sabato 16 ottobre 2010

CARMEN COVITO - § * * * CRONACHE DAL WEB * * * §


C AR M E N  C O V I T O
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Edizione d’Autrice


Racconti


dal Web


Carmen Covito


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Carmen Covito


Racconti dal Web


Edizione d'Autrice


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Ma chi è andato sulla Luna?


Sto sbirciando attraverso un buco nella siepe. Mica facile, con questi rametti


che tendono a scattare in fuori stile filo spinato mirando agli occhi.


Potatura malfatta. Il problema più serio, le ginocchia, comunque si


è risolto: non me le sento più da una mezz'ora. Bene. L'insensibilità mi


aiuta a concentrarmi sulla casa. Villetta, dovrei dire. È esattamente quel


tipo di ciarpame residenziale che i geometri definiscono "villetta": due


piani fuori terra più garage seminterrato e, certamente, tavernetta attigua.


Nel giardino, betulle. Ma la colpa non è di Lisa. Lei non è responsabile


dei faretti sul prato e dell'antenna satellitare spadellata sul tetto


a... Finalmente! Eccola. Si è aperto il portoncino blindato e lei è lì, qui,


a tre metri da me che mi emoziono e perdo l'equilibrio e mi spino la faccia


e... C'è mancato poco. Scricchiolio di rotule come una fucilata nel


silenzio. Ma lei non se n'è accorta. Guarda la Luna, lei. Forza, bella, av4


vicinati ancora un po', abbassa qella dolce testolina, sì, così, vieni, altri


due passi, ma, insomma! dài, come fai a non notare niente? Proprio lì,


tra Dotto e Mammolo, dove dovrebbe starci Pisolo, non la vedi la terra


che è scavata di fresco, tutta nera? L'ha vista. Ha già raccolto il volantino.


Lo sta orientando verso la luce di un faretto. “Comitato di Liberazione


dei Nani da Giardino” è scritto in grosso, quindi dovrei vedere subito


una reazione, a meno che questa ragazza sia venuta su talmente male


che... Sta ridendo! Sia ringraziato il cielo, sta ridendo. Mi sento meglio.


Il nodo di apprensione che cominciava a spremermi un filo fastidioso


di acidità su per la gola adesso si è allentato. Peperoni al cumino.


Con un angolo della mente, mi ripeto che dovrei farla finita con certi esperimenti


pesanti: alla mia età, cosa mi vado a mettere a imparare nuove


ricette thailandesi estive, e per cena poi! Ma erano buoni. E mi sono


davvero divertito a scivolare sotto il buco della siepe, prima, con la mia


zappetta di campeggio recuperata dallo sgabuzzino dei ricordi di gioventù...


"Papà, e dài, vieni fuori, lo so che sei qua attorno."


Vengo fuori. Cioè, comincio lentamente a raddrizzarmi appoggiandomi


al nano di gesso che ho liberato con destrezza dal giardino del nuovo


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marito della mia ex moglie, un cafone leghista pieno di velleità da prendi


tre-paghi-due, e sarebbe pure pieno di soldi, l'industrialotto celta, che


a averli io saprei come usarli con stile, tutti, ma è chiaro che il confronto


non potrebbe mai porsi, perché sul mio stipendio da professore di


scuole medie le tasse non le evado, io... oddio la schiena! su, con cautela,


con molta cautela... Suppongo che anche Lisa si possa definire un ricordo


di gioventù. O quasi: quando mi sono arreso all'idea di generarla


rasentavo i trent'anni... be', i trentacinque, ok. Adesso lei ne ha sedici. E


quella sciagurata di sua madre dice che se me la lasciasse vedere di più


finirei per corromperla. Io! Ho perso un pomeriggio intero a scrivere lo


stupido volantino didattico che adesso la mia bambina si diverte a sventolarmi


in faccia, bisbigliando: "Papà, sei tutto scemo. Se invece di uscire


io usciva qualcun altro, che facevi? e che vuol dire qui, "noi del piccolo


popolo ci battriamo per un'ecologia estetica", eh?"


"Era 'ci battiamo': un errore di battuta, appunto" le bisbiglio in risposta,


"e comunque in giardino a quest'ora ci esci sempre solo tu."


"Ci mettiamo a spiare, adesso? Sempre, quando?"


"Da tre giorni", confesso rimettendo il nanetto al suo posto. "E non ti


sto spiando, è solo che l'altroieri passavo di qua e, be', avevi una facci6


na... malinconicamente romantica, ecco. Qualcosa che non va con il tuo


filarino?"


"Perché non ti fai mai gli affaracci tuoi?" dice mia figlia, e sembra quasi


arrabbiata sul serio, ma poi, visto che litigare bisbigliando è praticamente


impossibile e se non bisbigliamo quelli là nella casa ci sentono, finiamo


per sederci fianco a fianco sull'erbetta bagnata. Quadro idilliaco di


padre e figlia in armonia su praticello all'inglese brianzolo. Perfettamente


silenziosi. D'altra parte, se Lisa mi dicesse che, tipo, il suo ragazzo è


un drogato sieropositivo con due teste e senza laurea, io potrei solo sorridere


e cercare di convincerla che, forse, non sarebbe la scelta più sensata.


Meno male che, invece, lei è tutta casa e scuola (istituto tecnico


per l'organizzazione aziendale, pazienza), ed è precisa, obbediente, rispettosa


delle regole e... Sconvolto dal pensiero che stavo per aggiungere


"banale", alzo la testa, vedo il gran tocco di Luna che ci pende sopra


e mi metto a parlare a vanvera.


"Lo sai che io c'ero? Il 20 luglio 1969. L'Apollo 11. Quando Buzz Aldrin


stava lì nel modulo di sbarco Eagle e il comandante Armstrong ha


fatto la sua camminata sulla Luna, con quella bella frase retorica, "un


piccolo passo per un uomo, ma un salto da gigante per l'umanità", avre7


sti dovuto vedere che tempi, anche da noi in provincia, in quello schifo


di provincia immobilista, che poi un paio d'anni dopo sono venuto su a


insegnare al Nord, sembrava proprio che si sarebbe riusciti a cambiare


tutto, assolutamente tutto, e, sai, anche quel primo passo al di fuori del


nostro vecchio mondo era, be', a modo suo, una rivoluzione. Perciò ci


commuoveva vedere un uomo, solo, goffo, chiuso nella sua tuta protettiva


da milioni di dollari come in un'armatura da cavaliere errante, saltellare


lassù... Che sto dicendo? Lisa, erano in due: perché dopo Neil


Armstrong scese anche Buzz, e anche se nelle foto le facce non si vedono


perché i caschi riflettono la luce, quello vicino alla bandiera americana


piantata nella Luna è proprio lui, e, hai presente quell'orma umana


stampata nella polvere lunare? Io preferisco la fotografia di Armstrong


sulla scaletta, è più documentaria, ma l'orma è diventata l'immagine più


forte, più simbolica, perché non ha importanza se è l'impronta del primo


o del secondo..."


Nessuno si ricorda mai che sull'Apollo 11 c'era un terzo uomo, ma io sì.


Si chiamava Michael Collins, era il pilota della navicella-madre Columbia,


è rimasto per tutto il tempo in orbita: alla Luna ha potuto soltanto


girarci attorno, lui, come io ho girato attorno alla vita... Ma questo a Li8


sa non lo posso dire. "Fantastica, quella lunghissima notte insonne davanti


alla televisione aspettando il collegamento con Houston" le dico


invece, "che Ruggero Orlando e quell'altro, come si chiamava, Tito Stagno!


dallo studio di Roma, non riuscivano a mettersi d'accordo, "ha toccato",


"non ha toccato", "ti dico che ha toccato!", e be', è stato importante


per la storia del nostro secolo: a mandare la fantasia al potere non ci


siamo riusciti, ma a spedire un paio di americani sulla Luna sì..." "Ma


non ci sono mica andati davvero", dice Lisa.


"Che?"


"Una simulazione, no? Come Auschwitz. Non c'è niente di vero. Hanno


fatto lo stesso anche per quel presunto sbarco sulla Luna. Tu e quegli altri


babbei davanti alla televisione ve la siete bevuta, la faccenda degli


astronauti, e invece quelli stavano in uno studio televisivo da qualche


parte in America. Lo dice il marito di mamma, lui lo sa, ha trovato in edicola


una videocassetta che spiega tutto."


Sarò rimasto a bocca aperta troppo a lungo, perché Lisa ha assunto un'espressione


preoccupata e poi mi ha bisbigliato gentilmente: "Domani


gliela frego e te la presto, sì?"


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Non potevo non farlo. Esercitando su me stesso una violenza estrema,


andando contro le mie convinzioni più profonde, con la morte nel cuore


e con un rombo di motori a razzo nel cervello, le ho mollato uno schiaffo.


E ho cominciato a urlare a squarciagola: "La vedremo! Domani vado


dall'avvocato! Ricorro al tribunale dei minori! Qui è tutto da rifare! Criminali!


Nazisti! L'educazione di mia figlia spetta a me!"


Stavolta, no. Stavolta, non mi arrendo. No pasarán. Ho ceduto su tutto,


sempre di più, negli anni ho dato via come se fosse niente il mio ruolo


politico di maschio, il mio ruolo sociale di docente progressista di scuola


media, le mie vecchie speranze, la dignità. Ma adesso, mentre la villa


dell'evasore esplode all'improvviso di luci trasformandosi nell'astronave


di Independence Day, grido il mio "basta" e non mi tiro indietro: io, a


quelli lì, la Luna non gliela voglio dare. Un altro olocausto, no.


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Bi-Sex più uno


Vieni con me. Sono l'uomo dei sogni di ogni donna e sono tuo, il tuo


principe azzurro per i momenti di relax. Puoi chiamarmi Azzurro senz'altro,


fa più casual e si intona benissimo al mio colore d'occhi, sai,


quel blu così particolare che la pelle abbronzata rischiara, sprigionandone


trasparenze di ghiaccio affascinanti. Ma non sarò mai freddo, con te.


Gli unici brividi che ti farò provare scintilleranno in te dal contatto casuale


- così sapientemente casuale - delle mie dita forse distratte, e forse


no, su una parte innocente del tuo corpo, una spalla, l'orecchio, la nuca,


la radice della tua schiena nuda o, indifferentemente, il dorso della mano.


Questo, la prima volta. Poi, quando mi toglierò gli occhiali per baciarti...


Oh sì, sono un po' miope, quel pochissimo che basta a darmi un


certo tono da studioso e a convincere te, già a prima vista, che questa


bronzea statua di muscoli splendenti non è vuota. So che una donna, og11


gi, non si accontenta della superficie. E io avrò il coraggio di lasciarti


entrare nelle profondità dei miei pensieri, per te tirerò fuori l'anima, o le


budella se mi preferisci più realista. Sarò sentimentale e carezzevole.


Ma all'occorrenza troverai due larghe spalle su cui appoggiarti, un carattere


saldo come i miei bicipiti ammirevoli. Sono alto un metro e ottanta,


faccio sport e non ne parlo molto. Ho il ventre piatto, le natiche sode: la


curva del mio dorso ti farà da sella docile se vorrai spogliarmi e cavalcare.


