mercoledì 19 gennaio 2011

Johann Wolfgang von Goethe - F A U S T - Integrale / Prefazione / Commento / Introduzione

Johann Wolfgang von Goethe (Francoforte sul Meno 1749 - Weimar
1832)
F A U S T
- Prefazione commentata
- Introduzione all'Opera
In quest'opera, che è il suo indiscusso capolavoro, Goethe riprese il soggetto
di una leggenda popolare molto diffusa in Germania e che in Inghilterra era già
stata soggetto di una rielaborazione teatrale da parte del poeta elisabettiano
Christopher Marlowe. La storia ha come protagonista uno studioso, Johann Faust,
che, ormai vecchio, tentato dal demonio Mefistofele, vende la propria anima in
cambio di giovinezza, sapienza e potere. Ora Faust, onnipotente, può disporre
delle sorti altrui: porta alla follia e alla morte una povera fanciulla,
Margherita; poi inizia a esercitare la sua influenza diabolica presso le corti
principesche del gran mondo. E benché tutto sembri congiurare alla dannazione di
Faust, la pietà divina riconosce il desiderio di bene che è stato all'origine di
tanto peccare: la stessa Margherita intercede per Faust, simbolo ormai
dell'umanità stessa e del suo cammino verso la redenzione. L'opera, allegoria
della vita umana nell'intera gamma delle passioni, delle miserie e dei momenti
di grandezza, afferma il diritto e la capacità dell'individuo di voler conoscere
il divino e l'umano, la capacità dell'uomo di essere "misura di tutte le cose",
e mostra il cammino percorso da Goethe dagli anni inquieti dello Sturm und Drang
fino alla compostezza classica delle forme e alla saggezza della maturità. E' il
mito della superbia della ragione illuministica, dell'uomo che vuole essere il
signore del mondo. Faust è un medico-scienziato, uomo rispettabilissimo, che
svolge la sua attività con un aiutante (Wagner). Conosciuto tutto il possibile,
Faust si sente insoddisfatto e si rivolge alla magia, che gli si presenta come
vero e proprio spirito della magia, incarnato dalla diabolica figura di
Mefistofele. Quest'ultimo era già comparso nel 'prologo in cielo' per sfidare il
Signore che riuscirà a dannare Faust. Faust e Mefistofele siglano un patto:
Faust ottiene la giovinezza in cambio della propria anima. Dopo di che, Faust si
innamora della bella popolana Margherita e riesce a conquistarla: ella è indotta
da Faust a somministrare un sonnifero alla propria madre per potersi così
incontrare con l'amante. Il sonnifero, però, porta la madre alla morte.
Margherita, uccisa la madre e anche il proprio fratello (Valentino), commette un
altro omicidio: toglie infatti la vita al suo bambino (affogandolo), figlio di
Faust, e viene arrestata. Nel frattempo Faust vive con Mefistofele nuove
avventure: viene infatti introdotto alla conoscenza dei mondi infernali e
condotto ad una Sabba (il concilio di streghe e potenze demoniache). Nell'ultima
scena dell'opera la ritroviamo in carcere, in preda a forti allucinazioni:
invoca a gran voce il perdono di Dio. Faust, accortosi di quanto sta accadendo,
impone a Mefistofele di liberare Margherita, la quale, però, si rivela impaurita
dalla figura di Mefistofele: ha colto in tale figura la presenza del diabolico,
il male. Margherita viene comunque dichiarata salva da una voce celeste. Questa
è la trama generale dell'opera. Due sono le grandi tematiche del Faust: il
patto-scommessa e lo Streben (il cercare): Mefistofele sfida Dio,
dimostrando che Faust, pur affannato alla ricerca di nuovi ed elevati saperi, è
in realtà pur sempre disponibile ad un piacere che proviene dall'abbandono della
sapienza. Il Signore tira in ballo il concetto di Streben dicendo che ' erra
l'uomo finchè cerca
'. La parola 'streben' caratterizza il protagonista, il
suo continuo sforzo di superare i limiti, di non appagarsi mai in nessuna
situazione; rappresenta anche lo spirito della borghesia, la sua forza
innovativa e rivoluzionaria. Faust, nel primo prologo, è disperato: il sapere
cui è pervenuto non gli permette di conoscere l'intima essenza della Natura
(tema sentitissimo in Goethe) e decide dunque di darsi alla magia, evocando
Mefistofele. Faust è salvato in extremis dal suicidio: sente la campane della
pasqua e la gioia che da ese deriva. In Faust, va sottolineato, convivono due
anime in contrasto: la prima tende al potere-sapere, l'altra ad un legame con il
mondo. Qui sotto c'è una trama più dettagliata:

Volume I

Prologhi

  • Dedica
  • Prologo sul teatro: Direttore - Poeta. Il direttore è avido di guadagno, il
    poeta difende i diritti del genio e ha simpatia per l'improvvisazione e vuole
    preparare il pubblico all'apparente disorganicità del Faust.
  • Prologo in cielo: Mefistofele - Dio ® accordo.
    Mefistofele può tentare come vuole Faust, ma Dio è convinto che non ci riuscirà.
    Entrano nuovi elementi: la lotta tra l'Io e la natura.

Prima parte della tragedia

  • Notte: Faust si rende conto di non sapere nulla ®
    desiderio di reagire alla conoscenza libresca per avviarsi, staccandosi
    dall'illuminismo, verso una conoscenza intuitiva per svelare l'essenza della
    natura. Vuole arrivare alla chiarezza. Invoca lo Spirito della terra, ma si
    conclude in una sconfitta perché sente ancor più dolorosamente la distanza tra
    l'uomo e Dio, tra la creatura finita e l'infinito. Viene rispinto entro i limiti
    delle sue umane possibilità, come castigo di essersi creduto simile a Dio.
    Dialogo con Wagner (studente) che vorrebbe sapere sempre di più. Wagner è il
    rappresentante della decadente tradizione della retorica umanistica e di alcuni
    aspetti della letteratura del tempo.
    Più tardi, solo decide di suicidarsi,
    per rientrare nell'universale, nell'infinito. Il desiderio di vivere e
    l'aspirazione di fondersi con il tutto sono in Goethe spesso uniti con il senso
    della morte. Faust crede l'inferno una creazione umana. Gli angeli evocano in
    lui il periodo felice della sua giovinezza e lo fermano.
    Streben:
    impulso che non lo abbandonerà mai, come energia vitale e positiva. Allo
    Streben di Faust, che è desiderio di andare sempre oltre i risultati
    delle proprie esperienze, si oppone il Genus di Mefistofele, che è quasi
    voluttuosa pigrizia di appagarsi in quello che è.
  • Fuori della porta della città: giovani a passeggio.
    Inquietudine di Faust
    contrasta con la pacata esistenza di Wagner e il primitivo viversi della folla.
    Faust si rivolge agli spiriti dell'aria perché lo strappino alla sua chiusa
    esistenza.
    "Due anime abitano nel mio petto, l'una si vuol separare
    dall'altra
    ". ® Faust è ormai fuori dal dualismo
    cristiano: cielo / terra, Uomo / Dio, natura / spirito. Il suo dualismo è dentro
    di lui. Ecco le due anime. Una lo avvince al mondo sensibile, l'altra verso
    l'infinito e il divino.. il diavolo è un po' la voce della prima anima, ma Faust
    sa che la seconda avrà il sopravvento
    .
    Faust vede un cane ® Mefistofele
  • Studio: dal cane si sviluppa Mefistofele. Non appare a Faust perché è stato
    evocato, ma per il discorso del prologo in cielo. D'altro canto Faust non aveva
    invocato il demonio, ma gli spiriti che stanno tra cielo e terra. Mefistofele
    gli si presenta come un diavolo come tutti gli altri.
  • Studio: patto. Faust accetta le condizioni di Mefistofele e questi crede che
    vincerà la scommessa saziandone il corpo e l'animo di brutali piaceri. Faust,
    poco preoccupato di com'è l'aldilà perché non crede all'aldilà tradizionale, si
    sente legato alla terra e vuole vivere qui la sua esperienza, è anche convinto
    che non potrà mai arrivare a una dichiarazione che indichi soddisfazione e
    sazietà nel suo animo perché non crede nemmeno a queste possibilità.
    Nell'accettare il patto egli accetta anche il patto con se stesso: non
    soggiacergli. Faust si ribella al suo tempo e alla cultura. Solo se Mefistofele
    riuscirà a spegnere il suo desiderio di agire, Faust sarà sconfitto. Ma sa anche
    che Mefistofele, per la sua natura, non può capire l'essere umano nel suo alto
    tendere e gli chiede che gli può dare senza illudersi. Faust arriva ad un
    impegno con sé stesso e contro Mefistofele: non lasciar mai spegnere il suo
    desiderio di vita ® germe della vittoria finale di
    Faust. Mefistofele, che gli consiglia di abbandonarsi ai piaceri della vita, non
    lo comprenderà mai. (leggi pag. 83)
    Faust - Goethe volta le spalle
    all'Illuminismo per abbracciare l'irrazionalità dello Sturm und Drang: "entro
    qualsiasi costume sentirò sempre la pena di questa angusta esistenza
    terrena
    ". Entra uno scolaro che rappresenta Goethe giovane di Lipsia.
  • Cantina di Auerbach a Lipsia: ambiente studentesco. Arrivano Faust e
    Mefistofele. Faust quasi non parla, il diavolo fa uscire il vino dal tavolo ma,
    quando inavvertitamente uno studente lo fa cadere per terra, si trasforma in
    fiamme.
  • Cucina della strega: Faust ringiovanisce, da questo momento è il personaggio
    principale.
  • Strada: inizia il dramma di Margherita il suo amore per Faust si risolverà
    in tragedia personale e creerà la distruzione di quella piccola società che
    prima la protegge e poi l'imprigiona. Faust è attirato da questo semplice mondo
    idillico e sente che ciò lo pone in urto con il suo Streben. Il contrasto non si
    risolve. Margherita rappresenta un po' tutte le donne amate da Goethe nella sua
    giovinezza. Egli vede in Margherita e nel suo agire una prova di quella forza
    irresistibile che è nella natura, e che avvince e domina anima e sensi.
    Lentamente il suo amore per Faust le farà superare tutte le barriere: la
    differenza sociale, religiosa, il ritegno morale per una notte d'amore senza
    matrimonio.
  • Sera: Faust e Mefistofele vanno a casa di Margherita, ambiente impregnato di
    castità e purezza. Faust vi lascia un cofanetto pieno di gioielli. Il suo
    desiderio sessuale si tramuta in amore. Lei lo trova.
  • Passeggiata: Mefistofele racconta a Faust che la madre ha portato il
    cofanetto al parroco ® condanna l'avidità della chiesa.
  • La casa della vicina: Margherita ha trovato un altro cofanetto e lo porta da
    Marta. Arriva Mefistofele, comunica a Marta la morte di suo marito e le fa la
    corte.
  • Strada: "in breve tempo Margherita sarà vostra".
  • Giardino: conversazione delle due coppie. Faust e Margherita molto
    innamorati, Mefistofele schiva le allusioni di Marta e lei insiste. Ogni dialogo
    tra Margherita e Faust è sempre più caldo fino ad arrivare alla dichiarazione
    d'amore.
  • Bosco e caverna: monologo di Faust, è una preghiera di ringraziamento allo
    Spirito della terra che, attraverso il finito, il terreno (l'amore per
    Margherita), ha costruito un legame con l'infinito. l'amore gli ha insegnato
    anche che la conoscenza dell'infinito passa attraverso il finito. Faust avrebbe
    raggiunto equilibrio, conoscenza e fusione con la natura se non o turbasse la
    compagnia di Mefistofele, cui ormai è legato. Senza Mefistofele ha stabilito con
    sé e la natura un rapporto diverso, gli pare d'essersi purificato con l'aver
    frenato il desiderio di possedere Margherita.
    Sopraggiunge Mefistofele che
    cerca di tramutare l'amore in passione, Faust si rende conto che non la può
    frenare e vi si abbandona. Distrugge in sé ciò che vi era di grande e nobile e
    distrugge anche l'ingenuità di lei.
  • Giardino di Marta: Margherita ha ormai deciso di darsi a Faust, sente che
    quello è il suo destino. Ma sente il bisogno che la loro unione sia dello
    spirito e della carne e s'informa sulla religiosità di lui. La religiosità di
    Faust è quella dello Sturm und Drang, una religione di natura. Margherita ha i
    primi dubbi sulla natura di Mefistofele. Faust le dà delle gocce da mettere
    nella bevanda della madre affinché dorma.
  • Alla fonte: è passato un po' di tempo. Margherita sa, anche se la sua colpa
    non è ancora visibile.
  • Bastione: Margherita non si può rivolgere a nessuno per conforto, nemmeno
    all'amato che è egoisticamente lontano.
  • Notte: Faust uccide Valentino, il fratello di Margherita, che vuole
    svergognare pubblicamente la sorella, poi deve fuggire dalla città.
  • Duomo: funerale della madre, che è morta per il narcotico senza potersi
    confessare. Margherita, senza madre, fratello e Faust, è completamente sola.
  • Notte di Valpurga: festa sensualmente pagana. Mefistofele conduce Faust sul
    Brocken nella speranza che questi conosca la lussuria e vi si abbandoni, ma
    Faust non vi si perde totalmente perché a richiamarlo a sé c'è l'immagine di
    Margherita, simbolo della donna-amore. E' questa che vincerà sulla
    donna-lussuria e lo richiamerà dall'abisso della lussuria, volgendolo verso
    nuove esperienze.
    La scena si divide in quattro parti:
    • salita di Faust e Mefistofele verso il Brocken;
    • rappresentazione della notte di streghe e lussuria;
    • partecipazione di Faust e Mefistofele alla danza volgare;
    • apparizione di Margherita;
    Passano molti personaggi a cui Goethe ha
    dato un riferimento satirico (i malcontenti che si lamentano di tutti ma non
    fanno nulla per cambiare le cose, il poeta dilettante, i poeti modesti, Nicolai,
    i poeti della vecchia scuola, persone volubili, Lavater, Fichte, Kant, Jacobi,
    la scuola di Hume).
  • Giorno fosco, campagna: si ritorna all'azione. Faust scopre che Margherita è
    in prigione e vuole farla fuggire, offuscando i sensi del carceriere.
  • Carcere: Faust è lì per il suo dovere di uomo e per pietà, ma non più per
    amore. Soddisfatta la sua passione, vuole riprendere la sua ricerca. Lei lo
    capisce. In Margherita comincia ad affiorare il senso dell'errore commesso, per
    non vorrà seguirlo e dichiarerà la sua volontà di espiazione. Così si salva.
    Vede Mefistofele alle spalle di Faust e sente che lui è perduto. L'invocazione
    finale "Heinrich, Heinrich!" è la promessa di un amore dopo la
    morte.

