Disegno - GESU' CRISTO
Presunto AUTORITRATTO (1513 )
LEONARDO DA VINCI
B I O G R A F I A - B I B L I O G R A F I A
Leonardo da Vinci, statua nel piazzale degli Uffizi a Firenze
Leonardo di ser Piero da Vinci (Vinci, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519) è stato un artista, scienziato e pittore italiano. Uomo d'ingegno e talento universale del Rinascimento italiano, incarnò in pieno lo spirito della sua epoca, portandolo alle maggiori forme di espressione nei più disparati campi dell'arte e della conoscenza. Fu pittore, scultore, architetto, ingegnere, scenografo, anatomista, letterato, musicista[1][2][3] e inventore. È considerato uno dei più grandi geni dell'umanità.
Biografia
« Fu tanto raro e universale, che dalla natura per suo miracolo esser produtto dire si puote: la quale non solo della bellezza del corpo, che molto bene gli concedette, volse dotarlo, ma di molte rare virtù volse anchora farlo maestro. Assai valse in matematica et in prospettiva non meno, et operò di scultura, et in disegno passò di gran lunga tutti li altri. Hebbe bellissime inventioni, ma non colorì molte cose, perché si dice mai a sé medesimo avere satisfatto, et però sono tante rare le opere sue. Fu nel parlare eloquentissimo et raro sonatore di lira [...] et fu valentissimo in tirari et in edifizi d'acque, et altri ghiribizzi, né mai co l'animo suo si quietava, ma sempre con l'ingegno fabricava cose nuove. »
(Anonimo Gaddiano, 1542)
Giovinezza (1452–1481)
La casa natale di Leonardo ad Anchiano (frazione di Vinci)
Le origini e la famiglia
Leonardo fu il figlio primogenito del venticinquenne notaio ser Piero da Vinci, di famiglia facoltosa, avuto da una relazione illegittima con una certa Caterina di estrazione inferiore. La notizia della nascita del primo nipote venne annotata dal nonno Antonio, padre di Piero e pure notaio, su un antico libro notarile trecentesco, usato ormai come raccolta di "ricordanze" della famiglia[4], indicando: «Nacque un mio nipote, figliolo di ser Piero mio figliolo a dì 15 aprile in sabato a ore 3 di notte [attuali 22.30]. Ebbe nome Lionardo. Battizzollo prete Piero di Bartolomeo da Vinci, in presenza di Papino di Nanni, Meo di Tonino, Pier di Malvolto, Nanni di Venzo, Arigo di Giovanni Tedesco, monna Lisa di Domenico di Brettone, monna Antonia di Giuliano, monna Niccolosa del Barna, monna Maria, figliuola di Nanni di Venzo, monna Pippa di Previcone»[5]. Nel registro non è indicato il luogo di nascita di Leonardo, che si ritiene comunemente essere la casa che la famiglia di ser Piero possedeva, insieme con un podere, ad Anchiano, dove la madre di Leonardo andrà ad abitare. Il battesimo avvenne nella vicina parrocchiale di Santa Croce, ma sia il padre che la madre erano assenti, poiché sconvenientemente non sposati[4]. Per Piero si stavano preparando ben altre nozze, mentre per Caterina venne cercato, nel 1453, un marito che accettasse di buon grado la sua situazione compromessa, trovando un contadino di Campo Zeppi, vicino Vinci, tale Piero del Vaccha da Vinci, detto l'Attaccabriga, forse anche mercenario come il fratello Andrea[4].
Nel frattempo, già nel 1452, il padre Piero si era sposato con Albiera di Giovanni Amadori, dalla quale non avrà figli. La lieta accoglienza del bambino, nonostante il suo status illegittimo, è testimoniata, oltre che dall'annotazione del nonno, anche dalla sua presenza nella casa paterna di Vinci[4]. Ciò si legge nella dichiarazione per il catasto di Vinci dell'anno 1457, redatta sempre dal nonno Antonio, ove si riporta che il detto Antonio aveva 85 anni e abitava nel popolo di Santa Croce, marito di Lucia, di anni 64, e aveva per figli Francesco e Piero, d'anni 30, sposato ad Albiera, ventunenne, e con loro convivente era «Lionardo figliuolo di detto ser Piero non legittimo nato di lui e della Chaterina che al presente è donna d'Achattabriga di Piero del Vacca da Vinci, d'anni 5[6]».
La matrigna Albiera morì appena ventottenne nel 1464, quando la famiglia risiedeva già a Firenze, venendo sepolta in San Biagio. Ser Piero si risposò altre tre volte: una seconda (1464) con la quindicenne Francesca di ser Giuliano Manfredini, che pure morì senza progenie, una terza con Margherita di Francesco di Jacopo di Guglielmo (1475), che gli diede finalmente sei figli; altri sei ne ebbe con il quarto e ultimo matrimonio[4].
Leonardo ebbe così dodici tra fratellastri e sorellastre, tutti molto più giovani di lui (l'ultimo nacque quando Leonardo aveva quarantasei anni), con i quali ebbe pochissimi rapporti, ma che gli diedero molti problemi dopo la morte del padre nella contesa sull'eredità[4].
L'educazione
Ser Piero aveva già lavorato a Firenze e nel 1462, a dire del Vasari,[7] vi ritornò con la famiglia, compreso il piccolo Leonardo. Il padre Piero avrebbe mostrato all'amico Andrea del Verrocchio alcuni disegni di tale fattura che avrebbero convinto il maestro a prendere Leonardo nella sua bottega; in realtà è alquanto improbabile che un apprendistato iniziasse ad appena dieci anni, per cui l'ingresso di Leonardo nella bottega del Verrocchio viene oggi ritenuto posteriore[4].
