri, dispiacendosi per Mario e ricordandosi di quando anche lui, a suo

tempo, stette a lungo taciturno, offeso per un simile scherzo. Fu così che

prese l'iniziativa d'interrompere l'ormai inutile protrarsi di quella pratica e,

nell'intento di dissolvere il malumore che aveva preso un po' tutti, disse,

facendo da esempio agli altri, che sarebbe andato a dormire.


68

Capitolo X

CAPITOLO XI


La discoteca

All'alba del giorno successivo, puntuali e inarrestabili, tutti i galli del paese

iniziarono a cantare; poi, lenti e costanti, si udirono i primi passi dei

contadini. Brevi chiacchiericci alternati al rumore degli attrezzi presero il

sopravvento sul silenzio e, poiché era giunta la stagione della mietitura,

arrivò, infine, il tonante rombo di una potente mietitrebbiatrice a risalire,

greve ed inarrestabile, tutto il paese.


Lorenzo, in uno stato di semiveglia, se ne stava nel suo letto, infastidito, ma

non più di tanto, perché era certo che in breve tempo avrebbe ripreso un

sonno più profondo. Tutti quegli insoliti rumori finirono col coccolarlo dal

fondo dei suoi pensieri. Nella mente respirava il profumo del grano e si

lasciava di nuovo andare, rassicurato, verso il totale abbandono di quelle più

remote mete del sogno.


Solo più tardi, a mattinata inoltrata, Lorenzo si alzò provando un piacevole

senso di benessere e rilassamento. Andò subito in cucina, dove il padre, tra il

fuoco del camino e quello dei fornelli, era intento a preparare diverse

specialità culinarie. Sedutosi a fare colazione, gli chiese la ragione di così

tante prelibatezze.


“Perché ci sei tu, naturalmente, poi... sai di Lisa, la mia nuova compagna, ci

dovrebbe far visita proprio oggi e pare che porti con sé anche la figliola... che

ne pensi?”


“Ma... fai tu, io non so che dirti di certe cose...”


“Tu fai sempre finta di niente... A proposito, ho trovato questo in cucina,

credo che tu l'abbia dimenticato... Lo conosci questo, vero? Ti rendi conto di

quello che stai facendo?” disse Aldo restituendogli il pacchettino contenente

la piccola provvista di fumo, sbadatamente lasciata in un angolo in bella vista.

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Lorenzo sbiancò e, senza emettere una parola, riprese indietro il suo piccolo

investimento.


“Io non voglio farti una predica - continuò il padre - ma devi sapere che tu,

ora che stai studiando, finirai per comprometterti la vita con quelle cose lì... E

non guardarmi con quell'aria di sufficienza, cosa credi... ai miei tempi,

quand'ero nel corno d'Africa, ho visto e provato prima di te quella roba lì; ma

all'epoca c'era la guerra e certe cose capitavano solo perché non si sapeva

mai, il giorno dopo, come sarebbe andata a finire...”


“Ti prego, papà, ora non raccontarmi tutta la tua Apocalypse now!” replicò

Lorenzo scocciato, ma con tono di garbata ironia, per poi ammansirlo

dicendogli che, tutto sommato, era contento di conoscere questa Lisa. Quindi

si alzò e gli diede una mano nei preparativi stuzzicandolo, qua e là, con

qualche facile battuta.


Giunse infine l'ora del pranzo e puntuale trillò il campanello della porta. Aldo

si diresse in tutta fretta a sciacquarsi le mani per poi andare ad aprire.

Lorenzo, soffermatosi all'ingresso della cucina, restò lì, incuriosito, scrutando

l'entrata in scena dei commensali. Lisa brandiva nella sua mano destra un bel

mazzo di fiori sotto una voluminosa permanente alla moda.


“Un'appariscente signora sulla cinquantina” realizzò Lorenzo, poi, sentendosi

a sua volta da lei osservato, andò incontro agli invitati per i convenevoli.

Marilena, la figlia, sosteneva impacciata un cabaret di pasticcini a testa bassa

perché aveva un consistente brufolo in evidenza, proprio sotto lo zigomo

della guancia destra.


“Ha l'aria di una ragazzina sola ed imbronciata” pensò Lorenzo prendendole

il vassoio dalle mani e, pensando a cosa fare per metterla a suo agio, proferì

per primo parola:


“Dimmi, leggi? Vai al cinema? O cos'altro ti piace fare?” le chiese in uno dei

suoi tentativi di familiarizzare, ma lei, perlopiù, si limitò ad intervenire con

dei monosillabi.


Più tardi, a tavola, Lisa intraprese un'ardita conversazione tra una portata e

l'altra di carne alla brace; disse che, col referendum sul divorzio, che si era

svolto qualche anno prima, finalmente si aveva conferma del diritto a

70

Capitolo XI

ricostruirsi una vita. Iniziò così una contorta narrazione di parte, raccontando

quello che era stato il suo disgraziato matrimonio. Evidenziò quel profondo

senso di vergogna ed impotenza provato nei lunghi anni di separazione,

quando non era, per l'appunto, ancora possibile divorziare. Poi continuò, a

ruota libera, dicendo di essere stata iscritta al P.S.I. per molti anni. Ricordava

con nostalgia che, durante la campagna per il referendum, aveva assistito al

concerto che Domenico Modugno tenne per l'occasione. Lorenzo, lanciando

perplessi sguardi alla volta del padre, si chiedeva come fosse possibile che un

moderato e conservatore come lui frequentasse Lisa.


Altri argomenti s'intrecciarono nella conversazione intrapresa durante il

pranzo e Aldo, dopo aver lasciato a lungo che Lisa parlasse, a conferma di

quanto bene lo conoscesse il figlio, contraddisse subito le apologie sulla linea

della nuova Renault Fuego tanto decantata sia da Lisa che da Lorenzo. Lui si

sentiva soddisfatto e sicuro solo nel vecchio ed inossidabile design della Fiat

124, ai tempi ancora in produzione (ma per poco). La Fiat Ritmo era già lì,

che bussava alle porte, pronta a prenderne il posto.


Proprio allora, lo stile essenziale, dinamico e lineare degli anni Ottanta

iniziava a prendere forma e la Fiat, prudentemente, iniziò dal basso,

dall'indelebile Panda che, in quanto a popolarità, seguirà le orme della mitica

500. E gli anni Settanta, quelli più frivoli e spensierati, ma pur sempre

popolari, dove si viaggiava ancora con le 850 coupé, le 124 spider e le A112

Abarth, sarebbero, di lì a poco, svaniti dentro una nube di memorie in soffitta.


Marilena, sempre piuttosto taciturna, continuava a consumare svogliatamente

dolciumi seguiti al pasto; Lorenzo si rivolse a lei dicendole che, nel

pomeriggio, i ragazzi del posto si sarebbero tutti riuniti in una vicina

discoteca e che, anche lui, a breve li avrebbe raggiunti. Lei, per tutta risposta,

restò ammutolita a fissarlo. Lorenzo provò un certo imbarazzo nel vederla

così attonita e, per un istante, si sentì persino pentito della sua imprudenza

nell'estenderle l'invito. Lisa, molto loquace ma altrettanto attenta, afferrò

rapidamente la situazione ed esortò i ragazzi:


“Beh...? Andate pure, non c'è bisogno neppure di dirlo, siete giovani e dovete

divertirvi. Marilena è un po' timida ma, come tutte le adolescenti, adora

questo genere di cose... Poi, in serata, se non vi dispiace, noialtri si pensava

71

Capitolo XI

di fare un salto a Castel di Sangro, dove ci sarà una serata di liscio con

l'orchestra Casadei. Aldo adora il liscio e devi sapere che - continuò

rivolgendosi a Lorenzo - il ballo mi lega molto a tuo padre.”


Cosicché, nel tentativo di compiacere suo padre, complice la stessa Lisa, si

ritrovò con questa non meglio identificata ragazza da portare al seguito.


“Fosse perlomeno un po' carina, oltre che mummia...” pensò Lorenzo e,

nell'augurarsi che la confusione della discoteca potesse poi distrarlo

dall'imbarazzante presenza, si avviò verso il luogo convenuto per

l'appuntamento che, per quanto prossimo, distava pur sempre un paio di

chilometri. Lorenzo li fece tutti di buon passo e, soprattutto, senza spendere

ulteriore fiato in vani tentativi di comunicazione.


Approssimandosi alla meta, vide Carlo, in compagnia di Gianni, che sostava

indugiando fuori la porta:


“Ehi, ben arrivato! E lei? Dimmi, è con te?” chiese Carlo.


“Ma dai, non è che la figlia di un'amica di famiglia... si chiama Marilena”

così dicendo gliela presentò per poi prenderlo sottobraccio e bisbigliarli

all'orecchio:


“Se riesci a farla parlare e scatenare, puoi sempre aggiudicarti un insolito

premio; vedi tu...” Quindi, sempre con la ragazza al seguito, a piccoli passi

guadagnarono l'entrata.


L'epoca dei rave, con musica a volumi insostenibili, era ancora ben lontana e

lì, nella sperduta provincia, forse non sarebbe comunque mai arrivata ma,

nell'entrare nel locale, perfino le martellate orecchie di Lorenzo ebbero un

contraccolpo nell'impatto con l'inaudita potenza. Si respirava un'aria di

profonda eccitazione, che trasudava dai corpi, e, quell'accattivante ritornello

di You should be dancing, sembrava ripetersi all'infinito, annullando il tempo

in un collettivo stato di trance. Lorenzo fece subito sue quelle sensazioni,

ipnotizzato, sostando in un angolo ai bordi della pista.


Poi accadde che, mentre il DJ esibiva il suo braccio sinistro, con l'altro diede

fondo al cursore del mix per inserire la chitarra di Smoke in the water dei

Deep Purple: un classico del rock. Nonostante i tempi fossero orientati

altrove, questa canzone faceva ancora la parte del leone, tanto che, poco più

tardi, nei primissimi anni Ottanta, i Pink Project (celebri per la cover di

72

Capitolo XI

Another brick in the wall) tentarono di riproporre una lunghissima cover

dance del brano in un doppio album dal titolo Domino.


Lorenzo, senza indugiare, scivolò in pista, contorcendo il suo corpo nelle

acide esalazioni di quel suono. Carlo, nel vederlo, si scatenò anche lui,

misurandosi in un'amichevole competizione. Le luci, alla stessa stregua della

musica, presero ancor più ipnotico vigore nella proiezione di un faretto sopra

la palla specchiata appesa al soffitto. Ma la black music, ben presto, sarebbe

venuta a primeggiare e così iniziarono a scorrere le note di Serpentine fire

degli Earth, Wind and Fire ed altri, come i Commodores, i B.T. Express ed i

Brass Contruction, per arrivare alla disco nera più commerciale dei Boney M

con la simpatica Daddy cool. All'introdursi di quelle ultime sonorità,

Lorenzo, voltandosi, non solo vide inverosimilmente Marilena ballare ma,

poco più in là, adocchiò Gloria che, sorridente, gli fece un vistoso cenno con

la mano destra.


Non esitò più di tanto a raggiungerla e, dopo averla salutata

sbaciucchiandola, le propose di seguirlo al bar, dove, oltre a dissetarsi,

sarebbe stato senz'altro più agevole poter scambiare qualche parola. Dopo

aver consumato una bibita, si diressero fuori, nel retro del locale. Qui,

godendo di più intimità, iniziarono, con un po' di nostalgia, a ricordare frivoli

aneddoti sulla precedente stagione. Lorenzo serbava ancora memoria di un

particolare momento, durante una delle feste al club, quando, nel ballare

stretto a lei un memorabile lento d'oltralpe, la celebre Je t'aime di Gainsburg

e Birkin, si spinse tanto da provocare un insistente sfregamento dei corpi

nella complicità della penombra.


Con una buona dose d'esperienza e malizia, per lui del tutto inedita, iniziò a

sedurla non tanto con i contenuti dei suoi discorsi quanto, piuttosto, con la

modulazione della sua stessa voce. Incominciò quindi a baciarla, inoltrandosi

con una sinuosa lingua nei labirinti più remoti di quella sconosciuta bocca.

Poi, preso da una naturale carica di eccitazione, scese con la mano lungo la

sua schiena, scivolando tra la camicetta quanto bastava per varcare i confini

degli attillati blue jeans.


A quel punto, dopo un temporaneo torpore, in un sussulto, Gloria si tirò

indietro. Seguirono dei brevi ma intensi attimi d'imbarazzo e tensione

73

Capitolo XI

dopodiché, di fronte ad un'ulteriore e mal ponderata avance di Lorenzo, lei

esclamò seccata:


“Ti prego, smettila!”


“Ma come... cosa diavolo ti è successo?”


“Dai, lo sai benissimo... Non fai nulla di vero e sincero.”


“Non puoi dirmi questo, non vedo dove e come abbia potuto ingannarti...”


“Hai sempre e solo cercato di fare l'amore con me, senza mai dichiararti,

senza neppure dirmi che stiamo insieme! E... se ci vedono insieme al paese,

sai bene dove va a finire la mia reputazione...”


Trascorsero così, svogliate e a malincuore, quelle ultime ore del pomeriggio.


Con l'approssimarsi della sera la discoteca chiuse e tutti, formando un'unica

comitiva, rincasarono.


Lorenzo, senza dare troppe spiegazioni al padre (ancora in compagnia di

Lisa), tirò dritto nella sua stanza, scostante ed innervosito.


74

Capitolo XI

CAPITOLO XII


La festa patronale

Dopo alcuni giorni di permanenza al paese, Lorenzo si sentiva già calato

nella routine di una vita provinciale, provando, in contrasto con i ricordi e le

emozioni dei primi giorni, una buona dose di noia. Il tempo scorreva tra

qualche passeggiata in montagna col padre e l'incerta, controversa Gloria che,

sovente, andava rincontrando la sera, nei pressi del bar, insieme al solito,

scontato giro di persone...


“Perennemente lì seduti a perder tempo” così apparivano ora nella mente di

Lorenzo.


Spesso, per spezzare questo perpetuarsi di consueti eventi, restava in casa a

dar fondo alle relative scorte di fumo che, in questi casi, apparivano ben

concilianti con la lettura dei fumetti. A dire il vero, lui non ne acquistava

molti, preso com'era a risparmiare settimane di colazioni a scuola per poi

comprare dischi, ma suo cugino Antonio non faceva altro che prenderne di

nuovi rifilandogli i vecchi.


Durante il torrido pomeriggio, Lorenzo bivaccava al bagno, sfogliando

giornaletti con le gambe accavallate sulla vasca. Nella circostanza, era preso

dall'ultimo numero di Zora la vampira, la bionda perversa complice ed

amante dell'altra perturbante pipistrella, quella bruna, sua perenne compagna,

per poi passare ad un episodio di Jacula, formosa protagonista squisitamente

infernale. Tra questo genere, tendenzialmente erotico, solo quello più horror

di Oltretomba pareva concentrare in pieno ogni magica alchimia, tanto che

persino nelle trame più banali riusciva comunque a catturare attenzione

attraverso fetide prigioni medievali e gotici cimiteri spettrali. La perversa

curiosità adolescenziale non poteva che subirne appieno la seduzione.


Lorenzo, in ogni caso, si appassionava anche ad altri generi di letture. Alan

75

Ford era sicuramente tra i suoi favoriti, tanto da comprarlo regolarmente. Nel

frattempo, dall'America spopolava la Marvel con i Fantastici 4, Capitan

America ed una nuova generazione di supereroi, che aprivano scenari di lì a

poco popolati da robot del sol levante, con tanto di edonici, straordinari

poteri.


Quella sera, a spezzare il solito andirivieni intorno al bar, ci sarebbe stata la

festa del Santo patrono del paese: un umile e prodigioso pastore del Seicento.

Per celebrarlo, dopo una suggestiva processione al tramonto, erano previsti

spettacoli allestiti nella piazza centrale.


Lorenzo, a pomeriggio inoltrato, continuava a divorare fumetti godendo della

frescura del giardino. Sfogliava pigramente le pagine di un ulteriore, geniale

colpo di Diabolik (sempre pronto all'imponderabile con la sua

pluriaccessoriata Jaguar). Ad un tratto, gli venne in mente che Giuseppe,

incontrandosi con il comitato dei festeggiamenti, si era assunto l'onere di

curare la parte dell'amplificazione per l'imminente evento. Non poteva

lasciare solo il suo amico in una simile circostanza e s'infilò, senza pensarci

sopra, la prima maglietta che trovò disponibile, avviandosi in tutta fretta.

Arrivato davanti alla casa dell'amico, stette a lungo a bussare prima di essere

udito, a causa del sostenuto volume della musica ma anche perché Giuseppe,

deambulando con difficoltà, non sarebbe mai potuto prontamente arrivare.

L'amico, altrimenti noto a tutti come Il Conte, per via di quel bastone che gli

conferiva una sorta di nobiltà, venne infine ad aprire. Sotto i suoi lunghi e

bisunti capelli, faceva capolino il suo sorriso di sempre che, quando

scoppiava in riso, prendeva la consistenza di un lungo e strozzato nitrito. Per

quanto assuefatto al disordine, Lorenzo si rassicurò vedendo l'abitazione di

Giuseppe piuttosto aggravata. Facendo ben attenzione a non inciampare tra

cavi e quant'altro, raggiunse la sala centrale adibita a laboratorio.


Sul tavolo da lavoro, tra ulteriori stratificazioni di basette di circuiti e scocche

di apparecchiature aperte a fargli da contorno, ecco apparire l'ultima sua

creatura: un amplificatore dotato d'inaudita potenza e capacità. I suoi watt

avrebbero alimentato diversi diffusori e coperto tutta la larga piazza dinanzi

all'edificio comunale. Giuseppe sembrava mangiarlo con gli occhi mentre lo

descriveva e Lorenzo, allettato, non poteva che gradire quel genere di

76

Capitolo XII

banchetto. Lo teneva ancora col coperchio aperto, collegato al suo celebrato

otto piste della Revox. Era un incanto vederlo girare, ricordava romantici

mulini a vento. Vi transitava un nastro avvolto in una grossa bobina metallica

con una serie di vecchie canzoni del genere spaghetti beat. Melodie

sempreverdi, così come Giuseppe le viveva nel pieno dei suoi fanciulleschi

quarant'anni. Storceva la bocca, intonando il coretto di “yeh yeh”, mentre

risuonavano i Rokes nella stanza ma, a dire il vero, aspettava la sua hit

preferita, Ragazzo di strada dei Corvi, che, di lì a poco, sarebbe arrivata

incarnando tutta la sua tenace, orgogliosa rabbia. Proprio allora qualcuno

bussò alla porta: era Mario e, vista la tarda ora, decisero di avviarsi insieme a

montare l'amplificazione in piazza. Tutta la lunga via principale, che

attraversava il paese, era stata bardata di variopinte illuminazioni. Con

l'approssimarsi del crepuscolo, un po' alla volta, si andava radunando gente

per assistere al passaggio della statua del Santo lungo i bordi della strada.

Loro tre ne approfittarono per sistemare tutte le attrezzature in una pedana a

lato del palco, dove uno sconosciuto gruppo dedito a rifacimenti

canzonettistici, dopo aver posizionato microfoni e strumenti, era già intento a

provare. Al termine della loro esibizione, Il Conte sarebbe subentrato, pronto

a saturare la piazza di sostenuti ritmi revival. Un'altra bobina,

scrupolosamente custodita nel cellofan e contenente una lunga lista di titoli

scritti a mano, avrebbe colorato quel consueto silenzio notturno che solo lui,

da casa sua, si ostinava a trasgredire. Accadde che, dopo aver riposto in

chiesa l'ostentato Santo, la piazza, finalmente, si gremì di pubblico ed i

musicisti iniziarono a suonare alternando, in mediocri interpretazioni, un

gradevole repertorio di successi della musica leggera.


Lorenzo, pur non amando questo genere, si sentì coinvolto nelle sanguigne

sonorità di Agapimù di Mia Martini e, inspiegabilmente, si ritrovò poi a fare

il coretto ad uno dei tanti tormentoni estivi: Tornerò dei Santo California. In

prima linea, sotto il palco, c'era un guarnito gruppetto di ragazze che si

tenevano per mano e, tra queste, Lorenzo intravide Gloria. Giuseppe era, a dir

poco, euforico quando arrivò il suo turno. Lo salutò con uno strillo tendendo

il braccio che brandiva una bottiglia di vino. Liberò subito note con altre

grida: quelle di Twist and shout dei Beatles e poi, a seguire, I'm a beliver dei

77

Capitolo XII

Monkees, un motivo che Lorenzo ricordava come Io sono bugiarda,

interpretato dalla Caselli. Non era il solito revival, all'epoca già di moda e

molto celebrato, ma un rievocare immortali emozioni dove non poteva

mancare l'indelebile Venus degli Shocking Blue.


Gloria, in quella sovreccitata atmosfera, si lasciò andare tanto che, con l'aiuto

di qualche bicchiere di vino, ballava del tutto disinibita dondolando con

sensuali gestualità davanti a Lorenzo. Carlo, trascinato dall'incontenibile

Claudio, scimmiottava con enfasi Elvis Presley nella latina Bossanova baby

e, notando a distanza ravvicinata Lorenzo, gli strizzò l'occhio. Quest'ultimo,

incurante ed ipnotizzato, continuò a ballare isolato dal resto del mondo.


Gloria, esausta, si fermò e, afferrando Lorenzo sottobraccio, gli confessò che

le girava la testa. Lui, tornando in sé, la condusse al di fuori dalla ressa sulla

piazza trasformata in pista. Le chiese:


“Vuoi un caffè?”


Lei fece cenno di no con la testa; quindi, riprendendo fiato, disse:


“È stato sufficiente uscire da quella confusione, sto già meglio e comunque...

grazie per le tue premure.”


Continuarono a camminare fintantoché si ritrovarono nel giardino comunale.

Gloria si lasciò andare a peso morto su di una panchina, mostrandosi rilassata

da un'appagante stanchezza, tanto che il suo lascivo sorriso suscitò in

Lorenzo un imbarazzante dubbio sul malessere attribuito all'alcool. La

ragazza, pur provando un senso di vergogna per l'ebbrezza data da un

bicchiere di troppo, ammise di aver passato una “bellissima serata”. Lorenzo

annuì, approssimandosi, e lei sorrise ancora, tanto da irrompere in una sonora

risata. Lui partecipò a quel rito liberatorio, fino al punto che, con le lacrime

agli occhi, si ritrovarono su quella panca sdraiati l'uno sull'altra.


Gloria, come se nulla fosse, avvicinò la mano alla patta dei pantaloni di

Lorenzo e, in una consistente pressione, strinse quanto, lì dentro, stava

prontamente lievitando. Per uno strano paradosso, là, in quella remota

provincia, Lorenzo provò la più forte sensazione di erotico piacere, come non

ricordava di averne mai avute prima. Quel che stava sentendo era

inafferrabile, oltre quanto la sua fertile ed irrefrenabile immaginazione avesse

mai saputo osare. Socchiuse gli occhi per meglio concentrarsi e, nel percepire

78

Capitolo XII

un più vivo contatto, iniziò a sbirciare verso la cerniera dei jeans aperta. Il

suo membro era divenuto un vessillo teso, issato al carezzevole vento di

quella vellutata mano. Quando vi colarono sopra delle morbide labbra, quella

brezza si trasformò nel vortice di un potente risucchio, in una concupiscente e

travolgente, inattesa tempesta. Fu un orgasmo lancinante ma purtroppo anche

rapido (sebbene Lorenzo, nella sua ancora breve esistenza, avesse quasi

sempre evitato di masturbarsi meccanicamente con riviste pornografiche).


Gloria gli sembrò oscurare le più perverse ed esperte dive dell'orale,

protagoniste di quelle stropicciate pagine della rivista Caballero che, spesso,

si vedeva circolare a scuola. La sua carica erotica non aveva nulla da

invidiare alle prime ardite casalinghe, eroine dell'autoscatto nella rubrica del

celebre Le Ore. Chi l'avrebbe mai detto allora che questo genere di cose non

solo avrebbe preso piede ma, con gli imminenti anni Ottanta, sarebbe

divenuto quanto di più apprezzato e ricercato nel futuro mercato di massa

videoamatoriale?