Seconda parte della tragedia
In cinque atti

Atto Primo

  • Ridente contrada: è passato uno spazio di tempo indeterminabile. Faust si
    ridesta in mezzo alla natura serena e ridente. Sul tormento si posa la natura
    ristoratrice e rinasce a nuova vita, dimentica il passato. La voglia e la gioia
    di vivere lo salvano dal rimorso. Tutti vogliono fargli dimenticare quanto è
    successo. Cambia la sua visione della vita, non si slancia più verso l'infinito,
    ma accetta i limiti del reale, del finito, della conoscenza. L'uomo, pur
    aspirando al divino, deve limitarsi a goderne quanto di esso si manifesta in
    terra e vivere ed agire entro i limiti concessi all'umana natura.
  • Palazzo imperiale, sala del trono: Goethe giudica il mondo di corte con
    ironia, i suoi difetti, il suo falso splendore, le sue debolezze, senza che il
    rispetto per l'autorità venga meno. Mefistofele prende il posto del buffone.
  • Gran salone: mascherata di carnevale a corte, non ha un significato
    particolare, ma ha solo lo scopo di divertire. Faust appare vestito da Pluto, il
    dio della ricchezza come mezzo di creazione e attività umana, e Mefistofele da
    Avarizia. L'imperatore è vestito da Pan. Faust fa sgorgare un fiume d'oro dalla
    sua cassa, la barba dell'imperatore prende fuoco, Faust e Mefistofele dominano
    le fiamme e appaiono come salvatori.
  • Giardino di svago: con le sue arti magiche, Faust si è guadagnato i favori
    dell'imperatore. Grazie a lui i debiti dell'impero vengono salvati e si produce
    carta moneta.
  • Galleria oscura: è la prima delle tre scene che culmineranno con
    l'invocazione di Elena. Elena si trova in un mondo che non è quello di
    Mefistofele perché quest'evocazione non dipende dalla magia. Lei è l'idea della
    pura bellezza e risiede in un mondo al di fuori di quello di Mefistofele, presso
    le Madri. Elena sarà colei che apre a Faust un nuovo mondo e lo avvia verso una
    nuova esperienza ed in essa lo accompagnerà. Goethe considera il loro amore come
    un amore altissimo, nel quale anima e sensi formano un'unità inscindibile. Le
    Madri ® la forma originaria e primitiva di ogni forma
    vivente (mito creato da Goethe).
    L'imperatore vuole che Faust invochi Elena e
    Paride, ma deve scendere dalle Madri e Mefistofele gli dà la chiave. La sua
    impresa è vera e grande magia, non di formule, ma di volontà d'animo. Entra in
    un mondo fuori del tempo, il mondo dell'assoluto. Ritorna diverso, ha inizio qui
    il suo viaggio verso il divino mondo della bellezza, che finirà con la morte di
    Elena.
  • Sale riccamente illuminate: intermezzo. Mentre Faust è dalle Madri,
    Mefistofele opera miracolose guarigioni.
  • Sala dei cavalieri: Faust torna, appaiono sul palco Elena e Paride. Frivoli
    commenti della folla egli vuole Elena, ma per poter arrivare a questa bellezza,
    dovrà compiere la lunga educazione estetica in Grecia. Nel suo rapimento,
    dimentica che tra il mondo della magia e quello della realtà esiste un abisso
    invalicabile, si illude di poter dominare con la chiave entrambi i mondi. Ma è
    un errore perché confonde il mondo degli spiriti con quello terreno. Faust nel
    voler difendere Elena dal ratto di Paride e nel volerla fare sua, viola questa
    legge. La catastrofe è inevitabile.

Volume II

Atto Secondo

  • Stretta stanza gotica con alte volte: Faust è presente solo con il corpo, ma
    la sua mente è altrove. L'evocazione di Elena e il tentativo di Faust di
    impadronirsene, mettono Mefistofele di fronte a nuovi problemi. Lo riporta nello
    studio dove strinsero il patto e, mentre Mefistofele si diverte con Wagner,
    ormai dottore inorgoglito e con il Famulus di lui, Faust sogna Elena.
  • Laboratorio: Wagner cerca di creare artificialmente un uomo. Wagner mette
    insieme gli elementi, Mefistofele gli soffia la vita ®
    Homunculus. Eredita da Mefistofele il piacere dello scherzo, da Faust il
    desiderio di fare. Ma per essere veramente vivo egli ha bisogno di una propria
    individualità, ha bisogno di divenire, di formarsi. E in questa ricerca di vita
    troverà la sua fine. L'anima di Faust è immersa nel mondo della classicità e non
    in quello nordico medievale.
  • Notte di Valpurga: questa scena costituisce il ponte necessario tra il
    laboratorio di Faust e l'esperienza con Elena, non più ombra evocata ma creatura
    viva. Faust, per arrivare a questo, dovrà passare per il terribile mondo
    mitologico greco. Vi è qui un dramma nel dramma.
    1. Scena: Homunculus, Faust e Mefistofele giungono sui campi di Farsaglia.
    2. Scena: Sfingi, Grifoni e Sirene li accolgono nel loro mondo.
    3. Scena: lungo il Peneio inferiore, Faust ha la visione della nascita di Elena
      e si incontra con Manto, una Sibilla, che gli permette la discesa all'Orco.
    4. Scena: lungo il Peneio superiore, Mefistofele si trasforma in Forciade, così
      può entrare ed essere accettato, nel mondo classico.
    5. Scena: tra le rocce del mar Egeo si compie il destino di Homunculus. Egli
      vuole vivere una vita concreta, uscire dal vetro dove conduce una vita
      artificiale. Assetato di amore e bellezza si slancia verso la dea Galatea ma,
      nell'impeto, infrange il cristallo e muore. Homunculus sacrifica la sua vita
      spirituale e da questo sacrificio scaturirà la vera essenza della fusione corpo
      / spirito. Egli muore per diventare perché per vivere la sua assoluta
      spiritualità deve fondersi con la realtà. Anche nell'esistenza degli uomini, lo
      spirito per vivere e per dare vita, deve incatenarsi. Morire e diventare
      attraverso questo spirito sono la via alla vita.
    Il Goethe espone qui
    le teorie sull'origine del mondo (polemica vulcanisti e nettunisti) e quelle
    sull'origine della vita. I vulcanisti ritengono che la crosta terrestre sia
    effetto dell'azione dei vulcani, i nettunisti che sia effetto dell'azione
    dell'acqua. Goethe inclinava verso i nettunisti Vi sono in queste scene, tre
    azioni singole e parallele.

Atto Terzo

  • Davanti al palazzo di Menelao a Sparta: Elena appare sulla scena avvolta da
    un'aura tragica, come un personaggio di Euripide. Goethe, scrivendo questo atto,
    pensava a una seconda grande esperienza d'amore di Faust, un'esperienza che
    fosse felice conquista spirituale della classicità e della bellezza, amore che
    fosse armonia di anima e corpo. Assistiamo qui ad una nuova vita di Elena e
    Faust in Grecia e, nella loro unione, vi è una simbolica unione del mondo
    classico-mediterraneo con il mondo nordico-romantico. Mefistofele-Forciade
    (rappresenta il mondo cristiano-occidentale) deve creare in Elena il desiderio
    spontaneo di seguirlo e rifugiarsi da Faust, per sfuggire alla vendetta di
    Menelao. Così Mefistofele e Faust appaiono come salvatori. Elena si avvia verso
    il castello, ciò vuol dire avviarsi verso un'altra vita e un altro tempo.
  • Cortile interno del castello: Faust e Elena si avviano alla loro fusione.
    Faust ha superato il suo stato d'inquietudine e si presenta in nobile
    compostezza e sicurezza di sé (ideale greco di Goethe). Ha compiuto la sua
    educazione estetica. Il suo spirito nordico ha preso possesso della sua grecità,
    di cui se ne arricchisce e non vi si perde, ma grazie allo spirito e non alla
    grecità, torna a vivere nuove forme. L'unione di Faust e Elena è l'unione del
    mondo umano e del mondo divino. Conducono uno stile di vita libero, secondo
    natura, fuori dalle convenzioni. Nuovo Faust è sicuro di sé. Vivono fuori del
    tempo e nella natura eternamente giovane. Arcadica felicità, ma Faust non potrà
    rimanere fermo a lungo.
  • Bosco ombroso (in Arcadia): il personaggio principale è Euforione, figlio di
    Faust e Elena. Del padre ha lo slancio verso l'infinito, il desiderio
    dell'amore, dell'azione e, della madre ha la bellezza. Ma in lui non è armonia,
    titanismo faustiano e classicità non sono in lui fusi in un tutto equilibrato.
    Predomina in lui l'elemento dionisiaco. questa sua natura è la causa fatale
    della sua morte (si ispira al Byron, quindi muore nella guerra di liberazione
    della Grecia, cioè volto verso l'azione, ma fermato dal suo tragico destino). Il
    suo destino determina quello degli altri, Elena muore, il coro si disperde e
    Faust muove verso le ultime esperienze.

Atto Quarto

  • Alta montagna: perduta Elena, Faust tende alla potenza e all'azione, alla
    realtà e alla vita. Come l'amore per Margherita, anche quello per Elena ha avuto
    fine. Dolorosa anche questa esperienza, ma più alta. Si chiude un momento della
    sua esistenza. Egli prende congedo dalla vita amorosa e, senza rimpianti e con
    virile decisione, inizia l'ultima esperienza, quella della vita attiva per sé e
    per gli altri. Mefistofele pensa alla gloria a vantaggio di chi la consegue.
    Faust persa a una grande azione fine a se stessa e Mefistofele non lo comprende.
    Faust è molto cambiato, un tempo la natura si identificava con il divino, ora
    egli vede nella natura un'energia che l'uomo può domare e rendere proprio
    strumento ® esperienza dell'azione e creazione.
    "L'azione è tutto, la gloria nulla".
  • Sui contrafforti: Faust partecipa alla guerra tra imperatore e
    antimperatore. Con l'aiuto delle arti magiche di Mefistofele combattono per
    l'imperatore schiere di spiriti e gli procurano la vittoria.
  • Tenda dell'antimperatore: l'imperatore sa benissimo che deve la vittoria
    alle arti magiche dei suoi due alleati, ma fa finta di credere che sia merito
    dei quattro principi e si affretta a ricompensarli. Faust viene investito del
    litorale dell'impero. L'imperatore nota che il suo impero è in declino, ha una
    forma di governo che crolla e i suoi principi lo derubano e non ha la forza di
    reagire. Ma Faust sta per iniziare quell'azione che creerà una nuova forma di
    vita sociale, un nuovo stato.