Si pensa infatti che Leonardo restasse in campagna nella casa dei nonni, dove avvenne la sua educazione, piuttosto disordinata e discontinua, senza una programmazione di fondo, a cura del nonno Antonio, dello zio Francesco e del prete Piero che lo aveva battezzato[8]. Il fanciullo imparò infatti a scrivere con la sinistra e a rovescia, in maniera del tutto speculare alla scrittura normale[8]. Vasari ricordò come il ragazzo nello studio cominciava "molte cose [...] e poi l'abbandonava", e nell'impossibilità di avviarlo ormai alla carriera giuridica, il padre decise di introdurlo alla conoscenza dell'abaco, anche se "movendo di continuo dubbi e difficultà al maestro che gl'insegnava, bene [che] spesso lo confondeva"[7].
Paesaggio con fiume (1473)
L'arrivo a Firenze
Il nonno Antonio morì novantaseienne nel 1468, citando nell'eredità "Lionardo", assieme alla nonna Lucia, al padre Piero, alla nuova matrigna Francesca Lanfredini, e agli zii Francesco e Alessandra. L'anno dopo la famiglia del padre, divenuto notaio della Signoria fiorentina, insieme con quella dello zio Francesco, che era iscritto all'Arte della Seta, risultava domiciliata in una casa fiorentina, abbattuta già nel Cinquecento, nell'attuale via dei Gondi, accanto a piazza della Signoria.
Nella bottega di Verrocchio
Diventando ormai sempre più evidente l'interesse del giovane Leonardo nel "disegnare et il fare di rilievo, come cose che gl'andavano a fantasia più d'alcun'altra"[7], ser Piero mandò infine il figlio, dal 1469 o 1470, nella bottega di Andrea del Verrocchio, che in quegli anni era una delle più importanti di Firenze, nonché una vera e propria fucina di nuovi talenti[9]. Tra gli allievi figuravano nomi che sarebbero diventati i grandi maestri della successiva generazione, quali Sandro Botticelli, Pietro Perugino, Domenico Ghirlandaio e Lorenzo di Credi, e la bottega espletava un'attività poliedrica, dalla pittura alle varie tecniche scultoree (su pietra, fusione a cera persa e intaglio ligneo), fino alle arti "minori". Soprattutto veniva stimolata la pratica del disegno, portando tutti i collaboratori a un linguaggio pressoché comune, tanto che ancora oggi può risultare molto difficile l'attribuzione delle opere uscite dalla bottega alla mano del maestro oppure a un determinato allievo[10]. Si conoscono vari esempi di disegni di panneggi usciti dalla sua bottega, che derivano da esercizi che il maestro faceva fare copiando le pieghe dei tessuti sistemati su modelli di terra[10]. Inoltre gli allievi apprendevano nozioni di carpenteria, meccanica, ingegneria e architettura[10].
Leonardo si trova menzionato nella Compagnia di San Luca, dei pittori fiorentini, nel 1472: «Lyonardo di ser Piero da Vinci dipintore de' dare per tutto giugnio 1472 sol. sei per la gratia fatta di ogni suo debito avessi coll'Arte per insino a dì primo di luglio 1472 [...] e de' dare per tutto novembre 1472 sol. 5 per la sua posta fatta a dì 18 octobre 1472[11]». Ciò significa che a quell'epoca era già riconosciuto come pittore autonomo, la cui esperienza formativa poteva dirsi conclusa, sebbene la sua collaborazione col maestro Verrocchio si protraesse ancora per diversi anni.
Il 5 agosto 1473 Leonardo datò la sua prima opera certa, il Paesaggio con fiume, un disegno con una veduta a volo d'uccello della valle dell'Arno, oggi al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi. L'attenzione verso una descrizione autentica del mondo naturale fu una caratteristica costante di Leonardo, soprattutto evidente nella fase giovanile. Ciò gli è valso l'assegnazione di alcuni contributi a opere uscite dalla bottega di Verrocchio, come l'Arcangelo Raffaele e Tobiolo[12] (Londra, National Gallery), in cui la realistica squamosità del pesce o l'energia scattante del cagnolino sono state proposte come dettagli leonardeschi, anche se si tratta di attribuzioni non universalmente condivise[13]. Lo stesso vale per il paesaggio della Madonna col Bambino e angeli[14] (sempre a Londra), con un picco roccioso che ricorderebbe proprio il Paesaggio con fiume[13].
Flora scultura in cera già attribuita a Leonardo o comunque ispirata al suo stileTestimonia il confronto serrato col maestro il Battesimo di Cristo degli Uffizi, dipinto a più mani. Secondo l'indicazione di Vasari, confermata poi anche dalla critica moderna, è da assegnare a Leonardo l'angelo in primo piano a destra e il morbido paesaggio sullo sfondo, oltre a una sistemazione generale dello stile per amalgamare almeno tre mani di personalità diverse (Verrocchio, un allievo poco dotato e Leonardo stesso). In quest'opera sono già evidenti alcuni motivi dello stile leonardesco, che superano i limiti degli insegnamenti di bottega: la decorazione basata su motivi fluenti, l'attenzione agli elementi vegetali o all'espressività dei volti, spesso ritratti con un sorriso ambiguo[13]; nuova è inoltre la resa spaziale ed atmosferica unificata, nonché i primi accenni a uno stile sfumato[15].
Sempre secondo Vasari, la bravura di Leonardo nella prova del Battesimo avrebbe spinto Verrocchio, restio a un confronto diretto che iniziava a vederlo perdente, a dedicarsi esclusivamente alla scultura. In realtà l'aneddoto è scartato dalla critica moderna, propensa a ritenerlo un'enfatizzazione arbitraria del tema letterario dell'"allievo che supera il maestro" operata dallo storico aretino[16].