Più tardi Lorenzo stentò a prendere sonno nel suo letto, ancora immerso nelle

surreali immagini per quanto accaduto. Finì col sentirsi un solitario

avventore, sdraiato sul duro legno dell'ultima fila di quei vissuti cinema di

terza categoria, e rivisse, in un continuo scambio di ruoli tra spettatore e

protagonista, ogni trascorsa scena. Lo sguardo di Gloria che lo fissava a

lungo ed in silenzio, come ad interrogarlo, quel riflesso lunare nel pallore del

suo viso che tradiva imbarazzo ed infine quel balbettante ed esitato:


“Io vado... vado via prima, di qua... è meglio, ma tu aspetta, non muoverti

subito... ci vediamo, ciao Lorenzo.”


79

Capitolo XII

CAPITOLO XIII


La pianta di marijuana

Superata l'euforia della festa, il paese tornava a scandire i suoi ritmi di

sempre, fatti di duro lavoro ma anche di frivole chiacchiere serali. Passando

al bar, alcuni giorni dopo l'evento, Lorenzo fu subito interpellato da Carlo su

Gloria:


“Non ti sarai mica messo con lei?”


Gloria da qualche sera non si vedeva più in giro e Lorenzo si guardava bene

dal chiederne notizie glissando sopra ogni allusione rivoltagli al riguardo.


Ora che Antonio, suo cugino, aveva finalmente ripreso la macchina

dall'officina, si concedeva con lui qualche scorribanda in altri paesi. La meta

prediletta era quasi sempre Castel di Sangro, dove, tra qualche vetrina, si

avvertiva una presunta parvenza in più di movimento e di vita.


Ma il più noioso e persistente pensiero, che prendeva consistenza nella mente

di Lorenzo, era quello relativo a sua madre:


“Dovrò anticiparla per mettere a posto tutta quell'indecenza...” andava

ripetendosi.


Francesca, la misteriosa ed inesplorabile, restava ferma nel tempo con la sua

intrigante ed incerta promessa. Vagava, di tanto in tanto, dentro la sua testa,

come un ambiguo fantasma di cui, tuttavia, si liberava in fretta. Lui amava

Lucia, ma l'istinto di lasciarsi andare su cotonate elucubrazioni equivaleva a

farsi del male e questo, Lorenzo, lo sapeva bene.


In una tarda mattinata, mentre predominavano in lui queste ed altre confuse

riflessioni, il sole sembrava dar tregua a tutta la calura fino ad allora

sprigionata. Piccole guarnigioni di agguerrite nubi s'intravedevano dalla

finestra. La potenza di un temporale estivo è realmente comprensibile solo in

montagna, dove all'istante imperversa come fosse un diretto intervento

80

divino. In pochi minuti il cielo si addensa in una cruenta ed implacabile

morsa nubiforme che, oscurando ben presto il sole, assume suggestive e

nondimeno sinistre tonalità di grigio per poi, improvviso, virare, perturbando

l'animo, tra violacei squarci in cui l'immaginario collettivo traslerebbe

facilmente l'avvento dei quattro cavalieri dell'apocalisse. Lorenzo amava

questo genere di spettacoli naturali e stette lì, appagato nell'osservarlo.

Quindi, non ancora del tutto soddisfatto, pensò bene di uscire sotto la pioggia

torrenziale, saltellando da un marciapiede all'altro, per meglio ammirare quel

tormentato cielo. In quest'andirivieni accadde quanto di più improbabile:

l'evento che, per una volta ancora, scambiò nell'impatto per soprannaturale.

Colse la presenza di una mano sulla spalla e, terrorizzato, strillò:


“Oddio, è l'angelo incazzato!”


“Ma cosa stai farneticando...? Che ci fai qui zuppo e senza ombrello?” esordì

Gloria.


“Ah... scusami ma... ecco: mi sono spaventato, io... ma che ci fai tu qui?”

borbottò Lorenzo tornando in sé.


“Io sto andando a casa, vieni che ti accompagno...”


“No, non se ne parla neppure... ho da fare. Stavo giusto andando qui di

fronte, a casa di Mario” la interruppe subito Lorenzo puntando il dito in

direzione di un'abitazione a lui nota e, soprattutto, a portata di mano. Gloria,

ascoltandolo, sbiancò per quel tono inesorabile e perentorio, poi, fissandolo

negli occhi, sentenziò:


“Sei uno stronzo!” voltandosi di scatto.


Lui, resosi conto del basso colpo inflitto, la richiamò, nel tentativo di

giustificarsi, spiegandole che realmente aveva urgenza di recarsi da Mario per

una ricerca discografica e, nell'ansia di essere creduto, la pregò d'intrattenersi

all'angolo fintantoché fosse entrato. Cosicché si precipitò dinanzi a quel

portone bussando. Venne ad aprirgli Mario, con aria assonnata ma soprattutto

sorpresa nel vederlo. Lorenzo, senza dare troppe spiegazioni all'amico, lo

sospinse all'interno richiudendo la porta in fretta.


“Puoi dirmi ora cosa sta succedendo...? Hai alle spalle cavalleria leggera o

pesante? Pensi che con una fionda ed un fucile a pallini ce la potremmo

cavare?” chiese Mario, con humour inglese, alla sua maniera.


81

Capitolo XIII

“Piantala... è un'emergenza di quelle vere, il nemico... beh, diciamo pure il

pericolo è lì fuori e tu non puoi mollarmi. Dai, vieni con me, andiamo in

camera tua, ne approfitto per rimirare il panorama, quello discografico

naturalmente...”


Senza dare troppe spiegazioni Lorenzo s'introdusse trascinandosi dietro il suo

amico con fare risoluto. Sulla porta della camera di Mario era appeso un

nuovo manifesto: il noto poster di Marylin Monroe realizzato da Andy

Warhol che, segnando un'epoca, insieme all'altrettanto famosa banana, aveva

già fatto il giro del mondo.


“Bene, vedo che l'arte si evolve nell'alternativo psichedelico anche qui da

te...” commentò Lorenzo rivolgendosi all'amico con una punta di sarcasmo.

Mario, noncurante, cominciò a fargli una specie di breve ramanzina

sull'amicizia:


“Come mai Carlo, che è sempre stato il tuo più caro amico, ultimamente, a

conti fatti, ha trascorso così poco tempo insieme a te?”


Lorenzo abbozzò un sorriso per quell'inaspettata ventata di pettegolezzo,

quindi rassicurò Mario dicendogli che avevano trovato da fare meno cose

insieme e che, in ogni caso, nulla era intercorso a rovinare il loro bel

rapporto. Precisò pure che, la sera precedente, quando era stato così vago nel

rispondere a Carlo che gli chiedeva di Gloria, lo aveva fatto solo perché non

intendeva celebrare nulla di ufficiale in quel “linguacciuto” paese.


“Allora è vero che ti sei messo con Gloria?” insistette Mario.


“Ma no... ma che dici! Adesso ti ci metti anche tu... senti, lasciamo correre,

sono già abbastanza nervoso e non vorrei finire per litigare con te. Ne

parleremo un'altra volta, d'accordo? Adesso fammi un po' vedere i tuoi ultimi

investimenti...” Così dicendo, Lorenzo si diresse verso una massiccia

biblioteca in noce, dove Mario raccoglieva e catalogava con pignoleria tutti i

suoi dischi. Guai a sfilargliene uno! Ben lo sapeva Lorenzo che, allo sguardo

preoccupato dell'amico, si congiunse le mani di dietro, accovacciandosi a

sbirciare lungo i titoli stampati sulle sottili coste dei supporti.


“Ehi... ma li trovi tutti tu gli emeriti sconosciuti? Vieni, tiramelo fuori

questo... chi è l'autore? Museo Rosenbach o Zarathustra?” chiese Lorenzo

non distinguendo il titolo dal gruppo.


82

Capitolo XIII

“Il primo... - precisò Mario - l'altro è ovviamente il titolo e, senza che fai

tanto lo snob sulla musica italiana, potresti incominciare a conoscerli anche

tu.” Nel frattempo prelevò il vinile per metterlo sul giradischi; poi,

scusandosi, disse che sarebbe andato al bagno aggiungendo ironicamente:


“Oggi non prevedevo di dovermi far bello così presto per ricevere visite...”


Lorenzo rimase solo nella stanza, peregrino nel suo curiosare ma, ora che

Mario non c'era, crebbe in lui la tentazione d'estrarre direttamente qualche

disco per contemplarvi le note allegate dentro. Tirò fuori un allettante disco

degli Acqua Fragile che si apriva per intero formando una locandina, poi,

riponendolo dentro con ogni dovuta attenzione, gli caddero gli occhi sul

Rovescio della Medaglia. Di questa formazione ricordava di aver già sentito

parlare:


“Ma sì... è quel gruppo di Monte Mario di cui mi parlò Paolo...” realizzò

Lorenzo che, prendendolo in mano, ne lesse il titolo: La Bibbia. Dopodiché,

rimirandolo all'interno, fu catturato dal medaglione di cartone sagomato che

ornava la copertina. Lo aprì e nel mezzo comparve una foglia di marijuana

essiccata. Per un attimo restò attonito ad osservarla, quindi, in un lampo di

genio, ne prese una parte rimettendone il resto al suo posto. Si appartò

frettolosamente in un angolo dove sminuzzò l'erba dentro una cartina; poi si

sedette, aspettando i passi dell'amico di ritorno. Come li udì, accese la canna

e iniziò a fumare. Mario, non appena rientrò nella stanza, riconobbe subito

l'inequivocabile odore commentando:


“Ma... fumi spinelli? Non me l'aspettavo, non mi hai mai detto niente, fammi

sentire... - continuò questionando - ma dimmi, l'hai portata da Roma

quest'erba qui?” e, così dicendo, lo afferrò per fumarne anche lui.


“Da Roma o altrove sempre erba è, ma... vedo che apprezzi. Dimmi tu,

piuttosto... sempre così intellettuale, serio e carino... chi l'avrebbe mai detto!”

replicò Lorenzo.


“Ma va...! Non fare il perbenista, proprio tu, l'urbano aperto e di sinistra!

Beh, ora che lo sai, te lo posso dire, anzi, vieni con me...” Così dicendo,

Mario condusse l'amico verso un cassetto, ne aprì la serratura con una chiave

e gli mostrò diverse scatoline. La prima conteneva dell'erba finemente tritata,

la seconda conteneva dei semi e nella terza vi erano riposte alcune cime

83

Capitolo XIII

essiccate.


“È tutto quello che mi rimane del raccolto, sai? Ho tirato su tre piante

quest'anno, una era femmina ed aveva una chioma folta e resinosa, ma

purtroppo è finita anche per prima” spiegò Mario.


“E già, dovevo capirlo subito, dove c'è la campagna ci sono anche i

contadini...” commentò Lorenzo mentre l'amico prendeva un opuscolo dalla

libreria mostrandoglielo:


“Ecco, lo conosci questo? L'ho preso a Roma, in una libreria vicino alla

stazione Termini.”


“Ma è il manuale sulla coltivazione della canapa indiana di Stampa

Alternativa...! Ne ho uno uguale in casa ma, purtroppo, non ho mai avuto la

possibilità di fare simili esperimenti... Senti, a proposito, tu che l'hai

coltivata, come funziona quella storia della siccità che stimola la fuoriuscita

dei principi attivi?” chiese Lorenzo.


Fu così che Mario iniziò a raccontargli pressoché tutta la breve ed intensa

stagione della sua coltivazione, così piena di premurose attenzioni ed

inevitabili preoccupazioni:


“Ci fu un periodo - precisò Mario - in cui non riuscivo neppure a prender

sonno a causa di un vorace roditore che vi si aggirava intorno...”


Mentre parlava continuava a far girare la sua genuina canapa fintantoché,

stanco e sballato, finì per assopirsi seduto in terra, poggiato contro il muro.

Lorenzo, nel frattempo, spinto da un forte desiderio di rosicchiare dolci, si era

avventurato in cucina procurandosi dei prelibati Kinder Ferrero. Aveva la

mucosa della bocca completamente asciutta, il contatto con gli zuccheri lo

stimolò sino a provare un inaudito piacere. Di ritorno in stanza, si fissò con lo

sguardo sulla copertina di un libro che faceva capolino ai bordi della

scrivania; conteneva racconti di Edgar Allan Poe. Lo agguantò, aprendolo a

caso, e prese a leggerne un episodio: quello del gatto. Visse tutto il crescendo

di quell'incubo che, dalla superstizione, lentamente andava concretizzandosi

dentro un fitto ed oscuro labirinto dove, infine, prendeva forma in un'orrenda

e palpabile visione. Aveva, con questa strana combinazione, alimentato ancor

più la perturbante emozione vissuta con il precedente acquazzone. Dopo

quella lettura, preso da insofferenza, decise di andarsene per ritornare nella

84

Capitolo XIII

casa paterna.


Era stata un'inaudita giornata di sorprese ma anche di tentativi di bilanci

interiori emersi a caso, senza troppa volontà di chiarezza. Immerso in questo

groviglio di pensieri, rientrò così assorto che Aldo, vedendolo, s'informò

subito:


“Qualcosa non è andato per il verso giusto?”


Lui manifestò quel lancinante tormento, prepotentemente riemerso, per il

disordine lasciato in casa a Roma... Del resto, pochi giorni più in là, la madre

avrebbe fatto ritorno.


“Sono contento che ti preoccupi anche di questo, vuol dire che le mie parole

non sono sempre state vane e che, in definitiva, ti stai anche tu

responsabilizzando... Organizzati con le tue cose, come sarai pronto, ti

accompagnerò alla stazione” disse il padre con un pizzico di rammarico ma

nel contempo compiaciuto. Lorenzo si ritirò nella sua stanza dove,

sdraiandosi sul letto, stette un po' fissando il soffitto, poi, preso da un

fulmineo impeto, raccolse qua e là le sue quattro cose sparse infilandole con

pressione dentro una borsa. L'ordine non era mai stato il suo forte ma la

decisione, quella vera, sembrava finalmente presa. Il buon Aldo, un po'

commosso, nel vederlo ripartire alla stazione, gli rammentò che comunque, se

avesse voluto, sarebbe stato sempre il benvenuto.


85

Capitolo XIII

CAPITOLO XIV


Il ritorno di Walter

Correva via quel treno... sfrecciando oltre le radure, tra selvagge e boschive

vallate di montagna intraviste svogliatamente, col naso premuto sopra il

finestrino. Erano tenere e fuggevoli, in quello scorgerle in corsa velato di

sottile malinconia, prossima alla commozione. Ma le lacrime non ebbero il

tempo di scendere perché ci fu l'inaspettato risucchio dentro un tunnel a

chiudere, con un sibilo, ogni fugace visione. Oltre quel buio, fatto di un

correre divenuto sordo e cupo, sarebbe poi arrivato un altro paesaggio:

vecchie abitudini finalmente ritrovate.


A tarda sera, Lorenzo giunse dinanzi alla porta della casa materna, dove esitò,

ma non più di qualche istante, ad inserire la chiave nella serratura. Diede

quindi le tre mandate in una sequenza ritmica varcando deciso la soglia;

socchiuse gli occhi ed inspirò profondo inalando, impassibile, tutto

quell'acidulo e stomacante fetore. Poi, tappandosi il naso, corse in cucina ad

aprire la finestra iniziando a raccattare qua e là i rifiuti e sigillandoli dentro

buste di plastica con dei nodi attorcigliati e ben stretti. Dopodiché si diresse

al bagno dove, aprendo svariate bottiglie di detersivi, iniziò a miscelarle,

nella speranza che, in un poderoso cocktail, le sue fatiche sarebbero state più

contenute. A nulla valsero quei maldestri tentativi poiché si ritrovò a

fronteggiare montagne d'inespugnabili schiume. Proseguì imperterrito fino a

notte inoltrata, quindi, sfinito, poco prima che giungesse l'alba, si coricò

sopra il divano ancora vestito. Si svegliò soltanto nel primo pomeriggio del

giorno successivo, a causa di quella famigliare, e da qualche tempo

inutilizzata, soneria innescata da una chiamata telefonica. Dopo qualche

squillo, come riebbe sufficiente coscienza, si sollevò, barcollante ed

incuriosito, per rispondere emettendo il fatidico:


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“Pronto...”


“Ma stai ancora dormendo? Hai una voce impastata, che diavolo vai facendo

in giro di notte? Tra poco inizia la scuola, studia e stai in casa, che ti fa

bene... Vedo che con te non c'è speranza, tanto non cambi mai, stai sempre in

giro con quei cretini dei tuoi amici. Dopodomani torno e guai a te se non

ritrovo tutto in ordine come ho lasciato, ci siamo intesi?” sentenziò tonante la

madre che, in questo modo, aveva definito il giorno del suo ritorno.


Per Lorenzo fu un pesante risveglio ma, non potendo far altro, la fece parlare

assecondandola in tutto. Era questo, in definitiva, il miglior modo per far

cessare quanto prima quell'implacabile tormento. Viste le premesse della

giornata, evitò persino il tradizionale cappuccino per immergersi subito nel

lavoro. Più tardi (era ormai sera), mentre si apprestava, sfiancato ed affamato,

a consumare un frugale pasto, trillò nuovamente il telefono:


“Prabhù... ci sei tu...?” esordì alla sua maniera Walter.


“Prabhù! Ma sei proprio tu...?” gli fece eco Lorenzo, entusiasta nel risentirlo,

nonostante quella sua tipica invadenza che lo caratterizzava... (era pur sempre

un suo caro ed indiscusso “cacacazzi” d'amico!)


“Sono tornato giusto ieri, dopo un giorno di viaggio ed un lungo, estenuante

scalo, segregato nell'aeroporto di Riad, in Arabia Saudita; ma finalmente

sono qui, di ritorno dalla mistica, inenarrabile India e, soprattutto, con

generosi doni ed essenze al seguito. E tu, Prabhù, quando conti di farti

vedere... suppergiù, dimmi un po' tu” continuò Walter dando enfasi alle sue

recenti avventure.


“A dire il vero, sono immerso nelle pulizie di casa, visto l'incombente rientro

di mia madre. Non so se più tardi avrò finito...” precisò Lorenzo.


“Prabhù, una comune sorte, per una volta tanto, ci viene in aiuto. Anche mia

madre è fuori, quindi finisci pure le tue cose come e quando vuoi tu,

suppergiù, poi mi raggiungi e, se vuoi, puoi restartene a dormire qui da me,

che ne pensi tu? Orsù, dimmelo tu...”


“D'accordo, ti raggiungo più tardi” acconsentì Lorenzo riagganciando per poi

rimettersi ad ultimare le sue pulizie.


“Quel balordo di Walter! Dopo tutto questo tempo, lo rivedo con immenso

piacere” pensò compiaciuto mentre si lanciava, armato di straccio e

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Capitolo XIV

spazzolone, nell'eroica impresa di sgrassare incrostati pavimenti.


Solo intorno alle undici di sera, quando ogni cosa sembrava essere tornata nel

giusto ordine, si apprestò ad uscire. Prese una delle ultime corse serali

dell'autobus e raggiunse l'amico. Bussò più volte alla sua porta, temendo che

quest'ultimo, vista la tarda ora, si fosse nel frattempo addormentato davanti a

qualche tardo spettacolo televisivo.


Nell'allora imperversante giungla dell'etere, dal monopolio più stretto, dove

dopo l'ultimo TG di mezzanotte chiudeva ogni sipario, qua e là sorgevano

nuove emittenti locali e le trasmissioni, ormai in palese concorrenza,

continuavano senza alcuna interruzione.


Walter era sveglio e non tardò più di tanto ad aprire all'amico:


“Eccomi... come mai, Prabhù, così tanto impeto, temevi che non arrivassi

più?” disse abbracciandolo affettuosamente. Tanto per non smentirsi, Walter

non aveva perso quel suo irrefrenabile gusto a travestirsi e, per l'occasione,

sfoggiava un abito indiano: coloratissimo ed in pura, lucente seta. Come se

non bastasse, aveva la fronte rigata con della polvere gialla e Lorenzo,

tentennando un poco, comprese le sacre origini del fango provenienti dal

fiume Gange. Ma la cosa che lo colpì di più era l'esile corporatura che

Walter, in vita sua, non aveva mai avuto.


“Non hai mai mangiato o è semplicemente il caldo che ti ha ridotto a poco

più di una silhouette?” gli chiese Lorenzo incuriosito.


“Caro Prabhù, tutti e due insieme o come vuoi tu...” rispose Walter, come suo

solito, tergiversando sull'accaduto per poi cambiare argomento:


“Ed ora... passiamo ai doni” e, così dicendo, si approssimò alla sua valigia

poggiata sul sofà e non ancora del tutto disfatta.


“Ecco qua, per l'amato Prabhù un massiccio vinile indiano di raga interpretati

da Ravi Shankar” concluse porgendo il disco nelle mani di Lorenzo

incantato. Lui non aveva ancora mai visto un disco di stampa indiana e

rimase immerso nel suo feticismo, a rimirare un piccolo logo con sotto,

riposta in basso, una minuta scritta: made in India. Walter, dopo essersi

allontanato in un'altra stanza, fece una delle sue trionfali entrate esibendo uno

sfarzoso sitar intarsiato. Iniziò subito a strimpellarlo intonando nuovi mantra

che, tra una pausa e l'altra, raccontava di aver appreso nei più remoti templi

88

Capitolo XIV

dello sterminato pantheon indiano. Lorenzo, un po' annoiato, cominciò a

chiedergli notizie della leggendaria Goa. Walter smise di suonare

stentatamente ed iniziò a descrivergliela con le sue ammalianti spiagge, le

sempre presenti comunità hippy e le facili ed abbondanti droghe circolanti.

Quindi si avvicinò ad un cassetto estraendo una scatolina argentata che

conteneva uno strano tipo di fumo con delle patine bianche intorno.

Somigliava ad un tartufo ammuffito e, in un certo senso, in quanto a

preziosità, lo era.


“È del charras - precisò Walter - È prodotto negli altipiani dell'India

settentrionale e qui, puoi star sicuro, non arriverà mai. È ottenuto macerando

dell'erba dentro del nero sino a formare quelle venature biancastre che, in

altre parole, altro non sono che muffe...”


“Non mi dire che tu... tu che facevi tanto il paranoico a casa di Paolo poi te lo

sei portato dietro...” lo interruppe Lorenzo.


“Paranoicizzandosi s'impara...” rispose Walter coniando, per l'occasione, una

nuova espressione. Poi, dandone un pezzetto all'amico affinché vi operasse,

gli chiese di Lucia. Lorenzo mutò subito espressione, scrutando con sospetto

l'amico, per poi chiedergli di getto:


“Ma tu... l' hai più sentita prima di partire?”


“Ehi...! Vedo che la piaga è sempre aperta... ma, credimi, stavolta proprio

non volevo stuzzicarti. Ti sei mai chiesto quanto di buono hai ricavato da

questa storia?” intervenne più incisivo Walter mostrandosi, una volta tanto,

seriamente preoccupato. Lorenzo, consapevole del carattere dell'amico, si

sentì di colpo angosciato per tutto quell'inquieto sentire che continuava a

nutrire per Lucia. Aveva già fatto il bilancio di un rapporto sofferto e

tormentato ma che, tuttavia, seguitava ad alimentargli dentro un indomabile

fuoco. Fu così che, in questo stato, provò un incontenibile disagio che

manifestò aprendosi con l'amico.


Walter, in un primo momento, stette ad ascoltarlo, poi lo mise in guardia da

Pierre, l'amico di Lucia, ed infine, smorzando l'argomento, tentò di distrarlo.


“E tu, piuttosto, scommetto che ti sei fatto l'estate al paesello, con tuo padre,

vero?”


“Ma... a dire il vero, soltanto un po' di giorni; prima sono rimasto solo qui a

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Capitolo XIV

Roma, poi sono andato a Firenze in autostop, un'esperienza niente male,

quindi ho raggiunto mio padre” rispose Lorenzo che, sollecitato, gli raccontò

di quella sua inedita avventura dilatandola, in taluni particolari, un po' fuori

misura. Parlò pure di Francesca, trasformandola in una donna sola al volante.

Raccontò di aver preso un passaggio con tanto d'invito a cena nell'autogrill

autostradale.


Correva, come in tutti i lieti momenti, inesorabile il tempo e, tra un discorso e

l'altro, videro un tenue chiarore dilatarsi oltre le persiane della stanza. Walter

si era accasciato sulla sua stola indiana, mentre Lorenzo, che aveva già di

fatto occupato il divano, se ne impadronì definitivamente. Si rigirò a lungo,

tormentato, sognò Lucia in compagnia di Pierre che, levitando, fuggiva via,

mentre lui era lì, sulla terra prigioniero ancorato. Poi, quando loro furono così

lontani da non poterli più scorgere, apparve nel sogno l'ormai scorbutico

angelo che dall'alto, deridendolo, gli pisciò addosso. Lorenzo si svegliò

sudato ed affannato, constatando che si trattava di un incubo e di essere

completamente bagnato. Corse, imbarazzato, ad asciugarsi al bagno. Quindi,

evitando di disturbare il riposo dell'amico, scese, ancora scosso, a prendere

un autobus verso casa.