Atto Quinto

  • Paesaggio aperto: Goethe riprende l'episodio delle Metamorfosi di Ovidio, in
    cui Giove e Mercurio percorrono la Frigia e trovano ospitalità presso due
    coniugi Filemone e Bauci. A dimostrare la loro gratitudine ne cambiano la
    modesta casa in tempio e concedono loro la grazia di poter morire
    contemporaneamente. Filemone si trasforma in quercia e Bauci in tiglio. In
    questo episodio, un viandante naufragato venne salvato dai due. Torna a
    ringraziarli, ma al loro posto vi trova un'oasi di pace. Si nota come vi è un
    presagio di catastrofe, un nuovo mondo assale l'antico.
  • Palazzo: ormai la sua spiaggia è divenuta fiorente. Ma Faust è irritato
    perché di fronte al suo mondo creato dal nulla, meccanico, fabbricato e non
    divenuto, sta quello di Filemone e Bauci, idillico, sereno, lentamente divenuto.
    Il desiderio del possesso è più forte di lui, Mefistofele non capisce le sue
    inquietudini. Faust chiede a Mefistofele di far cambiare residenza a due vecchi,
    ma in cambio ha distruzione e morte. Vengono uccisi e sente che la colpa di ciò
    ricade su di lui. Viene colto da senso di colpa e pentimento. Mefistofele ha
    portato alle estreme conseguenze il suo desiderio di possesso. E così il titano
    Faust si fa uomo. Ritrova, ripudiando la magia, la sua umanità, i limiti della
    sua umanità e la sua libertà. Ora Faust può morire.
  • Notte profonda: Faust canta le lodi della vita e si esalta nella bellezza
    del mondo. Un'affermazione d'amore verso la vita. Notare quanto sia forte il
    contrasto con la descrizione dell'incendio, della distruzione e della morte con
    lo stato d'animo di Faust. Vi è la sua prima incertezza interiore. Il senso di
    colpa, il rimorso, il pentimento. Tuttavia si riprende.
  • Mezzanotte: la crisi di Faust si sta sviluppando, si sta allontanando dalla
    magia e lo conduce ad una reazione di fronte a Mefistofele e alle sue arti
    magiche perché si accorge che viene quasi sempre trascinato dove non avrebbe
    dovuto e voluto arrivare. Sente il desiderio di essere libero. La sua volontà di
    uomo si sostituirà al potere della magia. Ma non gli è possibile tornare com'era
    prima del patto ® lo assale un senso di tragica
    solitudine. Gli passa davanti la visione della sua vita, vita di cui non si
    pente. Il suo progredire interiore e il suo non appagarsi mai non si è placato e
    Faust riconferma il superamento del patto con Mefistofele. Le forze misteriose e
    demoniache che agiscono sull'individuo e ne turbano l'armonia sono anche fonte
    di grandi azioni. Gli uomini che hanno vissuto sotto il dominio della cura sono
    stati ciechi tutta la loro vita. Faust che non l'ha conosciuta le si oppone.
    Sarà ora cieco, ma è cecità solamente esteriore. Faust ha saputo vincere la cura
    perché per reazione, dentro brilla una luce. E lo spirito raddoppia le sue
    energie e tende all'azione con impeto giovanile. Con un abbandono alla vita
    pieno di fiducia e gioioso. Accetta la vita come un inevitabile susseguirsi di
    bene e di male, nei loro fatali limiti imposti a ciò che si può desiderare e
    volere. Di fronte ad esse l'uomo, pur accettandole, è libero e non cessa mai di
    guardare lontano, di tendere, di salire, di progredire nell'alterna vicenda di
    tormento e felicità. Così la vittoria di Faust sulla cura non sta nel
    respingerla o nell'ignorarla, ma nell'accogliere entro di sé questa accettazione
    della realtà senza che, spenta la luce degli occhi, si spenga quella dell'anima.
  • Grande cortile antistante al palazzo: dopo che Faust si è staccato da lui,
    Mefistofele è divenuto solo sorvegliante. L'ultimo Streben del vegliardo,
    creare uno stato dove vi regni e lo governi una libera cooperazione di uomini
    liberi, lietamente operosi ® uno stato del XIX secolo à
    l'uomo del XVIII secolo (titanico, egocentrico, estetico) cede di fronte a
    questo nuovo uomo. Quest'ultimo Faust è più completo, più equilibrato e maturo
    nei suoi rapporti con gli altri uomini.
    Mefistofele è sconfitto perché Faust
    si è salvato in virtù dello Streben, che annulla in lui l'errore e lo
    incita a non fermarsi mai. Mefistofele lo fa morire perché crede di aver vinto
    il patto. Ma ancora una volta dimostra di non aver compreso le ultime parole di
    Faust, che non esprimono, come lui crede, il desiderio di attaccarsi a qualcosa
    di terreno, ma nascono da una visione disinteressata e altruistica.
  • Sepoltura: Faust è morto. Il dissidio in lui (due anime nel suo petto) e
    quello simbolico (contrasto con Mefistofele) è finito. Il suo destino non è più
    entro i limiti della terra, ma oltre. Mefistofele non prende sul tragico la
    sconfitta. Si rassegna e deride la sua sciocchezza.
  • Gole montane: progressività del purificarsi e affinarsi, nel volo degli
    spiriti, un salire verso l'alto. Gli angeli che portano l'immortale Faust sono i
    più perfetti. La morte è il primo passo verso la spiritualità, che si compirà
    per gradi. Affinché l'ultimo resto della sua doppia natura cada e svanisca, è
    necessaria l'azione dell'amore divino e questo si manifesta per tramite di
    Margherita. Così si apre all'immortale di Faust la via alle sfere più alte.
    L'esperienza di Faust non si è compiuta, ma ne è cominciata una nuova, oltre i
    limiti della terra. Uno Streben purificato. Faust aveva raggiunto in
    terra il grado estremo del progredire, non poteva più andare oltre, la natura
    gli deve concedere un'altra forma di esistenza, una forma adatta a
    quell'implacabile Streben.
    Si chiude con il Chorus Mysticus, che sembra
    dileguarsi verso regioni al di là della terra, dove l'uomo può elevarsi non con
    i suoi sensi ma solo con un volo dell'anima.
- Goethe > F A U ST > Opera Integrale: http://www.booksandbooks.it/downloads/func-startdown/26/ - Goethe > F A U S T > In Lingua Tedesca > Opera Integrale - PDF da scaricare: http://www.millepagine.net/classici/faust/ 

mercoledì 12 gennaio 2011

Kahlil Gibran - I L P R O F E T A









Il Profeta di Gibran


Il Profeta
di

Gibran Kahlil Gibran

Indice
Prologo

L’amore

Il Matrimonio

I Figli

Il Donare

Il Mangiare e il Bere

Lavoro

Gioia e Dolore

Le Case

Gli Abiti

Il Comprare e il Vendere

La Colpa e il Castigo

Le Leggi

La Libertà

La Ragione e la Passione

Il Dolore

La Conoscenza di Se

L’insegnamento

L’amicizia

Il Conversare

Il Tempo

Il Bene e il Male

La Preghiera

Il Piacere

La Bellezza

La Religione

La Morte

Epilogo
Il Profeta di Gibran 


 
Prologo


Almustafa, il prescelto e l'amato, che fu come un'alba nel suo giorno, aveva atteso dodici anni nella città di Orphalese che la sua nave tornasse per ricondurlo all'isola natale.


E nel dodicesimo anno, il settimo giorno di Ielool, il mese delle messi, salì sulla collina fuori le mura della città e guardò il mare; e vide la nave venire nella nebbia.


Allora gli si aprirono le porte del cuore, e la sua gioia volò lontano sul mare. E chiuse gli occhi e pregò nei silenzi dell'anima. Ma mentre discendeva la collina, fu invaso dalla tristezza, e pensò nel suo cuore:


Come andarmene in pace e senza pena? Ahimè, non senza una piaga nello spirito lascerò questa città.


Lunghi furono i giorni di dolore vissuti dentro le sue mura, e lunghe furono le notti in solitudine; e chi può lasciare il suo dolore e la sua solitudine senza rimpianto?


Troppi brandelli dello spirito ho seminato in queste vie, e troppi figli del mio anelito camminano nudi fra queste colline, e io non posso staccarmene senza un peso e un dolore.


Non è un vestito che mi tolgo, quest'oggi, ma una pelle che strappo con le mie proprie mani. Né è un pensiero che lascio dietro di me, ma un cuore addolcito dalla fame e dalla sete. E tuttavia non posso trattenermi più a lungo. Il mare che chiama a sé tutte le cose mi chiama, e io devo imbarcarmi.


Perché restare, sebbene brucino le ore della notte, è gelare e diventare cristallo, ed essere fissati in uno stampo.


Vorrei prendere con me tutto quello che è qui. Ma come potrò farlo?


Una voce non può trascinare la lingua e le labbra che le diedero le ali. Da sola, deve cercare l'etere.


E sola e senza il nido dovrà volare l'aquila nel sole.


Così, quando ebbe raggiunto i piedi del colle, si volse ancora verso il mare, e vide la sua nave approssimarsi al porto, e a prua i marinai, uomini della sua patria.


E la sua anima gridò loro e disse:
Figli della mia antica madre, oh voi cavalieri dei flutti, quanto spesso veleggiaste nei miei sogni.

 

E ora arrivate al mio risveglio, che è il mio sogno più profondo.


Sono pronto a partire, e la mia brama, le vele già spiegate, è in attesa del vento.


Solo un'ultima volta respirerò in quest'aria immobile, un solo sguardo d'amore volgerò ancora alle mie spalle.


E poi sarò tra voi, un navigante fra i naviganti.


E tu, mare immenso, madre insonne, che sola sei pace e libertà per il fiume e il ruscello, solo un'ultima curva avrà questo ruscello, solo un altro mormorio questa radura, e poi verrò da te, goccia senza confini all'infinito oceano.


E mentre andava, vide da lungi uomini e donne che lasciavano i campi e le vigne e si affrettavano verso le porte della città.


E udì le loro voci dire il suo nome, e gridare di campo in campo annunciando uno all'altro l'arrivo della nave.


Ed egli disse a se stesso:
Il giorno della separazione sarà il giorno del raduno?

 

E si dirà che la mia sera fu in realtà la mia alba?


E che cosa darò a chi ha lasciato l'aratro in mezzo al solco, o ha fermato la ruota del torchio?


Diventerà il mio cuore un albero carico di frutti che io possa cogliere e donare?


E i miei desideri scorreranno come una fontana per riempire le loro tazze?


Sono io un'arpa che la mano del maestro può pizzicare, o un flauto che il suo fiato può attraversare?


Io sono un cercatore di silenzi; e quali tesori ho trovato nei silenzi che possa dispensare con fiducia?


Se questo è il giorno del mio raccolto, in quali campi ho seminato, e in quali stagioni dimenticate?


Se è proprio questa l'ora di alzare la mia lanterna, non è mia la fiamma che vi arde.
 
Vuota e buia alzerò la mia lanterna, ed il guardiano della notte dovrà riempirla d'olio e dovrà anche accenderla.

Queste cose egli disse con parole. Ma nel suo cuore molto restò taciuto. Perché egli stesso non poteva esprimere il suo segreto più profondo.


E quando entrò nella città, tutto il popolo venne a incontrarlo, e gridavano a lui come una sola voce.


E gli anziani della città vennero avanti e dissero:
Non andartene ancora.

 

Sei stato un mezzogiorno nel nostro crepuscolo, e la tua gioventù ci ha dato sogni da sognare.


Non sei straniero, fra noi, né ospite, ma nostro figlio e il nostro amato.


Non permettere ancora che i nostri occhi abbiano fame del tuo volto.


E i sacerdoti e le sacerdotesse gli dissero:
Non lasciare che le onde del mare ci separino e che gli anni trascorsi in mezzo a noi diventino solo un ricordo.

 

Sei passato fra noi come uno spirito, e la tua ombra ha illuminato i nostri volti.


Molto ti abbiamo amato. Ma il nostro amore è stato muto, e coperto di veli.


Eppure ora grida a te, e vuole starti davanti senza veli.


È sempre accaduto che l'amore abbia ignorato quanto fosse profondo fino al momento del distacco.


E altri vennero a pregarlo. Ma egli non rispose. Chinò solo la testa; e quelli che gli stavano vicino videro le sue lacrime scivolargli sul petto.


E seguito dal popolo, avanzò verso la grande piazza davanti al tempio.


E dal santuario uscì una donna, il cui nome era Almitra, ed era una veggente.


Ed egli la guardò con grande tenerezza, perché era stata la prima a cercarlo e a credere in lui quando era arrivato nella loro città da appena un giorno.


Ed ella lo salutò, dicendo:
Profeta di Dio che vai alla ricerca delle cose supreme, a lungo hai scrutato l'orizzonte cercando la tua nave.

 

E ora la nave è arrivata e tu devi partire.


Profonda è la tua ansia per la terra dei tuoi ricordi, per la dimora dei tuoi più grandi desideri; il nostro amore non ti legherà né sarai trattenuto dai nostri bisogni.