Poi, imbizzarrito per gioco, ti ribalterò che ridi e gridi di finto orrore


e spingi via con tutte e due le mani la mia fronte che prende posizione


sul morbido cuscino del tuo pube, e intanto mi trattieni annodando


le dita ai miei capelli, guidandomi. Sarò abile. Impazzirò molto a


lungo. Ci stai?


Secondo livello: per Lui


Ciao! Mi chiamo Donna, sono la ragazza dei tuoi sogni. Vedi che tette?


Roba stratosferica, micino mio, roba autentica, niente silicone, e questa


quinta misura è tutta per te, per lo stallone preferito di Miss Strafiga,


dài, dacci dentro subito, sono qui che ti aspetto... Oh no, la prego, non


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lo faccia, sono solo una ragazzina, non l'ho mai fatto con nessuno, e anche


se lei è così deciso e attraente, no, no, non potrei, non qui così... La


lingerie che preferisco è frusciante e costosa, vado matta per i pizzi e i


laccetti e per la seta che scivola sulla pelle calda... Sono una professoressa


di matematica, indosso solo una goccia di profumo e tacchi a spillo,


cattivone, hai imparato la lezione? Stupidaggini, oh, quante stupidaggini!


Sono la tua zietta, ora ti metto a letto e, mentre comincio a togliermi


le mutandine, ti racconto la fiaba di Cappuccetto Azzurro... Azzurro,


amore mio, aiuto! dove sei? vieni a portarmi via! Sono una segretaria


molto efficiente, sono una porca, sono una signora perbene, sono


la tua puttana, sono una suora, basta, ma che volete da me? io non ne


posso più, io sono io e voglio Azzurro, voglio Azzurro, voglio Azzurro...


Universal Giochi, messaggio interno: da Roberto Piras


a Magda Colombo.


Brutta cretina, che mi hai combinato? Fino a cinque minuti fa Donna


funzionava benissimo, e adesso si è messa a dare i numeri, dice cose


che non stanno né in cielo né in terra, chiede perfino aiuto al tuo princi13


pe Azzurro del cavolo... Rettifico: cretino io, che ho permesso a una


programmatrice incompetente di ficcare il naso nella MIA parte del progetto.


Vieni immediatamente qui e, qualunque cosa tu abbia messo nel


mio computer, toglila!


Robbie The Sardman


Universal Giochi, messaggio interno: da Magda Colombo


a Roberto Piras.


Sei scemo? Io nel tuo computer non ho messo proprio niente. Se il mio


Azzurro funziona e la tua Donna no, vorrà dire che il programmatore incompetente


sei tu. E sei anche scorretto. Il semplice fatto di esserci visti


a cena un paio di volte non ti autorizza a insultare una collega pari grado.


Maga Magdò


Universal Giochi, messaggio interno: da Roberto Piras


a Magda Colombo.


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D'accordo, d'accordo, ritiro il "brutta cretina". Sei bellissima. Ma, per


favore, Magda, guarda che qui se questo "Bi-Sex" dell'accidente non è


pronto per la riunione di dopodomani ci licenziano tutti e due, perciò


che ne diresti di venire un momento nel mio ufficio a dare un'occhiata?


Donna è sul serio incasinata, e, ok, magari tu sei più brava di me a capire


dove ho sbagliato.


Robbie The Sardman


P.S. - Quello che è successo l'altra sera tu lo chiami "vedersi a cena"?


Universal Giochi, messaggio interno: da Magda Colombo


a Roberto Piras.


Però! Non sospettavo che tu fossi il campione mondiale di calata di braghe.


O meglio, avrei dovuto sospettarlo dalla velocità con cui ti sei calato


i pantaloni l'altra sera. Accetto le scuse: hai ragione, invece di litigare


per posta elettronica interna è meglio che sistemiamo il lavoro al più


presto. Finisco qui e vengo da te.


Maga Magdò


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P.S. Hai ragione anche sulla "cena" dell'altra sera. Credo che il termine


tecnico sia "petting pesante".


PP.SS. Ehi! Ho una mezza idea su quale può essere il problema di Donna.


Devi averle dato troppi parametri. Tipico di voi maschi: non sapete


che cosa volete, e noi poverette ci dobbiamo mettere addosso una quantità


di modelli femminili tra cui farvi scegliere. Si capisce che, poi, una


va in confusione e si attacca al primo uomo sensato e civile che le capita


a tiro. Arrivo subito.


Strettamente riservato alla direzione della Universal


Giochi Ltd.


Oggetto: analisi psico-relazionale della compatibilità


di programmatori maschi e femmine nella costruzione


di un videogioco per coppie di adulti.


Ieri martedì 25 maggio 1999 si sono felicemente concluse le mie osservazioni


sui due soggetti coinvolti nell'esperimento "Bi-Sex". Faccio rispettosamente


notare che avrei diritto a una gratifica in quanto dette osservazioni


si sono protratte ben oltre l'orario d'ufficio. Quale ispettore


prossimo alla pensione, mi sento inoltre in dovere di ripetere che l'idea


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di far lavorare due bravi programmatori a un progetto fasullo con il solo


scopo di verificare la loro produttività è particolarmente stupida; mi è


giunta voce che il collega Gerace, ideatore di questo incredibile spreco,


sostiene di poter ripianare le perdite mettendo realmente in produzione


il videogioco "Bi-Sex", eventualità sulla quale mi permetto di esprimere


il più energico dissenso: dalle ultime ricerche di mercato emerge infatti


che nessuna coppia media comprerebbe un videogioco in cui lui e lei


possono interagire con, rispettivamente, la donna e l'uomo ideali. Entrambi,


l'uomo e la donna reali intendo dire, si sentirebbero gelosi e umiliati,


condizione che la mia modesta persona ha avuto modo di esplorare


in ahimè lontane esperienze con alcune signore piuttosto vivaci:


non attizza per niente. A meno che la nostra rispettabile azienda non voglia


farsi trascinare dalla stupidità del giovane Gerace nella fascia di


mercato sadomaso, ipotesi alla quale mi rifiuto di pensare: è poco redditizia.


Comunque, i due soggetti Piras e Colombo si sono incontrati alle


ore 15 nell'ufficio di Piras e hanno lavorato d'amore e d'accordo al perfezionamento


della parte femminile di quell'inutile videogioco. A quanto


ho capito, la cosiddetta "Donna" aveva contratto un virus che la Colombo


denominava "autocoscienza"; virus che, per citare Piras, "l'aveva


fatta innamorare come una scema di", chiedo scusa, "quel coglione di


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Azzurro". Il problema è stato risolto in quarantacinque minuti circa. Poi


i due programmatori, che come al solito ignoravano di essere sotto costante


osservazione, hanno festeggiato molto vivacemente e in maniera,


oso dire, emozionante, fino alle 23 e 50, ora in cui si sono addormentati


esausti sul pavimento, e io pure nello sgabuzzino di osservazione. Al


mio risveglio ho provveduto a una sollecita ripulitura dello sgabuzzino


dagli inevitabili fluidi organici che l'osservazione mi aveva costretto a


spandere, ma non ho potuto fare niente per i pantaloni del mio completo


grigio quasi nuovo, cosa per cui mi chiedo se non avrei diritto a un rimborso


delle spese per la lavanderia. Allego intanto le registrazioni audio


e video, dalle quali si può dedurre che le relazioni sessuali tra programmatori


non pregiudicano l'efficienza del loro lavoro ma soltanto, al limite,


la resistenza fisica degli ispettori anziani. Per fugare ogni dubbio e


spinto unicamente dalla mia totale dedizione agli interessi dell'azienda,


mi dichiaro fin d'ora disponibile a ripetere l'esperimento con una seconda


coppia di programmatori (se possibile, lei la vorrei bionda).


Gian Antonio Manin


Ispettore di produzione


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L'elisir di Cambise


Agli occhi dei vicini di casa, la giornata normale di Camilla Cambise si


presenta grossomodo così: alle nove e cinque le persiane elettrificate del


suo appartamentino, terzo piano, si sollevano l'una dopo l'altra (sono


due in tutto: camera e soggiorno, poiché le finestrelle di bagnetto e cucina


affacciano all'interno di un cavedio, invisibili), e per mezz'ora circa


un rivoletto di musica rock ruscella giù in cortile (Radio Eurasia Tostissima,


hai capito la vecchia? ha gusti musicali che non c'entrano niente


con la sua età, però bisogna ammettere che il volume è discretamente


basso). Verso le nove e mezzo, nove e quaranta, che piova o ci sia il sole,


la Cambise viene fuori dal portoncino della scala B, attraversa il cortile


e va, modestamente ma impeccabilmente vestita con abitini a fiori o


in un austero cappottino nero a seconda delle stagioni in corso, a comprare


i giornali e a leggerseli al bar (il Bar Ciro, di solito: ma il martedì,


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che è il giorno di chiusura del Ciro, si sposta al Gran Caffè Roxane, un


po' più caro). Prima della pensione, la Cambise avrà fatto probabilmente


la professoressa, o forse lavorava in banca, chi lo sa, ma in ogni caso


dev'essere stata un tipo di concetto, se no non sprecherebbe tanti soldi in


giornali, no?, e non sarebbe divorziata o vedova o zitella o comunque


così del tutto abbandonata da poter consumare mattine intere sempre e


solo al bar, dove centellina un unico caffè e un bicchierone d'acqua naturale.


Di tanto in tanto capita che sollevi gli occhiali da lettura fin sui


capelli (grigi e tagliati maluccio) per guardarsi un po' attorno e indirizzare


un cenno di riconoscimento alle solite facce del quartiere, però nessuno


la disturba mai. Alle dodici e dieci minuto più minuto meno, quando


le cameriere si preparano per i panini caldi degli impiegati in pausa,


la Cambise lascia cortesemente libero il tavolino, poi la si vede fare una


puntata o alla Esselunga o al take-away cinese o, più frequentemente,


alla salumeria-rosticceria "Il Pollo d'Oro", che in caso di bisogno può


effettuare consegne a domicilio. Con i suoi pacchettini della spesa, eccola


quindi ritornare a casa e, salvo che non prenda verso le diciassette


il tram che porta in centro (va al cinema? a teatro? ad ascoltare qualche


conferenza? fatto sta che esce al massimo due volte a settimana), nessuno


la vedrà riattraversare il cortile o affacciarsi o riemergere in alcun


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modo dal suo bilocale fino alle nove e cinque del giorno successivo: gli


unici segni della sua esistenza sono nel pomeriggio occasionali attacchi


di musica, ridotta prontamente a un volume più basso, l'accensione di


una luce al crepuscolo, poi, mentre la serata scivola nella notte e sul


cortile scende un silenzio opaco, dalle tende ben chiuse del suo soggiorno


può scoppiettare fuori la stranezza di qualche risatina. Che cosa avrà


da ridacchiare tutta da sola, quella? Va bene che dalla sua finestra, fino


a quando, verso le tre di notte, il fruscio fastidioso del motorino elettrico


segnala la chiusura delle persiane, si può veder filtrare l'azzurrità di


un video: però, da ormai sei mesi, o forse sette, più nessuno ha sentito


provenire da quell'appartamento, neanche a volume minimo, nessun audio


di film né di programma televisivo alcuno. La Camilla Cambise avrà


voluto immergersi fino in fondo nel ruolo di condomina perfetta e


passerà le sere con una cuffia stereo sulle orecchie?