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Capitolo XIV

CAPITOLO XV


L'appuntamento con Francesca

Alcuni giorni dopo l'incontro con Walter, Lorenzo continuava, di tanto in

tanto, ad essere turbato da quel brutto sogno ancora impresso dentro; si

chiedeva, oltretutto, se Lucia fosse ancora fuori e, comunque, che fine avesse

mai fatto.


“Se fosse già rientrata a Roma, mi avrebbe per certo già chiamato...” andava

rimuginando ogni qualvolta era in procinto di prendere l'iniziativa di

telefonarle per togliersi quell'ambiguo tarlo. Erano ondivaghi pensieri in cui

l'orgoglio si alternava alla preoccupazione opposta alla sfiducia covata

dentro. Questa volta Lorenzo, probabilmente esausto dal portarsi dietro

questo penoso strascico di dubbi, chiamò senza indugiare oltre. Uno... due...

tre squilli a vuoto, per cui sembrò, una volta ancora, voler desistere sfiorando

l'interruttore della comunicazione nell'alveolo della cornetta, ma il quarto

squillo fu troncato dal sopraggiungere di un'inaspettata voce:


“Pronto... pronto! Chi parla?...”


“Sono Lorenzo, che... che mi passa Lucia per favore” rispose, timidamente,

riconoscendo la voce della madre.


“Lucia è uscita e non so dirti quando ritorna, mi spiace, arrivederci.” Con fare

brusco ma educato, la mamma di Lucia lo aveva liquidato riagganciando

l'apparecchio.


“Quindi è tornata... la stronza” considerò nel riporre il telefono sul comodino.


Aveva avuto, finalmente, un inequivocabile segnale di chiarimento, ma quale

duro rospo si apprestava ad ingerire... e per intero! Pierre, l'altro protagonista

del suo incubo, a lungo covato sotto le ceneri dei suoi pensieri, prendeva a

mano a mano consistenza, discendendo dal cielo in terra con la sua

fiammante fulvietta, pronto a sfrecciare sotto casa di Lucia per caricarcela

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dentro:


“Dio! Che profondo senso di rabbia ed impotenza...” realizzò sconfortato.


Dopo aver oltrepassato un asfissiante cunicolo di depressione, riuscì,

finalmente, a ritrovare energie per guardare altrove. L'araba fenice era lì,

pronta a far riemergere in lui nuovi appigli per sentirsi in vita. La voglia di

annullare ogni presentimento legato a Lucia era tanta che trovò pure forza e

determinazione nel comporre, disinvolto, il numero di Francesca. Stavolta

non sentì più aleggiare allertanti, sinistre presenze. Le aveva già bruciate tutte

vanificandole nel rancore provato. Aspettava, completamente a suo agio, il

ritmico incalzare del segnale di libero, tanto che, serrando la cornetta tra

spalla e orecchio, si alzò smanettando nella libreria per afferrare una cassetta

di temi da film da inserire nel riproduttore.


Era una raccolta commerciale ma contenente immortali motivi come

Djamballà di Augusto Martelli, Shaft di Isac Hayes, Goldfinger interpretata

da Shirley Bassey ed i vari western sonorizzati da Morricone.


“Pronto... pronto... chi è lì con questo sottofondo...?” esordì una voce

rispondendo dall'altra parte.


A Lorenzo, muovendosi sbadatamente, era scivolata la cornetta sul

pavimento e, riafferrandola in mano, replicò affrettato:


“Pronto... sì sono Lorenzo, vorrei parlare con Francesca.”


“Sì, sono io, ciao! Ma che fai... ti sei immerso in un bagno caldo di horror?”


“No... mi era caduta una cassetta di mano... non ti piace questa musica?”


“Ma sì... ho molta stima di Dario Argento...” rispose Francesca riconoscendo

le note di Profondo rosso dei Goblin.


“A dire il vero - aggiunse Lorenzo - credo di aver sbagliato facciata

nell'inserirla, pensavo fosse il lato di tutt'altro genere di film, al massimo

d'azione...”


“È andata bene anche così, mi hai egualmente rievocato una serie di ricordi...

stavo ancora insieme a mio marito ed è stato l'ultimo film che abbiamo visto

insieme.”


“Eh... si sa, le cose cambiano...” bofonchiò Lorenzo sottovoce.


“Sì, ma non ti preoccupare, non c'è nulla di strano, è tutto così semplice e

banale... È scappato via con un'ambiziosa attricetta, tanto per rendersi la vita

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Capitolo XV

più infelice.”


“Ma... tuo marito lavora nel cinema?”


“Sì, è un regista, ma adesso, ti prego, non chiedermi chi è o di fare provini. È

antipatico sentirsi sempre e solo usati. Io, del resto, voglio ricordarti così

come ti ho conosciuto, diverso da certe consuetudini...”


“Infatti, ti chiamavo per restituirti le centomila che mi hai prestato...” precisò

Lorenzo.


“Ma sei sicuro di averne?”


“Beh... non proprio al momento, ma sarò in grado di provvedere.”


“Dai... non fare stupidaggini e, piuttosto, vieni a trovarmi.”


Lorenzo, in un primo momento, tentennò timidamente poi, esortato

dall'invito, le chiese di spiegargli la strada per raggiungerla.


Francesca viveva sulla via Cassia e Lorenzo, dopo aver attraversato Roma

per raggiungere ponte Milvio, dovette prendere un ulteriore autobus

cumulando altri quaranta minuti di tragitto. Riconobbe subito il bar

descrittogli, prossimo al civico del suo villino, quindi, scendendo, vi si

diresse dentro comprando dei dolci da portare in dono. Appariva meno

impacciato e sovreccitato di quanto potesse accadergli in simili situazioni.

Esibiva un passo celere e sicuro e, giunto davanti al cancello, suonò al

citofono abbozzando persino un sorriso:


“Chi è?”


“Sei tu? Sono Lorenzo, aprimi.”


“Ascolta, devi percorrere tutto il viale, ti aspetto alla porta, vieni pure...”


Lorenzo percorse un viottolo alberato che, snodandosi sopra un piccolo colle,

portava all'abitazione; tutt'intorno c'era un soffice prato inglese, guarnito da

qualche pitosforo ed altre variegate piante, perlopiù ornamentali. Prossimo

all'entrata, c'era in bella vista un dondolo ed i resti di un non lontano

barbecue con un tavolo ancora in disordine. Francesca giunse sulla soglia

proprio mentre lui, incuriosito, era a pochi metri dagli avanzi di quel

banchetto.


“ Lorenzo! Ehi... sono qui, ti sei incantato lì fuori?” Richiamò così la sua

attenzione, distogliendolo da quella visione e lui, in pochi metri, la raggiunse

salutandola affettuosamente. Si sedettero, poco dopo, nell'accogliente

93

Capitolo XV

ingresso-soggiorno. Era tutto rifinito in legno e con una grossa vetrata

scorrevole, da dove si scorgeva un rilassante paesaggio campestre. Alla sua

destra, Lorenzo vide un'enorme biblioteca, e, mentre Francesca era intenta a

versargli del caffè, si piegò su di un lato ed iniziò a sbirciare. C'era di tutto ed

in pregiate edizioni, dai classici studiati a scuola a quel poco di letteratura del

Novecento che Lorenzo era in grado di riconoscere in autori come Svevo e

Calvino.


“Vedo che, oltre alla musica, ti piace anche la lettura...” rimarcò Francesca

nel porgergli la tazza.


“Beh... a dire il vero ho già tanto da fare con i libri a scuola... e poi, già mi

sacrifico abbastanza nel mettere da parte spiccioli per comprare irresistibili

dischi...” specificò Lorenzo.


“Capisco. Però si vede che ti destano un certo interesse e... dimmi, oltre ai

testi di scuola, qual è stata la tua ultima libera lettura?” chiese Francesca

mentre armeggiava intorno al suo giradischi.


“Recentemente ero fuori, al paese, dove spesso divoro fumetti presi da mio

cugino ma... a dire il vero, mi è capitato di leggere un racconto che mi ha

molto colpito, era di Poe e parlava di gatti. Ti confesso che ho preso il libro

in mano soltanto perché ero venuto a conoscenza di questo scrittore

attraverso un disco di Alan Parson a lui dedicato” rispose schietto Lorenzo,

mentre nell'aria si diffondevano delle calde e suadenti note di soul.


“Posso proporti in prestito un'altra lettura?” domandò Francesca.


“Perché no...?”


“Bene... - disse Francesca estraendo un libro dallo scaffale - questi sono altri

racconti, scritti da un tipo altrettanto visionario che si chiama Franz Kafka” -

e, porgendoglielo, concluse: “Ne hai mai sentito parlare?”


“Credo di sì... ora non ricordo bene, comunque grazie, visto il genere, lo

leggerò certamente con piacere ma... dimmi un po', quest'accattivante

melodia, non è dei Temptation?”


“Sì, sei veramente bravo, non ti sfugge niente, è una loro raccolta ed io adoro

questo brano, il titolo è breve ma efficace: Zoom!” e, dopo averlo scandito

con enfasi, scoppiò in un incontenibile riso; poi, tra un singhiozzo e l'altro,

precisò: “Scusami... credo sia l'effetto dell'erba, se vuoi, prendine pure, è lì,

94

Capitolo XV

dentro quella scatolina. Me ne ha lasciata un po' Giorgio... e tu, lo hai più

sentito qui a Roma?”


Mentre gli rivolgeva quest'ultima domanda, si approssimò a lui sedendosi

sulla spalliera della poltrona dove Lorenzo aveva preso posto. Accavallò le

gambe: due splendide curate cosce si distendevano, vellutate e opulente, sotto

gli occhi di Lorenzo che, a quel punto, non poté fare a meno di mostrarsi

impacciato.


“Beh... io... ecco, l'ultima volta che ho visto Giorgio è stato a Firenze, dove

eravamo tutti insieme...”


“Sei un ragazzo tenero e carino... sai, ti trovo interessante perché ti sento

inconsapevole di quanto tu sia inusuale e gradevolmente diverso. Ho avuto

modo di parlare di te, proprio l'altra sera, con Giorgio, anche lui ti ha in

simpatia, mi ha detto che ha anche cercato di aiutarti... Sì, insomma, mi ha

raccontato che hai avuto un po' di problemi di cuore con una ragazza, una

certa Lucia...”


“Ah!.. - esclamò Lorenzo proseguendo nel suo disagio con una venatura in

più di autoironia - Non sapevo che ci fosse così tanta gente a prendersi cura

dei miei problemi sentimentali... ma sì! Lo ammetto, è liberatorio, ho capito

che quando c'è di mezzo l'amore non posso farne a meno di essere geloso.”


“Ma è naturale - proseguì Francesca - cosa credi che abbia provato quando

mio marito è fuggito via con quella scema...? L'amore libero, la comune e

tutte quelle belle cose lasciano il tempo che trovano. Sono, in astratto, di per

sé giuste e meravigliose ma quasi sempre impraticabili. Sinceramente, non

credo che siamo ancora pronti per questo genere di utopie. Dall'apertura delle

famiglie che sperimentò Lenin alla comune in Toscana, da dove, l'anno

scorso, è tornata delusa ed innamorata la stessa Carmen, non riesco a trovare

un solo esperimento riuscito.”


“Ma allora... - continuò Lorenzo - come si completerà mai la liberazione

dell'uomo nella reciproca condivisione? Vuoi dire che avremo solo e ancora

una rivoluzione monca? Ci ritroveremo anche noi in un comunismo

esclusivamente rigido ed economico, così come sono finiti i russi, non

praticando più il principio reintegrativo della rivoluzione permanente?” e,

così dicendo, provò un senso di delusione per quegli stessi ideali che, seppure

95

Capitolo XV

con profonde e laceranti contraddizioni, andava innocentemente perseguendo.

Lorenzo si trovava a suo agio nel dibattere su simili argomentazioni,

specialmente quando ci s'inoltrava nell'esistenzialismo e, ai tempi, succedeva

quasi sempre. Sarà stato per quel vuoto del dopoguerra non ancora del tutto

colmato, per Sartre, Camus e quello stesso nostrano cantautorato, che tanto

aveva ereditato dai colleghi d'oltralpe; ma ci fu un tempo in cui le parole,

comprese quelle più disinvolte, scambiate tra amici davanti ad un buon

bicchiere di vino rosso, erano protese verso una ricerca, dimenandosi tra

moltitudini d'insolubili ed ammalianti perché.


Fu in questo clima che improvvisamente giunse la notte più fonda e

Francesca, resasene conto, lasciò dormire Lorenzo in casa coricandosi al suo

fianco. Lo abbracciò forte e stretto a lei ma lo pregò anche di non insistere a

voler fare l'amore. Lui non capiva e, nell'estenuante eccitazione, non riusciva

più a prender sonno. Si alzò, infine, con la scusa di dover andare al bagno e

lì, incontenibile, si masturbò avidamente, debellando l'oscuro morbo di un

desiderio a cui non sapeva più come porre freno.


96

Capitolo XV

CAPITOLO XVI


Il cinema

L'indomani, nella quiete dell'oasi residenziale, nessun urbano rumore

sembrava interferire sul sonno dei due. Un asettico silenzio, rotto qua e là dal

guaire di un cane e dal cinguettio di stormi di volatili, faceva da cornice al

loro protratto dormire. Fu Francesca la prima a svegliarsi, scivolò dal letto,

guizzando via, ma non prima di aver baciato Lorenzo sulla fronte. Lui restò

immobile, intriso di un sonno prossimo al dormiveglia. Appena lei lo lasciò

solo, incominciò pigramente a stropicciarsi gli occhi e a guardarsi intorno, tra

la diradata luce filtrata dalle persiane ancora socchiuse. Quindi si alzò

andando al bagno; di ritorno, la sua soglia d'attenzione si elevò in prossimità

di una cassettiera mezza aperta ed ancora in disordine. Fuoriuscivano delle

calze lucide e nere, ancora intrise di un fresco profumo di pelle, a fianco c'era

un album fotografico e Lorenzo non esitò a prenderlo. Non erano affatto foto

di famiglia, ricordi di gite o consumati servizi da cerimonie; c'erano molti

ritratti, spesso primi piani, magari realizzati in studio e con tanto di luci ed

altri accorgimenti. Vi compariva sempre Francesca, forse un po' più giovane

e curata ma indiscutibilmente bella, immortalata in ogni posizione dove

assumeva una diversa espressione.


“Potrebbe essere una modella...” pensò Lorenzo, in un primo momento, per

poi concludere: “Ma sì... che rincoglionito che sono! È evidente, lei è

un'attrice... ma quale? Fosse stata Johnny Mitchell, Grace Slick o qualche

altra musicista, non avrei avuto dubbi a riconoscerla al volo... ma chi è? Dio,

che grezza! Questa deve essere anche importante, se il marito fa il regista...

ma chi diavolo sarà mai?”


Quindi, sentendo i passi di Francesca che stavano per approssimarsi alla

stanza, si affrettò a lasciare le cose così com'erano per rimettersi a letto.

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Subito dopo lei entrò con un vassoio in mano ricolmo di prelibatezze che,

vista la tarda ora, andarono a surrogare l'ormai imminente pranzo.


Francesca scherzò a lungo con lui, sul letto, consumando quel gradevole

pasto e, quando Lorenzo gli raccontò del club al paese, non esitò a chiedergli

di elencare quale fosse stata la grandiosa scaletta di dischi da lui selezionata.


“Beh... ecco, a dire il vero, l'ultima risale all'anno scorso. Quest'estate, con la

febbre del sabato sera e la nuova discoteca, sono stato, ahimè, soppiantato...

in parte sostituito da Giuseppe, un caro amico, che ha organizzato una festa

revival in piazza” spiegò Lorenzo chiarendo le cose come stavano.


“Wow! Deve essere stato bellissimo, dai... non fare il prezioso... Dimmi di

quella dell'anno passato” commentò Francesca esortandolo.


“Ok, fammi ripensare... ma sì! Ho esordito con Gimme some lovin dei

Traffic, il capolavoro di Winwood, poi... sì, tutta roba tirata e nera: Funky

street di Arthur Conley, I gotcha di Joe Tex, Think di Aretha Franklyn, Give

it up di James Brown, ma anche del buon rock scatenato come Rebel rebel di

Bowie, Long train running dei Doobie Brothers, 48 crash di Suzi Quatro e

qualche ormai superata ma inossidabile hit da discoteca, tipo Foot stomp

music di Bohannon e We can't live together di Timmy Thomas.”


“Ehi! Ma è roba niente male... finirà che la prossima festa che farò ti

chiamerò per primo, ma ora, se gradisci condirci sopra un po' d'immagini, ho

una bella sorpresa per te” disse Francesca trascinando Lorenzo in un'altra

stanza, dove troneggiava un appariscente proiettore.


Lui, che ricordava quelli usati nelle famiglie (raramente possedevano l'audio

e spesso erano così inaffidabili che, oltre ai frequenti salti d'immagine, si

rischiava di ritrovarsi avvolti nella fuoriuscita della stessa pellicola), stette

incantato ad ammirarlo ripensando a quello del padre, che girò il filmino

della sua prima comunione. Ogni volta che venivano i parenti, era la solita

storia: pomeriggi interi per quindici minuti di filmato tra un “Accendi!” e uno

“Spegni!” con ogni altra sorta di possibile implicazione.


Ma quel macchinario, così come appariva, si mostrava davvero affidabile.

C'era un ampio schermo apposto sulla parete e, come comparirono i primi

fotogrammi, Lorenzo ebbe subito la piacevole sensazione di stare in un

piccolo cinema a sua completa disposizione. Erano riprese di concerti, eventi

98

Capitolo XVI

mai visti e girati proprio a Roma, a villa Doria Pamphili, specificò Francesca,

dove, qualche anno prima, si era tenuto un festival di rock tutto italiano.


“Ma è incredibile!... Io ne avevo soltanto sentito parlare e tu ne hai persino le

immagini filmate...” commentò Lorenzo elettrizzato.


“Pensa... è un documentario che mio marito girò a suo tempo per la RAI e poi

non fu più messo in onda.”


“Eccellente! Ma dimmi, tuo marito ha fatto anche dei film...? Sì, insomma,

qualche titolo di quelli che si ricordano” azzardò Lorenzo nell'arrossire per la

sua innocente gaffe iniziale.


“Ah!... adesso non fare lo scorretto, ti ricordi al telefono? Ti avevo detto che

preferivo non entrare in questi dettagli, in ogni caso non ti preoccupare. Sento

che dentro sei pulito, perché in fondo anche tu ami il cinema, per quanto

ossessivamente preso dalla musica. Dimmi... sì, parlami di qualche film che ti

ha colpito, sono sicura che ne hai...”


“Beh... io - iniziò Lorenzo, tentennando - sì, un'idea l'avrei in proposito ma,

come sai, non ho speso troppo tempo nelle sale... Di sicuro ho un indelebile

ricordo della prima visione di Odissea nello spazio, eravamo solo nel

sessantotto ed ero poco più di un bambino, con i miei genitori, al cinema

Rivoli. Kubrick e la solenne colonna sonora di Also spracht Zaratustra, con

l'osso orbitante nello spazio, hanno, in quel modo, segnato presto la mia

stessa esistenza. Forse è per questo che la mia prima lettura spontanea è stata

Nietzsche. Poi venne la risposta sovietica al colossal americano: Solaris,

dove la filosofia si coniugava alla fantascienza. Fu duro resistere a tutta la

proiezione ma, nel suo genere, credo sia stato unico e geniale. Quindi parlerei

di film proibiti... ma quelli d'autore, Dio! Che vergogna fare la fila al cine con

l'angoscia che ti chiedano il documento per verificare i tuoi presunti

diciott'anni. Con Pasolini, per fortuna, l'ho fatta franca ed ho visto anche Salò

e le 120 giornate di Sodoma, quello che dicono sia stato un suo testamento.

Io, tra tanto orrore e perversione, ho avvertito contorni di pura poesia. Ho

capito che i fascisti, ovvero i carnefici, potevano persino essere dei ricercati

intellettuali... edonisti, epicurei, stravaganti tradizionalisti o quant'altro ma,

comunque, gente con tanto di cultura e sensibilità. E poi c'è Zabriskie Point

di Antonioni, Easy rider, Hair ed i grandi musical, l'impressionante e

99

Capitolo XVI

coinvolgente L'ultima donna di Ferreri e, a proposito di scioccanti e

passionali evirazioni, L'impero dei sensi di Oshima. Beh... alla fine, per

quanto non sia stato un assiduo frequentatore, di cose belle ne ho viste

davvero molte...”


“Devo dire niente male... è stato un piacevole commentare indimenticabili

titoli, bravo!” - osservò Francesca - “prometti bene e sai che ti dico? Stasera,

vicino al Colosseo, fanno quella nuova rassegna di cinema all'aperto:

Massenzio, film a volontà tutta la notte e per te è anche comodo, visto che

non è così lontano da casa tua. Ecco... vedi? Ho anche il programma, stasera

c'è tutta fantascienza: dallo storico scimmione King Kong al recente

Rollerball, che te ne pare?”


“Una buona idea” replicò Lorenzo per poi timidamente proseguire: “Ma...

toglimi solo, se non sono troppo indiscreto, una piccola curiosità, sei o... cioè,

voglio dire... hai mai fatto l'attrice?”


“Non sarai malizioso ed opportunista ma la curiosità ti brucia dentro. È

apprezzabile, qualche volta è addirittura sintomo d'intelligenza, però, ti

prego, non insistere, mi sembra, al momento, del tutto irrilevante nella nostra

simpatica amicizia” e, così dicendo, Francesca smorzò quel discorso per poi

lasciarsi andare a più frivole argomentazioni in compagnia di Lorenzo.

Provarono anche il gusto dell'imitazione, con ludico ma innocente piacere,

rifacendo il verso a Giorgio, fintantoché, a serata inoltrata, si diressero verso

quel nuovo cinema all'aperto con la vecchia Citroën, la 2 cavalli, di

Francesca.


Una volta arrivati, presero posto in una fila di sedie riposte in fondo; le

immagini scorrevano sopra un gigantesco schermo e, sulla destra, a tratti

s'illuminava il Colosseo nella penombra delle luci di un cambio di scena.

Tutto parve a Lorenzo estremamente affascinante e, coccolandosi tra patatine,

gelati ed altre schifezze, scorsero veloci le ore, tra un film e l'altro, senza

estenuanti interruzioni. Erano quasi le cinque del mattino quando passò

l'ultimo fotogramma e loro, congedandosi inebriati da quella abbuffata di

sogni, si baciarono avidamente senza aggiungere altre parole. Soltanto un

breve “ciao” suggellò il distacco di Francesca che scivolò via, dentro lo

sportello della sua macchina. Lorenzo, immobile e pensieroso, la vide

100

Capitolo XVI

dileguarsi e confondersi da via dei Fori Imperiali fino a piazza Venezia,

inghiottita tra tante altre piccole ed uniformi luci.


101

Capitolo XVI

CAPITOLO XVII


La scuola

Volavano via gli ultimi giorni dell'estate e, non di rado, Lorenzo li spese in

compagnia del suo ritrovato amico Walter. Lucia, pur tornandogli ogni tanto

in mente, era divenuta, nel rancore provato, un sentimento archiviato dalla

ragione. Ma la brace, si sa, cova sotto le ceneri e, per quanto l'incontro con

Francesca gli avesse consentito di acquisire una nuova sicurezza, dovuta al

confronto ed al sostegno ricevuto da una persona più grande di lui, Lorenzo

era consapevole di provare timore nel risentire Lucia alla stessa stregua di

un'indomata e contraddittoria voglia di rivederla. Francesca, qualche giorno

dopo il loro incontro, richiamò Lorenzo per salutarlo ma, velatamente, parve

preoccuparsi più della sua salute sentimentale appurando, sorniona, quanto

Lucia fosse ancora presente nei suoi pensieri. Lorenzo avrebbe voluto

incontrare di nuovo Francesca in quanto, oltre ad esserne sottilmente

ammaliato, trovava in lei quel senso d'appoggio ed accettazione venutogli

meno dal rapporto materno. Lei, da parte sua, disse a Lorenzo che in quel

periodo aveva molto da fare e, probabilmente, si sarebbe dovuta fermare

qualche tempo a Milano, rassicurandolo che, al suo rientro, lo avrebbe

contattato di nuovo.