Leonardo scultore
Vasari ricordò come Leonardo operò anche "nella scultura, facendo, nella sua giovanezza, di terra alcune teste di femine che ridono, che vanno, formate per l'arte di gesso, e parimente teste di putti, che parevano usciti di mano d'un maestro". Non si conosce tuttavia alcuna opera scultorea sicura di Leonardo, nonostante varie proposte attributive avanzate in passato. Di recente Alessandro Parronchi gli ha assegnato un Busto di putto, in collezione privata fiorentina[17].
Numerose sono comunque le coincidenze, anche molto stringenti, tra alcuni disegni o schizzi di Leonardo e le opere scultoree di Verrocchio, come il Profilo di capitano antico (1475 circa, Londra, British Museum), simile ai bassorilievi di capitani antichi scolpiti per Mattia Corvino, o lo Studio di mani (1475 circa, Windsor, Royal Library), ritenuto uno studio per il Ritratto di Ginevra de' Benci e molto somigliante alla posizione delle mani del busto della Dama col mazzolino[15]. Alla fine l'unico esperimento sicuro con la scultura di Leonardo fu l'incompiuto monumento a Francesco Sforza.
Prime opere indipendenti
Madonna Dreyfus (1469 circa)
Madonna del Garofano (dettaglio, 1473 circa)
Le primissime opere indipendenti di Leonardo vengono oggi datate tra il 1469 e i primi anni settanta, ancora prima del Battesimo. In questi lavori, su cui il dibattito critico è stato molto acceso, l'artista mostra una forte adesione al linguaggio comune degli allievi di Verrocchio, complicando gli studi attributivi. La piena autografia della piccola Madonna Dreyfus (1469 circa, National Gallery of Art, Washington) è una constatazione recente della critica, che in passato aveva oscillato anche sui nomi di Verrocchio e Lorenzo di Credi: stretta è infatti la vicinanza stilistica con la successiva Madonna del Garofano (1473 circa, Alte Pinakothek, Monaco), con gli incarnati delicati e quasi trasparenti, la gestualità familiare tra madre e figlio, l'ambientazione su uno sfondo scuro in cui si aprono "alla fiamminga" due finestre su un luminoso paesaggio[16
Madonna Benois (dettaglio)
La Madonna del Garofano (1475-1480) mostra già con evidenza una veloce maturazione dello stile dell'artista, indirizzato a una maggiore fusione tra i vari elementi dell'immagine, con trapassi luminosi e di chiaroscuro più sensibili e fluidi; la Vergine infatti emerge da una stanza in penombra contrastando con un lontano e fantastico paesaggio che appare da due bifore sullo sfondo[19].
Al 1474 al 1478 risale il Ritratto di donna di Washington, identificata con Ginevra de' Benci - così si spiega il ginepro dipinto alle sue spalle. Si tratta della figlia di un'importante mercante fiorentino, che dimostra come Leonardo possa accedere a commissioni da parte della ricca borghesia fiorentina. L'opera mostra sempre più chiari gli influssi dell'arte fiamminga, nelle luminescenze della capigliatura, nell'attenzione alla resa luminosa tramite il colore. Vi si trova però anche la caratteristica resa atmosferica tra personaggio in primo piano e paesaggio, oltre alla particolare tecnica di sfumare coi polpastrelli i colori, soprattutto nella realistica epidermide[16].
Quattro anni di silenzio
Dal gennaio 1474 all'autunno 1478 non si conoscono opere di Leonardo. Questo silenzio è particolarmente strano se si considera come negli anni immediatamente precedenti la carriera di Leonardo stesse definitivamente decollando, con alle spalle un padre influente e facoltoso, che lo mantenne almeno fino al 1480 e che sicuramente poteva aiutarlo nel procurarsi le commissioni[18].
Si è ipotizzato quindi che il poco più che ventenne Leonardo fosse ancora incerto sul proprio futuro, avvicinandosi al mondo della scienza con la frequentazione dell'anziano geografo e astronomo Paolo dal Pozzo Toscanelli. Probabilmente ebbe modo di approfondire l'anatomia assistendo alla dissezione dei cadaveri nelle camere mortuarie degli ospedali, ma dovette studiare anche la fisica e la meccanica tramite esperimenti diretti[18].
L'8 aprile 1476 venne presentata una denuncia anonima agli Ufficiali di notte e de' monasteri contro diverse persone, tra le quali Leonardo, per sodomia consumata verso il diciassettenne Jacopo Saltarelli, residente in via Vacchereccia (accanto piazza della Signoria). Anche se nella Firenze dell'epoca c'era una certa tolleranza verso l'omosessualità, la pena prevista in questi casi era severissima: l'evirazione per i sodomiti adulti e la mutilazione di un piede o della mano per i giovani[20]. Oltre a Leonardo, tra gli altri inquisiti vi erano l'orefice Bartolomeo di Pasquino, il farsettaio (sarto) Baccino, residente in via de' Cimatori presso Orsanmichele, e soprattutto Leonardo Tornabuoni che è annotato come vestito di "nero" (la stoffa più costosa, prerogativa dell'alta società): egli era infatti un giovane rampollo della potentissima famiglia imparentata con i Medici[20]. Un'identica denuncia fu presentata anche nel giugno dello stesso anno[20]. Fu proprio il coinvolgimento del Tornabuoni che avrebbe giocato a favore degli accusati: l'accusa venne infatti archiviata e gli imputati furono tutti assolti "cum conditione ut retumburentur", salvo che non vi siano altre denunce in merito[20]. La denuncia riporta come comunque Leonardo a quella data fosse ancora a bottega da Verrocchio.