Sì, è così. O quasi. Da sei mesi Camilla sta facendo un videogioco, e lo


fa con la cuffia sulle orecchie, perché all'inizio aveva un po' vergogna.


Tutti quei rumorini sintetizzati, i cinguettii, gli urletti, e soprattutto i


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tuoni! La fanno sussultare ancora adesso, perché arrivano sempre all'improvviso,


e Camilla ridacchia e scosta di un millimetro la cuffia dalle


orecchie, scuotendo leggermente la testa. Aveva cominciato, su consiglio


del medico, con uno sparatutto per playstation. Sembrava infatti


che quei movimenti rapidi delle dita e del polso sul joystick fossero un


toccasana per riallenare i riflessi e ritardare la sclerosi: però si era sentita


molto a disagio a stare lì a far fuoco a ogni minimo guizzo sullo


schermo. Una volta capito il meccanismo, non c'era gioco. E inoltre, in


quarant'anni di onorato servizio nei Fucilieri Speciali Antirabbia e nonostante


le sue ben tre medaglie d'oro ai campionati interforze per Tiratori


Scelti, Camilla non ha mai trovato divertente uccidere. Tutte quelle


povere volpi, tutti quei cani con le fauci schiumanti e gli occhi tristi, e,


al tempo della Grande Epidemia, tutti quei ragazzini e le ragazze urlanti...


Dopo i primi due casi di studenti rabbiosi, Camilla si era chiesta


perché mai il suo Comando non avesse cambiato le normali pallottole


con qualche cosa di meno letale, e al terzo si era spinta ad avanzare formalmente


l'istanza di rimettere in uso le siringhe di sonnifero già avute


in dotazione quando si era trattato di un prezioso elefante dello zoo, ma


dalle vie gerarchiche le era disceso l'ordine di fare meno storie e, confidenzialmente,


le era stato spiegato che ogni dimostrazione di sensibilità,


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per quanto umanamente comprensibile, sarebbe stata pericolosissima:


avevano a che fare con un ceppo di Rabbia Politica terribilmente contagioso,


irrimediabilmente virulento, inguaribile. Abbattere ogni capo infetto


era un'odiosa necessità, tesa a salvaguardare la parte ancora sana


del Paese. Fu dunque con un senso di dovere ben riposto che Camilla


operò anche in quella campagna, ma negli anni seguenti, a mano a mano


che si avvicinava all'età pensionabile, qualche traccia di dubbio cominciò


a riaffiorare e, se non arrivò a farle mai tremare veramente la


mano sul grilletto, qualche volta inquinò la precisione della sua mira fino


a lasciar scappare una o due volpi con la pelliccia appena un po' strinata.


Perciò, Camilla non può divertirsi a far fuori a mitraglia alieni e


mostri: le riesce troppo facile e, sfortunatamente, la porta a risentirsi


giovane.


Al negozio dove tornò nella speranza di cambiare il gioco con un altro,


un commesso cortese la informò che, avendolo comprato, le toccava tenerselo:


ma perché non pensare a un piccolo investimento supplementare


e allargarsi alla gamma dei giochi per PC? Con una buona macchina,


il nipotino avrebbe anche imparato ad andare oltre i giochi. Camilla, ni23


potina di se stessa, ridacchiò ma cedette. E non se ne è pentita: installato


il computer, sbirciata qualche demo, si è subito imbattuta in questo gioco


di simulazione che, da sei mesi, la sta coinvolgendo piacevolmente.


È intitolato "Se fossi Dio" e consiste nella creazione di un intero mondo.


Non molto grande, per la verità: il pianeta ha soltanto un paio di


continenti un po' sperduti nell'Oceano Totale, poco più grossi di un


grosso isolotto. Ma a lei bastano. C'è tanto da fare!


All'inizio, incantata dalla bellezza dei paesaggi nudi, Camilla procedeva


lentamente: cieli altissimi senza ombra di nuvole si andavano iridando


dei riflessi rossi e gialli proiettati dalle terre deserte, rispecchiavano l'azzurro


profondissimo delle acque senza vita. Lei guardava, ammirando


l'abilità dei grafici e prendendo possesso: le piaceva quel mondo di poligoni


che, combinati in fini tessiture, generavano forme cristalline e tridimensionali.


E non le dispiaceva che gli unici rumori fossero un dolce


sibilo di vento e il ciclico respiro delle maree. Fu quasi controvoglia che


iniziò a raggruppare qualche macromolecola, ma, si sa, poi le cose ti


prendono la mano e dalle proteine si fa presto a arrivare ai protozoi.


Senza nemmeno rendersene conto, si era trovata piena di dinosauri, e


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già qualche mammifero sgattaiolava in giro nascondendosi nei cespugli.


Ora di darsi una regolata e cominciare a giocare sul serio.


"Se fossi Dio", che nelle versioni più diffuse può intitolarsi "Popoulous"


o anche "Civilization", e che sostanzialmente non è un gioco diverso dal


ben noto "Sim City", ha il semplice obiettivo di creare dal niente una simulazione


di umanità migliore: equilibrata, stabile, armoniosa, possibilmente


giusta. In sei mesi Camilla ha già ottenuto qualche risultato interessante


sul suo continente maggiore, che per un certo gusto di autoflagellazione


ha chiamato Volpizia: gli esseri umani qui sono passati in


fretta oltre la fase delle guerre tribali e stanno sviluppando una buona


tendenza alla cooperazione. Hanno federazioni di città, scuole, teatri, ospedali


efficienti, splendidi parchi pubblici popolati di deliziose volpi


sia rosse sia argentate. Ogni tanto qualcuno dei cittadini muore ancora


di rabbia, ma solo per ragioni che Camilla trova graziosamente infantili:


un individuo per esempio è morto perché gli altri non gli hanno lasciato


decorare la Mensa Collettiva con il poema spray da lui composto (e che


in realtà non era tanto brutto). Invece a Distopia, il continente piccolo


dove Camilla ha in corso gli esperimenti più audaci per lei, le due popo25


lazioni adiacenti ma rigorosamente separate di Ermafroditi e Amazzoni


vanno così d'accordo che hanno inventato per conto proprio le Olimpiadi


Sessuali Distopiche, un fantasioso rito sportivo che prevede l'incontro


periodico e pacifico di tutti gli individui adulti, e che strappa a Camilla


le risatine più convulse. In materia di sesso non ha molta esperienza:


quando si è Tiratrici Scelte, avere relazioni personali può riuscire difficile,


perché gli uomini o sono già scappati o stanno certamente mirando


ad altro, e lei infatti da anziana, di no in no, si è ritrovata sola, saggia e


amara, cioè nelle condizioni veramente ideali per recitare la parte di


Dio. Volpizia e Distopia sono la sua vendetta quotidiana, la sua curiosità


trainante, il suo elisir di vita piena. Tanto più che, due volte a settimana,


Camilla ha cominciato a frequentare le riunioni di un gruppo di appassionati


che, con i loro diari di creazione sottobraccio, si radunano al


Centro Sociale Pox per confrontare i rispettivi mondi. Ognuno, come


lei, studia con cura tutte le mattine le notizie economiche e politiche per


ricavarne alcuni principi generali e applicare ai suoi popoli l'opposto.


Come lei, ognuno sa che la simulazione non è niente di più che un gioco


ozioso, eppure si accalorano, discutono, manifestano i sintomi di una


Rabbia Politica attenuata e confusa ma non morta. Camilla è felicissima


di aver scoperto in tempo "Se fossi Dio". In mancanza di questo antido26


to potente, tipi come il signor Esposito, ingegnere disoccupato, o come


lo studente fuori corso e quarantatreenne Emilio Zork o come, be', praticamente


tutti i suoi amici del piccolo gruppo, si sarebbero già affacciati


un giorno a una finestra per mettersi di punto in bianco a sparare nel


mucchio dei vicini di casa. E nessuno di loro avrebbe fatto un centro.


Ma lei sì.


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Oggi, l'amore


Oggi, mercoledì, verso le tre del pomeriggio, mi sono accorta che stavo


cercando di parlare con me. Eh sì: telefonino cellulare nella mano sinistra,


cornetta del telefono da tavolo nella destra, avevo proprio detto


"pronto?" e me n'ero rimasta lì sciorinando un sorriso di circostanza in


mezzo ai due microfoni. Non si sentiva niente. Ho pensato: "Ma guarda,


non ci sono..." e mentre lo pensavo ho realizzato di colpo l'assurdità. E


mi sono allarmata. Ho lasciato cadere il cellulare sulla scrivania; poi, tirandomi


indietro e tenendolo d'occhio, ho allungato due dita e l'ho spento.


Comporre sul telefono da tavolo il numero di Werner, subito. Anche


se non è più il mio psicoanalista perché tre mesi fa si è convertito alla


meditazione trascendentale e ha smesso di esercitare, non sapevo a chi


altro raccontare la cosa. Ma il numero risultava occupato. Così gli ho


mandato un messaggio di posta elettronica urgente: "Sto diventando


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matta, aiuto". Quello l'avrebbe visto di sicuro. E infatti, neanche dieci


minuti dopo, mi ha richiamata lui.


"Giulia, tesoro, tu dovresti innamorarti" ha detto a bruciapelo, "è la cura


migliore."


Okay, ho pensato io, questo qui non ha voglia di perdere tempo con me,


okay. Però, anche se non è più il mio psicoanalista, la sua contabilità


gliela sbrigo sempre io, gratis, e io sono la più brava e costosa commercialista/


fiscalista telematica sulla piazza, perciò non mi poteva liquidare


così.


"Ma per favore, Werner! Di chi vuoi che mi possa..."


"Hai ragione" fa lui, un po' troppo in fretta. "Allora, ti consiglio di tenere


una diaria, è la seconda cura migliore."


"Una diaria?" faccio io stupidamente. "Ma... le diarie si danno a chi è in


trasferta, mentre io non vado da nessuna parte..."


"Una diaria, tesoro: un diario al femminile. Afferrato? Comprati un quadernetto


e scrivici giù tutto. Fa miracoli."


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"Scrivere? A mano? Ma..."


"Con una penna. Comprati anche la penna. O strappatene una, che così


fai prima. E adesso scusami, ocona mia bella, ma ho qui un giovane adepto


impaziente di cominciare la seduta di me..."


"...ditazione trascendentale" ho completato io automaticamente, però


forse i puntini sospensivi non c'erano e Werner aveva proprio voluto dire


"una seduta di me": appena prima che cadesse la linea, o che lui riattaccasse,


si era sentita come una risatina seguita da un urletto soffocato.


Un giovane adepto che soffre il solletico, già. Ma le trascendenze di


Werner non erano affari miei. Ho inserito la segreteria telefonica, il fax


e il servizio automatico di messaggeria, ho fatto una carezza di saluto al


mio fedele computer che ronfava, mi sono infilata la mascherina antismog


e gli occhialoni protettivi e ho fatto una corsa all'ipermercato qui


all'angolo.


Bisogna sempre correre, quando si attraversa la strada. È più prudente.