Quindi, puntuale, arrivò la mattina dell'inevitabile evento che, più d'ogni

altro, marcava, indelebile, la fine della stagione: ricominciava la scuola.

Lorenzo si apprestava a ripetere il penultimo anno del liceo e, completamente

disabituato, si sollevò dal letto, ancora tramortito, alle sette del mattino. Si

sentì così stordito da quel risveglio che il suo stomaco, contratto, rifiutò

persino la colazione. Scese giù, di corsa, a prendere l'autobus.

Provvidenzialmente fu quello giusto a passare per primo. Poi, in prossimità

della scuola, incominciò a rinvenire dal suo torpore discendendo di scatto alla

102

relativa fermata. Mentre percorreva l'ultimo tratto a piedi, incominciò a

ripensare a quand'era poco più che un bambino:


“Quante forti emozioni e timori... vissuti dentro un grembiule blu, con un

fiocco bianco stretto al collo... E tutta l'ansia generata dai turbamenti per quel

fatidico, primo giorno...”


Ora, invece, lo stesso evento si distingueva dalla routine quotidiana solo

perché sanciva l'inizio di una rinnovata stagione di noia e, tutto sommato,

l'aspetto meno pesante era, se non altro, il rivedere qualche vecchio

compagno di classe, complice di tante goliardie e mancate presenze.


Fuori della cancellata dell'edificio scolastico c'era un folto gruppo di studenti

a sorreggere uno striscione, scritto a mano con dello spray rosso:


COMPAGNO VALERIO NON SEI MORTO INVANO!


“Cazzo! Qui è successo qualcosa di grosso...” realizzò intimorito. Poi,

avvicinandosi ad alcuni compagni che parlottavano ai margini della folla,

sentì dire da un ragazzo:


“Lo hanno ammazzato come un cane, aspettandolo sotto casa!”


“Infami, la pagheranno cara!” aggiunse un'altra ragazza.


“Compagni! - esordì la voce di un megafono - un momento di calma, stiamo

trattando con i docenti per aprire le palestre ed indire un'assemblea

straordinaria di coordinamento con gli altri istituti.”


In quest'andirivieni di chiacchierii ed annunci, Lorenzo si fece strada verso

l'entrata, dove alcuni compagni del collettivo studentesco erano intenti a

parlare con Carmela, la sua professoressa di filosofia: una neodocente

sessantottina e sempre in prima linea. Aveva capelli crespi ed arruffati,

indossava sempre il suo solito giubbetto corto, che le arrivava a malapena in

vita, ed era una simpatica Mafalda logorroica ed affettuosa; come lo rivide,

gli andò subito incontro:


“Lorenzo! Come stai? Mannaggia... quest'anno ripeti, ma hai visto che è

successo? Vieni, vieni dentro che tra poco iniziamo l'assemblea.”


Gli ambienti adibiti a palestre si gremirono di gente e Rodolfo, leader del

collettivo, dopo aver montato e verificato un microfono collegato ad un

103

Capitolo XVII

amplificatore, cominciò a parlare esordendo in prolissi preamboli:


“Compagni, quest'assemblea non è, purtroppo, una delle tante rivendicazioni

fatte insieme, fianco a fianco, l'uno con altro. Compagni e compagne, nella

misura in cui le nostre voci, le nostre battaglie, proprio nello stare sempre

tutti insieme, uniti, qui, ma anche altrove, tra gli operai in cassa integrazione,

i poveri, gli sfruttati... Abbiamo tutti visto crescere, giorno dopo giorno, la

nostra rivoluzione, ma qualcuno ha sparato tra di noi... Fascisti! Borghesi!

Clero e polizia! Attenti! Oggi più che mai noi siamo prima di tutto partigiani

e antifascisti! Oggi più che mai ve la faremo pagare! Compagno Valerio, non

sei morto invano: pagherete caro! Pagherete tutto!...”


“Compagni... - esordì un'altra voce, quella di Michela, interrompendo

Rodolfo - Compagni, vengo dal coordinamento, in segreteria, siamo in

contatto telefonico con gli altri istituti riuniti in assemblea per deliberare una

risposta chiara ed unitaria a quest'ennesimo atto d'infamia. Vi prego, pertanto,

di non fare com'è capitato più volte in altre assemblee e cioè di uscirvene a

chiacchierare per fare i cazzi vostri. L'impegno, specialmente in queste

circostanze, inizia dalla vostra stessa presenza: Lotta dura! Senza paura!”


“Per intervenire, tutti i compagni facciano il giro dall'altra parte...” precisò

Rodolfo, gesticolando nel coordinarne il flusso. Intervenne quindi Debora,

una compagna della sezione D, brandiva, disinvolta, un mattutino spinello

nella mano destra, sopra un tono di voce pastoso:


“Compagni, hanno ucciso Valerio... cioè, hanno sparato sopra un altro nostro

sogno. I nostri sogni sono le nostre idee, le nostre lotte...Compagni, non

hanno colpito solo Valerio ma tutti noi. Valerio è vivo e lotta insieme a noi,

saremo sempre e comunque uniti, per ogni compagno che muore ce ne sono

altri cento pronti a fare la rivoluzione!”


Lorenzo, acquattatosi in un angolo, era stato avvicinato da Mirko, il suo

vecchio compagno di banco. Oltre a divorare musica, come lui, era anche un

inguaribile ciarliero e, benché Lorenzo si mostrasse attento e silenzioso,

continuava a bisbigliare a ruota libera sulla scorsa estate e su tutta la febbre

new wave che lo aveva fagocitato. Aveva perso la testa per Reggatta de

blanc dei Police ma raccomandava, come geniali e non perdibili, altri nomi di

nuovi gruppi; insistette molto sui Simple Minds ed i B 52's, un gruppo che

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Capitolo XVII

portava il nome dei celeberrimi, e mai tramontati, bombardieri americani.


Dopo qualche ora d'estenuanti interventi, nonostante i molti richiami ribaditi

al microfono, tutto l'ampio stanzone produceva un'unica eco di parlottii dei

singoli gruppetti formatisi. In quest'assordante confusione, si arrivò,

finalmente, ad una votazione per alzata di mano, per decidere se rinviare

all'indomani la manifestazione generale di protesta. Il responso fu quasi del

tutto unanime, lì come altrove, nell'optare per questa soluzione. Sebbene

l'emozione collettiva avesse voluto una pronta reazione, prevalse la ragione

organizzativa, che soltanto il giorno dopo avrebbe colto l'obiettivo di essere

unitaria e massiccia.


In pochi minuti la palestra si svuotò completamente; alcuni si soffermarono

di nuovo a confabulare fuori della cancellata della scuola e Lorenzo ne

approfittò per anticipare il suo rientro in casa. Anche Carmela, con quella sua

aria distratta e trasognata, entrò in fibrillazione per delle faccende urgenti da

ultimare, salutò tutti e si ritrovò nell'autobus con Lorenzo. Qui gli accennò

che era per via di sua madre, una donna anziana e con problemi di salute, poi

si raccomandò con lui, gli rammentò che ci si sarebbe visti tutti, come

d'accordo, a San Lorenzo, all'appuntamento sancito per il concentramento del

corteo.


Fu così che, in questo brillante esordio di primo giorno di scuola, Lorenzo si

ritrovò di nuovo sotto casa prima di mezzogiorno. Entrando, sbirciò nella

cassetta postale dove intravide una lettera che sfilò alla sua maniera, ovvero

senza chiave, facendola saltar fuori con la leva di una matita. Il mittente,

scritto in corsivo, era inequivocabile:


Gloria Simoni


Via U. Baroni, 3


Ateleta (L'Aquila)


“Cazzo! Questa qui mi ha anche scritto... e adesso che vuole?” pensò Lorenzo

risalendo le scale mentre, impaziente, apriva la busta per leggerne subito il

contenuto:


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Capitolo XVII

Caro Lorenzo,


è una settimana che sei partito senza dirmi nulla, neppure un

saluto ed io sono qui, rinchiusa in casa, a domandarmi ancora

un perché, inebetita. Parlo poco con i miei, ultimamente si sono

accorti che non mangio e sono spesso assente. Poi, lo sai come

corrono le voci in paese... L'altra sera mia madre mi ha chiesto

di te. Voleva sapere che intenzioni avevi, io sono scoppiata a

piangere senza dire niente. Mio padre è arrivato in cucina

tonante, chiedendomi se sei un poco di buono...Io, a quel punto,

mi sono fatta coraggio e gli ho detto di no, che non sei così e

che avrebbe fatto meglio a lasciarmi in pace. Ti chiedo solo di

farti vivo, di darmi una ragione, un semplice motivo... Io mi

sono solo lasciata andare amandoti e tu, adesso, sei presente in

tutti i miei pensieri.


Ti amo... Gloria


Mentre Lorenzo si soffermava, attonito, su quelle ultime parole, ecco

fuoriuscire dalla busta un imprevisto allegato: un piccolo cuore di cartone

dipinto con un pennarello rosso e sopra, fissata con del nastro adesivo

trasparente, una bionda ciocca dei suoi capelli. S'intenerì e, taciturno, senza

neppure salutare la madre, si diresse subito in camera. Di fronte a quelle

semplici, ma autentiche e dirette parole, si ritirò, introspettivo, nel baratro di

una malinconia frammista a presunti sensi di colpa.


A rompere questo raccoglimento provvide il solito telefono. Squillò in

concomitanza con il pranzo, annunciato dalla sigla del telegiornale, di prassi

sparata dalla madre a tutto volume per richiamare l'attenzione del figlio.


“Sì... pronto.”


“Lorenzo! Sono Lucia, sei sparito o tua madre non ti dice mai quando ti

chiamo?”


106

Capitolo XVII

“Ma... ma tu da dove salti fuori, sono passati mesi, non giorni...”


“Guarda che è da un pezzo che sono a Roma e provo inutilmente a chiamarti.

Non ci sei mai, sei sempre fuori e poi ben sapevi che sono tornata; mia madre

mi ha confermato che, giorni fa, hai telefonato mentre ero appena uscita.”


“Tua madre è fredda, formale e cinica e, soprattutto, non impiega più di una

manciata di secondi a liquidarti senza troppe spiegazioni...” proseguì

Lorenzo.


“Guarda che mia madre ha ancora il buon gusto di dirmi chi ha chiamato;

dubito invece della tua che ogni volta che provo a cercarti mi risponde non

solo scocciata ma anche insolente. L'ultima volta non me la posso scordare,

me la sono legata al dito, ha detto se non avevo nient'altro di meglio da fare

che continuare ad importunarla, ti rendi conto? Ecco cosa mi ha detto!” tuonò

Lucia.


“Ok... non è colpa mia se è tanto scorbutica” moderò Lorenzo, ben

consapevole dei modi di fare della madre, mentre, proprio in quel momento,

giungevano stridenti urla dalla cucina:


“È pronto! E basta con quel telefono...!”


Il tempo stringeva e Lorenzo, in tutta fretta, si adoperò per concludere nel

migliore dei modi quella conversazione:


“Hai sentito? È già lì che strilla... vediamoci e parliamone, anche domani...

Tu che fai?”


“Hai saputo del compagno che è stato ucciso?” chiese a sua volta Lucia.


“Sì, oggi a scuola ma... è vero! Domani c'è la manifestazione, tu che fai, ci

vai?”


“Beh... vista la situazione, pensavo proprio di sì” precisò Lucia.


“Sembra anche a me doveroso - concordò Lorenzo - Senti, facciamo così,

vediamoci mezz'ora prima del concentramento davanti la casa dello studente,

in via Cesare de Lollis, per te va bene?”


“Per me è ok - accordò Lucia - ma ora vai, prima che succeda un'altra

tragedia con tua madre.”


“A domani, ciao” si congedò Lorenzo, agganciando l'apparecchio, per poi

precipitarsi a mangiare in cucina.


Una volta giunto dinanzi al proprio piatto, si sentì un nodo in gola, una

107

Capitolo XVII

raffica d'inaspettati eventi lo aveva travolto mettendogli lo stomaco in

subbuglio. Si scusò, quindi, con la madre, che continuò ad inveire contro il

suo disordine di vita, tornando a rifugiarsi dentro la sua stanza.


Non aveva avuto neppure il tempo di focalizzare quelle sofferte parole scritte

da Gloria che, più che mai irrisolta, gli ripiombava addosso la relazione con

Lucia. In questo stato di romantico torpore, si approssimò al suo giradischi,

occulto oracolo di tante emozioni, e, dopo averlo per un po' rimirato, protese

la sua mano su un ripiano della libreria, per estrarre un disco. Era un elleppì

dimenticato a causa della rigida purezza dell'impegno politico-musicale che,

via via, si affermava sempre di più. Si trattava di un album dei Pooh dal

titolo: Un po' del nostro tempo migliore, uscito qualche anno prima, nel fiore

di quella sdolcinata adolescenza che aveva contraddistinto anche i quattordici

anni di Lorenzo. Nonostante ora ne avesse diciassette, era lì, che risuonava

ancora, a sancire un tempo inalterato, mai del tutto andato...


Mentre il pomeriggio scorreva via, tra queste note, trillò nuovamente il

telefono nella stanza e Lorenzo lo afferrò emettendo un ansioso:


“Pronto...”


“Prabhù, hai saputo del casino anche tu? Hanno ammazzato Valerio, un

compagno, a Monte Sacro...”


“Sì, lo so... sei sempre tu... e chi poteva essere?” commentò Lorenzo

riconoscendo Walter.


“Prabhù! Al corteo insieme andremo suppergiù, che ne dici tu...? A

proposito, ti cercava come una disperata Lucia. Io, chiaramente, le ho detto

che anche tu stavi cercando lei. Insomma, ci vediamo lì, domani, tutti

insieme...”


“Ma... tu che c'entri? Insomma, ti ha detto lei dove ci si vede?” chiese

Lorenzo.


“Che paranoia! Ma è un corteo, non un concorso a coppie...” chiarì subito

Walter.


“Ok, va bene, non ho voglia di stare a discutere - tagliò corto Lorenzo

insofferente - fai come ti pare, ci si vede domani alla manifestazione, ciao.”


108

Capitolo XVII

CAPITOLO XVIII


La manifestazione

Il mattino seguente Lorenzo si destò più spossato di quanto non lo fosse il

giorno precedente; era prossima l'ora che scandiva il suo importante

appuntamento con Lucia, non ci aveva dormito tutta la notte, e, giunto il

fatidico momento, sembravano venirgli meno le forze per sollevarsi. Aveva

trascorso tutto il pomeriggio e buona parte della sera a fianco del suo

giradischi, si era concesso una sola breve pausa davanti al TG delle otto, dove

accertò particolari e circostanze sul brutale omicidio di Valerio. Poi,

sdraiandosi ancora vestito sul divano, lasciò andare la radio in sottofondo per

tutta la notte. Ascoltò dapprima le consuete trasmissioni serali di Supersonic

e Popoff, quindi tutte quelle surreali programmazioni, fatte di prosa, memorie

e canzoni, che viaggiavano sulle frequenze del notturno del secondo canale.

Le calde note delle cover di Santo & Johnny si alternavano a vecchi successi

di Sonny & Cher, Golden Grass e Moody Blues; giungeva poi la voce di

Carmelo Bene, a suggellare la notte in un breve e travolgente recitativo per

continuare con le melodie italiane: Ragazzo triste di Patty Pravo,

L'importante è finire di Mina, Il mio canto libero di Lucio Battisti...


Era evidente che, quella mattina, Lorenzo fosse ben motivato e, dopo aver a

lungo indugiato, sgattaiolò dal letto in pochi istanti, giusto in tempo per

prendere il tram in corsa. Giunse, in ogni caso, leggermente in ritardo e col

fiatone, davanti alla casa dello studente. Vi si aggirò, innervosito, avanti e

indietro, nell'ansia di vedere qualcuno. Non c'erano né Lucia né l'invadente

Walter.


“Saranno arrivati tutti e due puntuali allontanandosi insieme...?” dubitò

subito un po' allarmato.


“Ehi, Lorenzo!” nel frattempo berciò Lucia alle sue spalle; lui si voltò di

109

scatto e, vedendola, tirò fuori un grosso sospiro di sollievo. L'istinto di

riabbracciarsi fu reciproco ed immediato, tanto da soppiantare ogni possibile

tentativo di chiarimento che sarebbe, fatalmente, sfociato nelle consuete

polemiche. In un secondo momento, quando Lorenzo restò ad osservarla

meglio, si rese conto che aveva occhi assenti e marcatamente cerchiati. Il suo

volto aveva assunto tonalità di un pallore lunare in un complessivo

dimagrimento e, nonostante il tipico tepore delle ottobrate romane, lei

continuava, di tanto in tanto, a tremare.


“Ti trovo giù, non si direbbe che tu stia troppo bene...” si limitò, preoccupato,

a commentare; poi, colto da sinistra illuminazione, aggiunse: “Non mi dire

che gli hai dato sotto... che ti stai buttando giù ancora quella merda dentro le

vene... Ma sì, che scemo, mi ero illuso che per te, come per me, l'ultima volta

insieme fosse stata solo un'estrema e momentanea soluzione per sedare il

forte dolore. Ma non è così, probabilmente in paradiso c'eri già stata molte

volte e, adesso, ti ritrovi all'inferno con tanto di scimmia... Cristo! Che ti

posso fare io?”


Lucia rimase in silenzio, mentre Lorenzo seguitava a fissarla negli occhi,

finché sopraggiunse baldanzoso Walter, a rompere, inopportuno,

quell'atmosfera. Dopo qualche precipitosa battuta delle sue, fu colpito anche

lui dall'aspetto poco florido di Lucia, ma non disse nulla per evitare di turbare

la suscettibilità di entrambi.


Considerata l'ora, si diressero in direzione del concentramento per il corteo,

dove andava radunandosi un'imponente folla.


Sventolavano qua e là vessilli rossi con falce e martello ed altri con

l'intramontabile immagine sagomata de El Che; c'erano anche le bandiere

rosso-nere dei coordinamenti anarchici e il solito gruppetto dei militanti di

Democrazia Proletaria. Quest'ultimo, all'epoca, era considerato qualcosa di

eretico in seno al movimento poiché, in effetti, si distingueva dalla sinistra

cosiddetta extraparlamentare per il fatto che era solito presentare liste alle

scadenze elettorali. Quella che oggi potrebbe sembrare una sfumatura, un

tempo significò una profonda diversità di strategia in campo.


Quando i vari gruppi, con striscioni e megafoni, si posizionarono schierati, si

mosse il corteo scandendo duri e taglienti slogan. Lorenzo, Walter e Lucia,

110

Capitolo XVIII

dopo qualche tentennamento, decisero di prendere posizione nel troncone che

faceva riferimento al collettivo politico della scuola di Lorenzo. Sul lato

destro, in prima fila, a sorreggere lo striscione, c'era Carmela con grinta e

rabbia tipiche di una ragazzina.


“Fascisti, carogne, tornate nelle fogne!” cadenzava Rodolfo dal suo

megafono a piena voce.


“L'aumento di benzina, non ci farà paura, ne compreremo poca, ma la

useremo bene!” attaccò di seguito Debora e poi, battendo le mani, tutti tesero

il braccio puntando le tre dita a simboleggiare l'icona della P38 con un solo,

travolgente, ritmo:


“Pio-m-bo!!!... Pio-m-bo!!!... Pio-m-bo!!!...”


Rodolfo, subito dopo, iniziò a cantare quello che, un tempo, era divenuto per

tutti un comune inno, ovvero El Pueblo degli Inti Illimani, ed in pochi istanti

migliaia di persone si ritrovarono insieme ad intonare:


“El pueblo, unido, jamas serà vencido!...”


Mentre il corteo avanzava, giungeva notizia, nel tamtam di voci, che un

gruppetto si era distaccato prendendo d'assalto la sezione dei missini di

piazza Bologna. Ben presto, con una pioggia di lacrimogeni sparati dai

blindati della polizia, fu impedito ai manifestanti di proseguire oltre in quella

direzione. I compagni, a quel punto, ripiegarono indietro riconcentrandosi

nella posizione di partenza. Alcuni autonomi, armati di molotov e coprendosi

con il corteo, diedero fuoco ai veicoli della P.S. parcheggiati sotto la locale

questura di San Lorenzo. La risposta fu esagerata e violenta: furono sparati

proiettili veri, creando il panico generale. Una parte dei dimostranti si rifugiò

all'interno del cimitero del Verano, ingaggiando una dura guerriglia con dei

reparti di celere. Il resto si disperse in fuga attraverso i vicoli del popolare

quartiere, con altri gendarmi pronti a braccarli alle calcagna.


Sono passati più di vent'anni da quei tempi e, rincontrando quelle stesse

persone, non sarebbe difficile incappare tra chi ha fatto carriera in banca o

chi, all'epoca tra i più giovani e nel tempo più coerenti, è divenuto leader di

centri sociali, come pure non mancherebbero convertiti al centro-destra

quanto al centro-sinistra. Quelli più veri, gli idealisti, sono, perlopiù, deceduti

nella logica spietata della violenza politica oppure risucchiati da un altro tipo

111

Capitolo XVIII

di morte, più lenta e silenziosa, ma nondimeno orribile e straziante: quella da

eroina.


Lorenzo, i suoi amici e un altro sparuto gruppetto, rimasero bloccati davanti a

quel finimondo rifugiandosi, come gatti, sotto alcune auto in sosta, nel terrore

delle scariche dei proiettili sventagliati. Stettero lì a lungo, immobili, anche

quando tutto quel pandemonio pareva finalmente finito. Lorenzo aveva

tenuto Lucia tutto il tempo abbracciata a sé, ma, dopo un po' che il peggio

sembrava finito, si rese conto che le già precarie condizioni della ragazza, in

quel turbine di paure ed improvvisi sforzi col cuore in gola, erano peggiorate

e lei era pressoché venuta meno. Il suo pallore era divenuto marmoreo ed

uniforme e, lasciandosi andare a peso morto, restò con gli occhi socchiusi

mentre Lorenzo, trattenendole la mano, si accertò, preoccupato, del ritmo

delle pulsazioni. Walter, resosi conto dello strano armeggiare dell'amico, gli

si fece incontro strisciando carponi.


“Lucia sta male...” rimarcò subito Lorenzo inquieto.


“Cazzo... che smaltita... ci mancava anche questa, qui è un casino: c'è polizia

che rastrella ovunque... Aspetta, prova a farla respirare, ecco... io la tengo

qui... forza!”


Tentarono un'imprecisata sollecitazione ai polmoni e, proprio quando il

panico stava per prendere il sopravvento, Lucia diede segni di reazione con

un profondo respiro interrotto da vari colpi di tosse. Rimasero ancora,

accovacciati in quel posto, una ventina di minuti, quindi, adocchiando il bar

all'angolo che aveva riaperto le saracinesche, s'incamminarono, guardinghi,

trascinando Lucia sottobraccio. Le fecero ingurgitare un'ingente quantità

d'acqua e zucchero coprendola di delicate attenzioni. Ma presto, tornando in

forze, Lucia si sentì fagocitata da tutte quelle premure e, in un atto di

ribellione, si divincolò dalle braccia dei due urlando isterica:


“Piantatela! Adesso mi avete stufato con queste storie... lasciatemi l'aria... ho

bisogno d'aria...” e, così dicendo, si trascinò all'uscita appoggiandosi al muro

ancora mezza stordita. Fu Lorenzo a tentare di riavvicinarla per primo,

spiegandole che non era in grado di tenersi in piedi e che, all'uopo, ci

sarebbero stati loro ad aiutarla per tornare a casa. Solo dopo l'intervento di

Walter e con ulteriori insistenze, dette segni di cedimento acconsentendo con

112

Capitolo XVIII

un cenno del capo.


Il rientro non fu affatto facile, soprattutto quando si trattò di affrontare entrate

ed uscite da un bus all'altro. Lucia, a tratti, ricadeva in un apparente stato di

catalessi e, anche quando riprendeva parzialmente coscienza, ogni suo

movimento si articolava lento ed incerto. Walter, per sua natura indiscreto,

frugò nella tasca della ragazza mentre viaggiavano appesi ai reggimano;

quindi, dopo averlo scrutato con attenzione, mostrò a Lorenzo un tubetto di

pillole semivuoto:


ROIPNOL


“È un potente sonnifero...” spiegò all'amico, deducendo che, con tutta

probabilità, ne avesse ingurgitati diversi insieme. Sulle ragioni di quel gesto

sorvolarono entrambi con sguardo consapevole: era una tossicodipendente.