Ma questo ti chiediamo, prima di lasciarci, che tu ci parli e ci trasmetta la tua verità.


Noi la trasmetteremo ai nostri figli, ed essi ai loro, e non perirà.


Nella tua solitudine hai sorvegliato i nostri giorni, e nell'insonnia ci hai udito piangere e ridere nel sonno.


Aprici ora a noi stessi, e rivelaci quello che ti è stato mostrato di ciò che esiste tra la nascita e la morte.


Ed egli rispose
, Popolo di Orphalese, di che posso parlare, se non di cose che anche in questo momento vi commuovono l'anima?


Allora Almitra disse:
Parlaci dell'Amore.



 

Ed egli sollevò il capo e guardò il popolo, e una gran pace discese su di loro.


E a voce alta disse:


Quando l'amore vi fa cenno, seguitelo,


Benché le sue strade siano aspre e scoscese.


E quando le sue ali vi avvolgono, abbandonatevi a lui,


Benché la spada che nasconde tra le penne possa ferirvi.


E quando vi parla, credetegli,


Anche se la sua voce può mandare in frantumi i vostri sogni come il vento del nord lascia spoglio il giardino.


Perché come l'amore v'incorona così vi crocifigge.


E come per voi è maturazione, così è anche potatura.

E come ascende alla vostra cima e accarezza i rami più teneri che fremono al sole,


Così discenderà alle vostre radici che scuoterà dove si aggrappano con più forza alla terra.


Come fastelli di grano, vi raccoglierà.


Vi batterà per denudarvi.


Vi passerà al crivello per liberarvi dalla pula.


Vi macinerà fino a farvi farina.


Vi impasterà fino a rendervi plasmabili.


E poi vi assegnerà al suo fuoco sacro, perché possiate diventare il pane sacro nei sacri conviti di Dio.


Tutto questo farà in voi l'amore, affinché conosciate i segreti del cuore,


e in quella conoscenza diventiate un frammento del cuore della Vita.


Ma se avrete paura, e cercherete soltanto la pace dell'amore ed il piacere dell'amore,


Allora è meglio che copriate le vostre nudità, e passiate lontano dall'aia dell'amore,


Nel mondo senza stagioni dove potrete ridere, ma non tutto il vostro riso, e piangere, ma non tutto il vostro pianto.


. . . . .


L'amore non dà nulla all'infuori di sé, né prende nulla se non da se stesso.


L'amore non possiede né vuol essere posseduto,


Perché l'amore basta all'amore.


Quando amate non dovreste dire: "Dio è nel mio cuore" ma, semmai, "sono nel cuore di Dio".


E non crediate di guidare il corso dell'amore,


poiché l'amore, se vi trova degni, guiderà lui il vostro corso.


L'amore non desidera che il proprio compimento.


Ma se amate e quindi avete desideri, i vostri desideri siano questi:


Sciogliersi e farsi simili a un ruscello che scorra e canti alla notte la sua melodia.


Conoscere il martirio della troppa tenerezza.


Esser feriti dal vostro proprio intendere l'amore,


E sanguinare di buon grado, gioiosamente.


Svegliarsi all'alba con un cuore alato e dire grazie a un nuovo giorno d'amore;


Riposare nell'ora meridiana e meditare sull'estasi amorosa;


Tornare a casa con gratitudine la sera;


E addormentarsi con una preghiera per chi amate nel cuore, e un canto di lode sulle labbra.


Allora Almitra parlò di nuovo e disse:
Che cosa puoi dirci del Matrimonio, maestro?...

 
Ed egli rispose, dicendo:


Voi siete nati insieme, e dovrete sempre stare insieme.Starete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni.


Sì, starete insieme anche nella memoria silenziosa di Dio.


Ma che ci siano spazi nel vostro stare insieme,


E che i venti del cielo danzino tra di voi.


Amatevi vicendevolmente, ma il vostro amore non sia una prigione:


Lasciate piuttosto un mare ondoso tra le due sponde delle vostre anime.


Riempitevi la coppa uno con l'altro, ma non bevete da una sola coppa.


Scambiatevi a vicenda il vostro pane, ma non mangiate dallo stesso pane.


Cantate insieme e danzate e siate allegri, ma che ciascuno sia solo.


Come le corde di un liuto, che sono sole, anche se vibrano per la stessa musica.


Datevi il vostro cuore, ma non lo date in custodia uno dell'altro.


Perché solo la mano della Vita può contenere i vostri cuori.


E state insieme ma non troppo vicini:


Poiché le colonne del tempio sono distanziate,


E la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro.


E una donna che aveva al petto un bambino disse:
Parlaci dei Figli.



 

I vostri figli non sono i vostri figli.


Sono i figli e le figlie della brama che la Vita ha di sé.


Essi non provengono da voi, ma per tramite vostro,


E benché stiano con voi non vi appartengono.


Potete dar loro il vostro amore ma non i vostri pensieri,


Perché essi hanno i propri pensieri.


Potete alloggiare i loro corpi ma non le loro anime,


Perché le loro anime abitano nella casa del domani, che voi non potete visitare, neppure in sogno.


Potete sforzarvi d'essere simili a loro, ma non cercate di renderli simili a voi.


Perché la vita non procede a ritroso e non perde tempo con ieri.


Voi siete gli archi dai quali i vostri figli sono lanciati come frecce viventi.


L'Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell'infinito,


e con la Sua forza vi tende affinché le Sue frecce vadano rapide e lontane.


Fatevi tendere con gioia dalla mano dell'Arciere;


Perché se Egli ama la freccia che vola, ama ugualmente l'arco che sta saldo.


Allora un ricco disse:
Parlaci del Donare...


 
Ed egli rispose:


Donerete ben poco se donerete i vostri beni.


È quando fate dono di voi stessi che donate veramente.


Che altro sono i vostri beni se non cose possedute e custodite per timore di averne bisogno domani?


E domani, che porterà il domani al cane troppo previdente,


che seppellisce l'osso sotto la sabbia che non lascia tracce,


mentre segue i pellegrini verso la città santa?


E che cos'è il timore del bisogno se non lo stesso bisogno?


E il terrore della sete quando è colmo il vostro pozzo non è una sete inestinguibile?


C'è chi dà poco del molto che possiede - e lo dona perché sia riconosciuto,


e il loro desiderio nascosto rende il dono corrotto.


E vi son quelli che hanno poco e lo dànno per intero.


Costoro credono alla vita e alla sua munificenza e il loro scrigno non sarà mai vuoto.


Vi è chi dona con gioia, e la gioia è la sua ricompensa.


E vi è chi dona con pena, e la pena è il suo battesimo.


E vi è infine chi dona senza pena, e non cerca gioia né si cura della virtù;


È come il mirto, laggiù nella valle, che sparge nell'aria il suo profumo.


Dio parla attraverso le mani di costoro e dietro i loro occhi Egli sorride alla terra.


È bene dare se ci viene chiesto, ma è meglio dare non richiesti, per averlo capito;


Cercare chi ha bisogno è gioia più grande al generoso che lo stesso donare.


Che cosa vorreste trattenere?


Tutto quello che avete un giorno sarà dato;


Perciò donate ora, perché sia vostro il tempo del donare e non dei vostri eredi.

Voi dite spesso "Darei volentieri, ma soltanto a chi merita".

Le piante del vostro frutteto non dicono questo, né il gregge del vostro pascolo.


Essi danno per poter vivere; se trattenessero morrebbero.


Chi è degno di ricevere i suoi giorni e le sue notti è certamente degno di ricevere tutto il resto da voi.


E chi è degno di bere al mare della vita è degno di riempire la sua tazza al vostro ruscello.


E quale deserto sarà più vasto di quello che si stende nella fiducia e nel coraggio, anzi la carità, del ricevere?


Chi siete voi perché altri uomini debbano aprirvi il loro petto e togliere i veli al loro orgoglio,


perché possiate guardare il loro merito nudo e il loro orgoglio svergognato?


Badate prima che voi stessi siate degni d'essere donatori, e strumenti del donare.


Ché in verità è la vita che dona alla vita, mentre voi, che vi credete donatori, non siete che testimoni.


E voi che ricevete - e tutti ricevete - non vi addossate un carico di gratitudine,


se non volete un giogo su di voi e su colui che vi ha donato.


Piuttosto sollevatevi con lui, e siano ali i suoi doni;


Perché se il vostro debito vi pesa troppo, mettete in dubbio il suo disinteresse a cui è madre la terra generosa e padre Dio.


Allora un vecchio, che aveva un'osteria, disse:
Parlaci del Mangiare e del Bere.

Ed egli disse:


 
Vorrei che poteste vivere del profumo della terra, alimentati come una pianta dalla luce.


Ma poiché dovete uccidere per mangiare, e derubare il nuovo nato del latte di sua madre per calmare la sete,


fate che questo sia un atto di adorazione.


E che la vostra mensa sia un altare sul quale il puro e l'innocente della pianura e dei boschi


venga immolato a quanto di più puro e innocente è nell'uomo.


Quando uccidete un animale, ditegli in cuore:


"Dallo stesso potere che ti uccide, io sarò ucciso; e anch'io sarò consumato.


Perché la legge che ti dà nelle mie mani mi darà in mani più potenti.


Il tuo sangue e il mio sangue non sono che la linfa che nutre l'albero del cielo".


. . . . .


E quando masticherete una mela tra i denti, ditele in cuore:


"I tuoi semi vivranno nel mio corpo,


E i tuoi germogli sbocceranno nel mio cuore,


E il tuo profumo sarà il mio respiro,


E insieme godremo in tutte le stagioni".


E quando, in autunno, raccoglierete l'uva dalle vigne per il torchio, dite in cuor vostro:


"Anch'io sono una vigna, e i miei frutti saranno raccolti per il torchio,


E come vino nuovo sarò tenuto in botti eterne".


E quando d'inverno spillerete il vino, per ogni coppa vi sia una canzone.


E nella canzone vi sia un ricordo dei giorni dell'autunno, e della vigna, e del torchio dell'uva.


Allora un contadino disse:
Parlaci del Lavoro.


 
Ed egli rispose, dicendo:


Voi lavorate per mantenere il passo con la terra e con lo spirito della terra.


Poiché stare in ozio è diventare estraneo alle stagioni,


e allontanarsi dal corteo della vita che avanza maestosa e con fiera sottomissione verso l'infinito.
Quando voi lavorate siete un flauto che attraverso la sua anima trasforma in musica il mormorio della vita.

Chi vorrebbe essere una canna muta, quando tutte le altre cantano all'unisono?


Vi è stato sempre detto che il lavoro è una maledizione e la fatica una sventura.


Ma io vi dico che quando lavorate compite una parte del sogno più avanzato della terra,


che fu assegnata a voi quando quel sogno nacque.


E che sostenendo voi stessi col lavoro amate in verità la vita,


E che amare la vita nel lavoro è vivere intimamente con il più intimo segreto della vita.


Ma se nella vostra sofferenza dite che nascere è un tormento e sostentare la carne una maledizione scritta in fronte,


io vi rispondo che nulla tranne il sudore della fronte laverà ciò che vi è scritto.


Vi hanno anche detto che la vita è tenebre, e nella vostra stanchezza fate eco a ciò che dissero gli stanchi.


E io vi dico che la vita è davvero oscurità se è priva di slancio,


E che ogni slancio è cieco se non v'è conoscenza,


E ogni conoscenza è vana, se non v'è l'operare,


E ogni opera è vuota se è priva dell'amore.


Quando operate con amore legate voi a voi stessi, e l'uno all'altro,


e a Dio.


. . . . .


E che cos'è operare con amore?


È tessere la stoffa con i fili del cuore, come se anche chi amate dovesse indossarla.


È costruire una casa con affetto, come se anche chi amate dovesse abitarla.


È seminare con dolcezza e mietere il grano con gioia, come se anche chi amate dovesse mangiarne.


È impregnare ogni cosa che plasmate con un soffio del vostro spirito,


E sapere che tutti i morti benedetti vi stanno intorno e vi osservano.


Vi ho udito spesso dire, come parlando nel sonno,


"Chi scolpisce nel marmo, e vi ritrova la forma del suo animo, è più nobile di chi ara la terra;


E chi afferra l'arcobaleno e lo distende su una tela nelle sembianze


di un uomo, è maggiore di chi fabbrica i sandali per i nostri piedi".


Ma io, non in sonno, ma nella più lucida veglia meridiana,


vi dico che il vento non parla più soavemente alle querce giganti che al più minuscolo filo d'erba;


E che grande è soltanto chi trasforma la voce del vento in un canto reso più dolce dal suo amore.


L'opera è amore che si fa visibile.


Se non potete lavorare con amore, ma solo con riluttanza,


allora è meglio lasciare il lavoro e sedere alla porta del tempio e accettare elemosine da chi lavora con gioia.