Almeno, così dicono le istruzioni governative per la vita all'aperto: io,


grazie al mio lavoro che può essere svolto tutto da casa, non ho molti


contatti con l'ambiente. Certo, mi rendo conto che con uno stile di vita


come il mio si rischia di restare un po' isolati... Ma su questo Werner si


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sbaglia: io, quanto a storie d'amore, ne ho già avute abbastanza con il


mio ex marito: oltre alla mia con lui, c'erano tutte le storie sue. Mai capito


dove e come incontrasse tutte quelle altre donne. Dopo la separazione,


ho provato a conoscere qualcuno anch'io, via Internet, e un paio


di volte mi è sembrato di sentire un brividino, ma poi regolarmente la


storia si arenava sulla difficoltà di realizzare un incontro che non fosse


soltanto virtuale, perché io per me sarei stata anche disposta a rischiare


il tutto per tutto, ma mi sembrava giusto che il corteggiatore di turno rischiasse


prima lui quei quattro passi necessari: insomma, perché diavolo


avrei dovuto muovermi io per andare a incontrare uno che non si sogna


di muoversi per me?


Oggi però c'era un solo cadavere in mezzo alla strada, nemmeno tanto


fresco, e nessun cecchino sparava dai tetti, né all'andata né al ritorno.


Strano. La polizia dev'essere diventata improvvisamente più efficiente,


o magari è scoppiato uno sciopero dei terroristi. Sarebbe ora: i telegiornali


dicono che la gente non ne può più di doverci lasciare la pelle anche


nelle giornate di basso inquinamento. In effetti, oggi fuori si stava


benino: tenui raggi di luce foravano la nebbia graziosamente. Ho raggiunto


le casse dell'ipermercato senza essere stata rapinata né picchiata.


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E ho perfino trovato il quaderno e la penna.


Giovedì


Una visita! Era soltanto la figlia della mia vicina di pianerottolo, ma ricevere


qualcuno è comunque una tale emozione che quando Samarcanda


- la povera bambina si chiama Samarcanda, forse per questo ha quel


faccino triste, come schiacciato sotto l'abbondanza di boccoloni biondi:


infatti poi mi ha chiesto se, per favore, non potevo chiamarla semplicemente


Sam? - quando Sam dunque è entrata, mi è scappata di bocca una


sciocchezza: "Sono in ordine?". A una bambina, figuriamoci! E poi mi


ero appena cambiata per la mia cena a lume di candela da sola. Ma nel


vederla mi è venuto in mente che Irene, la mamma di Samarcanda, fa la


stilista di moda: mi sarebbe seccato sfigurare.


"Sei trendissima: quella gonna frappata è la fine del mondo, i buchi sono


tutti giusti, giuro."


Avrà detto così per gentilezza: lei aveva un abitino neo-nostalgico all'ultimo


grido, in una deliziosa tela di sacco con applicazioni di patate


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sintetiche. Ma sembrava sincera. Anzi, commossa: le tremavano stranamente


le labbra.


"Mi potresti prestare una mezz'ora di tempo-rete?" ha chiesto supplichevole,


"perché io devo fare i compiti e non posso, perché la mia maestra


elettronica è andata in tilt, perché la mamma si dev'essere dimenticata di


pagare l'abbonamento, perché la mamma è..." e a quel punto la gentile,


beneducata Sam si è trasformata in un polipo singhiozzante. Si rotolava


sul pavimento allungando braccia e gambe dappertutto. Scalciava. Ho


avuto un bel daffare a cercare di immobilizzarla e di capire che cosa urlasse,


intanto. A quanto pare, Irene è uscita una settimana fa e non è ancora


tornata. Ora mi spiego come mai c'era tanta tranquillità. I muri qui


sono così sottili che, di solito, posso regolare l'orologio sulle litigate di


Irene e Sam: basta che alzino un po' la voce (una media di sette volte al


giorno) e io sento tutto come se ce le avessi in casa. Fino a stasera la


bambina non si era preoccupata perché, andando via, Irene l'aveva lasciata


con molte scorte e aveva anche avvertito che facesse la brava,


non aprisse a nessuno e, al suo ritorno, avrebbe avuto una bella sorpresa.


Mi sa che la sorpresa, invece, sarà bruttissima. Peccato. Anche se Irene


l'ho intravista appena e poche volte, la sua voce mi teneva compa33


gnia. Mi mancherà. E oddio, certo, mancherà soprattutto a sua figlia.


Dopo che si è calmata, abbiamo fatto insieme i suoi compiti di scuola.


Poco rassicuranti: si trattava di una ricerca sulle donne dei paesi non industrializzati,


e cosa non è venuto fuori dai data base! Miseria, malattie,


disastri naturali, uomini che la fanno da padroni obbligando le donne a


starsene tra donne, senza vita sociale, e con tutti quei figli morti di fame...


Quanto siamo più fortunate, noi! Per invitare a cena Sam, mi è bastato


impostare un raddoppio delle dosi sul quadrante del mio Cuoco


Perfetto. Durante e dopo il pasto, la bambina non ha smesso un momento


di parlare: aveva preso confidenza, tanto che si è anche messa a curiosare


per casa mia in un modo abbastanza indiscreto. Quando ha visto


sulla scrivania questo quaderno, ha cacciato uno strillo: "Ma hai la Fata


Rifatta!"


"La che?"


Si riferiva al disegno sulla copertina: una specie di giovane top model


con enormi occhi perplessi, un vitino da vespa, ali da moscerino, le


gambe lunghe da qui a lì e al posto delle tette due coni di volume imbarazzante:


il tutto su uno sfondo di cielo in colorini caramellosi. Deve


trattarsi di una qualche famosa eroina dei cartoni animati, perché la mia


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piccola ospite mi è sembrata stupita, anzi scandalizzata che non la conoscessi.


L'ho delusa. Soprattutto quando, cercando di recuperare posizioni,


ho azzardato che questa Fata Rifata, be', certo, era carina.


"Ma che Rifata! Con due ti!" mi ha corretta severamente Sam. "Rifatta!


È una Fata Rifatta, non la vedi? Sei stupida?" e, decidendo evidentemente


che ero stupida ma recuperabile, si è messa a raccontarmi tutto il


cartone animato, a cominciare da quando la fata aveva ancora le gambe


corte e gli occhi piccolini e poi via con una magia dopo l'altra, cioè con


un intervento di chirurgia plastica dopo l'altro, che, dico io, che razza di


magia è? ma a quanto pare questa fata qui produce interventi istantanei,


con un colpo di bacchettina magica, su se stessa e sugli altri personaggi.


La bambola no, ha detto Sam: la bambola della Fata Rifatta, la più desiderata


dalle bambine di oggi, vendutissima, non è capace di trasformare


niente, lei ce l'ha e lo sa, ma però le piace un sacco perché ha dentro un


microregistratore con vari nastri di conversazione e ci si può parlare, e


bla bla e bla bla... Quando Sam finalmente se n'è andata, ho dovuto ingoiare


due pastiglie per il mal di testa.


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Venerdì


Lavorato tutto il giorno. Aiutato di nuovo Sam a fare i compiti. Stavolta


però non l'ho invitata a restare per cena. Stabilito tra me e me che, se la


madre non si fa viva entro lunedì, il suo abbonamento alla maestra elettronica


lo pagherò io: tutto tempo guadagnato per me.


Sabato


Credo che per Irene non ci siano più speranze. Oggi mi sono sorpresa


spesso a tendere l'orecchio verso il muro che divide il mio appartamento


da quello delle vicine e, a un certo punto, impensierita dal silenzio, sono


addirittura uscita sul terrazzino (i due appartamenti affacciano sullo


stesso terrazzino, che in teoria servirebbe per stendere il bucato, ma ovviamente


nessuno lo usa mai), ho scavalcato il basso divisorio che lo taglia


a metà e ho sbirciato dentro dai vetri della loro porta-finestra. Forse


provavo un po' di senso di colpa per non aver lasciato chiacchierare e


sfogarsi la povera Sam... Era lì buona buona che giocava con la bambola.


Nel pomeriggio, l'ho sentita chiamare a squarciagola la mamma, ma


nessuno le ha mai risposto. Io lo so come ci si sente quando qualcuno


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che ami ti abbandona... Se questa diaria deve servire a qualcosa, be', allora


devo scriverlo: non ho mai perdonato il mio ex marito per avermi


comunicato la sua decisione di lasciarmi via fax. Avrebbe potuto avere


almeno il coraggio di dirmelo per telefono. Invece neanche quello: un


messaggio di tre righe per avvertirmi che sarebbe passata una ditta di


trasporti a ritirare la sua roba e stop, segue lettera dell'avvocato, il vigliacco...


Ma cosa sto a lamentarmi? Lamentarsi è inutile. A questo


mondo non ci sono fate che ti possano ascoltare e correre a rifarti l'esistenza.


Se la madre di Sam è stata uccisa davvero, come credo, chi si


occuperà della bambina? Non mi sembra di aver mai visto né sentito un


padre, in giro. Sarà stata concepita in provetta. Eh sì. Brava, Irene. Voleva


una figlia e se l'è fabbricata da sé, senza fastidi di maschi irresponsabili


che ti tradiscono fino alla noia e poi vanno a eccitarsi con l'avventura


altrove. Sono quasi sicura che il mio ex se ne sia andato in uno di


quei paesi sottosviluppati "dove la terra è rimasta terra, il mare è rimasto


mare e gli uomini sono rimasti uomini" come dice la pubblicità per


turisti: e dove le donne sono rimaste sceme, dico io. Però non si può mica


mettere al mondo qualcuno e poi farsi ammazzare come se niente


fosse. Eh no. Ho deciso. Della bambina mi occuperò io. E pazienza per


il mal di testa.


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Domenica mattina


Sono stufa di questo diario inutile. Non ho niente da scrivere. Niente da


vivere.


Domenica sera


E invece sì! Accidenti, accidenti, accidenti! Calma. Cominciamo dall'inizio.


Mentre stavo guardando il noto telequiz "Scegliti la tua vittima!",


nell'appartamento a fianco è scoppiato un fracasso indiavolato. Sam gridava


"Va' via!" e "Non ci credo!" e di nuovo "Va' via!", assieme a rumori


di cose che andavano in frantumi, tipo bicchieri o piatti o soprammobili


scagliati contro i muri, forse addosso a qualcuno. Mi è sembrato


di sentire, in effetti, una seconda voce. Sarà tornata Irene, ho pensato.


Perciò mi sono limitata a alzare un po' il volume del televisore. Una


normale lite tra madre e figlia. Poi però si è sentita sbattere la portafinestra,


e già questo era meno normale. Poi... dietro il vetro, sul terrazzino,


che guardava dentro la mia porta-finestra, un uomo! Sono saltata


in piedi allarmatissima. Il tizio stava alzando i pugni per rompere... no:


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per bussare ai miei vetri. Sembrava disarmato. Boccheggiava. Ha anche


detto distintamente: "Giulia, la prego, mi faccia entrare". Come mai conosceva


il mio nome, e cosa ci faceva lì, sul terrazzino, senza respiratore


e senza maschera, quel bel ragazzo biondo e delicato? Delicato un po'


troppo: stava già cominciando a diventare viola in faccia, soffocava, i


suoi grandi occhi verdi, o azzurri, lacrimavano. In uno slancio di compassione


e senza considerare le eventuali conseguenze, ho aperto la porta-


finestra e l'ho lasciato entrare in casa mia. Mentre lo sconosciuto si


riprendeva dal principio di intossicazione, l'ho studiato per bene. Qualche


anno in più di quelli che a prima vista gli avrei dato. Sui trentacinque,


circa. Longilineo, elegante. Mica male, per trattarsi di un ladro o di


un volgare aggressore imbranato. E la cosa più strana era che mi sembrava


di... no, non proprio di conoscerlo già: ma di averlo conosciuto da


sempre. Perciò non sono poi rimasta tanto meravigliata quando, recuperato


il fiato e dopo aver finito di farsi un pianterello isterico, mi ha raccontato


che, nonostante le apparenze, lui era la mia vicina, Irene, diventata...