Dopo le ultime raccomandazioni, lasciando Lucia sotto il portone di casa, sia

Lorenzo che Walter si guardarono a lungo e senza parole prima di decidere di

andarsene; poi, in prossimità della fermata del bus, tra le pieghe di una sottile

malinconia che li aveva visti sopravvissuti ad una guerriglia ma impotenti di

fronte al dramma di Lucia, si salutarono spenti e sottovoce allontanandosi a

testa bassa.


Lorenzo rientrò stremato accasciandosi sul letto; eppure, in quella stanchezza,

non sapeva trovare pace e si dimenava rigirandosi su se stesso... L'amava,

nonostante fosse divenuta poco più di un fantasma, un'ombra annichilita e

senza alcuna consistenza. Si tormentava, sentendosi in qualche modo

vincolato e soprattutto coinvolto, sia pure per una volta sola, in quel suo

protratto, macabro rito. Un incubo, improvviso e oscuro, confuse realtà e

farneticazioni. Qualcosa prese forma tra i suoi pensieri nella suggestione di

una materializzazione: un angelo, pallido e scarno, attraversava il suo corpo a

spada tratta e Lorenzo, terrorizzato, si sollevò di scatto urlando:


“No!!!...”


113

Capitolo XVIII

CAPITOLO XIX


La partita

Sfiancato da una notte agitata, soltanto con le prime luci dell'alba Lorenzo

riuscì ad abbandonarsi all'oramai divenuto indispensabile sonno. Di

conseguenza, saltò un ulteriore giorno di scuola. Sentì solo la lontana eco, nel

primo mattino, di qualche sbraito materno che lo sollecitava ad alzarsi,

continuando a giacere in un agognato, profondo sonno. Rinvenne soltanto più

tardi, a ridosso dell'ora di pranzo, con lo squillo del telefono che,

gradualmente, prese forma da un transfert del suo sogno, ambientato in un

tempio buddista (con tanto di tintinnio di campanellini), nella realtà

inconfutabile dell'apparecchio trillante.


“Pronto...” disse Lorenzo, con raucedine, alzando la cornetta.


“Prabhù, come stai tu...? In una paranoia che non ti dico... peggio de annà a

Monte Libretti co' Pico” esordì Walter, dall'altra parte, citando il comune e

sfigato amico, passato alla memoria collettiva per il precedente capodanno

con palesi, goliardiche implicazioni.


“Vedo che non perdi il tuo spirito di cazzeggio neppure in queste situazioni

ma... ti posso garantire che ieri ho strippato, prima e dopo la manifestazione”

replicò Lorenzo.


“Appunto, abbiamo migliorato il record di paranoie mai realizzato in una sola

giornata e, vista la situazione, pensavo che facesse bene ad entrambi distrarci.

Ho risentito Chicco, quello che veniva al liceo insieme a me, te lo ricordi?

Lui e la sua banda di coatti flashati sempre in prima linea allo stadio, in curva

sud, a vedere la magica... Pensa come stanno! Una favola! Bene, oggi

pomeriggio grande riunione a casa sua per la partita con tanto di raggae party

giallorosso, che te ne pare? Mica male...” propose Walter, chiarendo le sue

intenzioni.


114

“Beh... ma sì, forse hai ragione tu, è proprio il caso di riprendersi un po', ok...

aderisco all'iniziativa, ci vediamo da te?” chiese Lorenzo a conferma.


“Come vuoi tu, Prabhù, considera che la partita incomincia alle quattro, ti

aspetto” rispose Walter congedandosi dall'amico.


Lorenzo, riagganciando il telefono, si diresse subito al bagno per prepararsi

ad uscire. Era una giornata soleggiata, piacevolmente tiepida e, come mise

piede fuori casa, gli parve di riacquistare parte di quella serenità perduta nel

susseguirsi degli ultimi eventi. Di fatto, mentre una certa dose di ottimismo

faceva capolino, nell'imminenza dello spensierato, prossimo raduno

pallonaro, giunse, inattesa, un'ulteriore interferenza. Lorenzo aveva già preso

posto sull'autobus che, ripartendo, traversava il famigliare cavalcavia

adiacente alla sua abitazione e, guardando il solito cartellone pubblicitario

erettovi sopra, sbirciò, incuriosito, immagini e parole del nuovo messaggio

che compariva affisso. Un enorme e terrificante pugno bardato in metallo

sembrava che fuoriuscisse nella prospettiva fotografica. Ricordava quello di

un presunto cavaliere medioevale. Sotto c'era una scritta semplice ed incisiva:


PETRUS: L'AMARISSIMO CHE FA BENISSIMO


Lorenzo restò perplesso da quella visione e, come socchiuse gli occhi,

tornandogli in mente le fattezze di quell'ultimo terrificante angelo (recente

ospite dei suoi sogni), li riaprì di soprassalto fissando, intimorito, il

cartellone.


“Grazie a Dio...” pensò che era tutto in ordine. Il pugno era sempre là, a

garanzia della forza del suo prodotto ma, scorrendo fin sotto, appariva,

misteriosamente, impressa una nuova scritta. Lorenzo si stropicciò gli occhi,

offuscato, poi iniziò a leggerla, ansante, prima che il bus ripartisse con il

relativo semaforo verde:


Senza che l'erma eretta


nascondesse ermafroditismo alcuno,


altrui ermeneutico desiderio,


rinnovasi l'ermetico sigillo


115

Capitolo XIX

mentr'egli ermo riposa.


“Ma... che diavolo sarà mai 'sta roba qua...?” si chiese, esitante, catturando

quelle poche ma ermetiche parole. Seguitò, a questa maniera, tutto il viaggio

ripetendole nella sua mente, senza sosta, alla ricerca di un presunto senso per

poi incominciare a supporre il peggio:


“Che sia qualche oscura premonizione?”


Giunse infine sotto casa di Walter, dove passò a citofonare all'amico che lo

attendeva. Quest'ultimo scese subito (potere del fischietto arbitrale d'inizio);

vedendo Lorenzo, notò, innanzi tutto, un'espressione imbambolata e goffa sul

suo volto.


“Prabhù, suvvia, il peggio è finito e ci andiamo a godere la partita...” esordì

salutandolo.


“Sì, scusami, hai ragione, ho dormito male ma... vedrai che adesso mi

riprendo” rispose Lorenzo avviandosi insieme a lui.


“Caro Prabhù - attaccò Walter, camminando in tutta fretta, con l'amico al

seguito - Entra in questa casa, nella quale è Osiride, chiudi la bocca di ogni

rettile maschio e femmina, di ogni scorpione e serpente... Che non entrino in

questa casa in cui è Osiride!”


“Adesso non ti ci mettere anche tu... ne ho abbastanza di conoscenze

ermetiche per oggi...” commentò, a sua volta, Lorenzo, mentre giungevano

sotto il portone di casa di Chicco.


Arrivarono col fiatone, giusto in tempo per non perdersi la prima azione: un

affondo sulla fascia laterale di Bruno Conti per “il mitico” bomber Pruzzo. I

saluti con gli altri amici di Chicco, presenti nel gruppetto dei teletifosi,

potevano anche attendere; c'era, anzitutto, da condividere un'unanime

emozione: quella della partita. Come da programma, musica reggae a volume

sostenuto copriva il noioso e didascalico commento sportivo:


“Noi, er commento della magica, se lo famo da soli” chiarì subito Luca, uno

della comitiva. Primeggiava, naturalmente, la voce di Bob Marley, ma

Lorenzo intravide anche altre cassette, accumulate in disordine nei pressi del

riproduttore. Adocchiò nastri dell'altrettanto famoso Peter Tosh ma anche

registrazioni di gruppi come i Burning Speak e gli Steel Pulse, tutti

116

Capitolo XIX

provenienti dalla piccola, ma già prolifica, isola della Giamaica. Sul tavolo,

insieme ai soliti popcorn e patatine, tra gli spuntini cui attingere, si notava, in

bella vista, un cartoccio di giornale aperto contenente dell'erba essiccata con

tutto il relativo arbusto. Erano trascorsi solo una decina di minuti dall'inizio

della partita e, mentre la Roma produceva un'altra strabiliante azione

andando, nel delirio generale, a colpire un palo, Lorenzo ebbe

un'illuminazione nel vedere quell'abbondante malloppo di ganja a

disposizione. Si avvicinò a Walter e gli propose:


“Ehi! Che ne dici, viste le scorte presenti, se proviamo a fare quella storia del

bang galattico, ti ricordi ancora della ricetta nell'inserto di Muzak?”


“Prabhù - replicò Walter continuando - me la ricordo bene e non solo...

dimentichi, forse, che sono stato in India...? E pensa che lì non usano neppure

il frullatore. Tutto genuino e fatto a mano, battuto nella dura pietra per solo

una manciata di rupie! Che meraviglia...!”


La ricetta in questione consisteva nel preparare un infuso di marijuana che, in

seguito, veniva miscelato con del latte, qualche mandorla, dei semi di cumino

ed altre spezie ottenendo una bevanda ad alto potenziale psichedelico. Fu così

che, senza neppure pensare di chiedere altri inutili consensi a chi, assorto

altrove, neppure gli avrebbe prestato attenzione, Lorenzo si attrezzò, per

quanto possibile, recandosi nella cucina. Nel momento in cui era in procinto

di varcarne la soglia, ebbe un soprassalto nell'improvviso boato:


“Goal!!!…” Era “la magica” che aveva segnato.


Walter si mise ad urlare come un ragazzino, con la bandiera in mano

traversava, saltellando in un andirivieni, tutto il corridoio mentre, dalla stanza

col televisore, sopraggiungevano altre grida frammiste allo stridere di trombe

e fischietti. Lorenzo, in un sorriso, ritrovò ancora un po' di buonumore

recentemente smarrito. Finì per ritrovarsi con Walter, assetato, che dava

l'assalto al frigo e Chicco al suo seguito per contenerlo.


“Ehi, Walter! Non fare come al tuo solito... che mi svaligi il frigo.”


“Ma va'... sto solo bevendo” si giustificò Walter rivolgendosi all'amico.


“Vedo che si preparano centrifughe...” sottolineò Chicco notando Lorenzo

armeggiare con l'elettrodomestico in mano.


“Bang galattico - precisò subito Walter - una bomba! Lui è uno specialista, ha

117

Capitolo XIX

sempre ripassato la ricetta a memoria senza mai avere sufficiente erba per

farlo; vedrai, tra poco, che ne salterà fuori...”


Una volta versato nei bicchieri, appariva come un ordinario frullato alla

frutta. Lorenzo, recuperando quanti ingredienti a disposizione, cercò di essere

il più fedele possibile all'antica ricetta tradizionale. Non indugiò, con

l'occasione, a recidere una rosa da un vaso per tritarla, insieme a tutto il resto,

dentro la centrifuga. La colorazione, a questo modo, assunse una tonalità

tenue e più gradevole alla vista. Ne consumarono un bicchiere ciascuno e si

approssimarono al gruppo davanti alla TV. Scorrevano ancora, suggestive, le

immagini del match d'incontro; gli avversari, esibendo il loro orgoglio,

reagivano trattenendo di più la palla in lunghe azioni nella tre quarti

avversaria. Fabio, uno dei ragazzi, era lì che se la prendeva con Liedholm,

l'allenatore, colpevole, a suo giudizio, di un'eccessiva tattica di contenimento.

Andrea, un altro dei presenti, disse che, se continuavano a giocare in quel

modo, non avrebbe più visto una partita di coppa limitandosi ai soli

commenti di campionato con Lamberto Giorgi, prima donna su TVR

Voxson.


Nel progresso tecnologico, attraverso i primi mondiali a colori, gli anni

Settanta coronarono il già consolidato matrimonio tra calcio e televisione. Da

Novantesimo minuto alla Domenica sportiva, ogni commento era già

divenuto, di per sé, un evento; le sigle li avrebbero per sempre legati alla

nostra storia. Dall'energica One of these days alle sonorità di Piero Umiliani,

riascoltandole sono, a pieno titolo, parte di una comune memoria.


Walter, finalmente placato, assunse un'aria ipnotizzata, fino ad assopirsi

poggiato addosso al muro. Il secondo tempo era da poco iniziato e la Roma,

nelle prime battute, pareva voler ridare vigore alla partita. Chicco, sempre più

prossimo allo schermo, a cavalcioni sulla sedia posizionata al contrario e coi

gomiti poggiati sullo schienale, si sorreggeva la testa con la bocca aperta.


All'improvviso, Di Bartolomei, in una mischia nell'area avversaria, intercettò

la palla e la calciò in rete:


“Goal!!!…” tuonò ancora la sala, al pari del vicinato, in un comune orgasmo.


Lorenzo, seduto in un angolo a gambe incrociate, contemplava lo schermo

rapito; mentre fissava le immagini, sentì fluire, dentro di sé, un'estatica

118

Capitolo XIX

trasmigrazione fintantoché, spossato, finì per accasciarsi anche lui, nel lato

opposto della parete, di fronte al suo amico.


119

Capitolo XIX

CAPITOLO XX


L'arresto di Lucia

Dopo l'abbuffata di calcio condita alle erbe, Lorenzo, quasi sempre, seguitava

a mostrare un broncio malinconico e pensieroso. A scuola, al di là di ogni

consueto assenteismo e scarso profitto, qualche professore notò questo suo

protratto abbandono, richiamandolo più volte. Il giorno dopo la partita, aveva

provato a richiamare Lucia, tentando almeno due o tre volte, senza avere

alcuna risposta. Era caduto in un turbamento costante e indefinito tanto che,

anche quel tardo pomeriggio, dopo aver tentato inutilmente di studiare, si era

di nuovo lasciato andare, sdraiato sul letto, avvolto tra i suoi pensieri.


Aveva lo sguardo fisso, in alto: proiettato sul soffitto, dove si alternavano,

casualmente, sequenze della sua vita in un depresso disordine. Comparivano

spesso le sembianze di Lucia impresse sopra altri eventi e Lorenzo pareva

aver perso le misure di ogni singolo avvenimento. La carta di una caramella

trattenuta per qualche minuto in mano, tanto per giocarci, diveniva,

all'improvviso, un dettaglio smisuratamente importante.


“Dio! Che confusione... Non conosco ancora la pazzia, ma ho la sensazione

di poterla concretamente palpare da un momento all'altro... Non è altro che

un malintenzionato balordo pronto a valicare la soglia di questa stanza...”

pensò, ad un tratto, folgorato dall'istinto della paura in una dubbia ragione.

Visse di nuovo alcuni tratti delle inquietanti pagine di una lettura passatagli

dalla stessa Lucia: conducevano verso La follia in testa di Violette Leduc;

quindi, sollevando di scatto il busto, diresse lo sguardo verso il braccio

tremolante che sosteneva il corpo:


“Angelo!... Angelo del cazzo! Chi sei tu? Vieni fuori e parlami

chiaramente...” gridò delirante per poi, azzittendosi, continuare, più

introspettivo, tra l'affastellarsi di altri pensieri: “... Da bambino pregavo

120

spesso, a mani giunte, tutte le sere, quello che mi spiegarono essere il mio

angelo custode, pronto a vegliare allorquando mi abbandonavo nel sonno; ero

pacificato idealizzando la sua esistenza con la mia sola immaginazione. Lui

era un magnifico cherubino con tanto di boccoli d'oro, una trasposizione che,

probabilmente, altro non è che il frutto di una qualche illustrazione

rinascimentale rapita da un opuscolo di catechesi. Ma ora... è tutto diverso...

quelle allucinazioni, Dio! Io le ho avute davvero, com'è possibile? Che sia un

angelo decaduto e menzognero? No, non è così... è stato sempre e solo tutto

frutto della mia mente. Se continuo così, in alternativa alla schizofrenia,

potrei anche finire col divenire un prete... In pratica adulto, quasi diciottenne,

da sei anni incredulo che non mette più piede in chiesa... e mi ritrovo a fare di

questi ragionamenti...” Giunse, a quel punto, distraendolo dai suoi pensieri,

l'inconfondibile e cadenzato squillo del telefono.


“Pronto...” mormorò Lorenzo, con un filo di voce in gola, afferrando la

cornetta dell'apparecchio.


“Lorenzo... sei tu?” chiese Giorgio.


“Sì.”


“Ehi... hai una voce che ha superato la soglia critica della media della tua

depressione, che diavolo ti sta succedendo? Non mi dire che è ancora per via

di Lucia... L'altro ieri ho risentito Francesca, mi ha detto che vi siete visti e ti

trova davvero in gamba, è mai possibile che tu non riesca a pensare ad altro?”

commentò Giorgio dall'altra parte.


“Senti... ti prego, smettila di parlare di Lucia” rispose Lorenzo affranto ma

determinato.


“Siamo alle solite... sto sempre e solo cercando di aiutarti, credimi, ti ricordi

quando ci siamo ritrovati in piazza dopo il festival? Beh, già allora portavi

impressi negli occhi turbamento e sofferenza e poi... non ti si poteva neppure

accennare a lei che ti mostravi subito imbarazzato e sospettoso.”


“Sì, me lo ricordo bene - replicò più incisivo Lorenzo - Infatti, il giorno

seguente, ci siamo visti a casa tua e, guarda caso, nevicava... te lo ricordi

ancora, vero?”


“Cosa vorresti insinuare? Guarda che, quella volta, non abbiamo fatto altro

che condividere una piacevole e rilassante esperienza tutti insieme e il primo

121

Capitolo XX

giovamento lo hai avuto proprio tu, distraendoti il cervello con Maria. Io non

ho mai avuto nulla a che fare con i tossici, forse ti stai sbagliando con

qualcun altro...” precisò Giorgio.


“Vuoi dirmi, allora, che tu non ne sapevi niente che Lucia sarebbe finita per

farsi le pere?” insistette Lorenzo.


“Senti, io Lucia la conosco da non molto tempo prima di te e resta beninteso

che non ci sono mai né andato a letto né, tanto meno, mi ci sono bucato

insieme; posso soltanto dirti che mi è sempre sembrata una ragazza difficile

e... con qualche strana compagnia di troppo” specificò Giorgio.


“Cosa vuoi dire? Sii chiaro se sai qualcosa” continuò sempre più deciso

Lorenzo, in un atteggiamento che neppure lui avrebbe osato pensare di

contrapporre al suo interlocutore.


“Non dirmi che non sai nulla di Pierre... e rifletti, prima di prendertela con

chi ti sta chiamando per esserti in qualche modo vicino. Credi che se avessi

avuto la coscienza sporca starei qui a cercarti per darti delle spiegazioni?”

sottolineò Giorgio.


“Sì, hai ragione anche tu, ma... Hai visto com'è ridotta Lucia? Dio! Non

riesco ancora a crederci, lo sapevo che quel pezzo di merda del francese le

avrebbe fatto del male, me lo sentivo dentro, sin dall'inizio, ma ero

impotente, frainteso nel borghese e abietto sentimento del possesso e della

gelosia...” commentò amareggiato Lorenzo.


“Dai! Non prenderla così, tu non hai nessuna colpa se non quella di volerle

bene come neppure merita; credimi, non è giusto che continui a tormentarti in

questa storia. Devi tornare a vivere, uscire, distrarti e pensare ad altro. Vedi, a

dirti il vero, ti chiamavo anche per darti una spiacevole notizia, comunque

nulla d'irreparabile, quindi ti prego di non agitarti ed ascoltami: Lucia e

Pierre sono stati arrestati per una rapina in una gioielleria a Trastevere. Eh,

sì... stavolta l'hanno combinata grossa. Lorenzo... Lorenzo! Ehi, stammi a

sentire! Non fare così, non piangere. Ma sì, fallo pure... è liberatorio, dopo ti

sentirai senz'altro meglio. Vedi, quella che ora ti sembra un'irreparabile

disgrazia potrebbe essere una fortuna per lei. Cerca di capire, ogni giorno in

più che fosse rimasta libera non avrebbe potuto che farsi ancora più male e

poi... vedrai, i giudici se la prenderanno sicuramente con Pierre che è molto

122

Capitolo XX

più grande di lei. Insomma, non fare cazzate e stattene tranquillo perché,

purtroppo, solo in questo modo Lucia si è salvata dal peggio” spiegò

finalmente Giorgio, liberandosi del peso di averlo informato su quanto

accaduto.


“Ora capisco... non rispondeva più... era sparita” continuò singhiozzando

Lorenzo e, dopo essersi congedato da Giorgio rassicurandolo, tornò a

sdraiarsi, irrigidito, con lo sguardo fisso sotto quel bianco soffitto attraversato

da venature brunastre, causate dalle sporadiche infiltrazioni d'acqua.

Percorreva, lentamente, con la sola pupilla, l'ondulato motivo formatosi sino

a soffermarsi laddove l'umidità era presente con maggiore insistenza, sopra

verdognole, punteggiate muffe.


Nel delirio di una dolcezza cesellata da un'opprimente malinconia, così come

si sentiva pervaso nell'animo, quei puntini iniziarono a fluttuare,

gradualmente, fino a raggiungere, in velocità, lo stesso effetto visivo prodotto

dall'avvicendarsi dei fotogrammi.


Comparve il martirio: quello più intriso di sangue, con il costato ovunque

sanguinante e trafitto da taglienti frecce. Lorenzo, immobilizzato, diede

consistenza a quell'immagine straziante trasponendola dalle morbose ed

ossessive pagine di Mishima nelle sue Confessioni di una maschera. Vi

risuonava dentro tutto l'ardente e drammatico fuoco di Hey Joe interpretata

da Hendrix per poi svanire, in una lenta e sempre più opaca dissolvenza,

accompagnato dalle note di Summertime interpretata con la grinta maledetta

della voce di Janis Joplin. Fuoriuscirono, quindi, pensieri in un vortice bianco

ed accecante, suggellando, nella riflessione, la sofferta iniziazione al dolore:


“Siamo un ammasso di cellule in movimento, in parte rigenerate, altre in

putrefazione, agglomerati organici che, nell'atto estremo dell'istinto di

preservazione, si scindono nella forma più semplice e pura dell'elemento...

Giungerà, e per tutti, un tempo in cui ogni profumazione sarà superflua, in

quanto cesseremo naturalmente di emettere cattivi odori...”


Mentre i suoi pensieri ruotavano cupi, da un lato, oltre la finestra, tutta la

stanza si colorava del variopinto imbrunire della sera. Dalle serrande,

socchiuse tanto da lasciare ampie scanalature lungo i listelli, s'insinuavano

luci proiettandosi in giochi d'ombre lungo i muri. Si udivano, costanti, i

123

Capitolo XX

rumori del traffico che scandivano, sincronizzati, il passaggio di sagome sulle

pareti. Era tutto un innocente, incantato scorrere che, delicatamente,

riproduceva il mondo esterno dentro la sua camera divenuta asfittica. Per

Lorenzo, aggrovigliato su se stesso, fu una rasserenante, tenera distrazione

che non durò più di venti minuti. Presto fu buio, subentrò un momento di

torpore carpendo via tutte le penombre e quel nulla, inesorabilmente giunto,

prese possesso di tutte le cose. Lorenzo aveva, in quel bagliore, abbandonato

tutta la tensione che gli aveva irrigidito il corpo e, rilassatosi, incominciò a

cullarsi intonando una vecchia nenia popolare:


“Dormi, dormi, bel bambino...”


Scivolò giù una lacrima e continuò imperterrito a cantare tra quest'ultima

languida commozione fintantoché, con il suo anestetico effetto, la cantilena

prevalse liberandolo nel sonno più profondo.


124

Capitolo XX

CAPITOLO XXI


Mimì

Il mattino successivo, Lorenzo era intenzionato a riprendere sane

consuetudini fatte di sveglia, colazione e scuola. Era riuscito ad anticipare

persino la madre che, da buon capitano in ispezione, irrompeva puntuale nella

sua stanza chiamandolo ad alta voce. Per ben cominciare la giornata, inzuppò

la sua brioche nel caffellatte, seduto in poltrona, animandosi con Overnight

sensation di Frank Zappa che girava sul piatto; certo che della buona musica,

con quell'irriverente senso di provocazione del vecchio Frankie, lo avrebbe

ancor più rimesso in sesto.


Dalla finestra, riaperta al nuovo giorno per arieggiare la stanza, un tiepido

sole penetrava l'ambiente rilucendo sulle dorate decorazioni del motivo

floreale impresso sulla carta da parati. La certezza di poter ancora usufruire di

simili giornate era, tuttavia, motivo di rilassanti ozi estivi volti a posticipare

riflessioni e malinconie autunnali. Lorenzo, nonostante i buoni propositi, fu

catturato da quella luce e, una volta uscito, anziché dirigersi verso la scuola,

cambiò istintivamente direzione recandosi alla stazione Ostiense, da dove

partivano quei vecchi trenini della ferrovia del fascio per il Lido. Dentro i

vagoni si respirava ancora il denso profumo del legno invecchiato, così come

accadeva nei pochi tram d'epoca allora circolanti su linee, divenute oramai

storiche, come il 13 ed il 30.