Perché se fate il pane con indifferenza, farete un pane amaro che nutre solo a metà.


E se spremete l'uva con astio, il vostro astio distillerà un veleno nel vino.


E se anche cantate come angeli, e non amate il canto,


chiuderete le orecchie dell'uomo alle voci del giorno e della notte.


Allora una donna disse:
Parlaci della Gioia e del Dolore


 
Ed egli rispose:


La vostra gioia è il vostro dolore senza maschera.


E quello stesso pozzo che fa scaturire il vostro riso fu più volte colmato dalle lacrime vostre.


Come potrebb'essere altrimenti?
 
Più a fondo vi scava il dolore, più gioia potete contenere.

La coppa in cui versate il vostro vino non è la stessa coppa cotta nel forno del vasaio?


E il liuto che addolcisce il vostro spirito non è lo stesso legno intagliato dal coltello?


Quando siete felici, se scruterete il vostro cuore, troverete che è ciò che vi ha fatto soffrire a darvi ora la gioia,


E quando siete afflitti, guardate ancora nel cuore, e scoprirete che state piangendo solo per ciò che vi ha reso felici.


. . . . .


Alcuni di voi dicono, "La gioia è più grande del dolore" e altri dicono, No, il dolore è più grande".


Ma io dico a voi che sono inseparabili.


Essi giungono insieme, e quando l'una siede a tavola con voi, ricordate che l'altro dorme nel vostro letto.


In realtà, oscillate tra il dolore e la gioia come i piatti d'una bilancia.


Solo se vuoti, state fermi e in equilibrio.


E quando il tesoriere vi alzerà per pesare il suo oro e il suo argento,


allora la gioia o il dolore dovranno per forza sollevarsi o cadere.


Allora un muratore si fece avanti e disse:
Parlaci delle Case.


 
Egli rispose, dicendo:


Prima di costruire dentro le mura cittadine, immaginate una dimora nel deserto.


Poiché come voi rincasate al crepuscolo, così fa il vagabondo che è in voi, sempre lontano e solitario.


La casa è il vostro corpo più grande.


Vive nel sole e si addormenta nella quiete della notte; e non è senza sogni.


La vostra casa non sogna?


E sognando non lascia la città per un boschetto o per la cima d'un colle?


Vorrei raccogliere in mano tutte le vostre case e spargerle sui prati e le foreste come un seminatore.


Vorrei che le strade fossero valli, e i vostri viali verdi sentieri,


perché possiate cercarvi l'un l'altro tra le vigne, e incontrarvi con gli abiti odorosi della fragranza della terra.


Ma queste cose non possono ancora avvenire.


Nella loro paura, i vostri antenati vi riunirono troppo vicini gli uni agli altri.


E quella paura durerà ancora un po' a lungo.


Ancora un po' le mura cittadine separeranno dai campi i vostri focolari.


E ditemi, gente di Orphalese, che cosa c'è in queste case?


Che cosa proteggete con porte sprangate?


Avete pace, la calma passione che rivela la forza?


Avete ricordi, le arcate luminose che abbracciano la sommità della mente?


Avete la bellezza, che guida il cuore dagli oggetti di legno e di pietra alla montagna sacra?


Ditemi, avete questo nelle vostre case?


O avete solo gli agi, e la brama degli agi, quella cosa furtiva ch'entra in casa come visitatrice,


e poi diventa ospite, e infine padrona?


Ahi! ché diventa tiranna, e con gancio e staffile trasforma in marionette le vostre più grandi aspirazioni.


Benché abbia mani di seta, il suo cuore è di ferro.


Vi addormenta cullandovi, solo per starvi accanto al letto e farsi gioco della nobile carne.


Deride i sani sensi, e li pone tra i cardi come fragili vasi.


In verità, la brama degli agi uccide la passione dell'anima,


e segue sogghignando il suo funerale.


Ma voi, figli dello spazio, voi irrequieti nel riposo, non sarete intrappolati e domati.


La vostra casa non sarà un'àncora ma un albero di nave.


Non sarà la lucida pellicola che ricopre la piaga, ma la palpebra che protegge l'occhio.


Non piegherete le ali per passare attraverso le porte, non chinerete


la testa per non urtare il soffitto, non tratterrete il fiato per paura che i muri si crepino e cadano.


Voi non abiterete dentro tombe costruite dai morti per i vivi.


E a dispetto della sua magnificenza, la vostra casa non custodirà il vostro segreto né riparerà la vostra ansia.


Perché quello che in voi è sconfinato dimora nel palazzo del cielo


la cui porta è la nebbia mattutina, e le finestre i canti e il silenzio della notte.


E il tessitore disse:
Parlaci degli Abiti...


 
Ed egli rispose:


I vostri abiti coprono gran parte della vostra bellezza, ma non nascondono ciò che non è bello.


E anche se cercate negli abiti la vostra libertà personale, potreste invece trovare finimenti e catene.


Vorrei che andaste incontro al sole e al vento più con la vostra pelle che con gli indumenti.


Perché il soffio della vita è nella luce del sole e la mano della vita è nel vento.


Alcuni di voi dicono: "È il vento del nord che ha tessuto gli abiti che indossiamo".


E io vi dico, sì, è stato il vento del nord,


Ma il suo telaio è stata la vergogna, e il suo filo la mollezza dei muscoli.


E quando ebbe compiuto il suo lavoro, rise nella foresta.


Non lo scordate: la modestia è uno scudo contro gli sguardi dell'impuro.


E quando l'impuro sparirà, che mai sarà stata la modestia se non una pastoia e un groviglio della mente?


E non dimenticate che la terra gioisce dei vostri piedi nudi e il vento ama scherzare con i vostri capelli.


E un mercante disse:
Parlaci del Comprare e del Vendere.


 
Ed egli rispose, dicendo:


La terra vi dispensa i suoi frutti, e non avrete bisogni se saprete come riempirvene le mani.


Scambiandovi i doni della terra avrete abbondanza e sarete soddisfatti.


Ma se lo scambio non avverrà con amore e benevola giustizia,


non potrà che portare alcuni all'ingordigia e altri alla fame.


Quando voi, lavoratori del mare e dei campi e delle vigne,


incontrate sulla piazza del mercato i tessitori e i vasai e i raccoglitori di spezie,


Invocate il supremo spirito della terra, che scenda in mezzo a voi e benedica le bilance e i conteggi


perché a un valore sia pari un altro valore.


E non consentite che chi ha le mani sterili prenda parte nelle vostre transazioni,


perché vi renderebbe parole per la vostra fatica.


A costoro direte:


"Venite nei campi con noi o andate in mare con i nostri fratelli e gettate le reti;


Perché il mare e la terra saranno generosi con voi come lo sono con noi".


E se verranno cantanti e danzatori e suonatori di flauto, comprate anche i loro doni.


Perché anch'essi raccolgono frutti ed incenso, e ciò che recano,


benché fatto di sogni, è cibo e veste per la vostra anima.

E prima di lasciare la piazza del mercato, badate che nessuno sia andato via a mani vuote.

Perché lo spirito padrone della terra non dormirà in pace nel vento


finché i bisogni del più piccolo di voi non siano stati soddisfatti.


Allora uno dei giudici della città si fece avanti e disse:
Parlaci della Colpa e del Castigo.


 
Ed egli rispose, dicendo:


È quando il vostro spirito erra nell'aria,


Che voi, solitari e distratti, commettete ingiustizia verso gli altri e quindi verso voi stessi.


E per quel torto commesso busserete alla porta dei beati, e sarete ignorati.


Come l'oceano è il vostro io divino;


Resta per sempre incorrotto.


E come l'etere solleva soltanto gli esseri alati.


Il vostro io divino è anche simile al sole;


Non conosce le vie della talpa, né cerca le tane del serpente.


Ma l'io divino non vive in voi da solo.


Molto in voi è ancora uomo, e molto non è ancora uomo,


Ma un informe pigmeo che cammina dormendo nella nebbia cercando il proprio risveglio.


Ed è dell'uomo in voi, che ora voglio parlare.


Perché è lui, e non l'io divino o il pigmeo nella nebbia che conosce la colpa e il castigo della colpa.


Vi ho udito spesso parlare di chi commette un torto come se non fosse uno di voi,


ma un estraneo, uno intruso nel vostro mondo.


Ma io vi dico che anche il santo e il giusto non possono levarsi oltre l'altezza che è in ciascuno di voi,


Così il malvagio e il debole non possono cadere più in basso della bassezza che ugualmente è in voi.


E come una singola foglia non ingiallisce senza la muta consapevolezza di tutta la pianta,


Così chi compie il torto non può farlo senza il volere nascosto di voi tutti.


Voi camminate insieme verso il vostro io divino come una processione.


Siete la via e i viandanti.


E se uno cade, cade per quelli che son dietro, un avviso del sasso che l'ha fatto inciampare.


E cade per quelli che ha davanti, che più veloci e con piede più sicuro, non hanno rimosso l'ostacolo.


E anche questo vi dirò, benché le mie parole potranno esservi di peso:


L'assassinato non è irresponsabile della propria uccisione,


E il derubato non è privo di colpa nel furto che ha subito.


Né il giusto è incolpevole degli atti del malvagio,


Né chi ha le mani bianche è netto nelle azioni del criminale.


Sì, il colpevole è spesso vittima dell'offeso.


E anche più spesso il condannato porta il fardello per l'innocente irreprensibile.


Voi non potete separare il giusto dall'ingiusto e il cattivo dal buono;


Perché essi stanno insieme davanti al sole, come se il filo nero e il filo bianco fossero insieme intessuti.


E quando si rompe il filo nero, il tessitore rivedrà tutta la tela, e dovrà esaminare anche il telaio.


Se uno di voi volesse giudicare una moglie infedele,


Metta sulla bilancia anche il cuore del marito, e misuri la sua anima col metro.


E chi volesse frustare l'offensore scruti lo spirito dell'offeso.


E se qualcuno di voi, in nome della giustizia, volesse abbattere la scure sopra il tronco malato, osservi le radici;


E in verità, troverà le radici del bene e del male, le infeconde e le fertili,

tutte intrecciate nel cuore silenzioso della terra.

E voi giudici che volete esser giusti.


Quale sentenza emanate contro chi è onesto nella carne ma è ladro nello spirito?


Che punizione date a chi uccide nella carne, ma è egli stesso ucciso nello spirito?


E come processate colui che con gli atti inganna e opprime,


Eppure è afflitto e oltraggiato?


E come punirete coloro il cui rimorso è già più grande che il loro misfatto?


Non è forse il rimorso la giustizia amministrata proprio da quella legge che servireste contenti?


Tuttavia non potete imporre il rimorso all'innocente né toglierlo dal cuore del colpevole.


Non chiamato esso chiama nella notte, affinché gli uomini si sveglino e scrutino se stessi.


E voi che volete capire la giustizia, come potrete farlo se non studiando ogni fatto nella pienezza della luce?


Solo allora saprete che l'eretto e il caduto sono un unico uomo


che vive nel crepuscolo fra la notte del suo io pigmeo e l'alba del suo io divino,


E che la pietra angolare del tempio non è più elevata della pietra più bassa delle sue fondamenta.


Allora un avvocato disse:
Che cosa pensi, maestro, delle nostre Leggi?


 
Ed egli rispose:


A voi piace imporre leggi.


Ma più ancora vi piace trasgredirle.


Come bambini che giocano presso l'oceano, che costruiscono torri di sabbia per poi distruggerle ridendo.


Ma mentre voi le costruite, l'oceano porta nuova sabbia sulla riva,


E quando poi le distrugge l'oceano ride con voi.


In verità, l'oceano ride sempre con l'innocente.


Ma che mi dite di coloro la cui vita non è un mare, e le leggi fatte dall'uomo non sono torri di sabbia,


Ma per i quali la vita è una roccia,


e la legge uno scalpello con cui vorrebbero scolpirla a propria immagine?


E che pensate dello storpio che odia i danzatori?


E del bove che ama il suo giogo, e crede l'alce e il cervo della foresta vagabondi e smarriti?


E del serpente vecchio che non muta più pelle e chiama gli altri nudi e senza pudore?


E di chi arriva per tempo al banchetto di nozze, e ne ritorna stanco


e ingozzato di cibo dicendo che tutti i banchetti sono profanazioni


e i convitati trasgressori della legge?


Che dirò di costoro se non che vivono anch'essi alla luce del sole,


ma con la schiena voltata verso il sole?


Essi non vedono che le proprie ombre, e quelle ombre sono le loro leggi.


Che cos'è il sole per essi se non colui che fa le ombre?


E che vuol dire per essi conformarsi alle leggi se non chinarsi a tracciare la propria ombra sulla terra?


Ma voi che camminate col viso volto al sole, quali immagini tracciate sulla terra possono trattenervi?