Che cosa ne pensavo di "Ireneo"? Per un maschio è un bel nome,


insolito: vuol dire "uomo di pace". Ma Samarcanda invece era rimasta


tutta spaventata, non voleva accettare né credere che lei, cioè, che "lui",


che lui l'aveva fatto per sua figlia, per lei, solo per lei. Perché, mi ha


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spiegato Ireneo, le più moderne teorie pedagogiche condannano i rapporti


esclusivi tra una madre e una figlia: fino a che è piccolina, sì, va


bene, la tenerezza e l'amore materno e tutto quanto, ma dopo no, dopo


un padre ci vuole. E ai nostri tempi, con la difficoltà che c'è di trovare


figure paterne disponibili e la facilità invece di cambiare aspetto e sesso...


L'idea le era venuta, ha confessato, a furia di guardare quella serie


di cartoni animati che piace tanto a Sam. Credeva di far bene, e adesso


invece...


"Giulia, ho sbagliato tutto. "


"Non lo so" ho detto io, fissando distrattamente la mano con cui Irene -


Ireneo! - si stava tormentando una lucente ciocca dei capelli cortissimi.


Una mano quadrata, forte, solida. "Scusa, ma tu... Voglio dire, con questo


cambiamento di sesso... sei andata proprio... cioè, fino in fondo?"


Lui si è alzato di scatto, ha camminato avanti e indietro per il soggiorno


con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, come sovrappensiero, o


in imbarazzo. Poi si è fermato e mi ha sorriso:


"Certo che sì. Mai piaciute le cose lasciate a metà."


"Allora non ci sono problemi... Voglio dire... vedrai che Sam si abitue40


rà. Capirà di essere stata fortunata, ad avere per madre... cioè, per padre,


una persona tanto... coraggiosa e sensibile."


"Tu credi?" ha detto lui, colpito.


"Oh, sì" ho risposto, e mentre lo guardavo dritto negli occhi - azzurri,


sono azzurri e profondi e più affidabili di un lago di montagna d'altri


tempi - ho sentito nel petto un palpitare di battiti convulsi, dolci e duri


come una mitragliata di confetti.


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Stand by me...


Mi ero già messa il mio maglione bianco e aspettavo sulla terrazza, al


buio, rabbrividendo nel vento dell'oceano. Quella sera era proprio uno


spettacolo: schiumava di onde lunghe e rabbiose, avventandosi contro la


spiaggia come se volesse mangiarla e poi mangiare me. C'era perfino


una lingua, no, come una lama di luce lunare che, filtrando da un cumulo


di nuvoloni neri, tagliava esattamente in due la superficie agitata. Uno


scenario adatto per un thriller, e io mi sentivo infatti nervosissima,


ma felice. Che strano. Sulle gambe mi saliva tutto un formicolio, come


se tanti animaletti in fila mi si stessero arrampicando addosso... Dalle


nuvole schizzò fuori un lampo, poi un tuono mi assordò, sentii i capelli


crepitare e drizzarsi sulla nuca, ma certo, ecco cos'era: un temporale estivo


che si stava avvicinando. Mi strinsi nel maglione e mi intristii:


quanto dovevo sembrare buffa, così sola davanti al mare a trepidare, coi


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capelli a ventaglio come un'aureola bionda e con la pelle d'oca su un


chilometro di gambe nude... Perché naturalmente sotto il maglione non


avevo niente.


A Jack piaceva tanto quel mio vezzo di non portare biancheria! Anche


se proprio quello aveva provocato il malinteso del 19 maggio che ci aveva


tenuti separati per ben sei settimane. Povero Jack, l'avevo messo in


imbarazzo il giorno del suo compleanno, ma io pensavo di far bene,


pensavo che per lui sarebbe stato un piccolo regalo supplementare vedermi


lì con quel vestito color carne strizzata che scintillava di seimila


strass e sembrava gridare "strappami, strappami"... Lo so, avevo sbagliato,


era stato imprudente da parte mia disabbigliarmi così per la sua


festa ufficiale, con centinaia di cineoperatori scatenati e sua moglie che


si era guardata bene dal venire a sentirmi cantare "Happy Birthday Mr


President" con la mia vocina innamorata. La strega deve avergliene dette


di tutte, dopo. E infatti da quel giorno Jack non mi aveva più telefonato,


e se chiamavo io si faceva negare: "Il Presidente è in riunione con


i servizi segreti, il Presidente è in riunione con gli esperti di missili", uffa,


non sapevano più che scusa trovare per tenermi lontana da lui, l'ultima


volta mi dissero perfino: "Il Presidente non può essere disturbato,


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sta decidendo se far saltare in aria il mondo o no". Ero ridotta alla disperazione,


dovevo essere proprio fuori di me se risposi di dire al Presidente


che o veniva al telefono o facevo saltare in aria lui. In realtà non


avevo nessuna intenzione di mandare ai giornali il mio diario privato,


ma all'inizio degli anni Sessanta eravamo tutti così, eravamo convinti


che le bombe atomiche sono un ottimo sistema per vincere una guerra


anche se non le usi, basta averle. E infatti Jack venne immediatamente


al telefono, si scusò, mi spiegò i suoi problemi con la moglie che lo ossessionava,


con i cubani che non lo lasciavano dormire, con i russi che


lo facevano ammattire, insomma fu dolcissimo. Lo perdonai all'istante.


Accettai di aspettare che trovasse il momento di inserire anche me nella


sua agenda. Solito posto, la nostra romantica villa sul mare in prestito


dal solito amico riservato. Sul quando, non sapeva essere più preciso di


un "molto presto, cara". Perciò, nel mio maglione di lana naturale e un


po' ruvida sulla pelle più delicata, io quella sera dell'ultima estate mi


sentivo davvero tutta un fremito: lo aspettavo da tanto! E con i lampi e i


tuoni del temporale in avvicinamento, avevo anche paura per lui. Ma


poi sentii il rumore inconfondibile dell'elicottero e tirai un bel sospiro di


sollievo: Jack era sano e salvo, stava atterrando sul tratto di spiaggia riparato


dagli alberi dietro la villa, proprio come al solito. Vidi saltare giù


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la squadra di marines in tenuta mimetica che sparirono subito nel buio,


bravi ragazzi, sempre così discreti, averli attorno era una sicurezza anche


per me. Col cuore in gola per la gioia, corsi in casa. Coi piedi che


volavano sulla moquette senza quasi sfiorarla, attraversai il soggiorno


verso la porta che si stava aprendo, eccolo!, finalmente!, il mio bellissimo


presidentone protettivo dal sorriso smagliante, dalle spalle larghissime...


Sembrava meno alto, più magro, un po' meno imponente, un po'


più... giovane? Accidenti alla mia terribile miopia: gli dovetti arrivare


praticamente tra le braccia prima di accorgermi che quello non era Jack.


Era Bob, suo fratello.


"Ma tu che ci fai qui?" gli domandai più tardi, dopo essere riuscita a sfilarmi


dalla bocca la sua cravatta tutta appallottolata, che oltretutto mi


stava facendo soffocare perché non era di seta pura ma di rayon come si


usava allora, e io per le fibre sintetiche ho sempre avuto un'allergia molto


in anticipo sui miei tempi, "E Jack? Dov'è? Quando saprà che tu.."


"Tranquilla, zucchero, Jack non si arrabbia" mi disse tutto allegro quel


delinquente rivolgendomi dall'alto il suo migliore sorriso sbarazzino (a


me sembrò piuttosto un sogghigno da squalo, ma quando le cose le vedi


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rovesciate non puoi mai scommettere sul loro significato, e io stavo ancora


lunga distesa sulla moquette mentre Bob si era girato e arretrava a


quattro zampe sopra di me cercando non so che cosa, forse gli slip, perciò


il sorriso fu sostituito subito da un bel paio di occhi azzurri e poi dal


suo gran ciuffo di capelli, così non ebbi modo di approfondire).


"Come sarebbe, che non si arrabbia?!" saltai su, "Tu... tu... tu vieni qui a


rubare l'amante a fratello e mi... mmmh" riuscii a dire, prima che Bob


trovasse quello che stava cercando e me lo ficcasse in bocca al posto


della cravatta (non erano gli slip, era la maglietta della salute, per fortuna,


cotone cento per cento). Si rigirò, mi si sedette sullo stomaco e mi


fissò negli occhi con quegli occhioni da ragazzino innocente.


"Jack lo sa. Ferma! Non dimenarti, è inutile che ti dimeni, le donne che


si muovono e parlano mi rendono nervoso: ora ti spiego tutto. Lui non


poteva venire, ha avuto un contrattempo all'ultimo minuto, le Nazioni


Unite, il Vietnam, non lo so, una roba del genere, e così mi ha chiamato


e mi fa, 'Bobby, dopo tutto questo tempo che lei ha passato a aspettarmi


sarebbe una vera crudeltà lasciarla sola in quella villa vuota, non me la


sento, lei è la donna più bella del mondo ma è anche la donna più insicura


del mondo, io non voglio ferirla, voglio farle capire che a lei ci ten46


go, perciò questa è la tua occasione, Bobby. Credi che non lo sappia che


sei innamorato di lei come una pera cotta anche tu? E allora vacci tu


stasera, va' da lei e rappresentami', così mi ha detto Jack, e io ho domandato


se per 'rappresentarlo' intendeva 'rappresentarlo in tutto', e lui


ha detto che questo sarebbe dipeso unicamente da te".


"Mmmmh" ho protestato io, e Bob si è messo a ridere e ha allargato le


mani, con la conseguenza che la gola mi è diventata tutta un brulicare


come di vermetti per la riattivazione improvvisa della circolazione.


"Lo so, lo so e mi scuso" ha detto Bob, "in effetti, temo di essere stato


un po' precipitoso, ma devi capire che era tanto che sognavo di... Appena


ti ho vista, ho perso la testa. Cosa posso fare per farmi perdonare?"


Ho cercato di agitarmi il più possibile e alla fine lui ha capito, ha detto


"Oh, che sbadato! scusa, ma è una mia vecchia abitudine con Ethel", e


non solo mi ha tolto la maglietta dalla bocca ma si è anche spostato un


po' dal mio diaframma, così sono riuscita a parlare.


"Ha detto proprio che non voleva ferirmi?"


"Giurin giuretta" ha dichiarato Bob sollevando due dita nel segno dei


boy scout.


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Mi sono messa cautamente a sorridergli, poi per prendere tempo ho tossito


un bel po'. Non mi riusciva di credergli. Ma lui sembrava proprio


sincero.


"E...?"


"E? Parla pure, zucchero, la tua voce è così roca, così eccitante!"


"E... Jack non diceva per dire, quando diceva che anche tu... be', insomma,


quella cosa della pera cotta..."