Il ritorno alla pittura
Il 10 gennaio 1478 ricevette il primo incarico pubblico, una pala per la cappella di San Bernardo nel palazzo della Signoria; incassò dai Priori 25 fiorini ma forse non iniziò nemmeno il lavoro, affidato poi nel 1483 a Domenico Ghirlandaio e poi a Filippino Lippi, che lo completò nel 1485 (la Pala degli Otto, oggi agli Uffizi). In questa pala l'espressione "leonardesca", cioè ambiguamente sorridente, della Madonna aveva in passato confuso alcuni critici che l'avevano attribuita a Leonardo.
Nel frattempo il desiderio di dedicarsi alla pittura dovette tornare a farsi sentire, come testimonia un'annotazione, parzialmente mutila, in cui l'artista ricorda come a fine del 1478[21] incominciò due Madonne. Una di queste è riconosciuta nella Madonna Benois, oggi all'Ermitage di San Pietroburgo, che il Bocchi nel 1591 menzionò nella casa fiorentina di Matteo e Giovanni Botti: «tavoletta colorita a olio di mano di Leonardo da Vinci, di eccessiva bellezza, dove è dipinta una Madonna con sommo artifizio et con estrema diligenza; la figura di Cristo, che è bambino, è bella a maraviglia: si vede in quello un alzar del volto singolare et mirabile lavorato nella difficultà dell'attitudine con felice agevolezza»; descrizione che però potrebbe riferirsi anche alla Madonna del Garofano.
Ancora al 1475-1478 circa è databile la piccola Annunciazione del Louvre, probabilmente parte della predella della Madonna con Bambino e santi di Lorenzo di Credi del Duomo di Pistoia, che avrebbe compreso anche la Nascita del Bambino del Perugino, ora all'Art Gallery di Liverpool e il San Donato e il gabelliere dello stesso Lorenzo, ora all'Art Museum di Worcester. L'unità di composizione, la coerenza e l'individualità della piccola tavola, posteriore ma lontana dall'Annunciazione di Firenze, ne confermano l'attribuzione concorde a Leonardo. Intanto, almeno dal 1479 non viveva più nella famiglia del padre Piero, come attesta un documento del catasto fiorentino.
L'avvicinamento ai Medici
Disegno del cadavere di Bernardo Bandini (1479)
A questi anni risale probabilmente anche l'avvicinamento a Lorenzo il Magnifico e alla sua cerchia, della quale faceva parte il suo maestro Verrocchio. Alcuni fogli dei codici vinciani mostrano studi per consulenze militari e ingegneristiche, richieste probabilmente da Lorenzo. Il 29 dicembre 1479 Leonardo ritrasse il cadavere impiccato di uno dei responsabili della congiura dei Pazzi, Bernardo di Bandino Baroncelli (l'assassino di Giuliano de' Medici), confermando un legame con la Casa Medici[18]. Si tratta di un disegno di impiccato, con annotazioni, conservato al Musée Bonnat di Bayonne.
L'Anonimo Gaddiano inoltre ricorda la sua frequentazione, verso il 1480, del Giardino di San Marco, una sorta di museo all'aperto in cui era esposta la collezione di statue antiche dei Medici e l'anziano scultore Bertoldo di Giovanni teneva una scuola d'arte[18] a cui partecipò sicuramente il giovane Michelangelo Buonarroti[7]. L'annotazione recita: «stette [...Leonardo] col Magnifico Lorenzo et, dandoli provisione per sé, il faceva lavorare nel giardino sulla piazza di San Marco a Firenze»: l'acquisto del terreno da parte di Lorenzo fu di quell'anno e pertanto Leonardo dovette eseguirvi lavori di scultura e restauro.
L'Adorazione dei Magi
Se dell'incompiuto San Girolamo della Pinacoteca Vaticana non si ha nessuna testimonianza documentaria, dell'Adorazione dei Magi, ora agli Uffizi, si sa che gli fu commissionata nel marzo 1481 dai monaci di San Donato a Scopeto, come pala dell'altare maggiore, da compiere entro trenta mesi; la commissione, la più importante ricevuta da Leonardo fino ad allora, venne probabilmente facilitata dal padre ser Piero, che era notaio per i monaci[22]. Leonardo però non consegnò mai l'opera e solo quindici anni dopo fu sostituita con un dipinto dello stesso soggetto, opera di Filippino Lippi.
L'opera, rimasta allo stato di abbozzo, in bruno lumeggiato con biacca, fu lasciata da Leonardo, in partenza per Milano, all'amico Amerigo Benci, il padre di Ginevra, nel 1482. In essa Leonardo avviò una riflessione più profonda sul tema, così frequente nell'arte fiorentina del XV secolo, sottolineando il momento dell'"Epifania" nel significato greco originario di "manifestazione". Gesù Bambino rivela infatti la sua natura divina sorprendendo gli astanti[23]. «Nulla rimane dell'Epifania tradizionale, e ai pastori e ai re è sostituita la più vasta moltitudine delle mani, dei volti intensamente caratterizzati, dei panni guizzanti da un lato fuori dalle ombre della siepe umana, succhiati dall'altro da un sospeso pulviscolo luminoso. Non sono magi, non sono guardiani d'armenti: sono le creature viventi, tutte le creature con la fede e col dubbio, con le passioni e con le rinunce della vita, aureolate dalla luce creatrice di questo capolavoro in cui il colore non avrebbe luogo» (Angela Ottino).
A Milano (1482–1500) - La partenza
Fra la primavera e l'estate del 1482 Leonardo si trovava già a Milano, una delle poche città in Europa a superare i centomila abitanti, al centro di una regione popolosa e produttiva. Le ragioni della sua partenza da Firenze sono molteplici. Sicuramente, come testimoniano l'Anonimo Gaddiano e Vasari, l'invio dell'artista fu usato da Lorenzo il Magnifico nell'ambito delle sue politiche diplomatiche con le signorie italiane, in cui i maestri fiorentini erano inviati come "ambasciatori" del predominio artistico e culturale di Firenze. Così i fratelli da Maiano e Antonio Rossellino erano partiti per Napoli e un gruppo di pittori era partito per decorare la nuova cappella pontificia di Sisto IV.