Non resistette alla nostalgica e fuorviante tentazione. Si sedette nel vagone e

s'inebriò di odori che, sorvolando il tempo nella loro stessa consistenza,

restituivano ancora quanto non era mai stato del tutto perduto. Dal finestrino

della carrozza ruotava, indenne, la clessidra dei giorni, mentre il gomito di

Lorenzo, poggiato sul bracciolo, sosteneva con l'avambraccio la testa,

sperduta nei frammenti del paesaggio. Immagini e pensieri sconfinavano,

125

naturalmente, travalicando ogni rammarico per quanto inesorabilmente

andato. Lorenzo, abbandonato ogni pathos, si trasformò in un impassibile

spettatore di se stesso: un'entità astratta ma presente, capace di dilatare o

annullare ogni singolo momento, governando l'implacabile “tic…tac”

scandito dal tempo.


Trascorse la mezz'ora del viaggio come se fosse un solo istante, catapultato in

una meteora che attraversava lunghi anni. Il cartello della stazione del Lido

colse il suo sguardo impreparato e incerto su quale fosse la sua reale

destinazione. Poi, stiracchiandosi, emise un lungo sbadiglio, prima di

approssimarsi in tutta fretta all'uscita. Un altro odore, quello del mare,

stimolò i suoi sensi guidandolo con cadenzati passi, a trarre origini da ogni

tipo di vita...


Puntò diritto al molo, guidato dalla memoria su cui affondavano le radici

della sua infanzia. Si riscoprì bambino, lungo la rotonda, tra il mare, nel

punto dove la terra sembrava venir meno; teneva saldamente stretta la mano

ai suoi genitori. Da lontano, appannato, si scrutava ancora un incerto

orizzonte pronto a suscitare curiosità e fantasie per delle nuove, inesplorate

terre. A lato, in prossimità della riva, alla stregua di un vascello fantasma,

prendeva ancora forma, nitido, quel malandato battello dove sorridenti

s'imbarcavano i bagnanti per brevi escursioni. Era un vecchio peschereccio in

disuso che lentamente accostava sulla spiaggia e, dai megafoni, diffondeva

ovunque le note di Michelle dei Beatles. Uno spicchio di perduto mondo era

rimasto lì, vivo e precario, in una sottile ma percettibile liaison, formando un

ponte ideale tra passato e presente. Sospesi tra la mente e quello stesso

orizzonte, scorrevano, in un traffico caotico, affetti ed emozioni superati da

uno spericolato rimpianto, che improvvisava inopportuni sorpassi a destra.

Mentre Lorenzo se ne stava con lo sguardo fisso per i fatti suoi, poggiato sul

muraglione della rotonda, da dietro qualcuno accennò una richiesta:


“Scusa, mi fai accendere?”


“Ah... sì, ecco!” rispose Lorenzo mentre si voltava tirando fuori l'accendino

dalla tasca. Poi, come osservò meglio quello sconosciuto, avvicinando la

fiamma alla sigaretta, vide un'esile figura androgina. Era un ragazzo con

capelli corti, ossigenati e il suo volto abbondava di una colorazione da

126

Capitolo XXI

fondotinta. Lorenzo lo rimirò curioso ed insospettito. Soffermandosi con lo

sguardo sui suoi occhi, ebbe la sensazione che non solo non nascondessero

alcun pericolo ma, addirittura, che avessero un qualcosa di fraterno stipato

dentro. Erano pupille azzurre e inquietanti come le sue ed intorno, apposte

come una cornice, risaltavano due marcate occhiaie a solcare un confine

ideale, ma ben determinato, tra anima e viso.


“Come ti chiami?” gli chiese Lorenzo prendendo l'iniziativa di un approccio

più confidenziale.


“Beh... io sono Roberto ma... ecco, tutti mi conoscono come Mimì, e tu?”


“Lorenzo... ma spiegami... tu com'è che preferisci essere chiamato?”


“Cosa vuoi? Entrare di colpo nella mia vita? Tanto non c'è nulla da

nascondere... porto un marchio noto a tutti. Roberto, come avrai intuito, è il

mio nome anagrafico. Pare che mio padre, all'epoca, aspettasse entusiasta un

bel maschietto, poi si ammalò, iniziò a bere... picchiava mia madre tutte le

sere e, soprattutto, si ritrovò con un figlio invertito...” chiarì subito lo

sconosciuto interlocutore, senza farsi troppi scrupoli, sputando fuori con

quattro parole un breve e tragico sunto della sua vita.


“Non volevo urtare la tua sensibilità, credimi, non ho nessun pregiudizio sul

tuo vissuto” si giustificò Lorenzo chiarendo le sue intenzioni.


“Tranquillo... non me la sono presa. Non sei mica male tu... intendo dire che,

oltre ad essere carino, sembri bello anche dentro” replicò Roberto.


“Sì... ma meno carine sono state le continue liti tra i miei genitori che si

azzuffavano tutti i giorni” precisò Lorenzo.


“Adesso non metterti a competere sulle disgrazie famigliari, suvvia... cosa

credi... guarda che ti si legge negli occhi che anche tu ne hai passate di

belle!” intervenne Roberto tentando di archiviare in un'immediata, comune

complicità i rispettivi bagagli del primo e più cocente dolore. Quindi, con aria

più risoluta, cercò di prendere in pugno quell'inaspettata situazione invitando

Lorenzo a casa sua. Lo allettò promettendogli che gli avrebbe preparato un

ottimo pranzo ed iniziò subito ad elencarne gli ingredienti: “...dello speck, un

ananas, emmental ed un gustosissimo paté di fegato, ne hai mai mangiato

prima?”


“Ecco... - tentennò Lorenzo - io ti ringrazio, sei veramente gentile ma proprio

127

Capitolo XXI

non sono in vena di fare banchetti. Vedi... i drammi dell'infanzia, per quanto

duri, li ho lasciati alle spalle o così almeno credo, ma, di fatto, ho ben altri

pensieri che mi tormentano in questo momento. Mi è crollato tutto addosso

all'improvviso e, per quanto voglia distogliermi, la mente, puntualmente,

torna a rimuginarvi sopra. Sì, insomma... mi ritrovo con la mia ragazza

tossicodipendente e per di più in galera, ma il guaio vero, probabilmente, è il

fatto che l'amo e soltanto adesso inizio a rendermene conto.”


“Capisco... - mormorò Roberto - hai conosciuto l'amore, ne hai provato le

gioie ma soprattutto i tormenti... Ti sei, senza un perché, legato a qualcuno.

Mimì, invece, non ha più sentimenti, se non quelli dei ricordi. Al mattino,

quando torna stanca morta dopo un'altra notte di lavoro, ha dimostrato ancora

a se stessa di essere donna ma anche di essere sempre più sola... Allora, viene

giù il tormento e l'insonnia in compagnia di qualche disco, per finalmente

commuoversi su tante ferite mai rimarginate. Consumo sempre le stesse note:

quelle di Loredana Bertè, sopravvissute testimoni di un tempo in cui, nel

dolore, anch'io ho conosciuto la più sublime delle illusioni...”


Dopo quelle parole, piombò un silenzio ancora denso delle recenti descrizioni

esternate. Lorenzo seguitò a riflettersi negli occhi del suo interlocutore: erano

due globi lucidi, ricolmi di lacrime trattenute. Vi compariva, socchiuso, lo

scrigno dell'anima nella follia di un'impetuosa primavera: ridestata alla vita,

aveva prontamente asperso il suo seme per scolpire futuri ed indelebili lutti.

Come Lorenzo s'immerse in quell'universo, Mimì iniziò, con tratti offuscati, a

mutare di forma nella sua mente. Prese le fattezze di un angelo, alieno e

decaduto, ma non per questo privo di grazia...


Il mare, dal suo cullarsi pigro e melodico, divenne più cruento nell'infrangersi

contro gli scogli. Le onde crebbero improvvise. Lorenzo e Mimì, colti di

sorpresa da una forte risacca, si ritrovarono pregni di spruzzi d'acqua

salmastra, ma non rabbrividirono oltre, almeno non più di quanto non

avessero già provato stando insieme. La salsedine si confuse con il sapore di

lacrime antiche e, in sottofondo, il sibilo del vento portò con sé le note,

lontane e rarefatte, di Rocket man di Elton John, diffuse in un mistico ardore.

Lorenzo si lasciò andare, in uno stato di trance, baciando repentinamente lo

sconosciuto avventore. Era disceso in quel sepolcro dove immerse la lingua

128

Capitolo XXI

con un impeto tale che rasentò la violenza; ne sfiorò il fondo per poi ritrarsi

con dolcezza, portandosi dietro ogni tesoro e maledizione. Non stettero

molto, non più di un minuto, ma in quei momenti prese forma, animato, il

fantasma di ogni passata emozione. Lorenzo si distaccò con uno scatto,

bruscamente, mentre Mimì, tendendo un braccio, tentò in qualche modo di

riagguantarlo. Lui rimase impassibile e si voltò incamminandosi sulla strada.

Si diresse verso la stazione, senza più volgersi indietro, sebbene, da lontano,

giungesse ancora la voce di Roberto a richiamarlo:


“Lorenzo!...”


129

Capitolo XXI

CAPITOLO XXII


La morte di Lucia

Nel pomeriggio, dopo aver ripreso il trenino per tornare a Roma, Lorenzo

continuò a crogiolarsi tra contraddittorie e lancinanti sensazioni che avevano,

irrimediabilmente, preso il sopravvento su di lui. Saltò un ulteriore pasto e,

mostrando un broncio scorbutico alla madre, sovvertì pure le sue consuete

abitudini disdegnando il giradischi per una più pigra ed ipnotica televisione

sopra cui scorrevano, inarrestabili, immagini al di fuori del proprio tempo.


La TV, a dire il vero, c'era sempre stata. La generazione di Lorenzo ne aveva

avuto privilegio e condanna fin dalla nascita. Dai tempi di Carosello “e a

letto”, passando per le gemellone Kesler ed il loro ritornello: “Hello,

boys!…Cavalcando tutto l'Illinois…”, Lorenzo, tutto sommato, ne divenne

ben presto saturo. Le sue ultime punte di audience furono coronate nei primi

anni Settanta, tra qualche sceneggiato e documentario. Poi, però, tutte quelle

nuove emittenti locali sorte qua e là non potevano non destare qualche nuovo

interesse.


L'apparecchio, nell'occasione, era sintonizzato sull'emittente romana SPQR

che, con un paio di telecamere improvvisate, riprendeva un grassoccio DJ

pronto a rispondere al telefono per accontentare le richieste dei telespettatori.

La dinamica degli eventi, in definitiva, non era tanto dissimile da quella delle

già numerose radio libere in circolazione. La sigla d'apertura era un brano,

per certo, molto amato dal paffutello che scimmiottava alla consolle. Una

composizione tutt'altro che commerciale, seppure di per sé melodica ed

orecchiabile, intitolata Catherine Parr ed estrapolata dall'album The six wives

of Henry VIII di Rick Wakeman: il buon mago Merlino già tastierista degli

Yes.


Il televisore in casa di Lorenzo era un Philips, in bianco e nero, prodotto nel

130

settantuno e rivestito in legno con un design piuttosto lineare, che tendeva a

sovvertire quello rotondeggiante, tipico dei modelli usciti nel precedente

decennio. La chicca tecnologica, per i tempi, era il telecomando: un semplice

pulsante che, una volta pigiato, non faceva altro che mutare di banda. Si

passava così dal VHF, dove ci si poteva sintonizzare sul primo canale

nazionale, all'UHF per il secondo ma anche per quelli cosiddetti “privati”.

Ragion per cui, volendo selezionare un'altra frequenza, era completamente

inutile. Lorenzo, dopo aver distrattamente seguito l'aitante DJ che

selezionava successi di stagione come If you leave me now dei Chicago,

insieme a Kansas, Boston e quant'altro alla moda e ripetutamente trasmesso

nelle radio, decise di cambiare canale. Si alzò per manovrare la manopola

dell'UHF e, lentamente e con pazienza, si sintonizzò sulla storica emittente

locale GBR. All'epoca non c'era ancora Marta Marzotto ad esibirsi con i suoi

salotti ma, a compensare l'imminente arrivo di una terza rete di stato con TG

regionali, si aveva già a disposizione un notiziario dei principali avvenimenti

di Roma e provincia.


Compariva il consueto viavai di notizie in un telegiornale piuttosto statico,

dove spesso i servizi erano compensati dalle solite immagini d'archivio,

riciclate per l'occasione. E allora, ecco che per introdurre l'ennesima delibera

della regione Lazio, si rivedeva l'abituale ripresa del palazzo in questione, nel

susseguirsi di sorridenti, ordinati impiegati. Venne poi la cronaca e, come

una qualsiasi altra notizia, comparve la foto del documento d'identità di

Lucia. La voce dello speaker era quella di sempre, fredda e determinata nello

scandire informazioni e, soprattutto, quando pronunciò la parola “morte”, non

mostrò neppure un istante di commozione. Ci fu un breve cappello al servizio

dedicatole. Parlarono ancora della rapina associandovi Lucia come una

protagonista. Lei non era altro che una sconosciuta ribelle di cui il mondo

avrebbe potuto fare a meno. Era stata trovata impiccata, nella sua cella,

soltanto il mattino seguente, quando aveva preso servizio, con il primo

controllo di routine, il nuovo turno dei secondini. Era accaduto tutto così,

come se nulla fosse, in un asettico bollettino che rimandava ai risultati di una

disposta autopsia per accertare le cause del decesso. Il suo già flagellato

corpo era stato riposto in un frigo, pronto per essere macellato. A coronare

131

Capitolo XXII

l'evento, il servizio di moda, un'allegra e spensierata passerella ripresa a

piazza di Spagna: il divagare in un'altra realtà dove respirare aria più leggera

e purificarsi da quel sottile e perverso piacere di ascoltare le disgrazie altrui,

di sconosciuti, dove si può persino biasimare quel poveraccio o poco di

buono di turno e, in questo modo, sentirsi più forti sulla pelle di chi non ha

neppure più quella. Infine, con un rapido stacco finale, giunse la pubblicità

con il lungo tormentone dedicato a “la fabbrica di mobili a pochi chilometri

da Roma... dove trovare di tutto e per ogni esigenza”. Offerte speciali erano

previste per le coppie di giovani sposi, ma nessuno aveva pensato di mettere

in promozione un inutile inginocchiatoio, un orpello dove raccogliersi e

pregare in suffragio delle anime perse... Non persistevano altre condizioni,

oltre il dolore, per chi non avrebbe potuto fare altro che immaginare come

sarebbe stata la propria vita a fianco di una compagna per sempre scomparsa.

Come non odiare quella mostruosa scatola che continuava, imperterrita, a

trasmettere orrori confezionati col nastro rosa? Lorenzo, incapace di trovare

un'altra soluzione per porre fine a quell'abominevole vilipendio, reagì

d'impeto, scagliando la bottiglia di birra contro lo schermo che esplose in un

unico, forte boato. Il telecomando non prevedeva ancora la funzione di switch

off e, anche se non proprio solo a causa di questo, fu commesso un autentico

telecidio in diretta: il reality, in fondo, c'è sempre stato. Chi l'ha visto?


Vacillava, nella testa di Lorenzo, un dolce senso di vuoto dove, nel caos dello

sconforto ma senza più quell'infernale marchingegno, poteva finalmente

trovare un momento di contemplazione. Ma presto, richiamata

dall'improvvisa deflagrazione, giunse la madre nella stanza, furibonda ed

allarmata. Lui non le diede neppure il tempo di chiedere spiegazioni e fuggì

via, con un solo balzo, senza avere una meta. S'incamminò, con passo

sostenuto, senza mai guardarsi indietro. Lo sguardo percorreva veloce il

selciato del marciapiede ed ogni più sporco residuo che vi si intravedeva era

un angolo di quello stesso maledetto mondo. La rabbia, l'impotenza... ed

infine un profondo senso di nulla che bramava, esausto, il più puro e

semplice conforto, s'impadronì del cuore di Lorenzo. E lui, finalmente

consapevole del suo smarrimento, si fermò rivolgendo gli occhi al cielo, dove

avvistò uno stormo di uccelli fare acrobazie sullo sfondo di un tramonto

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Capitolo XXII

urbano.


Sostava davanti al sagrato di Santa Maria Maggiore, quella maestosa basilica

dove, intimorito, si perse il giorno della sua prima comunione. Tornava nella

sua mente quel lungo viavai di saluti con parenti sconosciuti, l'infinito

corridoio percorso dalla sacrestia in fila, i flash che violavano, improvvisi, la

tenue penombra del raccoglimento. Il suo cuore: tenero e sincero. Gesù

figurava nella sua mente come una sorta di fratello maggiore. Spesso Lorenzo

gli si rivolgeva, persino ad alta voce, e lui, inesistente certezza, sembrava

accompagnarlo in una specie di velata grazia che lo colmava d'innocenti,

appaganti emozioni.


Preso da queste sensazioni, Lorenzo si avviò verso il portale della chiesa e,

valicandone la soglia, scoprì di nuovo quella magica penombra con il suono

dell'organo che intonava il salmo Jerusalem; risuonava così come lo aveva

interiorizzato, coinvolgente e sinfonico, nell'interpretazione di Emerson, Lake

and Palmer. Percorse, lentamente, tutta la navata, sino a giungere in

prossimità dell'altare dove s'inginocchiò con la pelle d'oca e trattenuta

commozione facendosi il segno della croce. Iniziò poi, tra qualche

singhiozzo, un balbettato Padre Nostro per proseguire, tra lontani ricordi, la

stessa sequenza di orazioni che recitava quando era ancora bambino.

Nell'ordine compariva subito dopo l'Ave Maria ed infine l'Eterno Riposo...

dove in sole tre brevi frasi affidò, per sempre, l'anima di Lucia al Signore.


Senza aggiungere altre raccomandazioni, colto da irrefrenabile desiderio di

rinascere e sentirsi ancora parte della stessa vita, s'incamminò alla volta della

vicina Stazione Termini.


Non aveva che pochi spiccioli in tasca ma, consapevole che in ogni caso non

sarebbe stato in grado di pagare alcun biglietto, si diresse verso i binari dove

sostavano treni nell'attesa di un fischio del capostazione. Tentennò, in un

andirivieni tra due marciapiedi, per poi salire in corsa sopra un convoglio che

andava diretto fino a Milano.


133

Capitolo XXII

CAPITOLO XXIII


La scomparsa di Lorenzo

Da diversi giorni, circolavano molte voci sulla scomparsa di Lorenzo. Nel

suo palazzo c'era un consistente viavai di parenti e conoscenti, mentre il

telefono trillava senza interruzioni, come prima non aveva mai fatto.


La madre, che ostentava tanta rigidità nei confronti del figlio, sembrava che,

da un momento all'altro, avesse perso il lume della ragione. Piangeva, in un

angolo, consolata dal visitatore di turno. Continuava a chiedersi un perché,

rimasto senza risposta, attaccandosi ad ogni più vago appiglio di speranza.

Era lì che fremeva, per sapere se, tra una chiamata e l'altra, ci fosse stata una

qualche novità, uno sviluppo inatteso, una traccia certa cui fare riferimento.


Si presentò anche Walter a casa di Lorenzo e venne, una volta tanto, accolto

affettuosamente dalla madre del suo amico. Parlarono a lungo di Lucia,

entrambi consapevoli di quanto fosse divenuta smisuratamente importante

nella vita di Lorenzo. Ripercorsero i suoi momenti di sconforto, confidandosi

le inconsuete reazioni che aveva manifestato più volte.


Giorgio, allarmato per essere stato proprio lui a comunicare la notizia

dell'arresto a Lorenzo, si fece carico di girare in lungo e in largo tutte le

possibili piazze di Roma dove, secondo lui, lo avrebbe prima o poi ritrovato

intorpidito, a bivaccare in qualche angolo. Nutriva una forte convinzione che

non avrebbe mai commesso ulteriori stupidaggini, ad escludere suoi eventuali

coinvolgimenti; i rimorsi non si addicevano affatto ad un atteggiamento

saccente e risoluto.


Di Lorenzo, comunque, si continuava a non avere notizie, tra nuove ed

inverosimili congetture che si andavano, mano a mano, formulando con il

passare dei giorni.


Anche il buon vecchio Aldo, venuto a sapere della scomparsa (seppure con

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un po' di ritardo...), prese immediatamente la sua Fiat 124 per dirigersi a

Roma, dove evitò, nella sua tenace pazienza, ogni genere di futile polemica

per prodigarsi, a sua volta, in vani tentativi di ricerche. Stette intere giornate

al telefono contattando commissariati, ospedali e quant'altro possibile ed

immaginabile per reperire un indizio da seguire. Purtroppo i suoi sforzi non

ebbero alcun esito e lui, che non voleva saperne di darsi per vinto, ricominciò

daccapo contattando i numeri degli amici di Lorenzo. Li prese direttamente

dalla sua agendina, trasandata quanto basta ma, soprattutto, abbandonata in

tutta fretta. Dopo un paio di chiamate a vuoto, vi estrapolò il numero di

Maria, annotato sbadatamente sul bordo cartonato della copertina.


“Pronto... chi parla?”


“Salve! Senta, potrei parlare con Maria...”


“Sì, sono io, ma con chi parlo?” insistette lei dall'altra parte.


“Mi scusi, sono spiacente di non averlo fatto subito, io sono Aldo, il padre di

Lorenzo. Sono diversi giorni che mio figlio sembra essersi dissolto nel

nulla... Ecco, io non volevo affatto disturbarla ma, dopo aver cercato

ovunque, non mi è rimasto altro da fare che contattare i suoi amici, nella

speranza che abbia lasciato una traccia da qualche parte... Desidero solo che

sia vivo e stia bene, non m'importa che lui abbia deciso di non farsi più

vedere. Se così fosse, rispetterei questa come ogni altra sua decisione” spiegò

Aldo, invocando, garbatamente, un appiglio di riferimento.


“Sì, comprendo la situazione, ho saputo della sequenza dei brutti eventi negli

ultimi giorni: prima la morte di Lucia, poi la scomparsa di Lorenzo. Mi ha

informata Giorgio, un comune amico, che, del resto, credo sia già in contatto

con la vostra famiglia prodigandosi anche lui in ricerche. Io, da parte mia,

proprio non saprei cosa aggiungere. Che cosa vuole che le dica? Lorenzo non

lo vedo dalla scorsa estate e, per quanto mi riguarda, è sparito sin d'allora

senza, peraltro, darmi alcuna spiegazione. Eravamo in un autogrill

sull'autostrada, quando ha avuto un battibecco con un tizio che ci aveva dato

un passaggio e se n'è andato così, su due piedi, senza dirmi niente. Forse è da

tempo che maturava qualcosa del genere... proprio non saprei che fine possa

aver fatto... ma che avesse dei comportamenti strani, beh... questo credo sia

cosa nota a tutti...” spiegò Maria, educatamente, volendo contenere possibili

135

Capitolo XXIII

noie al riguardo. Aldo, resosi conto della situazione, si scusò di nuovo per

l'eventuale disturbo arrecato e riagganciò. Non gli restava che tentare con un

altro nominativo, sarebbe stato come estrarre un numero a sorte, dove il solo

premio in palio consisteva nell'appagare ansie che, via via, crescevano

smodatamente. Aprì a caso una pagina della rubrica e, tracciando un

movimento a spirale con l'indice nervosamente teso, si soffermò sul numero

di Paolo, il figlio dell'avvocato. Compose così il numero, roteando lo stesso

dito irrigidito nel disco dell'apparecchio:


“Buonasera, sono Aldo, il padre di Lorenzo, potrei parlare con Paolo?”


“Sì, sono io. Ma, ditemi, cos'è successo a Lorenzo? Le ultime notizie che ho

avuto da Walter, un comune amico, non sono affatto confortanti. Pare che sia

sparito nel nulla e non riesco ancora a crederci, mi sembra tutto così strano...

Non ci siamo più visti dall'estate ma lo conosco abbastanza bene: Lorenzo

non è il tipo da fare simili follie. Capisco che sia rimasto sconvolto dalla

morte di Lucia, ma non mi convince questa storia... c'è un qualcosa che mi

sfugge...” commentò subito l'estroverso Paolo.


“Comprendo... puoi immaginare come mi senta io, che sono il padre.