E voi che viaggiate con il vento, quale banderuola dirigerà il vostro corso?


Quale legge dell'uomo vi legherà se infrangerete il vostro giogo evitando le porte della sua prigione?


E quale legge vi farà paura se danzerete senza inciampare contro le sue catene?


E chi vi condurrà in giudizio se strapperete il vostro abito ma non lo lascerete lungo i sentieri dell'uomo?


Popolo di Orphalese, voi potete smorzare il suono del tamburo e allentare le corde della lira,

ma chi comanderà di non cantare all'allodola?


E un oratore disse:
Parlaci della Libertà.


 
Ed egli rispose:


Alle porte della città e accanto al focolare, io vi ho veduto prosternarvi e adorare la vostra libertà.


Anche gli schiavi si umiliano davanti al tiranno e lo lodano anche quando li ammazza.


Ahimè, nel boschetto del tempio e all'ombra della cittadella ho visto i più liberi tra voi


indossare la loro libertà come un giogo ed un ceppo.


E il mio cuore sanguinava: perché non potrete essere liberi


finché perfino il desiderio di cercare la libertà non vi sembri una briglia,


e non avrete cessato di parlarne come di una meta e un compimento.


Sarete liberi, infatti,


non quando i vostri giorni saranno privi di ansie e le notti senza un bisogno o una pena,


Ma quando queste cose vi stringeranno come una cintura


e saprete innalzarvi al di sopra di esse nudi e sciolti.


Ma come potrete innalzarvi oltre i giorni e le notti se non rompendo le catene


che all'alba della vostra comprensione avete stretto intorno all'ora meridiana?


In verità, ciò che chiamate libertà è la più resistente di tali catene,


benché i suoi anelli brillino al sole e abbaglino i vostri occhi.


E che cosa volete eliminare per essere liberi se non brandelli di voi stessi?


Se è una legge ingiusta che volete abolire, l'avete scritta sulla fronte con le vostre mani.


Non la potete cancellare, né bruciando i vostri libri di diritto,


né lavando le fronti dei giudici, anche versandovi su il mare.


E se è un despota che volete deporre, badate prima a distruggerne il trono eretto in voi.


Perché un tiranno come può governare uomini liberi e orgogliosi


se non tiranneggiando la loro libertà e calpestando il loro orgoglio?


E se è una noia che volete scacciare, essa fu scelta da voi più che imposta dagli altri.


E se è un timore che volete fugare, la sua sede è nell'animo vostro, non nella mano di chi temete.


In verità, tutte le cose muovono dentro il vostro essere in un perenne semi abbracciamento,


quelle desiderate e le temute, le ripugnanti e le amate, le perseguite e quelle che vorreste evitare.


Esse muovono in voi come ombre e luci in stretto accoppiamento.


E quando l'ombra svanisce e non è più, la luce che indugia diventa un'ombra per un'altra luce.


Così la vostra libertà, appena perde le catene, diventa essa stessa la catena per una maggiore libertà.


E la sacerdotessa parlò di nuovo e disse:
Parlaci della Ragione e della Passione.


 
Ed egli rispose, dicendo:


La vostra anima è spesso un campo di battaglia dove il giudizio e la ragione


fanno guerra alla passione e agli appetiti.


Vorrei essere il pacificatore della vostra anima,


e trasformare la discordia e la rivalità dei vostri elementi in unità e armonia!


Ma come potrò farlo, se non siete voi stessi i pacificatori, anzi, gli amanti di ogni vostro elemento?


Ragione e passione sono il timone e la vela della vostra anima in viaggio.


Se il timone o la vela si rompono, andrete sballottati alla deriva o resterete immobili in mezzo alle onde.


Perché la ragione, se governa da sola, è una forza che limita;


e la passione, lasciata incustodita, è una fiamma che brucia fino alla distruzione.

Perciò la vostra anima esalti la ragione alle altezze della passione, così che possa cantare;

E guidi la vostra passione con la ragione,


affinché la passione possa vivere ogni giorno la sua resurrezione


e come la fenice risorgere dalle sue ceneri.


Vorrei che riteneste il giudizio e l'appetito come due ospiti ugualmente amati.


Sicuramente non fareste più onore all'uno che all'altro; perché chi ha cura di uno solo,


perde l'affetto e la fiducia di entrambi.


In mezzo alle colline, quando sedete all'ombra fresca d'un pioppo,


condividendo la serena pace di campi e prati lontani, fate che il vostro cuore dica in silenzio:


"Dio riposa nella ragione".


E quando arriva la tempesta, e venti possenti squassano la foresta,


e tuoni e fulmini proclamano la maestà del cielo,


fate che il vostro cuore dica nello sgomento: "Dio si muove nella passione".


E poiché siete un soffio nella sfera di Dio, ed una foglia nella Sua foresta,


dovreste riposare anche voi nella ragione e muovervi nella passione.


E una donna gli chiese:
Parlaci del Dolore.


 
Ed egli disse:


Il vostro dolore è il rompersi del guscio che racchiude il vostro intendimento.


Come il nocciolo del frutto deve rompersi perché il suo seme possa ricevere il sole,


così dovete conoscere il dolore.


Se poteste mantenere in cuore tutta la meraviglia per il prodigio quotidiano della vita,


anche il dolore non vi sembrerebbe meno stupefacente che la gioia;


E accogliereste le stagioni del cuore come avete sempre accolto le stagioni che passano sui vostri campi.


E vegliereste sereni nell'inverno della vostra sofferenza.


Molte pene le avete scelte voi.


È la pozione amara con cui il medico in voi cura il vostro io malato.


Fidatevi del medico e bevete il rimedio tranquilli e in silenzio;


Perché la sua mano, anche se rude e pesante, è guidata dalla mano premurosa dell'Invisibile.


E la tazza che vi porge, anche se brucia le labbra,


è stata modellata con l'argilla che il Vasaio ha bagnato con le Sue lacrime sante.


E un uomo disse:
Parlaci della Conoscenza di sé.


 
Ed egli disse:


I vostri cuori conoscono in silenzio i segreti dei giorni e delle notti.


Ma gli orecchi hanno sete di sentire quello che il cuore già conosce.


Vorreste sapere con parole quello che avete sempre saputo nella mente.


Vorreste toccare con le dita il corpo nudo dei sogni.


Ed è bene che lo facciate:


La sorgente sotterranea della vostra anima dovrà venire alla luce e scorrere mormorando verso il mare;


E il tesoro della vostra infinita profondità sarà rivelato ai vostri occhi.


Ma non usate bilance per pesare quell'ignoto tesoro;


E non sondate le profondità della vostra conoscenza con lo scandaglio o la pertica.


Poiché l'io è un mare sconfinato e immisurabile.

Non dite: "Ho trovato la verità"; dite piuttosto: "Ho trovato una verità".
Non dite: "Ho trovato il sentiero dell'anima".


Dite piuttosto: "Sul mio sentiero ho incontrato l'anima in cammino".


Perché l'anima cammina in tutti i sentieri.


L'anima non cammina sopra un filo, né cresce come una canna.


L'anima apre se stessa come un fiore di loto dagli innumerevoli petali.


Allora un maestro disse:
Parlaci dell'Insegnamento.


 
Ed egli disse:


Nessuno può rivelarvi se non quello che già cova semi addormentato nell'albore della vostra conoscenza.


Il maestro che passeggia all'ombra del tempio, tra i seguaci, non elargisce la sua saggezza,


ma piuttosto il suo amore e la sua fede.


Se egli è saggio veramente, non vi offrirà di entrare nella casa della propria sapienza;


vi condurrà fino alla soglia della vostra mente.


L'astronomo può parlarvi di come intende lo spazio, ma non può darvi il proprio intendimento.


Il musicista può cantarvi il ritmo che è dovunque nel mondo,


ma non può darvi l'orecchio che ferma il ritmo, né la voce che gli fa eco.


E chi è versato nella scienza dei numeri può descrivervi le regioni dei pesi e delle misure,


ma non può condurvi laggiù.


Perché la visione d'un uomo non può prestare le sue ali a un altro uomo.


E come ciascuno di voi sta da solo nella sapienza di Dio,


così ciascuno di voi deve essere solo nel suo conoscere Dio, e nel comprendere la terra.


E un giovane disse:
Parlaci dell'Amicizia.


 
Ed egli rispose, dicendo:


Il vostro amico è i vostri bisogni esauditi.


È il vostro campo, che seminate con amore e che mietete con gratitudine.


Egli è la vostra mensa e l'angolino accanto al fuoco.


Perché vi recate da lui con la fame, e lo cercate per avere pace.


Se il vostro amico vi apre la mente, non temete il "no" nella vostra, né trattenete il vostro "sì".


E se lo vedrete silenzioso, il vostro cuore non cessi d'ascoltare il suo cuore;


Perché senza parlare, nell'amicizia, tutti i pensieri, tutti i desideri,


tutte le aspettazioni, nascono e sono condivisi con una gioia priva di clamori.


Non vi attristate, quando vi dividete dall'amico;


Perché le cose che amate di più in lui saranno più evidenti durante l'assenza,


come la montagna a chi sale, che è più nitida dal piano.


E non vi sia altro scopo nell'amicizia che l'approfondimento dello spirito.


Perché l'amore che non cerca unicamente lo schiudersi del proprio mistero,


non è amore, ma una rete che pesca soltanto cose inutili.


La parte migliore di voi sia per l'amico.


Se egli deve conoscere il deflusso della vostra marea, fate in modo che ne conosca anche il flusso.


Perché cos'è il vostro amico, se andate in cerca di lui per uccidere il tempo?


Cercatelo invece avendo tempo da vivere.


Perch'egli è lì per servire al vostro bisogno, non per riempire il vostro vuoto.


E nella soavità dell'amicizia fate che abbondino risa, e piaceri condivisi.


Perché è nella rugiada delle piccole cose che il cuore trova il suo mattino e si ristora.


E uno studioso domandò:
Che puoi dirci del Conversare?


 
Ed egli rispose:


Voi parlate quando non siete più in pace con i vostri pensieri;


E quando non potete più abitare nella solitudine del cuore, vivete nelle labbra,


e il suono è distrazione e passatempo.


E in molti vostri discorsi, il pensiero è quasi ucciso.


Perché il pensiero è un uccello dell'aria,


che in una gabbia di parole può spiegare le ali, ma non può certo volare.


In mezzo a voi ci son di quelli che cercano i loquaci per paura di star soli.


Il silenzio della solitudine scopre il vuoto ch'è in loro, che invece vogliono fuggire.


E ce ne sono che parlano, e senza intenzione o sapere rivelano una verità che neppur essi comprendono.


E c'è chi ha in sé la verità, ma non la esprime con parole.


Nel suo petto lo spirito dimora in armonioso silenzio.


Quando incontrate un amico per la strada o nella piazza del mercato,


lasciate che lo spirito ch'è in voi muova le vostre labbra e diriga la lingua,


E che la voce nella vostra voce parli all'orecchio del suo orecchio;


Perché l'anima sua conserverà la verità del vostro cuore come un vino di cui si ricorda il sapore,


Anche quando il colore sarà dimenticato e il vaso più non esiste.


E un astronomo disse:
Maestro, che sai dirci del Tempo?


 
Ed egli rispose:


Voi vorreste misurare il tempo, che è smisurato e immisurabile.


Vorreste conformare la vostra condotta,


e perfino guidare il corso dello spirito, secondo le ore e le stagioni.


Vorreste fare del tempo una corrente sulle cui rive sedervi a guardarla fluire.


Eppure ciò che in voi è senza tempo, sa che la vita è senza tempo.


E sa che ieri e domani non sono che il ricordo ed il sogno dell'oggi.


E che quello che in voi medita e canta vive tuttora nei confini di quel primo momento


che seminò le stelle nello spazio.


Chi di voi non avverte che il suo potere d'amare è senza limiti?


Eppure chi non sente che questo stesso amore, sebbene illimitato,


è racchiuso nel centro del suo essere, e che non muove da pensiero d'amore verso pensiero d'amore,


né da fatti d'amore verso altri fatti d'amore?


E non è il tempo, come è anche l'amore, indiviso ed immoto?


Ma se dovete nella vostra mente scandire il tempo in stagioni,


lasciate che ogni stagione cinga tutte le altre,


E che l'oggi abbracci il passato col ricordo, ed il futuro col desiderio.


E uno degli anziani della città disse:
Parlaci del Bene e del Male.


 
Ed egli rispose:


Del bene che è in voi, posso parlare, ma non del male.
Perché cos'è il male se non il bene tormentato dalla fame e dalla sete?

Quando il bene è affamato cerca cibo nella più nera caverna,
e quando è assetato beve anche acqua morta.


Voi siete buoni quando siete in unione con voi stessi.


Ma anche quando non siete in unione con voi stessi, voi non siete cattivi.