Leonardo ebbe la missione di portare al duca Ludovico il Moro un omaggio. Scrisse l'Anonimo: «[Leonardo] aveva trent'anni che dal detto Magnifico Lorenzo fu mandato al duca di Milano a presentarli insieme con Atalante Migliorati una lira,[24] che unico era in suonare tale strumento». Vasari tramanda che fosse un grandissimo musicista[3][7] e che avesse costruito questa lira in argento, in parte a forma di una testa di cavallo «cosa bizzarra e nuova, acciò ché l'armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce[7]». Arrivato, Leonardo partecipò a una gara musicale con quello strumento indetta alla corte sforzesca, «laonde superò tutti i musici, che quivi erano concorsi a sonare»[7].
In quell'occasione Leonardo scrisse una famosa "lettera d'impiego" di ben nove paragrafi[25], in cui descriveva innanzitutto i suoi progetti di ingegneristica, di apparati militari, di opere idrauliche, di architettura, e solo alla fine, di pittura e scultura, di cui occuparsi in tempo di pace, tra cui il progetto di un cavallo di bronzo per un monumento a Francesco Sforza[26].
Appare chiaro che Leonardo fosse intenzionato a restare a Milano, città che doveva affascinarlo per la sua apertura alle novità scientifiche e tecnologiche, causata dalle continue campagne militari. L'ambiente fiorentino doveva infatti procurargli ormai un certo disagio: da un lato non si doveva riconoscere nella cultura neoplatonica della cerchia medicea, così imbevuta di ascendenze filosofiche e letterarie, lui che si definiva "omo sanza lettere"[26]; dall'altro la sua arte stava divergendo sempre di più dal linearismo e dalla ricerca di una bellezza rarefatta e idealizzata degli artisti dominanti sulla scena, già suoi compagni nella bottega di Verrocchio, quali Perugino, Ghirlandaio e Botticelli. Dopotutto la sua esclusione dai frescanti della Sistina rimarca la sua estraneità a quel gruppo[26].
La Vergine delle Rocce
Vergine delle rocce (prima versione, 1486 circa), particolare, Parigi, LouvreI documenti sembrano indicare che l'accoglienza di Leonardo nell'ambiente milanese fu piuttosto tiepida, non ottenendo inizialmente gli esisti sperati nella famosa lettera al duca[26]. L'artista ebbe anche diverse difficoltà con la lingua parlata dal popolo (ai tempi la lingua italiana quale "toscano medio" non esisteva, tutti parlavano solo il proprio dialetto), sebbene gli esperti ritrovino poi nei suoi scritti degli anni successivi addirittura dei "lombardismi".
Per una prima commissione l'artista dovette infatti attendere il 25 aprile 1483, quando con Bartolomeo Scorione, priore della Confraternita milanese dell'Immacolata Concezione, stipulò il contratto per una pala da collocare sull'altare della cappella della Confraternita nella chiesa di San Francesco Grande (oggi distrutta)[26]. Al contratto presenziarono anche i fratelli pittori Evangelista e Giovanni Ambrogio De Predis, che ospitavano Leonardo nella loro abitazione vicino Porta Ticinese.
Si tratta della pala della Vergine delle Rocce che, stando al dettagliatissimo contratto, doveva essere lo scomparto centrale di un trittico. La tavola centrale avrebbe dovuto rappresentare una Madonna col Bambino con due profeti e angeli, le altre due, quattro angeli cantori e musicanti, dipinte poi dai De Predis; la decorazione doveva essere ricca, con abbondanti dorature[26] e l'opera doveva essere consegnata entro l'8 dicembre per un compenso complessivo di 800 lire da pagarsi a rate fino al febbraio 1485.
Leonardo, nonostante la strettezza dei termini contrattuali, interpretò il programma iconografico in maniera originalissima, raffigurando la scena del leggendario incontro tra san Giovannino e il Bambin Gesù nel deserto, e celando riferimenti all'Immacolata Concezione nell'arido sfondo roccioso e nel modo in cui la Madonna vi si fonde attraverso un anfratto che sembra rievocare il mistero legato alla maternità[26].
In una supplica a Ludovico il Moro, databile al 1493, dalla quale si evince che l'opera era stata compiuta almeno entro il 1490 – ma la critica la considera comunque finita entro il 1486 – Leonardo e Ambrogio De Predis (Evangelista morì alla fine del 1490 o all'inizio del 1491) chiedevano un conguaglio di 1200 lire, rifiutato dai frati. La lite giudiziaria si trascinò fino al 27 aprile 1506, quando i periti stabilirono che la tavola era incompiuta e, stabiliti due anni per terminare il lavoro, concessero un conguaglio di 200 lire; il 23 ottobre 1508 Ambrogio incassò l'ultima rata e Leonardo ratificò il pagamento.
Sembrerebbe che Leonardo, dato il mancato pagamento delle 1.200 lire da parte della Confraternita, avesse venduto per 400 lire la tavola, ora al Louvre, al re di Francia Luigi XII, mettendo a disposizione, durante la lite giudiziaria, una seconda versione della Vergine delle Rocce, che rimase in San Francesco Grande fino allo scioglimento della Confraternita nel 1781 ed è ora conservata alla National Gallery di Londra, insieme con le due tavole del De Predis. Per completezza va detto che non per tutti l'esemplare di Londra è di Leonardo: per alcuni, fra cui Carlo Pedretti, pur abbozzato dal maestro, fu condotto con l'ausilio degli allievi; che possa essere intervenuto Ambrogio de' Predis per completare l'opera è plausibile.[27].