Purtroppo non ci sono novità finora e, non avendo altro da tentare, sto

telefonando ai suoi amici nella speranza di raccogliere un particolare, anche

insignificante, che confermi che Lorenzo sia ancora in vita. Non ne posso

più... scusami se mi sfogo con te ma sono esausto, credimi” continuò Aldo,

sottolineando il suo stato di frustrazione ed impotenza. Pur non avendo

ancora raccolto nessun elemento importante, si sentì, al contrario della

precedente chiamata, compiaciuto dallo spontaneo e sincero affetto che Paolo

mostrava verso suo figlio. Avrebbe avuto quasi voglia di piangere ma si

trattenne, ringraziandolo cordialmente, nella reciproca promessa di tenersi in

contatto per scambiarsi eventuali notizie. Aldo si ritrovò di nuovo solo,

dentro il suo incubo, e pianse, senza più contenersi, sentendosi protagonista

di una trama alla Hitchcock che, ironia del destino, aveva così tanto amato.


A quel punto giunse in stanza Ofelia, la madre di Lorenzo, che si approssimò

ad Aldo suggerendogli:


“Ma non è il caso che ti riposi un po'?”


“Adesso che fai... ti dai pena anche per me? Vedrai... passerà anche questa

136

Capitolo XXIII

brutta storia com'è passato, inesorabile, tutto quello che un tempo ci legò

l'uno all'altra. Lorenzo, tutto quello che è rimasto fra noi, tornerà, stai

tranquilla, e le cose andranno a posto. Vedrai... tutto andrà per il verso

giusto...” sussurrò Aldo, carezzandole i capelli; quindi iniziò a fischiettare

Ogni volta, un vecchio motivo di Paul Anka in italiano. Era la canzone che,

un tempo, aveva suggellato il loro amore... Dopodiché, voltandosi, afferrò

ancora, caparbio, il telefono. Infilò, più che mai deciso, il dito

nell'apparecchio per comporre un altro numero che carpì, con la coda

dell'occhio, sbirciando tra le disordinate annotazioni di quella piccola rubrica

verde, attendendo il fatidico “pronto...” che non tardò ad arrivare.


“Sì, pronto... buonasera, mi scusi se la disturbo, sono Aldo, il padre di

Lorenzo...”


“Oh, cielo! - lo interruppe subito Francesca dall'altra parte - Avete saputo

qualcosa del ragazzo?”


“Purtroppo non ancora, mi sto prendendo licenza di chiamare le persone con

cui era in contatto per raccogliere qualche circostanza in più, con la speranza

di tirarci fuori da questa orribile situazione” rispose Aldo affranto, ma senza

tuttavia perdere coraggio.


“Lorenzo è un ragazzo adorabile e di grande talento, mi creda, non è un

complimento buttato giù tanto per gratificare un genitore... Il mio solo

rammarico è di averlo conosciuto da poco tempo e che non abbia potuto fare

abbastanza per lui. Ecco... sì, io credo che Lorenzo necessiti soltanto di un po'

più di sostegno in certe sue scelte; in fondo è normale, non è che un

adolescente... ed è facile essere preda di malintenzionati, soprattutto quando

si è molto sensibili come lui” analizzò, chiara e risoluta, Francesca.


“Da come parla si capisce che, oltre ad averlo a cuore, è sicuramente una

persona più matura di lui. Lorenzo, sono d'accordo con lei, ha certamente

bisogno di validi punti di riferimento ma... vede, non so se lui ne ha mai

parlato, purtroppo io e mia moglie siamo separati...”


“Capisco - aggiunse Francesca - anch'io ho una figlia adolescente e vivo una

situazione pressoché simile con mio marito...”


“Attenzione: chiamata urgente per il numero 7560125...” scandì una voce

aliena interrompendo le sue parole.


137

Capitolo XXIII

“Ma è il nostro numero!” esclamò Aldo sorpreso e, scusandosi, riagganciò in

tutta fretta il telefono con una massiccia dose di adrenalina in circolo.


Trascorsero pochi ma interminabili istanti fintanto che l'apparecchio trillò di

nuovo ed Aldo lo afferrò, stringendolo con forza, in un affannato:


“Pronto!”


“Buonasera, sono Gloria, la figlia di Vito.”


“Ah!... Salve, dimmi, eri tu che stavi sbloccando il telefono?” domandò

subito Aldo.


“Sì... dovete scusarmi, ma sa...dopo tutto quello che è successo... Ho visto

Lorenzo.”


“Come?” la interruppe prontamente Aldo.


“Beh, non direttamente ma in televisione, era lì, in quello strano parco, a

Milano” precisò Gloria.


“Ma come... ho telefonato dappertutto e tu... tu lo vedi in televisione, a

Milano. Spiegami meglio, dimmi cos'era e perché lui stava da quelle parti,

cosa faceva?” chiese subito Aldo agitato.


“Ecco, io ho soltanto visto Lorenzo in TV, c'era tutto uno strano programma

su Parco Lambro e i giovani. Hanno mostrato riprese di festival, concerti

organizzati in quel posto e poi...”


“E poi?” proseguì martellante Aldo.


“Poi giravano con le telecamere... erano tre giornalisti che cercavano di

avvicinare ragazzi che vivevano in quel posto; c'erano tante facce strane che

andavano e venivano ma io ho visto Lorenzo, l'ho riconosciuto subito, era lui!

Per un istante i suoi occhi sono apparsi in primo piano, ma l'entrata di una

lancinante chitarra, dissolveva, rapida, la sua stessa immagine. Era quella di

un gruppo che dicevano essere stato protagonista di un recente raduno e di

cui ricordo anche il nome: gli Area. Io non so dire altro, so soltanto che l'ho

visto, sia pure per un attimo, ed era vivo, sono certa di quel che dico!”


138

Capitolo XXIII

139

CAPITOLO XXIV


La chat line

Che Lorenzo fosse vivo, era ormai divenuta una certezza per tutti. In molti lo

immaginavano stabilmente altrove, magari all'estero; di fatto, dopo

quell'avvistamento a Milano, riprese contatto con la sola madre, esprimendo

volontà di non divulgarlo ad altri.


Col tempo, dopo avere per un po' vagabondato arrangiandosi, parve ritrovare

stabilità e buonumore. Aveva ottenuto un lavoro continuativo, come operaio,

nella piccola industria della banlieue di Lione, non molto lontano dai confini

della rispettiva madrepatria. A coronare questa situazione, giunse una tale

Dominique: una ragazza semplice, con uno sguardo timido e discreto.

Sembrava averlo sottratto da un vortice indefinito di sporadiche avventure,

dove l'affetto, quello vero, soccombeva in un latente tormento. Si era

costruito, con le sue sole forze, una piccola nicchia dove affrontare il sempre

più indocile mondo che, nel trascorrere degli anni, degenerava in quella che

appariva un'irrefrenabile, comune corsa senza più alcun senso.


Lorenzo era cresciuto ed aveva anche cambiato stile di vita, ma, per certo,

nella sua anima brulicava ancora, intatta, un'astratta e nevrotica malinconia.

Dentro di lui scorreva, sebbene a lungo tenuta a tacere, tutta la magia

racchiusa nell'avvolgente fuoco di un'improvvisa ispirazione. Sopravviveva,

nonostante tutto, un'identità timida ed incerta, alla ricerca dell'impossibile

celato dietro una fertile ed inossidabile immaginazione. Ma di creatività,

fantasie e sogni, nell'interminabile tempo trascorso nell'oscuro sole di una

fabbrica, se ne producono, col tempo, sempre di meno. Nell'avvicendarsi di

giorni assiduamente analoghi a se stessi, crebbe, lento e costante, un perverso

e soffocante senso di alienamento. E l'amore, quello finalmente trovato,

degenerò, accidioso anestetizzato, senza dare alcun preavviso, in un'affranta e

140

indolente abitudine di dormire insieme. Per lui divenne un modo come un

altro per sentirsi meno solo, dove cullare, inappagato, il fantasma di tutti quei

frustrati e solitari sogni.


In questo clima Lorenzo si ritrovò, come molti altri, catapultato nel duemila.

In quello che, solo vent'anni prima, non era che un labile confine tra futuro e

fantascienza.


Quella sera, come tante altre ancora, sedeva stanco su un autobus, di ritorno

da un'altra dura giornata di lavoro ma, da qualche tempo, nutriva una nuova

illusione di rifarsi non appena avesse rimesso piede in casa. Si era finalmente

munito di un modem e relativo computer entrando, a tutti gli effetti, nella

comunità virtuale di internet. Aveva, nel poco tempo libero ma anche durante

quelle notti definite “insonni”, iniziato ad intrecciare interessanti

conversazioni con gli avventori di turno sulle varie chat-line. Ne

prolificavano ovunque, coinvolgendo sempre più persone. Ed anche quella

volta, non appena rientrò, si posizionò subito davanti al monitor, pronto alla

connessione, operando col mouse per immettersi in uno dei canali archiviati

tra il menu preferiti del relativo browser.


La meraviglia di questo nuovo mondo consisteva nel fatto che non solo si

poteva comunicare con tutti, in ogni luogo e a bassi costi, ma anche

condividere più cose: video, suoni e quant'altro. Ogni volta che era in rete,

Lorenzo provava un'eccitante emozione nello scaricare un ulteriore MP3;

canzoni che, magari, da tempo non sapeva come procurarsi altrove.


Fu così che, mentre avviava la sessione remota, pensò bene di non perdere

altro tempo, facendo una capatina nella sua cartella denominata musica. Un

doppio click e si aprirono in sequenza una sfilza di sottocartelle suddivise per

generi ed epoche. Aprì subito quella delle novità, nella brama di

interiorizzare quanto di più recente aveva trovato su internet. In un mondo

sempre più a portata di DJ (piuttosto che di veri e propri musicisti) non

poteva che saltar fuori un remix e, tra i nuovi ritmi generati dalle

campionature, come Jungle, Drum and bass e quant'altro, selezionò una

travolgente versione di Govinda dei Kula Shaker. Qui si lasciò andare,

trasportato. Il brano era più che mai attuale, parte di quel nuovo villaggio

globale ma, nondimeno, portava alla memoria lontane radici dove restavano,

141

Capitolo XXIV

aggrappati, offuscati ricordi indiani. E, mentre si sprigionavano queste note,

si trovò subito a parlare di quelle stesse sensazioni evocate da un primo

avventore on line che, interessato, gli chiedeva di spostarsi su di un canale

privato per meglio approfondire quel discorso. Ma Susy, uno dei tanti

nickname, aveva richiamato la sua attenzione fino a convincerlo a diradare gli

interventi con gli altri contatti già in corso.


A dire il vero, capitava spesso di trovare ragazze nelle chat, ma in un modo

del tutto inconsueto. Solo dal dialogo, infatti, si aveva mano a mano sentore

di quanto l'interlocutore fosse alla portata delle aspettative. Susy, una vera

scatenata, le aveva dapprima stuzzicate per poi aprirsi, disinvolta, con

Lorenzo più che mai incantato. Anche lei usava Napster per procurarsi

musica in rete e gli promise che presto, avendo avuto da lui l'indirizzo e-mail,

gli avrebbe allegato un brano di quelli “neri e cazzuti” e, finalmente, a portata

di rete, ovvero: Mommy, what's a funkadelic? degli omonimi Funkadelic.

Erano uno strano branco di qualche comunità hippy anche un po' setta, a

sfondo religioso, di quelle “americane”, spiegò Susy a Lorenzo. Lui pensò

subito di prometterle di ricambiarla con un altro remix: Brimful of asha dei

Cornershop, un avvenente gruppo anglo-indiano dell'ultima generazione. Poi,

tutto a un tratto, l'attenzione di Lorenzo si spostò di nuovo, incuriosita, verso

un altro nickname che si stava inserendo nella chat presentandosi. Il nome,

breve ed enigmatico, suonava molto famigliare alle orecchie di Lorenzo e...

altro non era che il fatidico Prabhù. Come non ricollegare il tutto ad un

lontano passato che, tuttavia, alimentava brace sotto le ceneri della sua

mente? Di certo, nel suo pindarico volo di memoria, Lorenzo non avrebbe

mai osato pensare che dietro quel nome si celasse ancora Walter ma, mosso

più dall'istinto che da una vera e propria curiosità, iniziò a punzecchiare il

nuovo arrivato digitando frasi sibilline:


“Prabhù, ci sei anche tu? Dimmelo, orsù, come vuoi tu...” e giù! Col tasto

d'invio, nell'attesa di una conferma volta a scacciare ogni possibile assurdo

equivoco.


Dopo qualche minuto, quando sembrava oramai distratto a riprendere

l'incalzare delle veloci botte e risposte con Susy, riaprendo la finestra di

dialogo con Prabhù, comparve una risposta:


142

Capitolo XXIV

“Prabhù, non mi dire che potresti essere proprio tu! Se così fosse smaltirei

come non mai... peggio de annà a Monte Libretti co' Pico...”


Lorenzo, leggendo quelle poche ma inequivocabili righe, non poté fare a

meno di restare stupefatto. Poi, resosi finalmente conto di quanto potesse

essere così piccolo lo stesso mondo virtuale, prese a dialogare con frenesia ed

entusiasmo insieme al ritrovato amico.


Percepì subito, fin dalle prime battute, che il tempo non lo aveva affatto

trasformato ma, molto più umanamente, soltanto evoluto. Aveva anche lui

affrontato un lungo corso di esperienze, non sempre felici, come la scomparsa

del padre, e la stessa fuga di Lorenzo lo aveva in qualche modo già provato.

Sotto quella fitta coltre di scanzonata goliardia, c'era sempre stato un animo

timido e sensibile, paradossalmente femminile, che Walter non mostrava mai

palesemente. Pare che nel frattempo si fosse persino sposato con una tale

Virginia, una ragazza di buona famiglia, ma le cose non erano durate a lungo

e, dopo aver messo al mondo una vivace coppia di gemelli, si era ritrovato di

nuovo solo:


“Mio caro Prabhù, le donne prova a capirle tu... prima s'innamorano

perdutamente e sono lì, raggianti creature pronte a seguirci in capo al mondo!

Poi ti sposano, evidenziano i tuoi primi difetti e, improvvisamente, scopri che

devi migliorarti, che in una maniera o nell'altra vai comunque rifatto. Un

bravo marito deve sempre lasciare tutto in ordine, preoccuparsi delle riserve

in frigorifero, controllare la lavatrice, occuparsi dei bambini ma, soprattutto,

non dimenticare mai che la domenica c'è sempre sua madre che viene a

pranzo... Quindi, come se non bastasse, quando pensi di esserti districato

abbastanza a fingere di essere quel che non sei, scopri che... diventi quasi

sempre scontato e noioso, non usi più fantasia ed inventiva; perdi il talento ed

il fascino dell'amante, di quello che le tiene sempre eccitate e sospese... Eh,

caro Prabhù, ne avrei di trascorse pene da raccontarti! Ma voglio

risparmiartele e dirti, semplicemente, che sono tornato a vivere.”


Walter, a sprazzi, sembrava euforico, come se avesse ritrovato una

smagliante forma da ragazzino. Sosteneva di essere tornato a vivere una

seconda adolescenza, ancora più intensa ed interessante perché piena di

consapevolezza. Si era iscritto di nuovo in palestra ed il lavoro, persino

143

Capitolo XXIV

quello, scorreva con più appagante soddisfazione. Gli affari andavano bene e

“tolto qualche momento di solitudine, le donne” - come diceva lui - non gli

sarebbero mai mancate. Lorenzo, dal canto suo, non si trovò affatto

imbarazzato a dover giustificare i lunghi anni della sua assenza. Walter,

invadente e logorroico, non era affatto cambiato, si trovò ancora ad inondare

di chiacchiere l'amico, senza neppure chiedergli un dettaglio della sua fuga e

del silenzio ad essa seguito.


Conversarono a lungo, smisuratamente, senza che intervenissero, come un

tempo, le nevrotiche voci delle rispettive madri ad interromperli. Le parole si

liberarono e, riempiendosi di nuovo di tutti quei loro astrusi battibecchi,

tornarono a sorridere di quella stessa smaliziata innocenza che aveva

contraddistinto il loro rapporto nell'adolescenza. Ripercorsero versi, ghigni,

imitazioni e fraseggi come fossero ancora due bravi scolaretti, lasciandosi

andare, disinvolti, verso quelle frontiere dove la sola presunta maturità,

consisteva nel riscoprirsi irrequieti bambini. Dopo aver condiviso buona parte

della notte insieme, Walter non esitò ad invitare l'amico a Roma. Insistette a

lungo, di fronte alle consuete titubanze di Lorenzo, finché, con l'occasione

delle imminenti vacanze natalizie, riuscì a strappargli la promessa che

sarebbe stato, per una settimana, suo ospite esclusivo. Una volta interrotta la

connessione, Lorenzo si sentì di colpo spaventato e turbato da quell'evento;

evidentemente, lo toccava dentro. Non era soltanto per una questione

emotiva, di quelle che lo trattenevano ancorato al passato; la svolta della

separazione di Walter gli aveva, in qualche modo, rievocato il suo attuale

stato di crisi rendendolo più confuso ed insicuro.


“Cosa dirò mai a Dominique...? Ha sempre più sguardi silenziosi e tristi... E

tutti quei mancati tempi da condividere insieme?...”


E, mentre era assorto in questi pensieri, lei era lì, sdraiata sul letto; aveva

un'espressione che le conferiva un'aria demotivata, abbandonata al presunto

vuoto dei rispettivi sogni. In questo contesto, Lorenzo, combattuto ma sempre

pronto a prendere il largo con le vele della sua immaginazione, si

addormentò, al suo fianco, carezzandole svogliatamente i capelli...


144

Capitolo XXIV

CAPITOLO XXV


Il ritorno al tempio

Giunse, infine, il Natale e Lorenzo, da quando aveva ritrovato Walter,

riceveva in continuazione posta elettronica a ricordarglielo; era ormai pronto

per affrontare questa imprevista vacanza il cui epilogo, in fondo, altro non

sarebbe stato che un ritorno a Roma. Dominique, visibilmente esausta, si era

celata dietro un insopportabile mutismo ed anche quando lui, intimorito,

accennò all'intenzione di partire, lei restò del tutto impassibile.

L'atteggiamento provocò ancor più rabbia a Lorenzo che, piuttosto, avrebbe

preferito un sano litigio di chiarimento una volta per tutte.


Fu così che si ritrovò a partire riponendo, nel suo essenziale fardello, anche

qualche rimorso e non poche preoccupazioni al seguito. Ma tutta quell'antica

e più salutare ansia, legata alla stessa voglia di vivere, riemerse,

incontenibile, non appena mise piede sul treno che lo avrebbe portato altrove.


“Perché devo essere sempre e soltanto io a farmi carico di tutti i problemi?

Quando lei non fa altro che tacere e demandare a non so chi o che cosa...

Credo che avrebbe validi spunti per riflettere...” pensò tra sé Lorenzo,

scrollandosi di dosso ogni residuo tarlo pronto a rodergli il cervello.


Quindi trovò sufficiente serenità per distendersi sullo schienale della poltrona

accanto al finestrino e, accendendosi una sigaretta, iniziò a sbirciare tra le

righe di Haute fidelité, l'edizione francese di un libro di Nick Hornby,

acquistato alla stazione poco prima di partire. Era un'avvincente storia di

musica e di donne ripercorsa a ritroso, nell'intercambiabile ordine di lunghe

file di dischi. Lorenzo, catturato, la divorò tutta dissociandosi dall'incedere

del tempo.


Arrivò durante la serata alla stazione di Roma Termini, dove l'amico, come

d'accordo, era ad attenderlo:


145

“Prabhù!” strillò Walter, non appena lo riconobbe, agitando le braccia dal

marciapiede adiacente al binario. Lorenzo, come lo vide, gli si fece incontro

abbracciandolo.


“Ehi! Ma sei sempre lo stesso... fatti vedere, non sei affatto cambiato. Ma

come fai ad avere ancora gli stessi boccoli di quando non avevi ancora

vent'anni?” gli chiese subito Walter.


“Dai! Non fare il complimentoso, te la cavi bene anche tu. Sai che ti dico?

Qualche capello bianco ti dona ancora di più...” replicò Lorenzo all'amico.


Poi, sottobraccio, si avviarono verso la macchina che Walter, poco più in là,

aveva parcheggiato.


“Caro Prabhù, suppongo che tu non abbia ancora mangiato e allora... ho una

grande sorpresa per te, sono sicuro che ti delizierà” e, così dicendo, Walter

avviò il motore della vettura dirigendosi verso il centro. Lorenzo non

commentò neppure quelle parole, recependole come un implicito invito a

cena in qualche delizioso ristorantino, magari nella storica Trastevere,

complice di tante loro vicende. Giunsero, in effetti, nelle immediate vicinanze

di quel quartiere, parcheggiando sul lungotevere, all'altezza di ponte Sisto.

Una delle prime novità, per Lorenzo, fu di scoprire le strisce blu coi relativi

parcheggi, divenuti a pagamento.


“...Una riforma, nello stile europeo, voluta dal nostro sindaco Rutelli” spiegò

Walter, con tono sarcastico.


“Beh, spero che qualcosa sia cambiato in meglio dai gloriosi tempi

democristiani...” aggiunse Lorenzo con una punta d'ironia e poi continuò:

“Anche se, a dire il vero, da uno come lui mi sarei aspettato qualche pista

ciclabile che, invece, proprio non riesco a scorgere.”


“Che cosa credi sia successo in Italia durante tutti questi anni, la

rivoluzione?” precisò Walter, con una retorica venatura di acredine.


“Televisione e giornali ci sono anche all'estero. Una decina d'anni fa, lo

ricordo bene, c'era grande attenzione su tutte quelle vicende di tangentopoli,

possibile che non sia cambiato niente?” chiese, a quel punto, Lorenzo.


“Caro Prabhù, possibile che gli anni non ti abbiano insegnato niente? Capisco

che, dopo tanto tempo, ti senti un po' straniero in patria ma... non hai ancora

capito com'è che vanno le cose da queste parti...?” concluse Walter

146

Capitolo XXV

smorzando l'argomento nei pressi di Campo de' Fiori.


“La vedi, Prabhù? - riprese poi rivolgendosi all'amico - la piazza è la nostra

unica certezza, è rimasta sempre la stessa, alla barba del tempo e delle varie

ristrutturazioni, qui bivaccano ancora vecchi e nuovi fricchettoni.”


Dopodiché, con fare disinvolto, si diresse in prossimità di un portone sulla

piazza conducendovi Lorenzo dentro. Quest'ultimo, a sua volta, cominciò a

porre questioni:


“Ma si può sapere, tanto per cambiare, dov'è che stiamo andando?”


La risposta non tardò ad arrivare dal momento in cui suonarono alla porta:


“Hare Krishna! Benvenuti al tempio, accomodatevi pure...”


“E ti pareva... vedo che non sei affatto cambiato, passano gli anni ma le cene

restano sempre le stesse: quelle dai devoti al tempio” borbottò subito Lorenzo

rivolgendosi all'amico.


“Caro Prabhù, non te l'aspettavi, vero? Proprio come ai vecchi tempi, cosa

vuoi di più? Orsù, dimmelo tu! Come vedi, hanno preso un appartamento in

pieno centro e, anche loro, in conformità ai tempi, sono diventati più liberali

e persino revisionisti. Pensa che, adesso, anziché farti il lavaggio del cervello,

ti lasciano persino la libertà di recitare il mantra compatibilmente con gli

orari del tuo lavoro. Come cambiano i tempi... mio caro Prabhù, questo Kali

Yuga sembra non finire più.”


“Beh... - continuò Lorenzo - se le cose cambiano... vuol dire che anche noi

non siamo più gli stessi…”


“In un certo senso. Le cose stanno così ma l'anima, mio caro Prabhù, quella è

sempre la stessa ed è anche a causa di questo che ora ci ritroviamo qui”

rispose Walter, lasciando intravedere del sentimento, a suggellare la loro già

radicata amicizia. Poi, come iniziò la cerimonia del Kirtan, entrambi

saltarono in piedi e, complici, si ritrovarono insieme, a danzare in circolo,

celebrando il rito.


“Hare Krishna Hare Rama...” Il coro, anche quello, era rimasto ancora lo

stesso e continuava, inesausto, aumentando vertiginosamente il ritmo. Poi,

finalmente, l'agognata cena ed il dovuto contatto con un devoto che,

riconoscendoli, si avvicinò dicendo:


“Hare Krishna, gli anni vanno via ma vedo, con piacere, che tornate sempre

147

Capitolo XXV

al tempio. Beh, con voi c'è rimasto poco da spiegare... ormai sapete tutto...!”