Perché una casa divisa non è un covo di ladri; è soltanto una casa divisa.


E una nave senza timone può vagare alla deriva in mezzo ad isole pericolose senza colare a fondo.


Voi siete buoni quando vi adoperate per dare qualcosa di voi stessi.


Ma non siete cattivi se cercate profitto per voi stessi.


Perché quando cercate il profitto,


voi siete come una radice che si aggrappa alla terra e succhia il suo seno.


Il frutto non può dire alla radice: "Sii come me, maturo e pieno, e pronto a dare la tua ricchezza".


Perché donare è necessario al frutto, come per la radice è necessario ricevere.


Voi siete buoni quando siete pienamente coscienti di quello che dite.


Ma non siete cattivi quando dormite, e la lingua farfuglia senza ragione.


Anche un discorso che incespica può rafforzare una debole lingua.


Siete buoni, quando vi indirizzate alla meta fermamente e con passo gagliardo.


Ma non siete cattivi se vi andate zoppicando.


Anche chi zoppica non cammina a ritroso.


Ma voi che siete forti e veloci, non zoppicate davanti allo zoppo, credendo d'esser cortesi.


Voi siete buoni in infiniti modi, ma non siete cattivi quando non siete buoni.


Siete solo pigri e bighelloni.


È un peccato che il cervo non possa insegnare alla tartaruga a diventare veloce.


La vostra bontà è nel desiderio del gigante ch'è in voi; e quel desiderio è in ciascuno di voi.


Ma in alcuni è un torrente che scorre impetuoso verso il mare,


trasportando i segreti dei pendii delle colline, e i canti della foresta;


In altri è un'acqua piatta che si perde in angoli e curve e indugia a lungo prima di raggiungere la spiaggia.


Ma chi desidera molto non dica a chi desidera poco: "Per quale ragione sei così lento ed esitante?".


Perché chi è buono davvero non chiede al nudo: "Dov'è il tuo vestito?"


né al senzatetto: "Che cosa è accaduto alla tua casa?".


Allora una sacerdotessa disse:
Parlaci della Preghiera.


 
Ed egli rispose, dicendo:


Voi pregate nell'angoscia e nel bisogno;


dovreste pregare anche nella pienezza della gioia e nei giorni dell'abbondanza.


Perché che cos'è la preghiera se non l'espansione del vostro io nell'etere vivente?


E se versare la vostra oscurità nello spazio vi conforta, sarà letizia per voi riversarvi anche l'aurora.


E se piangete soltanto quando l'anima v'invita a pregare,


essa dovrebbe spronarvi ancora e ancora, fino a che il pianto non diventi riso.


Quando pregate, salite a incontrare tutti quelli che pregano in quello stesso momento e che mai,


se non nella preghiera, voi potrete incontrare.


Procurate, dunque, che la visita a quel tempio invisibile sia solo estasi e soave comunione.


Perché se entrate nel tempio unicamente per chiedere, voi non riceverete;


E se vi entrate per umiliarvi non sarete innalzati;


Perfino se vi entrate per implorare il bene altrui non sarete ascoltati.

 
È sufficiente che entriate nel tempio invisibile.


Io non posso insegnarvi come pregare con le parole.

Dio non ascolta le vostre parole se non quando Egli stesso le forma sulle vostre labbra.


E io non posso insegnarvi la preghiera delle montagne, delle foreste e dei mari.


Ma voi che siete nati dalle montagne, dalle foreste e dai mari


potete scoprire in cuor vostro la loro preghiera.


E se ascolterete nella quiete della notte, li udrete dire in silenzio:


"Dio nostro, tu che sei il nostro io alato, è la tua volontà che agisce in noi.


È tuo il desiderio che è in noi.


Tuo l'impulso che vorrebbe trasformare le nostre notti,


che sono tue, in giorni, che sono tuoi ugualmente.


Non possiamo chiederti nulla, perché conosci i nostri bisogni prima ancora che nascano:


Sei tu il nostro bisogno; e nel donarci più di te stesso, ci dài tutto".



Allora un eremita, che visitava la città una volta l'anno, si fece avanti e disse:
Parlaci del Piacere.



 
Ed egli rispose, dicendo:


Il piacere è un canto di libertà,


Ma non è la libertà.


È la fioritura dei vostri desideri,


Ma non è il loro frutto.


È un richiamo profondo verso una vetta,


Ma non è il fondo né il culmine.


È l'ingabbiato che prende il volo,


Ma non è spazio racchiuso.


Oh sì, il piacere è realmente un canto di libertà.


E io vorrei che lo cantaste a cuore aperto; ma non vorrei vedervi perdere il cuore nel cantarlo.


Alcuni giovani tra voi cercano il piacere come se fosse tutto, e sono giudicati e biasimati.


Non li giudicherei e biasimerei. Io vorrei che cercassero.


Perché troveranno il piacere, ma non questo soltanto.


Il piacere ha sette fratelli, e il minore di essi è più bello che il piacere.


Avete udito dell'uomo che, scavando la terra in cerca di radici, trovò un tesoro?


E alcuni anziani ricordano i piaceri con rimorso, come errori commessi in stato di ubriachezza.


Ma il rimorso offusca la mente, non la purga.


Dovrebbero invece ricordarli con gratitudine, come il raccolto di un'estate.


Ma se il rimorso li conforta, lasciate che si confortino.


E poi ci sono coloro che non sono né giovani per cercare né vecchi per rammentare;


E temendo di cercare e rammentare, fuggono tutti i piaceri per non trascurare o offendere lo spirito.


Ma anche nella rinuncia trovano il loro piacere.


E così anch'essi trovano un tesoro, benché cercassero radici con mani tremanti.


Ma ditemi, chi può offendere lo spirito?


Può l'usignolo offendere il silenzio della notte, o la lucciola le stelle?


E può la vostra fiamma o il vostro fumo opprimere il vento?


Credete che lo spirito sia un immobile stagno che potete turbare con un bastone?


Spesso, negandovi al piacere, non fate che ammucchiare il desiderio


nel fondo buio del vostro essere.


Chissà che non vi attenda domani, quello che oggi appare omesso?
Anche il corpo conosce il suo retaggio e i suoi giusti bisogni e volontà non devono essere ingannati.

Il corpo è l'arpa dell'anima,


E dipende da voi trarne musica dolce oppure suoni confusi.


. . . . .


E ora chiedete a voi stessi: "Come distinguerò ciò che è buono nel piacere, da ciò che non è buono?".


Andate per i campi e nei giardini, e imparerete che il piacere dell'ape è nel raccogliere il miele dal fiore,


Ma che anche il piacere del fiore è nel concedere all'ape il proprio miele.


Perché un fiore per l'ape è una fonte di vita, E l'ape per il fiore un messaggero d'amore,


E a tutti e due, ape e fiore, dare e ricevere piacere è un bisogno e un'estasi.


Popolo di Orphalese, siate nei vostri piaceri come i fiori e le api.


E un poeta domandò:
Parlaci della Bellezza.


 
Ed egli rispose:


Dove cercherete la bellezza, e dove pensate di trovarla, se non sarà lei stessa vostra via e vostra guida?


Come potrete parlarne, se non sarà lei stessa la tessitrice del vostro discorso?


L'afflitto e l'offeso dicono: "La bellezza è benevola e gentile.


Cammina tra noi come una giovane madre, quasi schiva del proprio splendore".


E l'appassionato dice: "No, la bellezza è qualcosa di possente e pauroso;


Come tempesta, fa tremare la terra sotto di noi e il cielo sopra di noi".


Lo stanco e l'accasciato dicono: "La bellezza è un tenue bisbiglio.


Parla nel nostro spirito.


La sua voce si adegua al nostro silenzio come una debole luce che trema per timore dell'ombra".


Ma l'irrequieto afferma: "Abbiamo udito il suo grido tra i monti,


E col suo urlo un rumore di zoccoli, e un battere di ali, e un ruggire di leoni".


A notte i guardiani della città dicono: "La bellezza sorgerà a oriente con l'aurora".


E nel meriggio gli operai e i viaggiatori dicono:


"L'abbiamo vista affacciarsi sulla terra dalle finestre del tramonto".


D'inverno, chi è isolato dalla neve dice: "Arriverà a primavera, saltellando sulle colline".


E nel calore dell'estate, i mietitori dicono: "L'abbiamo vista danzare con le foglie d'autunno,


e aveva tra i capelli uno spruzzo di neve".


Tutto questo avete detto della bellezza, Ma in realtà, non parlavate di lei, ma di bisogni insoddisfatti;


La bellezza non è un bisogno, ma un'estasi.


Non è una bocca assetata né una mano vuota protesa,


È piuttosto un cuore infiammato e un'anima incantata.


Non è l'immagine che vorreste vedere, e non è il canto che vorreste udire,


È piuttosto un'immagine da vedere a occhi chiusi e un canto da
.udire con le orecchie tappate.

 

Non è la linfa nei solchi della corteccia, né un'ala accanto a un artiglio.


È piuttosto un giardino sempre fiorito, e una moltitudine d'angeli eternamente in volo.


Popolo d'Orphalese, la bellezza è la vita quando la vita toglie il velo dal proprio volto santo.


Ma voi siete la vita e siete il velo.


La bellezza è l'eternità che si contempla in uno specchio.


Ma voi siete l'eternità e siete lo specchio.


E un vecchio sacerdote disse:
Parlaci della Religione.



 

Ed egli disse:


Ho parlato d'altro, quest'oggi?


Non è religione ogni riflessione e ogni atto?


E ciò che non è atto o riflessione, ma meraviglia e sorpresa che di continuo sgorgano nell'anima,


anche mentre le mani spaccano la pietra o attendono al telaio?


Chi può separare la sua fede dalle azioni o le cose a cui crede dalle sue occupazioni?


Chi può spargere davanti a sé le sue ore e dire: "Queste sono per Dio e queste per me;


queste per la mia anima e queste altre per il corpo?".


Tutte le vostre ore sono ali che battono attraverso lo spazio dall'io all'io.


Chi indossa la sua moralità come il suo abito migliore farebbe meglio a star nudo.


Il vento e il sole non bucheranno la sua pelle.


E chi determina dall'etica la propria condotta imprigiona in una gabbia il suo uccello canoro.


Il canto più libero non giunge attraverso le sbarre e i fili di ferro.


E colui per il quale l'adorazione è una finestra che si può aprire e chiudere,


non ha ancora visitato la casa della sua anima le cui finestre sono aperte da alba ad alba.


La vostra vita quotidiana è il vostro tempio e la vostra religione.


Ogni volta che vi entrate portate tutto con voi.


Portate l'aratro e la forgia e il maglio e il liuto,


E ogni cosa che avete costruito per bisogno o diletto.


Perché nella fantasia non potete elevarvi al di sopra delle vostre conquiste né cadere più in basso dei vostri fallimenti.


E portate con voi tutti gli uomini:


Perché nell'adorazione non potete volare più in alto delle loro speranze


né umiliarvi più in basso della loro disperazione.


E se volete conoscere Dio, non siate per questo dei solutori di enigmi.


Guardatevi intorno, piuttosto, e lo vedrete giocare con i vostri bambini.


E guardate nello spazio; lo vedrete camminare nella nuvola,


stendere le Sue braccia nei fulmini e scendere in pioggia.


Lo vedrete sorridere nei fiori, poi levarsi e agitare le Sue mani negli alberi.


Allora parlò Almitra dicendo
: Ora vorremmo domandarti della Morte.


 
Ed egli disse:


Voi vorreste conoscere il segreto della morte.


Ma come potrete trovarlo, se non lo cercate nel cuore della vita?


Il gufo, i cui occhi legati alla notte non vedono di giorno, non può svelare il mistero della luce.


Se davvero volete contemplare lo spirito della morte, spalancate il cuore al corpo della vita.


Perché la vita e la morte sono una sola cosa, come il fiume ed il mare.


Nel profondo delle vostre speranze e dei vostri desideri risiede la muta conoscenza dell'Oltre;


E come semi che sognano sotto la neve, il vostro cuore sogna la primavera.


Fidatevi dei sogni, perché in essi è nascosto il passaggio verso l'eternità.


Il vostro timore della morte è come il tremito del pastore davanti al re la cui mano si posa su di lui per onorarlo.


Non è forse contento il pastore, sotto quel tremito, perché potrà fregiarsi del segno regale?


Eppure non è forse più attento al suo tremore?


Perché cos'è morire, se non esser nudi nel vento e fondersi nel sole?


E che altro è non più respirare, se non liberare il respiro delle sue insonni maree,


perché possa levarsi ed espandersi e cercar Dio senza ingombri?


Solo quando berrete al fiume del silenzio canterete davvero.


E quando avrete raggiunto la sommità del monte, comincerete a salire.


E quando la terra esigerà le vostre membra, solo allora danzerete veramente.