Nella cerchia del Moro
Belle Ferronnière (1490–1495), Parigi, LouvreNei primi anni milanesi Leonardo proseguì con gli studi di meccanica, le invenzioni di macchine militari, la messa a punto di varie tecnologie[28]. Verso il 1485 doveva essere già entrato nella cerchia di Ludovico il Moro, per il quale progettò con versatilità sistemi d'irrigazione, dipinse ritratti, approntò scenografie per feste di corte, ecc. Una lettera di quegli anni ricorda però come l'artista fosse insoddisfatto per i compensi ricevuti, descrivendo anche il suo stato familiare all'epoca. Scrisse infatti Leonardo al duca che in tre anni aveva ricevuto solo cinquanta ducati, troppo pochi per sfamare "sei bocche": si tratta della sua, di quelle dei tre allievi Marco d'Oggiono, Giovanni Boltraffio e Gian Giacomo Caprotti detto il Salaì, di un uomo di fatica e, dal 1493, di una domestica di nome Caterina, forse la madre naturale di Leonardo al seguito del figlio dopo essere rimasta vedova[29]. Il Salaì, da Oreno, al servizio di Leonardo dal 1490, quando aveva dieci anni, ebbe il suo soprannome da un diavolo del Morgante del Pulci: Leonardo definì poi l'assistente "ladro, bugiardo, ostinato, ghiotto",[30] ma lo trattò sempre con indulgenza.
Conclusa la Vergine delle Rocce Leonardo dovette dedicarsi ad alcune Madonne. Una fu probabilmente quella d'"optimo pittore" da inviare in dono al re d'Ungheria Mattia Corvino nel 1485 (descritta come "figura di Nostra Donna quanto bella excelente et devota la sapia più fare, senza sparagno di spesa alcuna" in una lettera ducale datata 13 aprile 1485)[31]. Un'altra fu probabilmente la Madonna Litta, eseguita in massima parte dagli assistenti, soprattutto Boltraffio e Marco d'Oggiono.
Un altro tema ricorrente del periodo milanese è il ritratto, in cui l'artista poté mettere a frutto gli studi anatomici avviati a Firenze, interessandosi soprattutto ai legami tra le fisionomie e i "moti dell'animo", cioè gli aspetti psicologici e le qualità morali che trasparivano puntualmente dalle caratteristiche esteriori. Una delle prime prove su questo tema che ci sia pervenuta è il Ritratto di musico, forse il maestro di Cappella del duomo milanese Franchino Gaffurio. Notevole è in quest'opera l'attenzione analitica e il risvolto psicologico nello sguardo sfuggente dell'effigiato[31]. Un altro famoso ritratto di questo periodo è la cosiddetta Belle Ferronière, una dama forse legata alla corte sforzesca dall'intenso sguardo che evita aristocraticamente lo sguardo dello spettatore[31].
Sicuramente legato alla committenza ducale è il Ritratto di Cecilia Gallerani, detto la Dama con l'ermellino. La presenza dell'animale, oltre a richiamare il cognome della donna (galé in greco), alludeva anche all'onorificenza dell'Ordine dell'Ermellino, ricevuta proprio nel 1488 dal Moro da parte di Ferrante d'Aragona[31].
Le nozze tra Gian Galeazzo Sforza e Isabella d'Aragona
Nei due anni successivi le commissioni ducali si fecero sempre più frequenti[31]. Ricevette ad esempio pagamenti per il progetto del tiburio del duomo di Milano.
Nei primi mesi del 1489 si occupò delle decorazioni, nel Castello Sforzesco, per le nozze di Gian Galeazzo Sforza e Isabella d'Aragona, presto sospese per la morte della madre della sposa, Ippolita d'Aragona, e rimandate all'anno successivo, come Leonardo scrisse sul libro titolato de figura umana[32].
I festeggiamenti ripresero solo il 13 gennaio 1490; per essi, come scrisse il poeta Bernardo Bellincioni nel 1493, «v'era fabbricato, con il grande ingegno et arte di Maestro Leonardo da Vinci fiorentino, il paradiso con tutti li sette pianeti che giravano e li pianeti erano rappresentati da homini»[33]. Un altro documento, redatto poco dopo la celebrazione e conservato nella Biblioteca Estense di Modena, ricorda l'emozione della messa in scena, il pubblico, gli attori e lo sfarzo degli abiti: «El Paradiso era facto a similitudine de uno mezzo uovo, el quale dal lato dentro era tottu messo a horo, con grandissimo numero de lumi ricontro le stelle, con certi fessi dove stava li sette pianeti, segondo el loro grado alti e bassi. A torno l'orlo de sopra del dito mezo tondo era li XII signi, con certi lumi dentro del vedro, che facevano un galante et bel vedere: nel qual Paradiso era molti canti et soni molto dolci et suavi»[33].
Il "cielo" inventato da Leonardo, mettendo a frutto la lunga tradizione delle sacre rappresentazioni fiorentine, doveva essere ricco di effetti speciali, giochi di luci e suoni, che restarono a lungo vivi nella memoria dei contemporanei[31].
Il monumento equestre a Francesco Sforza
In quegli anni Leonardo avviò il grandioso progetto per un monumento equestre a Francesco Sforza, come testimonia un pagamento a titolo di anticipo per le spese per un modello, pagate per conto del Duca dal sovrintendente all'erario di corte, Marchesino Stanga. Il 22 luglio 1489 inoltre Pietro Alamanni comunicò a Lorenzo il Magnifico la richiesta di Ludovico di ottenere la collaborazione di fonditori in bronzo fiorentini: «un maestro o due apti a tale opera et benché gli abbi commesso questa cosa in Leonardo da Vinci, non mi pare molto la sappia condurre»[34].