Walter, da parte sua, sembrò contenere quel tono che, a suo tempo, lo vedeva

sempre in prima linea facendo, a tutti i costi, il dissacrante provocatore.

Seguitò, nel suo stile, proferendo lunghe dissertazioni, ma il suo intercalare

non fu affatto cruento e polemico mostrandosi, tutto sommato, cordiale ed

affettuoso dopo così tanti anni di attiva frequentazione.


Il devoto addetto al marketing, non si fece attendere a lungo. L'evoluzione era

comunque garantita in ogni sua forma, dagli articoli alle tecniche di vendita.

La Baghavan Gita era stata ridotta ad un pratico e confortevole CD; prima di

andarsene, fu chiesto ad entrambi di lasciare il loro indirizzo e-mail.


Come tornarono nella piazza, essendo già sera inoltrata, ovunque quel posto

appariva gremito di gente e molto più di un tempo. C'era un ragazzo, proprio

sotto il portone, con capelli variopinti e piercing sulla pelle, che ascoltava il

remix Depeche Mode di Kruder & Dorfmeister da un riproduttore portatile;

poco più in là, passava un gruppo di punk bestia con il loro circolo di cani

intorno. Fuori dall'enoteca scorreva, sempre più lunga, la fila per gustare un

bicchierino dopo il quale, ritrovati gli amici, si sarebbe deciso dove andare. In

ogni angolo riecheggiava il rumore del parlottio di tutta quella folla e

Lorenzo, rivolgendosi all'amico, esternò il suo pensiero:


“Beh, nonostante tutto, da quel che vedo, questo mi pare ancora un paese

libero...”


“Sì, hai ragione anche tu, sebbene il marcio ci sia sempre stato, la libertà,

forse, quella non è ancora venuta meno” confermò Walter. Iniziarono quindi

ad attraversare la piazza approssimandosi alla vettura; ad un certo punto,

Walter, facendo cenno a Lorenzo di fermarsi, si avvicinò all'angolo dove

sostava un ragazzo di colore ma, subito dopo, tornò con aria baldanzosa.


“Caro Prabhù, abbiamo anche rimediato, suppergiù...” e, così dicendo,

mostrò un pacchettino d'erba a Lorenzo, che, in un primo momento, fece

quasi lo schizzinoso ribattendo:


“Ma dai... ancora di queste cose...”


Poi, come arrivarono in casa di Walter, fu lui stesso a sollecitarlo nella

smania di provare ancora qualche momento di distrazione.


“Ah... bene, vedo che apprezzi ancora” commentò Walter che, avvicinandosi

148

Capitolo XXV

la mano in tasca, continuò esclamando: “Tie'! fatte 'sta canna e rilassati. Io

vado a farmi una doccia; se hai fame, in frigo troverai un po' di tutto... Per la

musica, naturalmente, fai pure tu: è tutto qui, davanti a te, e non hai certo

bisogno di spiegazioni per sapere come funziona...”


Lorenzo, dopo aver rullato un piccolo joint, si accostò alla colonnina

piramidale dei CD visionandone le varie copertine: Laika, Astralasia,

Porcupine Tree, Stereolab, Massive Attack... si soffermò, incuriosito, sopra

un recente lavoro dei Loop Guru, Loop and bites, a lui, peraltro, sfuggito. Lo

inserì nel riproduttore selezionando la prima traccia. Era un'autentica epopea

post-apocalittica, oltre Waters e Kraftwerk nel Nirvana ed in odore di

biogenetica etnica. Sovveniva, nella sua mente, la lontana North star di Philp

Glass insieme a quei sinistri e decadenti presagi dei Death in June in

un'inedita salsa di piacevoli campionature. Dopo poco più di dieci minuti,

Walter era già di ritorno in stanza. Quindi, dando anche a Lorenzo piena

disponibilità a rinfrescarsi, incominciò a parlargli di un suo recente acquisto:

un tale Enrico...


“Un altro cane sciolto quarantenne... - precisò Walter - lo apprezzo molto,

sai? E come non potrei... Anche lui, come te, è un vero sognatore: poeta nella

vita. Domani, se ti va, ci terrei a fartelo conoscere. Ieri mi ha chiamato

lasciandomi un messaggio, mi ha detto di aver prenotato un posto in un

simpatico mercatino di modernariato, con tanto di dischi d'epoca, a Testaccio.

Dovrebbe essere interessante, c'è della buona musica ed anche spuntini

gratuiti. Ah!... Dimenticavo, ho qui un suo libro di poesie intitolato... fammi

vedere, eccolo qua: Di amore, di morte. Prendilo! Se ti va, puoi sempre dargli

un'occhiata prima di coricarti.”


149

Capitolo XXV

CAPITOLO XXVI


Il mercatino di modernariato

L'indomani, Lorenzo fu svegliato da Walter che, vista la tarda ora, deliziò

l'amico con un gustoso lunch in stile anglosassone.


“E poi sarei io lo straniero in patria... ero rimasto ai tempi del caffellatte con

tanto di biscotti Gentilini inzuppati dentro, te li ricordi? Chissà se ci sono

ancora... Insomma, caro Prabhù, le colazioni all'americana, una volta le

facevano soltanto svogliati ricchi ed annoiati salottieri. Siamo cambiati,

checché tu ne dica...” disse Lorenzo all'amico.


“Hai dato un'occhiata al libro di Enrico?” gli chiese Walter, curioso di un suo

commento.


“Ah... sì, ma devo confessarti che ero stanco morto, con tutto quel viaggio

sulle spalle... comunque niente male, direi abbastanza originale per quanto ne

possa comprendere, anche se, beh... ha delle immagini piuttosto forti da

mandar giù... Deve essere un bel visionario quello lì, vorrei sapere dov'è che

le va a pescare certe cose...” rispose Lorenzo.


“Sì, è così... Io so solo che recentemente si è lasciato, anche lui, con la sua

convivente. Mi è sembrato molto depresso. Vorrei potergli dare una mano,

ma è così schivo e diffidente...” aggiunse Walter a quanto già espresso dal

suo amico. Poi, tra una parola e l'altra, accadde che si ritrovarono nel

pomeriggio più inoltrato. Walter, resosene conto, sollecitò l'amico per uscire

e, poco più tardi, si ritrovarono in quel simpatico mercatino, dove non

tardarono ad incontrare Enrico, appollaiato in un angolo, con le sue

cianfrusaglie al seguito.


Tra le mercanzie esposte, si notavano una sfilza di eccentrici cappelli. C'era

un fez turco, un altro copricapo era di stampo west coast, un altro ancora

riconduceva a James Dean; dietro, troneggiava un grosso contenitore, ricolmo

150

di dischi. Lorenzo, dopo le presentazioni di Walter, si gettò subito a curiosare

tra i vinili. Estraeva ogni tanto un disco chiedendone notizie:


“Senti, ma questa stampa dei Circus 2000, è originale?”


“Sì, c'è solo una ristampa di qualche anno fa in giro, ma cambia

completamente il logo” specificò Enrico.


“Ma come hai fatto a trovare questo Be bop a lula a 78 giri...?” chiese ancora

Lorenzo.


“Fortuna ma anche molta costanza nella ricerca; se lo vuoi, è tuo per sole

duecentomila lirette... e non mi dire che è troppo...!” rispose Enrico, con una

punta di orgoglio, poiché, anche se obsoleto, valorizzava molto quel tipo di

supporto.


Dopodiché, curiosando tra altre chincaglierie, Lorenzo estrapolò uno

stravagante medaglione con sopra delle figure geometriche concentriche.

Walter, notandolo, si rivolse a lui postillando:


“Ah! Giusto quello che ti ci voleva... Rappresenta la potenza del sale,

associato ai pesi dell'arte quanto della natura. Il sole è suo padre, la luna è sua

madre, il vento l'ha portato dentro il suo grembo. La sua forza è intera solo se

convertita in terra.”


“Vedo che non cambi mai con le tue astruse alchimie...” commentò,

interrompendolo, Lorenzo, senza dargli troppo peso.


Il locale che ospitava questa simpatica rassegna era, a dire il vero, piuttosto

scarno ed essenziale ma, nondimeno, oltre a contenere tanta gente, rendeva

l'atmosfera calda e accogliente nelle frequenti improvvisazioni che

accompagnavano il DJ di turno.


Walter, nel frattempo, aveva intrapreso un delicato argomento di

conversazione con Enrico. Parlavano di donne. Erano due delusi, tentavano di

esorcizzare le rispettive tentazioni alla misoginia, impantanati tra l'incerto

divenire dell'universo femminile.


“La verità, caro Enrico, è che le donne sono per natura delle accentratrici e, in

una società come la nostra, dov'è tuttora radicato il matriarcato, il

femminismo non può che essere malamente interpretato...” iniziò Walter, con

il suo ampolloso modo di fare, a disquisire sull'argomento.


“Io ho fatto di tutto - continuò Enrico, liberandosi, in un improvviso sfogo -

151

Capitolo XXVI

non vedo cos'altro posso rimproverarmi. Per la prima volta, in vita mia, mi

sono sinceramente impegnato affrontando un rapporto serio e costante, di

reciproca fiducia e stima. Ed invece... non ho fatto altro che perdere tempo e

subire violenze. Dovevo capirlo subito... sono stato uno scemo, cos'altro mi

potevo aspettare?”


Lorenzo, in un primo momento, si era distratto immergendosi in una

coinvolgente sequenza di vecchie canzoni riproposte in scaletta. Era così

emozionante poter di nuovo ascoltare brani come Mighty queen dei Manfred

Man, Little green bag di George Baker, In the summertime dei Mongo Jerry e

poi ancora Sunshine of love, eseguita dai 5th Dimention e la sanguigna cover

di Un'avventura, interpretata da Wilson Pickett; si poteva sognare ad occhi

aperti e, senza nostalgie, rivivere ogni tempo andato. Poi, come arrivò a

cogliere il contenuto dei discorsi che Enrico e Walter andavano animando,

non poté fare a meno d'intervenire, sentendosi, a tutti gli effetti, anch'egli

coinvolto.


“Vedo che, in un modo o nell'altro, ci si ritrova tutti sulla stessa barca” disse

Lorenzo rivolgendosi ad entrambi.


“Sì, hai ragione - approvò Enrico - Ormai siamo un po' tutti impauriti nel

gestire le emozioni. Il mondo cambia e i rapporti pure... ma quando

riusciremo a costruirci sopra nuovi equilibri?”


“Com'è che si chiama la tua...?” chiese Lorenzo.


“Clelia, ma che importanza ha?” replicò Enrico.


“Beh, è giusto per conoscersi, la mia si chiama Dominique ed è a Lione ma

non so neppure, onestamente, se ci farò ritorno” precisò Lorenzo.


“Devi avere anche tu un bel vissuto alle spalle, che ti piaccia o no... ti si legge

dall'espressione degli occhi” evidenziò Enrico.


“Il tuo, da quel che ho letto, potrebbe essere nella tua poesia. Io non sono

riuscito neppure a fare quello...” disse Lorenzo con un dappiù di rammarico.


“Dai, non prenderla così...” lo esortò Enrico per poi distrarlo con altri

argomenti: “La vedi quella lì? Sì, quella dolce ragazzina all'angolo, non avrà

neppure vent'anni... Guarda come si gongola provando tutte quelle assurde

camicette usate. Non è niente male... e, non negare, nonostante i tuoi

quarant'anni, che anche tu ci faresti un pensierino sopra...”


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Capitolo XXVI

Lorenzo si perse con lo sguardo a rimirare quella vivace, fresca creatura; in

pochi istanti, la sua anima sognatrice finì per innamorarsene, fintantoché,

ironia del destino, gli sovvenne di Pierre, il francese. Fu allora che, per la

prima volta, provò umana compassione anche per chi, in lunghi anni, aveva

creduto che fosse solo poco più di un balordo, barbaro animale.


Enrico, vedendo lo sguardo di Lorenzo, da un momento all'altro, perso nel

vuoto, cercò di attirare ancora la sua attenzione.


“Ehi! Ma che fai? Non mi dire che ti fa questo brutto effetto la visione di una

graziosa adolescente... E se fosse stato un angelo, allora, che avresti fatto?”


“Oh, no! Ti prego, lascia stare gli angeli, che mi hanno già così tanto

tormentato la vita...” replicò Lorenzo in un istintivo soprassalto.


“Capisco, più che piaghe devi avere dei veri e propri crateri aperti ma, alla

tua età, non mi sembra questo il modo migliore per farli tacere. Possibile che

nessuno ti abbia mai spiegato che dalla merda non può che nascere un fiore...

Lasciati andare, fai parlare il tuo corpo e spegni, una volta tanto, quella

rugginosa mente che ti trattiene al passato. Se proprio senti il peso di

qualcosa di cui non riesci più a liberarti, parlane, fai come me. Hai sentito

quante gliene ho dette prima a Walter? Beh, ora sto meglio; cosa credi... tutti

abbiamo dei lugubri ricordi, dolorosi lutti mai sepolti nell'anima, ma i

funerali, come da tradizione, è bene celebrarli e condividerli con altri. Solo

così ci si aiuta a completare quella morte e a rinascere dentro.”


Lorenzo, sentendosi in qualche modo colto nel fondo di certe sue

vicissitudini, realizzò di averle censurate, senza mai completamente

archiviarle; quindi acconsentì ad Enrico:


“Sì, hai ragione, parlare è salutare e liberatorio, anche a distanza di tempo,

ma la mia è una storia lunga e, sinceramente, credo che finiresti per annoiarti

ad ascoltarla.”


“Ma va... non pensarle neppure queste cose” seguitò Enrico invitandolo, tanto

per cominciare, a raccontargli in quale circostanza aveva conosciuto Walter.


“Sì, lo ricordo bene, è stato durante la visita militare, i famosi tre giorni:

c'eravamo scambiati il telefono con l'intento di contattare insieme gli

organismi per l'obiezione di coscienza. Poi, in poco tempo, abbiamo legato

fino al punto che ci si sentiva quasi ogni giorno” precisò Lorenzo.


153

Capitolo XXVI

“Però... chi l'avrebbe mai detto, suppongo che poi ne abbiate combinate di

belle insieme?” intervenne Enrico curioso.


“Oh, sì! Con Walter, non c'è ombra di dubbio... Mi ricordo ancora della

prima volta che mi portò al tempio dei devoti di Krishna. Mi chiamò nel

primo pomeriggio, per parlarmene con un lungo tormentone, fintantoché

entrò in stanza mia madre inveendo scocciata:


'Te e quello scemo di Walter! Droga e telefono! Non avete altra sana

intenzione da spendere nella vostra vita...'


Fu così che non mi restò altro da fare che tagliare corto al telefono con

Walter dicendogli:


'Insomma, ci si vede direttamente alla salita del Poggio Laurentino per il

prashada.'


Poi, una volta riagganciato il telefono...”


“Ehi, ragazzi! Ecco qui dei caldi e profumati cappuccini!” lo interruppe

Walter, di ritorno dal bar al piano superiore, brandendo un vassoio in mano.

Quindi, resosi conto di aver interrotto Lorenzo nel suo racconto, aggiunse:


“Ok, vedo che avete da fare, mi fa piacere che vi siate presi subito voi due...”


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Capitolo XXVI

Postfazione alla seconda edizione in elettronica

Romanzo d'esordio e dunque formativo, o favolistico-formativo, ma anche

realistico e neo-realistico, surreale e psichedelico, ironico e spietato, che si

nutre di una visione del mondo articolata e ricca di punti di vista sulla storia e

sulla lingua.


In un tempo andato con biglietto di ritorno di Enrico Pietrangeli è un

pellegrinaggio iniziatico nel caotico 'omphalos' della generazione del '77 o,

più precisamente, di quel gruppo di adolescenti o poco più che contestava

l'apparente tenuta di un assetto politico già disgregato, da tempo in declino.

Erano giovani coinvolti in una politica 'engagé' della piazza, che

rivendicavano diritti e giustizia sociale e utilizzavano l'arte in modo

spontaneo: quella musicale ma anche quella visiva e letteraria. La musica, in

questo caso, è struttura portante, realisticamente e simbolicamente, ed è colta

in tutti i suoi aspetti più variegati e contraddittori. Attraversa i generi,

dall'underground al commerciale, dalla disco-music al progressive, scandisce

i blocchi narrativi attraverso pertinenti riprese tematiche, avvicina i

personaggi tra loro, li isola, rappresenta classi sociali e contesti, fino a

diventare moda, tendenza.


Generazione di intellettuali ma anche di “emarginati”, la definisce G. Ferroni

nella Storia della letteratura italiana, “uniti all'insegna di un interesse del

tutto strumentale per la poesia, puro pretesto per lo sfogo di comportamenti

alternativi”.


Argomento scarsamente rappresentato nell'olimpo letterario, il movimento di

contestazione del '77, in questo romanzo la fa da padrone con tutti i suoi

cliché, a tratti volutamente stereotipati o sgranati, che si tratti della droga o

della fascinazione per l'India, del noto raduno di poeti e musicisti a Castel

155

Porziano, fino a Massenzio, alla musica rock, pop e alla Domenica Sportiva.

Grazie a questi stereotipi, i personaggi potranno conoscersi e riconoscersi in

un circuito esistenziale tragicomico e trasmettere una fotografia dell'epoca

eroica e trasgressiva: interpreti di vite 'normali' oltre che di confine, animati

da un profondo desiderio di riscatto. Per Lorenzo, indiscusso protagonista, è

dunque sperimentabile la scoperta, a tratti anche distruttiva, di un sé ancora

acerbo.


Roma e dintorni, con sortite a Milano e Firenze, sono i luoghi dove la

conoscenza si nutrirà di curiosità adolescenziale, riuscendo a

sprovincializzare una cultura urbana da 'stra-paese'. Ciò è possibile per mezzo

d'incontri con altri personaggi (Walter, l'amico del cuore; Francesca, l'attrice

matura e intelligente, o Mimì, la transessuale) in una costante attenzione

verso l'avanguardia modaiola d'oltreoceano. Ovunque imperversano

fenomeni come la 'banana' di Warhol, emblematico orpello della pop-art, i

nuovi 'supereroi' finalmente giungono in Italia mentre si ascoltano ancora

canzoni fissate da sempre nell'immaginario collettivo, come Sound of silence

di Simon and Garfunkel.


Questi ed altri fermenti renderanno possibile la trasformazione di Lorenzo in

'icona donchisciottesca', eroicamente positiva, depositaria di saperi e valori.

La sua formazione si attesterà allora su tonalità picaresche e sarà demandata

ad un iter esperienziale fatto di ricerca e casualità più che di apparati

istituzionali quali scuola o famiglia, sovrastrutture che il protagonista non

intende ancora comprendere o che forse ha già intuito e archiviato, coinvolto

com'è nell'amore, nella musica e nel sesso.


L'alternarsi di un sé socialmente integrato e di un sé più devoto alla solitudine

e alla riflessione, malinconicamente ritratto nell'ascolto di Un uomo in crisi di

Claudio Lolli, permette all'autore di cimentarsi con un'interessante

architettura del personaggio. Un narratore profetico scruta con attenzione

ogni rocambolesca e ossessiva contraddizione (caratteristica del '77). E'

ottocentesco nella sua onniscienza-preveggenza, indiziario nei suoi caustici

interventi che commentano i fatti e forse, in quest'aspetto, riconducibile ad

autori come Balzac o Stendhal. La storia è impostata sul motivo di un

contrastato amore tra Lorenzo e Lucia e rimanda, anch'essa, sia per i

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Postfazione alla seconda edizione in elettronica

riferimenti onomastici manzoniani, che per la tematica sviluppata, ad un

impianto 'ironicamente' ottocentesco (chissà se, oltre a questa seconda

edizione in elettronica, altre ancora ne verranno rielaborate dall'autore…).


Impedimenti esterni, al di sopra della volontà dei personaggi, o 'sortilegi',

prendendo a prestito una definizione di Sklovskij utilizzata per i poemi

cavallereschi, incastrano Lorenzo e Lucia in una costruzione fatta di corse e

rincorse ma mai di coincidenze. Le complicazioni non sono superabili in

alcun modo se non attraverso un rituale di morte e rinascita. Il capitolo in cui

viene descritta la morte dell'amatissima Lucia è uno degli esempi più riusciti

d'innesto di registri a sfondo melodrammatico. Alla disperazione di Lorenzo

che apprende la notizia dalla televisione, mentre freddamente gli racconta la

morte in diretta, fa da contrappunto poco dopo (ma con più di vent'anni di

anticipo) il sarcastico riferimento del narratore al genere televisivo del

'reality'. Lo scambio continuo tra parola e immagine non può trascurare,

d'altronde, allusioni alla 'scatola' televisiva e ai suoi perpetui meccanismi

come l'intramontabile connubio calcio-televisione, né dimenticare il mondo

della comunicazione sonora e visiva fatta di telefono o telefonino, di cinema,

pubblicità o chat-line. Strumenti contestati, accettati e dunque utilizzati

dall'autore, ma più spesso trascritti da una telecronaca distaccata dell'epoca.

La strutturazione in capitoli-racconti scandisce una ripartizione a episodi da

serial televisivo, con 'short-stories' tematicamente autonome sebbene inserite

in una più ampia cornice di trama e supportate da una scrittura densa e

cinetica.


Ma come per la definizione di 'genere', così per quella di 'stile' e 'lingua', è

necessario soffermarsi sui contrasti prima di arrivare ad una percezione

d'insieme. La sfida è tra lingua colta e linguaggio popolare, cruda

immediatezza e spigliata dialogicità (i dialoghi sono in buona parte in gergo

dialettale), prosa d'arte e poesia. Tra le numerose investiture ricevute da

Lorenzo, infatti, c'è anche quella di 'poeta'. Un angelo gli apparirà più volte,

sia nel sonno che nella veglia, per eleggerlo a cantore, spronandolo a fare

buon uso delle ispirazioni attraverso illuminazioni creative. Angelo custode,

visione allucinata, icona cristologica o pura intuizione? Forse, più

semplicemente, un alter ego di fantasia caduto sulla terra.


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Postfazione alla seconda edizione in elettronica

Miti e archetipi delle origini sono evocati di continuo ma sfuggono

dall'autoreferenzialità, contemplata semmai nella messa in scena di

macchiette esilaranti. La loro lucida definizione arriverà a distanza e sarà

scandita da un'ellissi temporale di circa vent'anni, corrispondente alla seconda

parte, il "biglietto di ritorno" dalla storia, appunto, ovvero gli ultimi tre

capitoli del romanzo. Ora lo slancio vitale della conoscenza è diventato

coscienza, evoluzione in senso bergsoniano. Lorenzo può finalmente

attestarsi quale 'exemplum' del suo tempo, come anello di congiunzione tra

passato e presente in bilico tra il 'bianco e nero' e il 'technicolor'.


Tempo musicale, flusso interiore e tempo narrativo procedono di pari passo e

con armonia in un complesso gioco di rimandi, anticipazioni, flashback,

parallelismi cronologici e giochi anacronistici, come la citazione di Chi l'ha

visto ante litteram o la breve descrizione dell'144 (servizio erotico telefonico

apparso alla fine del secolo scorso).


E poi c'è il tempo del disincanto. Sono state superate tante prove e scoperti

molti enigmi. Le occulte alchimie degli eventi premieranno Lorenzo, ormai

adulto, trasformandolo in un personaggio-narratore, cantore della memoria, e

inventeranno, come testimone della narrazione, un autore-personaggio che

fatalmente scrive romanzi e vende al mercatino di modernariato reperti

sacrali di musica non riproducibile: - i vinili - già nostalgicamente soppiantati

non solo dai CD ma anche dai più impalpabili MP3. Sacrale, a questo punto,

diviene anche il risvolto del racconto che tramanda esperienze e salva dalla

morte.


Simonetta Ruggeri


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Postfazione alla seconda edizione in elettronica

Nota biografica dell'autore

Enrico Pietrangeli, autore della raccolta di poesie "Di amore, di morte",

pubblicata in versione cartacea (Teseo editore 2000) ed in elettronica (Kult

Virtual Press 2002), collabora con riviste e siti internet pubblicando articoli e

racconti brevi. Attraverso la traduzione poetica, si è dedicato all'opera di

alcuni autori poco conosciuti. Redattore di Controluce e dell'Osservatorio

Letterario, gestisce il sito "Poesia, scrittura e immagine"

www.diamoredimorte.too.it. Ha pubblicato la prima edizione del suo

romanzo d'esordio "In un tempo andato con biglietto di ritorno" nel 2005 con

Proposte Editoriali.

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