Epilogo:

E intanto era scesa la sera. E Almitra la veggente disse:


 
Benedetto questo giorno e questo luogo e il tuo spirito che ha parlato.


Ed egli rispose
:

 

Ho io parlato? Non sono stato anch'io un ascoltatore?


Quindi discese i gradini del Tempio e tutto il popolo lo seguì.


E raggiunta la nave, sostò in piedi sul ponte.


E di nuovo, volgendosi al popolo, levò la voce e disse:


Popolo d'Orphalese, il vento mi spinge a lasciarvi.


Ho meno fretta del vento, ma pure devo andare.


Per noi erranti, sempre in cerca della via più solitaria, nessun giorno comincia dove un altro finisce;


e nessun'alba ci trova dove un tramonto ci ha lasciato.


Anche quando la terra sta dormendo, viaggiamo.


Noi siamo i semi d'una pianta tenace, e quando siamo maturi e il cuore è al colmo, siamo affidati al vento e seminati.


Furono brevi i miei giorni in mezzo a voi, e ancor più brevi le parole che ho detto.


Ma se nei vostri orecchi la mia voce svanisse, ed il mio amore dileguasse nella vostra memoria, allora io tornerò;


E con un cuore più ricco e labbra più obbedienti allo spirito vi parlerò ancora.


Sì, tornerò con la marea,


E sebbene la morte possa nascondermi, e il più grande silenzio avvilupparmi,


cercherò ancora la vostra comprensione,


Né cercherò inutilmente.


Se ciò che ho detto è verità, essa dovrà rivelarsi con voce più chiara, e con parole più affini ai vostri pensieri.


Io parto con il vento, popolo d'Orphalese, non affondo nel nulla;


E se oggi non è l'adempimento dei vostri bisogni e del mio amore,


sia questa una promessa per un altro giorno.


Nell'uomo mutano i bisogni, non l'amore, né il desiderio che l'amore li soddisfi.


Sappiate, tuttavia, che dal grande silenzio io tornerò.


La nebbia che all'alba s'allontana, lasciando i campi coperti di rugiada,


si solleva e s'addensa in una nuvola per poi cadere in pioggia.


Non sono stato diverso dalla nebbia.


Nella quiete notturna ho percorso le strade e il mio spirito è entrato dentro le vostre case,


E i vostri battiti del cuore furono nel mio cuore, ed i vostri respiri sul mio volto, e tutti vi ho conosciuti.


Ho conosciuto le vostre gioie e i vostri dolori, e i vostri sogni nel sonno sono stati miei sogni.


E fui spesso tra voi come un lago fra i monti.


Specchiai le vostre cime e i curvi pendii, e le mobili greggi dei vostri pensieri e desideri.


E al mio silenzio, come ruscelli giungevano le risa dei vostri bambini, e come fiumi le ardenti brame dei giovani.


E quando raggiunsero la mia profondità, quei ruscelli e quei fiumi non cessarono più di cantare.


Ma venne a me qualcosa più soave che il riso e più vasto che la brama:


Lo sconfinato che era in voi.


L'uomo immenso, nel quale non siete che cellule e nervi;


Colui nel cui cantico tutto il vostro cantare è solo una pulsazione.


È nell'uomo immenso, che voi siete immensi.


E, contemplando lui, vi ho veduto e vi ho amato.


Perché quali altezze può raggiungere l'amore che vadano oltre quell'immensa sfera?


Quali visioni, quali attese e presunzioni, possono salire più in alto di quel volo?


Come una quercia gigantesca coperta di fiori di melo è l'uomo immenso in voi.


Il suo potere vi lega alla terra, la sua fragranza vi solleva nello spazio, e nella sua eternità siete immortali.


. . . . .


Vi è stato detto che somigliate a una catena e siete deboli quanto l'anello più debole.


Questa è una mezza verità. Siete anche forti quanto l'anello più forte.


Misurarvi dall'atto più meschino è calcolare la potenza dell'oceano dalla sua fragile schiuma.


Giudicarvi dai vostri fallimenti è biasimare le stagioni perché sono incostanti.


Oh sì, siete simili a un oceano,


E anche se le navi incagliate sopra le vostre spiagge aspettano l'alta marea,


neanche voi, come l'oceano, potete affrettare il vostro flusso e riflusso.


E siete simili anche alle stagioni;


E se nel vostro inverno ripudiate la vostra primavera,


La primavera, che riposa in voi, sorride nella sua sonnolenza e non si offende.


Non pensate che io affermi queste cose perché diciate tra di voi:


"Ci lodava. Non vedeva in noi che il bene".


Io dico solo con parole quello che conoscete nel pensiero.


E cos'è mai la conoscenza con parole, se non un'ombra della conoscenza senza parole?


I vostri pensieri e le mie parole sono onde che provengono da una memoria sigillata che custodisce i documenti dei nostri ieri,


E degli antichi giorni quando la terra non conosceva noi né se stessa,


E delle notti quando la terra era travagliata dal caos.


Uomini saggi sono venuti a voi per donarvi la loro saggezza. Io venni a prendere la vostra:


E vedo che ho trovato qualcosa assai più grande che la saggezza.


È uno spirito ardente in voi che raccoglie porzioni sempre maggiori di sé.


Mentre voi, incuranti del suo espandersi, piangete lo sfiorire dei vostri giorni.


È la vita in cerca della vita in corpi che temono la tomba.


Qui non vi sono tombe.


Queste montagne e queste pianure sono una culla e una pietra di passaggio d'un guado.


Quando passate per il campo dove avete sepolto i vostri antenati


guardate bene, e vedrete voi stessi e i vostri figli ballare mano nella mano.


In verità, voi fate spesso baldoria senza saperlo.


Altri uomini sono venuti, ai quali in cambio di dorate promesse fatte alla vostra fiducia,


avete dato soltanto ricchezze e fama e potere.


Io vi ho dato meno che una promessa, eppure siete stati più generosi con me.


Mi avete dato la mia più profonda sete per la vita.

Sicuramente, non v'è dono più grande per un uomo di quello che trasforma tutti i suoi scopi

in labbra arse brucianti e tutta la vita in una fonte.


E in questo è il mio vanto e la mia ricompensa:


Che ogni volta che bevo a quella fonte, trovo quell'acqua viva arsa di sete come me,


E mi beve, mentre io la bevo.


Alcuni di voi mi hanno creduto troppo orgoglioso e restio nel ricevere doni.


Sono in realtà troppo orgoglioso per accettare ricompense, ma non per ricevere doni.


E benché abbia mangiato bacche sulle colline, quando mi avreste voluto seduto alla mensa,


E abbia dormito nel portico del tempio, quando mi avreste dato volentieri un riparo,


Fu la vostra attenzione affettuosa alle mie notti e ai miei giorni che ha reso il cibo dolce alla mia bocca


e ha circondato di visioni il mio sonno.


Ma maggiormente vi benedico per questo:


Che date molto e non sapete di dare.


In verità, la cortesia che si rimira in uno specchio si muta in pietra,


Ed una buona azione che descrive se stessa con teneri nomi genera imprecazioni.


E qualcuno mi ha ritenuto schivo, e come inebriato della mia solitudine,


E ha detto: "Tiene consiglio con gli alberi del bosco, ma non con gli uomini.


Se ne sta solo, seduto in cima alle colline e guarda la città dall'alto".


È vero che sono salito sulle colline e ho camminato in luoghi remoti.


Ma come avrei potuto vedervi, se non da grande altezza o da lunga distanza?


In verità, può qualcuno esserci vicino a meno d'essere lontano?


Altri si volsero a me, dicendo, ma non con parole:


"Straniero, straniero, amante di altezze irraggiungibili, perché stai tra le vette dove le aquile fanno il loro nido?


Perché cerchi l'inaccessibile?


Quali tempeste vorresti catturare nella tua rete,


E a quali uccelli di fumo dar la caccia nel cielo?


Vieni, e sii uno di noi.


Scendi e acquieta la fame col nostro pane e soddisfa la sete col nostro vino".


Dissero queste cose nella solitudine delle loro anime.


Ma se la loro solitudine fosse stata più profonda,


avrebbero capito che non cercavo altro che il segreto della vostra gioia e della vostra sofferenza,


E che davo la caccia unicamente al vostro io più grande che cammina nei cieli.


Ma il cacciatore era anche la preda;


Perché molte frecce lanciate dal mio arco cercavano solo il mio petto.


E il volatile era anche un rettile;


Perché non appena le mie ali si aprivano al sole, la loro ombra sulla terra era una tartaruga.


E io, il credente, ero anche il dubbioso;


Perché spesso ho messo il dito nella mia propria ferita per accrescere la mia fiducia in voi e conoscervi meglio.


Ed è con questa fiducia e conoscenza che vi dico:


Non siete rinchiusi nel corpo, né confinati nelle case o nei campi.


Ciò che siete dimora più su delle montagne, e vaga insieme col vento.


Non è qualcosa che striscia al sole per scaldarsi o scava buche nel buio per stare al sicuro,


Ma è qualcosa di libero, uno spirito che avvolge la terra e si muove nell'etere.


Se queste parole sono vaghe, non cercate di chiarirle.
 
Vago e nebuloso è l'inizio di tutte le cose, ma non il loro compimento,

E io vorrei mi ricordaste come un inizio.


La vita, e ogni cosa che vive, è concepita nella nebbia e non nel cristallo.


E chi può dire che il cristallo non sia nebbia corrotta?


Questo vorrei che ricordaste, rammentandomi:


Che ciò che in voi sembra più debole e confuso, è il più forte e il più determinato.


Non è il vostro respiro che ha eretto e indurito la struttura delle ossa?


E non è un sogno, che nessuno di voi ricorda di aver fatto, che edificò questa città e tutto quello che c'è in lei?


Se poteste vedere le maree di quel respiro smettereste di vedere ogni altra cosa,


E se poteste udire il mormorio di quel sogno non sentireste altro suono.


Ma voi non vedete e non udite, ed è bene.


Il velo che annebbia i vostri occhi sarà sollevato dalle mani che lo hanno tessuto.


E l'argilla che riempie i vostri orecchi sarà bucata dalle dita che l'hanno impastata.


E voi vedrete,


E udirete.


E non deplorerete la cecità conosciuta, né avrete rimpianti per esser stati sordi.


Perché in quel giorno conoscerete il fine occulto in ogni cosa.


E benedirete le tenebre, come benedirete la luce.


Dopo aver detto queste cose, egli si guardò intorno,


e vide il pilota della nave accanto al timone che scrutava ora le vele gonfie, ora la lontananza.


E disse:


Paziente, più che paziente, è il capitano della mia nave.


Il vento soffia e le vele non hanno riposo;


Anche il timone chiede la rotta.


Eppure il mio capitano attende con calma il mio silenzio.


E questi miei marinai, che hanno udito il coro del mare al largo, mi hanno ascoltato anch'essi con pazienza.


Non aspetteranno più a lungo.


Io sono pronto.


Il ruscello ha raggiunto l'oceano, e una volta di più la grande madre stringe il figlio al suo petto.


Addio, popolo d'Orphalese.


Il giorno è finito.


Si chiude su di noi come la ninfea sul proprio domani.


Quello che qui ci fu donato, noi lo conserveremo,


E se non basterà, dovremo ancora riunirci e tendere insieme le mani al donatore.


Non scordate che tornerò fra voi.


Un attimo, e il mio ardente desiderio raccoglierà polvere e schiuma per un altro corpo.


Un attimo, un istante di riposo nel vento, e un'altra donna mi partorirà.


Addio a voi e alla giovinezza che ho trascorso con voi.


È appena ieri che c'incontrammo in un sogno.


Voi avete cantato per me nella mia solitudine, e io ho innalzato con i vostri aneliti una torre nel cielo.


Ma il nostro sonno è volato e il sogno è finito; non è più l'alba.


Ora il meriggio è su di noi, e il nostro dormiveglia si è mutato nel giorno più pieno, e noi dobbiamo separarci.


Se nel crepuscolo della memoria dovessimo ancora incontrarci,


parleremo insieme di nuovo, e voi mi canterete un canto più profondo.

E se le nostre mani dovessero incontrarsi in un altro sogno, costruiremo un'altra torre nel cielo.

. . . . .


Così dicendo, fece un cenno ai marinai, e subito questi salparono


l'ancora e liberarono la nave dagli ormeggi, e drizzarono a oriente.


E un grido salì dal popolo come da un unico cuore, e si levò nel crepuscolo e trasvolò sul mare come una grande fanfara.


Soltanto Almitra rimase silenziosa, contemplando la nave finché svanì nella nebbia.


E quando la gente si disperse, restò sola sull'argine, ricordando nel cuore le parole:


"Un attimo, un istante di riposo nel vento, e un'altra donna mi partorirà".





<*> LUCE INFINITA DELL'AMORE, DELLA COMPASSIONE E DELLA VERITA' <*>