L'impresa era colossale, non solo per le dimensioni della statua, che doveva essere fusa in bronzo, ma anche per l'intento di scolpire un cavallo nell'atto di impennarsi ed abbattersi sul nemico[31]. L'artista spese mesi interi nello studio dei cavalli, frequentando le scuderie ducali per studiare da vicino l'anatomia di questi animali, soprattutto riguardo al rilassamento ed alla tensione dei muscoli durante l'azione. L'impresa venne sospesa per riprendere le celebrazioni del matrimonio Sforza-d'Aragona[31]
A Pavia
Il 21 giugno 1490 andò a Pavia, su richiesta dei fabbricieri del Duomo per una consulenza. Vi si recò con Francesco di Giorgio Martini, architetto e autore del Trattato di architettura, che riprendeva il De architectura di Vitruvio. Leonardo dovette trovare particolarmente stimolante la rielaborazione in volgare del testo latino, approfondendo lo studio dell'architettura: di quegli anni è infatti il cosiddetto Manoscritto B (Parigi, Institut de France), dedicato all'urbanistica, all'architettura religiosa e militare[35].
Risalgono allo stesso periodo anche gli studi sul corpo umano e sulle sue perfette proporzioni, che culminarono nell'esecuzione del celeberrimo disegno dell'Uomo Vitruviano[35].
La fusione del Colosso
Una riproduzione moderna del Cavallo di Leonardo, a Grand Rapids, in MichiganRientrato a Milano si dedicò a varie attività, tra cui i festeggiamenti per le nozze di Anna Maria Sforza e Alfonso I d'Este (1491) e per quelle di Ludovico il Moro e Beatrice d'Este (1494).
Lentamente portò avanti il progetto del monumento equestre colossale, arrivando, nel 1491, alla fase finale della messa in opera del modello definitivo (in cera e poi in terracotta) e la successiva fusione a cera persa del bronzo. L'impresa si presentava estremamente difficile, per la grande necessità di bronzo fuso da versare, per questo l'artista si dedicò a calcoli minuziosi in fase progettuale.
Nel frattempo, nel 1493, fu per un tratto al seguito del corteo che accompagnava in Germania Bianca Maria Sforza, sposa dell'imperatore Massimiliano d'Asburgo; si recò sul Lago di Como (dove studiò la celebre fonte intermittente presso la villa Pliniana, a Torno), visitò la Valsassina, la Valtellina e la Valchiavenna.
Rientrato a Milano il 13 luglio di quell'anno ricevette forse la visita della madre Caterina. Alla fine del 1493 tutto era pronto per la fusione del "Colosso". In Corte Vecchia, sede da anni dell'officina di Leonardo (sul luogo dell'attuale Palazzo Reale), il modello di creta era ormai pronto e visibile, ma una notizia improvvisa bloccò la disponibilità del metallo: l'imminente calata di Carlo VIII di Francia in Italia, per la guerra contro il Regno di Napoli degli Aragonesi (1494), rese infatti impellente la domanda di bronzo per la fabbricazione di armi, vanificando il progetto di Leonardo, il quale fu profondamente deluso e amareggiato anche per i nuovi problemi di natura economica causati dalla mancata commissione[35].
L'Ultima Cena
L'Ultima Cena, dopo il restauro
Nel 1494 Leonardo ricevette però una nuova commissione, legata al convento di Santa Maria delle Grazie, luogo caro al Moro, destinato alla celebrazione della famiglia Sforza, in cui aveva da poco finito di lavorare Bramante. I lavori procedettero con la decorazione del refettorio, un ambiente rettangolare dove i frati domenicani consumavano i pasti. Si decise di affrescare le pareti minori con temi tradizionali: una Crocifissione, per la quale fu chiamato Donato Montorfano che elaborò una composizione tradizionale, già conclusa nel 1495, e un'Ultima Cena affidata a Leonardo[35]. In tale opera, che lo sollevò dai problemi economici imminenti, Leonardo riversò come in una summa tutti gli studi da lui compiuti in quegli anni, rappresentandone il capolavoro[36].
Il novelliere Matteo Bandello, che ben conosceva Leonardo, scrisse di averlo spesso visto «la matina a buon'hora a montar su'l ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto; soleva dal nascente Sole sino all'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare et il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì, che non v'averebbe messo mano, e tuttavia dimorava talhora una o due ore al giorno e solamente contemplava, considerava et essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anche veduto (secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava) partirsi da mezzogiorno, quando il Sole è in Leone, da Corte Vecchia ove quel stupendo Cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Gratie: et asceso sul ponte pigliar il pennello, et una o due pennellate dar ad una di quelle figure e di subito partirse et andare altrove[37]».
Leonardo attinse alla tradizione fiorentina dei cenacoli, reinterpretandola però in maniera estremamente originale con una maggiore enfasi sul momento drammatico in cui Cristo afferma «Qualcuno di voi mi tradirà» e sui "moti dell'animo" degli apostoli turbati. Essi sono ritratti a gruppi di tre, come una serie di onde emotive successive, con al centro la figura isolata e dominante del Cristo[36].