"Che sono innamorato di te? Ma, Marilyn!, come puoi dubitarne?! Io ti


amo alla follia! Ti amo talmente tanto che, guarda, potrei ucciderti."


Il signore con cui sto adesso dice che non era vero niente. Dice che quei


due si sono approfittati del mio bisogno di calore umano, che insomma


mi hanno fatta su come un salame. Dice che Jack mi ha ceduta al fratello


perché stavo diventando troppo pericolosa sia per la sua carriera che


per la sicurezza nazionale. Dice che, a guardare la cosa anche dall'altro


punto di vista, non bisogna dimenticare che Bob era un ottimo avvocato:


non fu certo difficile per lui convincere il fratello maggiore a passargli


il giocattolo invece di buttarlo via subito, dato anche che restava


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quella faccenduola del diario da trovare.


"Ma dunque, almeno Bob mi amava, mi voleva", ribatto sempre io, e il


signore con cui sto adesso mi sorride con tenerezza e dice con affetto


infinito: "Bimba mia, e chi non ti voleva? Tu eri Marilyn Monroe, mica


uno straccio per i pavimenti, ti decidi a crederci o no? Oggi ti amano


tutti, e anche quando eri viva sei stata molto amata. Però non da quei


due, da quei due proprio no."


"Sarà", borbotto io facendo il broncio. "Ma per me con Jack e Bob hai


esagerato, poverini, morti ammazzati tutti e due... Io sarò troppo buona


come dici, ma Tu sei stato un po' troppo vendicativo."


E allora Lui si mette a ridacchiare e io mi devo sorbire per la milionesima


volta la Sua citazione preferita tra tutte le battute dei miei film, sempre


la stessa, ecco che sta per dirla, lo so già, ora la dice: "Nessuno è


perfetto".


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"Non vero (e bello)"


La probabile storia di Guido Gozzano e della signorina


Felicita


Nel 1907 il "coso con due gambe detto guidogozzano" era un ventiquattrenne


fragile, biondino, con le orecchie un po' a sventola e le spalle


spioventi. Gli era successo di tutto, in quell'anno: l'uscita della prima


raccolta di poesie, i primi scambi di lettere amorose con la collega Amalia


Guglielminetti, il primo serio attacco di tubercolosi. La scoperta


di avere la malattia del secolo precedente mise a rischio il suo senso


dell'umorismo: ma come, proprio lui, l'antiromantico per eccellenza, colui


che canticchiò il primo vero ritmo della crisi del Novecento, doveva


ritrovarsi a morire di un male ottocentesco? Per lo shock le sue rime si


affilarono. Ridusse gli aggettivi. Ora era quasi pronto a scrivere una po50


esia bellissima. Gli serviva soltanto una leggera spinta, così leggera da


condurlo a fare ancora un passo avanti nel desiderio e subito uno indietro


nella realtà. Gli serviva un modello di vita da invidiare. E qui intervengo


io.


"Felicita, perché stai nascondendo le riviste?" mi domandò mio padre,


in apparenza intento a esplorare il fornello della pipa. Caro papà. Gli avrei


potuto cambiare sotto il naso tutto l'arredamento del salotto e non


se ne sarebbe reso conto, ma bastava un fruscio di carta ed eccolo che


drizzava le orecchie. "Ti sei dimenticato che aspettiamo una visita?"


"Ah, già: il tuo giovanotto di città, la giovane promessa della letteratura..."


"L'avvocato, papà. Ricordati di chiamarlo 'avvocato', e se gli chiedi


anche qualche consiglio legale sulla proprietà è meglio." "Meglio, dici?


Non so. Avvocato o poeta, resta un'indiscrezione importunare un ospite


con storie di... Ma come ti sei conciata?!" Aveva alzato gli occhi e


li sgranava con una meraviglia così offensiva che mi sentii di colpo


molto incerta: "Eravamo d'accordo..." balbettai. "Non ti ricordi? In questa


casa siamo gente semplice, noi, agiata ma semplice. E io mi sono


vestita di conseguenza... Non ti piace la mia pettinatura?" "Ridicola"


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bofonchiò lui, e si mise a camminare avanti e indietro tra il divano corinzio


e la specchiera. "Tutta questa faccenda è ridicola. Accidenti a te e


alle tue amiche di Torino e accidenti anche a me che non ti so dire mai


di no. Non che mi importi della figura da ignorante che mi farete fare,


ma dover vedere la mia unica figlia con addosso i vestiti della serva e


tutta fiera di quelle treccioline da cretina... copiate pari pari da un interno


di Vermeer, oltretutto... Ma ti sei guardata? Sei quasi brutta, priva di


lusinga." "Questa me la segno" dissi io, con una smorfia dispettosa. Meno


male: papà invecchiando stava diventando sempre più pedante e


sempre più distratto, ma non aveva perso la memoria. E in ogni caso sarebbe


stato troppo tardi per tirarsi indietro: suonavano alla porta, Maddalena


stava già andando a aprire, Guido Gozzano era arrivato. Mi rassettai


le gonne prese in prestito e gli andai incontro, ancora un po' nervosa.


In realtà, non avevo niente di cui preoccuparmi: la scena era perfetta. Fu


perfetta per tutto il mese. Il primo giorno gli facemmo fare il giro dei


saloni (Odore d'ombra! Odore di passato!/ Odore d'abbandono desolato...)


e mentre lui osservava le nostre sovrapporte decorate con temi mitologici


noi strillavamo che sicuramente ci sarebbe piaciuto buttare via


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il vecchiume, rinfrescare la casa, ma con quello che costano i lavori... e


a proposito di fresco, l'Avvocato non avrebbe gradito un giretto in giardino,


cioè nell'orto? Mio padre fu impeccabile nel mostrarsi buzzurro e


non gli risparmiò le lamentele sul fattore infingardo e gli elogi sui cespi


d'insalata, ma superò anche me quando gli raccontò di propria iniziativa


un completo romanzo d'appendice sul come e sul perché la villa aristocratica


si sarebbe trovata nelle mani della nostra famiglia di borghesi:


che l'ultima Marchesa era scappata, che lo scandalo, e che il frutto del


peccato, e le spese azzardate, e le ipoteche, e la gran confusione degli


accatastamenti in quel lontano 1810... Lo annoiò così bene che quando


aprii la porta del fumoir e gli comparvi innanzi col vassoio e il centrino


di pizzo e le tazzine da caffè scompagnate sembrai sicuramente una cosa


da amare, anzi lo fui. Fui un abbaglio magnifico nel buio. (E rivedo


la tua bocca vermiglia/ così larga nel ridere e nel bere/ e il volto quadro,


senza sopracciglia,/ tutto sparso d'efelidi leggiere/ e gli occhi fermi,


l'iridi sincere/ azzurre d'un azzurro di stoviglia...) L'ho amato, è vero.


In modo gozzaniano. Per lui ho taciuto pomeriggi interi, ho sorriso,


ho ascoltato. Per lo più mi parlava di farfalle. E il Parnassus Apollo, e la


Pieris Brassicae, e l'Ornitottera Pronomous... "Vede, nelle crisalidi si distinguono


due lati opposti: dorso e ventre. Sul ventre si scorgono rialzi


53


fatti e disposti come le bende che portano sul capo le mummie: il dorso


è dentato e crostoso...", e io dietro a rammendare le lenzuola di lino, tutta


lieta, rassicurante, scema. Quando però sentii che elogiava con toni


malinconici la peluria dorsale dell'Acherontia Atropos, grossa farfalla


volgarmente detta "Testa di Morto", decisi che il crepuscolo era troppo


avanzato.


Mi alzai, con innocenza gli proposi di metterci al coperto e, di scala in


scaletta, trascinai la mia preda in solaio. Il sensibile Guido fu colpito dal


ritratto della Marchesa antica. Un'opera in realtà pregevole, che sia da


attribuire o no, come credo, all'Appiani: portarla su in soffitta era stato


difficile, mio padre non voleva e non voleva, però quella bianchezza neoclassica


sontuosa contro lo sfondo scuro di mobili in disuso era secondo


me un effetto speciale irrinunciabile. Mi servì a bisbigliare con un'ingenuità


molto credibile qualche frase spezzata su paure infantili, coprendomi


la bocca sussurrai che la Marchesa a volte usciva dal suo quadro


e passeggiava per i corridoi, e Guido mi sorrise con riaffermata superiorità


e passò a interessarsi d'altro. Avevo avuto ragione io: senza


trucco, la mia rassomiglianza con lei, con la trisnonna, non attirava affatto


l'attenzione. Ma il senso di trionfo per quel piccolo inganno incor54


niciato nell'inganno grande mi trasportò a un eccesso. Con la stampa


raffigurante Torquato Tasso incoronato d'alloro esagerai: nessuna signorina


di campagna avrebbe domandato come mai quel signore aveva in


testa un ramo di ciliegie. Ero scema sul serio? Come avevo potuto non


pensare che quelle lì l'alloro lo conoscono eccome? Mi ero tradita! Avrei


dovuto fare, piuttosto, un bel commento sugli odori da aggiungere


all'arrosto. Ma Guido non si accorse dello sbaglio (e infatti poi citò nella


poesia la mia frase infelice senza rendersi conto che stonava). Era commosso,


perso in un suo sogno, meditazione o fantasticheria. L'avevo in


pugno. Rimirammo insieme "la pianura autunnale/ dall'abbaino secentista,


ovale,/ a telaietti fitti, ove la trama/ del vetro deformava il panorama/


come un antico smalto innaturale./ Non vero (e bello)..." e a quel


punto ovviamente si parlò di matrimonio, poi ci chiamarono a cena, poi,


come sempre, vennero il Dottore e il Notaio per la partita a carte.


Eravamo in parecchi, nel mio piccolo complotto. Oltre a mio padre, avevo


dovuto persuadere praticamente tutti i maggiorenti del paese a non


farsi sfuggire una parola sulla mia laurea, ed era stata dura, perché a


quei tempi noi donne istruite eravamo bestiole molto rare e quindi un


55


argomento di conversazione prezioso. Avevo avuto per mia fortuna un


valido alleato nel nostro farmacista, che scrivendo anche lui qualche


verso ogni tanto era propenso a mettersi nei panni di un artista, ma penso


proprio che nemmeno lui comprendesse lo scopo o almeno il senso


della mia operazione culturale. Lasciai dunque che tutti si illudessero di


stare compiacendo un mio capriccio appena un po' più elaborato del solito.


Certo che, dopo un mese di tutto quel teatro con un solo spettatore,


qualcuno incominciava a non resistere: il Sindaco decise di anticipare il


suo viaggio annuale e, sostenendo di dover andare per campi e fratte


nelle vicinanze, partì per Londra con i suoi bauli di camicie da stirare


(trecentosessantacinque, più una per i bisestili: secondo lui non c'erano


lavanderie migliori di quelle inglesi). Ma ormai il grosso era fatto. La


seconda fase del mio intervento su Guido comportò solo alcuni lavoretti


di fino. Dimostrai qualche sintomo di romanticheria, fui stucchevole e


fin troppo svenevole nell'esibire la normale pudicizia delle ragazze da


marito, poi gli somministrammo un magistrale tocchetto di volgarità


con le chiacchiere del gentile farmacista che gli parlò della mia dote esigua


e delle voci già corse in paese...


56


Quando Guido Gozzano se ne andò, eravamo tutti felici e contenti. Lui


perché adesso aveva la sua più bella "rosa non colta" da rimpiangere,


noi perché non ne potevamo proprio più di tutta quella vita sana. Mentre


io mi rimettevo i miei abitini di Poiret e cominciavo a cercare come un'indemoniata


le sigarette turche che avevo nascosto troppo bene, mio


padre si rimise a compilare le schede da spedire a Vienna... Perché sono


in pochi a saperlo, ma è stato papà a fornire a Sigmund Freud il materiale


grezzo per i suoi casi clinici: quell'anno lavorava su una relazione tra


la scrittura creativa e i sogni a occhi aperti, credo. Ma questa è un'altra


storia. Quando ebbi ritrovato le sigarette, non mi restò che aspettare le


cartoline della Guglielminetti. Amalia mi teneva al corrente sui progressi


di Guido meglio di una gazzetta letteraria, e infatti mi mandò quasi


subito una prima versione della mia poesia di Gozzano, che si intitolava


L'ipotesi e non ci piacque molto. Eravamo sicure tutte e due che il ragazzo


potesse fare di più, anche se devo dire che la povera Amalia, con


tutti i suoi slanci para-dannunziani e i suoi grandi cappelli da seduttrice


liberty, non gli facilitava il compito. Forse sarebbe stato mio dovere occuparmi


di lei invece che di lui. Ma perfino una Musa ha dei limiti: co57


me si fa a ispirare la tua migliore amica, una che hai conosciuto tra i


banchi del collegio delle suore e che ti ha dato sui nervi già allora? Mi


guardai bene dal rivelare a chiunque che la mia interpretazione della signorina


Felicita era stata modellata proprio su Amalia, naturalmente in


una prospettiva del tutto ribaltata. Sofisticata lei? Semplice io. Stracittadina


lei? E io campagnola.


Con il senno di poi, posso affermare che fu la scelta giusta per aiutare


Guido e fu anche una vendetta mica male su quella pretenziosa della


Guglieminetti. Lei adesso nella storia letteraria è una figura di secondo


piano, un'autrice minore e un po' sfocata, mentre io campeggio in grande


con l'immortalità dei personaggi. Ma questo lo so adesso. Nel 1909,


quando La signorina Felicita fu finalmente pronta e stampata, io quasi


non ci pensavo più. Avevo altro da fare. Ero a Parigi con la mia amica


Valentine de Saint-Point, mi ero tagliata i capelli cortissimi e avevo


completamente perso la testa per un tizio molto moderno, molto originale,


che con la mia assistenza aveva appena pubblicato un manifesto


pieno di energia... Caro il mio Marinetti! Un tantino esaltato, ma così


bravo con le pubbliche relazioni e le onomatopee! "Noi vogliamo glorificare


la guerra... le belle idee per cui si muore e il disprezzo della don58


na", diceva il Manifesto del Futurismo, e Valentine era convinta di essere


lei la donna. Povera illusa. Anche se quell'ingrato di Filippo Tommaso


non ha mai voluto fare nomi, a ispirargli "l'insonnia febbrile, il


passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno" sono stata assolutamente


io.


59


Lo spaiato


Guardandosi allo specchio per il Controllo dell'Impeccabilità, Giov'Hanna


scoprì una macchiolina che il giorno precedente, ne era certa,


non c'era. Pessimo segno. Se la pelle comincia a ribellarsi alle leggi


centrali producendo per conto suo decorazioni non autorizzate, dove si


va a finire? Per fortuna la macchia era comparsa soltanto sulla faccia di


sinistra, quella riservata da sempre alle creazioni emozionali delle ragazzine:


le colleghe in ufficio avrebbero pensato che la vecchia buona


Giov'Hanna-34 aveva dei problemi ad accettare il Passaggio alla Fascia


di Età Razionale, e morta lì. Molto peggio sarebbe stato se la macchia


avesse compromesso la sua faccia di destra o, Klarità ne scampi!, addirittura


la faccia di mezzo. Gli scatti di carriera le sarebbero stati invalidati,


riportandola giustamente al Livello iniziale, perché chi mai potrebbe


fidarsi di una Funzionaria di Klarità in preda a manifestazioni cuta60


nee irregolari? L'esterno è esattamente speculare all'interno: questo lo


sanno anche i bambini Neutri, il che è tutto dire, pensò Giov'Hanna


scrutando preoccupata la superficie di tutte le sue facce, ma no, la macchiolina


rimaneva una sola, lì, proprio sul naso della faccia di sinistra...


Strana forma: sembrava un tratto nero seguito da una specie di minuscolo


ricciolo, come un accenno di punto interrogativo... Sovrappensiero,


Giov'Hanna sollevò il quarto paio di braccia per dare una sistematina alla


complessa architettura di trecce, già perfettamente in ordine, che lega


le tre teste di ogni vera Signora imbrigliando la loro naturale propensione


a zuzzurellare in giro sui lunghi colli azzurri, e intanto provvedeva


con le braccia inferiori a pelare via gli ultimi resti delle bucce notturne,


indifferente al fatto che, come tutte le mattine, assieme ai resti delle


bucce piombava a terra anche il suo Simbionte Sessuale Notturno d'ordinanza.


Come tutte le mattine, il Simbionte sentendosi strappare al suo


bell'orifizio caldo e piumato scoppiò a piangere con lamenti disperati.


"Piantala, Elliot" disse Giov'Hanna irritata, "è solo per quattordici ore.


E guarda che ieri sera ho notato un alone di impurità sul pavimento del


modulo-soggiorno: invece di perdere tempo a spettegolare telepaticamente


con i tuoi amichetti, cerca di stare più attento con le pulizie, d'accordo?".


"Ma io ti amo" pigolò il minuscolo Simbionte, però stava già


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cominciando, obbediente, a mangiare le bucce sparse sul pavimento.


Giov'Hanna si strinse nelle multispalle e, nuda di tutto punto, uscì per


andare nel suo ufficio al diciannovesimo piano dell'astronave.


C'era la solita atmosfera isterica dei giorni di lavoro pre-invasione, con


una quantità di Neutri che schizzavano tra le postazioni delle Funzionarie


sui pattini a rotelle incorporati. Giov'Hanna si avviò con cautela verso


il suo trespolo di elaborazione. "Per Klarità!" la salutò T'Nina girando


cerimoniosamente una testa. "Altrettanto a te" disse Giov'Hanna, esitante.


Perché mai la collega l'aveva salutata di destra? La macchia, dunque,


era così visibile, così grave? Giov'Hanna si portò istintivamente un


paio di mani a nascondere la faccia di sinistra. T'Nina la guardò meglio


e saltò giù dal trespolo in un vortice di braccia tese: "Anche tu? Anche


tu?" chiocchiolava, invasata da un'incomprensibile commozione. Facce


a facce con lei, finalmente Giov'Hanna si rese conto: la macchia sopra il


naso di sinistra ce l'aveva anche T'Nina, uguale. Ecco perché l'aveva salutata


con la testa Logaritmica! per nascondere quella Emozionale!


Chiocchiolarono insieme per un po', scambiandosi le necessarie espressioni


di condolimento, ma, mentre ancora stavano chiocchiolando, arrivò


un Neutro Espresso con la chiamata a una Grande Assemblea straor62


dinaria del Gruppo Dirigente. Giov'Hanna-34 e T'Nina-106 si accodarono


subito alla fila di Funzionarie dirette verso il modulo di riunione, e si


accorsero allora di non essere un'eccezione. La strana macchia a forma


di trattino e punto interrogativo sulla faccia sinistra ce l'avevano tutte,


proprio tutte.


Molto lontano dall'astronave delle Signore di Klarità, a cinquecento metri


sotto il traforo del Frejus, nell'Unità di Crisi Planetaria gestita in faticosa


collaborazione dalle Nazioni Unite e dai Liberi Territori Commerciali


Terrestri, un tecnico cinese guardò l'orologio e alzò il pollice in un


antico segno convenzionale, dando alla Generala Elisabetta Arpista l'occasione


di dire per la prima volta in vita sua: "Ok, ragazzi, ci siamo!


Portate il prigioniero", come nei film di guerra del XX secolo. Un nugolo


di tecnici nord-e-sud-irlandesi spinse al centro del salone una gabbia


blindata. La Generala si alzò, si rassettò la gonna, raggiunse il pesante


portello ed entrò, premurandosi prima di chiedere sottovoce: "È permesso?".


"Avanti" borbottò il prigioniero extraterrestre, accucciato come al


solito sul fondo della gabbia. La Generala si accostò a mezzo metro da


lui, si piegò e disse cordialmente: "Sigaretta?".


63


Il Simbionte di Klarità scosse la testa in un gesto di rifiuto tanto depresso


che la Generala si sorprese a pensare di nuovo che, perbacco, quell'essere


indubbiamente alieno anche se notevolmente carino era identico


in tutto a un maschio umano... cioè, proprio in tutto no: data la sua ostinata


inclinazione a fare a pezzettini e divorare ogni tipo di indumento


non appena si cercava di coprirlo in qualche modo, il Simbionte appariva


fornito di un'attrezzatura genitale normalissima quanto a forma ma di


dimensioni... fuori scala? inaudite? a dir poco parecchio esagerate. Un


giovane marine senegalese del commando panafricano che lo aveva recuperato


vivo dalla navicella schiantatasi sui Monti Futa Gialon si era


suicidato due ore dopo, ufficialmente in seguito al trauma di averlo dovuto


districare a picconate dall'immenso cadavere di una gigantessa azzurra


con tre teste e otto braccia; ma la Generala Arpista, conoscendo i


suoi uomini, sospettava che il povero ragazzo si fosse suicidato per pura


umiliazione. Lei non aveva di questi problemi.


"Allora, caro il mio Bill-Athos, come va lassù, eh? come va?"


"E io che ne so."


"Andiamo, andiamo, non fare i capricci. Vuoi deludere il tuo amico Elliot?


Vuoi deludere noi, che siamo così buone con te?"


64


Il prigioniero abbassò la testa e bofonchiò: "Che senso ha? La mia Signora


Ka'Rla è morta, è morta..."


La Generala lo afferrò per i capelli e dette un bello strappo: "È per questo


che devi collaborare, pirla! Vuoi che noi scateniamo tutte le nostre


armi? Vuoi che muoiano anche le Signore degli altri Simbionti? Vuoi


che il tuo amico Elliot diventi come te, uno Spaiato?!"


"No, no!" gridò Bill-Athos, inorridito, e la Generala Arpista si concesse


un sorrisetto interiore. Perfettamente manipolabili, questi alieni maschi,


bastava usare un pizzico di psicologia e si bevevano tutte le balle che


una gli raccontava. Meglio ancora, erano così ingenui da non saper nascondere


niente, né un'emozione né un piano di invasione segreto. Avere


a che fare con le femmine sarebbe stata tutta un'altra storia, erano intelligenti,


determinate, tanto da cominciare a procurarsi anche un appoggio


interno: in India già milioni di fanatici affollavano i templi preparandosi


a ricevere le Nuove Dee che secondo loro dovevano scendere


dal cielo per beneficarli, mentre qualunque altro imbecille avrebbe capito


che quelle lì volevano venire a fare le Signore anche qui sulla Terra,


purtroppo totalmente disarmata dopo la conversione degli eserciti in,


per carità, utilissimi EPPIAYE (Enti Protettivi Paracadutabili In Apnea


65


Yoga Elementare). Ma l'Unità di Crisi era pronta a respingere per sempre


nello spazio le mostruose entità, sfruttando i punti deboli svelati dall'incauto


Bill-Athos e l'aiuto prezioso anche se non del tutto volontario


del Simbionte Ribelle Elliot, capo di una congiura che cascava a fagiolo.


"Avanti" ripeté la Generala, "tu sei in contatto telepatico con il tuo amico


e lui è in contatto psico-ormonale con la sua Signora, eccetera, quindi


adesso tutto quello che devi fare è dirmi come stanno andando le cose


lassù, forza."


"Le Dirigenti sono in riunione" sussurrò Bill-Athos, di malavoglia. "Si


sono accorte che la macchia apparsa sulla loro faccia Emozionale è in


realtà una scritta a caratteri microscopici..."


"Microscopici per loro!" esplose la Generala Arpista, che in fondo era


un tipetto collerico (anche se il suo rigoroso addestramento le permetteva


di non sembrarlo: aveva frequentato la prestigiosa Scuola di Non-


Pace delle Neogesuite). "Noi facciamo del nostro meglio per proiettare


il messaggio a caratteri cubitali nella mente microcefala del tuo amico


del cacchio, e quelle elefantesse manco lo vedono!"


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"Le Scienziate stanno ingrandendo la scritta. Hanno chiamato le Linguiste


per interpretarla."


La Generala si rilassò e cercò di sorridere: "Benissimo! Ora si passa alla


Fase Due. Ricordi? Fase Uno: attirare la loro attenzione per spingerle a


riunirsi. Fase Due: attaccare e convincerle! Imprimiti bene nella mente


questa immagine e trasmettila a Elliot."


L'alieno prese il foglietto, lo guardò e fece una smorfia disgustata.


"Mah... Siamo sicuri che questa roba servirà a far capire alle Signore


che noi Simbionti abbiamo diritto a un trattamento più amoroso?"


"Sicurissimi!" disse la Generala, "Puoi fidarti, lo giuro su mia mamma!"


e, nello sforzo di apparire sincera e convincente, arrivò a dargli un bacio.


Nel modulo di riunione della Grande Assemblea straordinaria del Gruppo


Dirigente di Klarità, seicentonovanta teste si girarono di scatto verso


Giov'Hanna-34. Non era mai successo che una Funzionaria urlasse all'improvviso


in quel modo scomposto, a tutte bocche: perciò un brusio


indignato cominciò a serpeggiare dall'uno all'altro trespolo, disturbando


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ulteriormente la relazione della Linguista An'Thonia e costringendo la


Delegata Settimanale a sbattere a otto mani il martelletto sul tavolo della


presidenza.


"Come stavo dicendo" riprese An'Thonia lanciando un paio di occhiatacce


alla Funzionaria urlatrice che nel frattempo si era ammutolita e aveva


assunto un colore violaceo assai poco gradevole, "la prima parte


dell'iscrizione in linguaggio terricolo standard è chiara, e interpretabile


come 'Sto malissimo', ma la seconda parte rimane indecifrabile. Letteralmente,


vorrebbe dire 'Non avresti un cachet?', cosa che a mio parere è


del tutto insensata... Oh, ma insomma!"


Un altro strillo triplice aveva lacerato l'aria tesa del modulo di riunione,


e un attimo dopo ce ne fu altro, e poi un altro ancora, e nel giro di meno


di un minuto più di metà delle duecentotrenta Dirigenti stava, in sequenza,


urlando terrorizzata, ammutolendo e diventando violacea.


"Silenzio!" supplicò la Delegata Settimanale, poi urlò terrorizzata, ammutolì


e diventò violacea anche lei. Un'immagine orrenda si era presentata


alla sua mente Emozionale, trasmettendosi all'istante nella mente


Armonizzante e nella mente Logaritmica, che aveva fatto presto a trarne


le angosciose deduzioni. A quanto pareva, qualche cosa di simile stava


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succedendo a tutte loro. L'ultima ad attraversare la sequenza urloammutolimento-


violaceità fu la Linguista An'Thonia, e fu anche quella


che ci mise più tempo a riprendersi dallo shock. Le Dirigenti vicine alla


pedana delle Oratrici la sentirono balbettare a lungo tra sé, sé e sé: "Sto


malissimo, non avresti un cachet? Sto malissimo, non avresti tre


cachet?".


In seguito a una concitata discussione si accertò che tutte le Dirigenti


(duecentotrentuno includendo la Delegata Settimanale) avevano ricevuto


in successione la stessa immagine mentale, raffigurante una donna di


evidente tipologia terrestre con un'espressione facciale orribilmente


contorta, un coltello che le spaccava in due l'unica testa e, ripetuta tutto


intorno non soltanto in linguaggio terricolo ma anche in Klaritese puro,


la dicitura "Emicrania". Secondo l'antica consuetudine di far dimostrare


pubblicamente a una sola ciò che tutte sapevano già, la Dirigente che aveva


ricevuto l'immagine per prima fu incaricata di esporre il problema.


Giov'Hanna-34, dunque, ancora un po' violacea specialmente intorno all'orifizio


inferiore (che anche nelle Funzionarie migliori è sempre l'ultimo


a recuperare il controllo) ma stando a fronti alte davanti all'Assemblea


e con voci sicure, disse: "Non sapevamo che una cosa del genere


69


esistesse. Bisognerà indagare sull'origine dell'immagine. Ora però,


chiunque l'abbia proiettata nella nostra mente, l'importante è che le immagini


non mentono mai. L'esterno è l'interno. Di conseguenza, questo


strano male è certamente tipico degli abitanti del pianeta che ci accingiamo


a conquistare. Sarà contagioso? Non lo sarà? In ogni caso, e considerando


per prudenza l'ipotesi meno favorevole, la nostra situazione è


facilmente riassumibile in termini simbolici". Con una giravolta aggraziata


raggiunse la lavagna, afferrò un po' di gessetti e con un paio di mani


disegnò una testa e un coltello, mentre con le altre sei disegnava tre


teste e tre coltelli. Poi fronteggiò di nuovo l'Assemblea e, utilizzando la


sola voce centrale, chiese solennemente: "Per Klarità, siete disposte a


correre il rischio?"


"No!" risposero in coro duecentoventinove voci centrali (la Linguista


An'Thonia stava ancora balbettando in vari toni di dubbio: "Non avresti


un cachet?" e "Non avresti tre cachet?").


Fu così che la Grande Assemblea delle Signore di Klarità, unica specie


nella Galassia a non aver mai avuto né tre né due né un solo mal di testa,


rinunciò all'invasione della Terra e di ogni altro pianeta suscettibile


di ospitare quel temibile morbo. Il settimanale scandalistico "Sopra e


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Sotto l'Universo" riferisce che i duecentotrentuno piccoli traditori capitanati


dal Simbionte Elliot continuarono per parecchi anni-luce a scambiarsi


telepaticamente strizzatine d'occhio e gomitatine di congratulazioni,


tutti contenti perché, disoccupate e annoiatissime, le loro Signore


trascorsero la maggior parte del viaggio di ritorno ben avvolte nelle


bucce da letto. Sulla Terra, l'astuta Generala Capo di Stato Maggiore Elisabetta


Arpista diventò Generalissima e fu ospitata in molti talk-show


televisivi dove illustrò con brillante successo il tema "È vero che le immagini


non mentono mai? No, non esattamente". In ambienti ben informati


si mormora che in seguito a una sua raccomandazione, soffiata in


un momento di stanchezza nell'orecchio del direttore del Circolo Ricreativo


"Gay Power Endurance" delle Truppe Corazzate EPPIYAE, anche


Bill-Athos lo Spaiato poté poi godere di una popolarità altrettanto larga


e profonda, se non di più.


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Nota dell'autrice


Tutti questi racconti, tranne Lo spaiato, sono già da tempo a libera disposizione


dei lettori attraverso il sito www.carmencovito.com. Ora mi è sembrato simpatico


approfittare delle tecnologie e-book per diffonderli anche in forma di raccolta


e, simultaneamente, approfittare della raccolta per attirare l’attenzione di lettori,


editori e scrittori italiani sulle nuove opportunità offerte dalla tecnologia e-book.


In altre parole, mi sto divertendo divertendo a imparare i vari trucchi di cui può


disporre un autore per confezionare i vari tipi di libri elettronici oggi disponibili


e diventare, se lo vuole, editore di se stesso.


Nella presente forma digitale, Racconti dal Web può essere liberamente letto e


anche distribuito via Internet, a condizione che la distribuzione avvenga a titolo


gratuito e senza alcuna modifica al file originario, e che nella pagina di distribuzione


siano presenti link espliciti al mio sito. Il testo può essere stampato unicamente


per uso personale e non può essere altrimenti riprodotto senza autorizzazione.


Tutti i diritti d’autore rimangono di mia proprietà. In altre parole, chiedo


ai miei lettori di essere gentili: per favore, non commercializzate questi racconti


in nessun modo e su nessuno dei supporti esistenti o futuri.


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Bibliografia


Carmen Covito è nata nel 1948 a Castellammare di Stabia (Napoli). Vive e lavora


a Milano. È autrice dei romanzi:


La bruttina stagionata (Bompiani 1992, Premio Bancarella 1993), Del perché i


porcospini attraversano la strada (Bompiani 1995), Benvenuti in questo ambiente


(Bompiani 1997).


Alcuni racconti non inclusi in questa raccolta sono pubblicati nel volumetto


Scheletri senza armadio (La Tartaruga 1997).


Il "sito romanzesco" www.carmencovito.com, totalmente autogestito e autoprodotto,


è presente nella Rete dal 1997.


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Carmen Covito


Racconti dal Web


Edizione d'Autrice


ISBN 88-900599-0-7


© 2001 Carmen Covito


Tutti i diritti riservati


http://www.carmencovito.com


e-mail carmen@carmencovito.com


I racconti contenuti in questa raccolta sono precedentemente apparsi in forma isolata nelle seguenti


pubblicazioni:


"Oggi, l'amore" in Donna marzo 1998


"Ma chi è andato sulla Luna?" in Corriere della Sera 17 Agosto 1998


"Bi-Sex più uno" in Amica n􀀀 40, 2 ottobre 1998


"L'elisir di Cambise" in Corriere della Sera 29 agosto 1999


"Stand by me..." in Amica n􀀀 34, 23 agosto 2000


"Non vero (e bello)" in Corriere della Sera 22 agosto 2000


"Lo spaiato" è apparso con il titolo "Un mal di testa galattico" in una brochure pubblicitaria riservata


ai medici (Nella mente delle donne. La scrittura. Quattro scrittrici per quattro storie, esemplare


fuori commercio, Marchesi Grafiche Editoriali, Roma 1999)


In copertina: Kinnari e maschere di Giovanna Caruso (acquerello, luglio 2000)


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Indice


Ma chi è andato sulla luna? pag. 3


Bi-Sex più uno pag. 10


L'elisir di Cambise pag. 18


Oggi, l'amore pag. 27


Stand by me... pag. 41


Non vero (e bello) pag. 49


Lo spaiato pag. 59


Nota dell'autrice pag. 71


Bibliografia pag. 72


Copyright pag. 73