Come è noto Leonardo non si trovava a suo agio con la tecnica dell'affresco, poiché i veloci tempi di asciugatura dell'intonaco richiedevano un tratto deciso e rapido, non compatibile con i lunghi studi, le successive velature e la sua finissima pennellata. Per questo Leonardo inventò una tecnica mista di tempera e olio su due strati di intonaco, che rallentò le fasi di esecuzione dell'opera consentendogli di rendere una maggiore armonia cromatica e gli effetti di luce e di trasparenze a lui cari[36]. L'opera era conclusa nel 1498, quando venne ricordato nel De divina proportione di Luca Pacioli[38]. L'esperimento si rivelò però drammaticamente inadatto a un ambiente umido come il refettorio, con la parete comunicante con le cucine: già nel 1517 Antonio de Beatis annotò le prime perdite di colore[38], che all'epoca di Vasari erano già evidenti, da allora si susseguirono restauri e ridipinture, oltre ad eventi estremamente drammatici durante l'occupazione napoleonica e la seconda guerra mondiale, che avevano consegnato un capolavoro estremamente compromesso, a cui ha posto rimedio, per quanto possibile, il capillare restauro concluso nel 1999[39].
La Danae e i lavori al Castello Sforzesco
Il 31 gennaio 1496, il successo della messa in scena del Paradiso venne replicato dall'allestimento della Danae di Baldassarre Taccone, rappresentata a Milano in casa del conte di Caiazzo Francesco Sanseverino. Sul verso di un folio leonardesco, conservato al Metropolitan Museum, si trova uno studio preparatorio per l'impianto scenico: al centro di una nicchia si trovava un personaggio, forse Giove, fiammeggiante e in una mandorla, circondato da un palcoscenico con ali ricurve, forse riservate ai musici. Altre fonti ricordano come gli dei dell'Olimpo calassero dall'alto, rimanendo sospesi nel vuoto tra effetti luminosi che simulavano un cielo stellato; un sistema di argani e carrucole dava agli attori la capacità di muoversi con disinvoltura[33].
In quel periodo Leonardo lavorò contemporaneamente alla decorazione dei camerini in Castello Sforzesco che interruppe nel 1496; in quest'anno, da una sua nota di spese [40] per una sepoltura, si è dedotta la morte della madre.
Dell'opera resta oggi solo la decorazione della volta della Sala dell'Asse, con una fitta trama vegetale di notevole sensibilità naturalistica, oggi apprezzabile solo a livello generale per via delle ridipinture rese necessarie a più riprese per coprire le lacune[38].
Del 2 ottobre 1498 è l'atto notarile col quale Ludovico il Moro gli donò una vigna tra il convento di Santa Maria delle Grazie e il monastero di San Vittore al Corpo. Intanto nubi minacciose si addensano sull'orizzonte milanese: nel marzo 1499 Leonardo si sarebbe recato a Genova insieme con Ludovico, sul quale incombe la tempesta della guerra che egli stesso aveva contribuito a provocare; mentre il Moro era a Innsbruck, cercando invano di farsi alleato l'imperatore Massimiliano, il 6 ottobre 1499 Luigi XII conquistava Milano. Il 14 dicembre Leonardo fece depositare 600 fiorini nello Spedale di Santa Maria Nuova a Firenze e abbandonò Milano.
Il periodo errabondo (1499–1508)
La partenza da Milano, occupata dai francesi, segnò l'inizio di un periodo di viaggi e peregrinazioni, che lo condussero a visitare più corti e città, tornando per brevi periodi a Firenze[41].
A Mantova
Riparò a Mantova, ospite di Isabella d'Este, la quale aveva visto la Dama con l'ermellino restandone colpita. Essa commissionò a Leonardo un ritratto mai completato, del quale si conserva il cartone preparatorio, oggi al Louvre[41].
Nonostante le lusinghe di Isabella, che voleva fare di Leonardo il pittore di corte sostituendo l'anziano Mantegna, del quale non apprezzava l'arte nel ritratto, Leonardo ripartì presto, trovando l'ambiente mantovano forse troppo soffocante e tutto sommato con limitate prospettive di guadagno per i continui problemi economici del piccolo ducato.
A Venezia
Giunse così a Venezia nel marzo 1500. Qui venne incaricato di progettare alcuni sistemi difensivi contro la continua minaccia turca. Leonardo ideò una diga mobile, da collocare sull'Isonzo e sul Vilpacco, in grado di provocare inondazioni sui presidi in terraferma del nemico. In ogni caso anche da Venezia ripartì presto[41].
Il ritorno a Firenze
Dopo aver visitato Roma e Tivoli, nell'aprile 1501 tornò a Firenze, dove non metteva piede da vent'anni. Trovò accoglienza presso il canonico Amadori a Fiesole, fratello della matrigna Albiera, nonostante suo padre Piero fosse ancora vivo; probabilmente l'artista si sarebbe trovato a disagio nella casa piena dei fratellastri che non conosceva nemmeno e che si rivelarono poi a lui ostili dopo la morte del padre, riguardo all'eredità.
Durante la sua assenza, Firenze era cambiata sia sul piano politico che sulla scena artistica. Morto il Magnifico e cacciato suo figlio Piero nel 1494, si era restaurata la piena Repubblica, con a capo dal 1502 il gonfaloniere a vita Pier Soderini. Nuove "stelle" erano salite alla ribalta, tra cui quella di Michelangelo, di oltre vent'anni più giovane di Leonardo, con il quale non corse mai buon sangue[42].
Leonardo era tormentato da problemi economici e bisognoso di lavorare. Fu così che l'amico Filippino Lippi, che in passato aveva ricevuto commissioni lasciate incompiute da Leonardo, rinunciò in suo favore all'incarico di dipingere per i frati Serviti una pala d'altare per l'altare maggiore della Santissima Annunziata. Leonardo, col Salaì, si trasferì allora nel convento, ma ancora una volta non riuscì a completare l'opera affidatagli. I frati si dovettero accontentare di un cartone con la Sant'Anna, poi perduto, che godette di una straordinaria fama tra i contemporanei. Ne resta una vivace descrizione del Vasari:
« Finalmente fece un cartone dentrovi una Nostra Donna et una S. Anna, con un Cristo, la quale non pure fece maravigliare tutti gl’artefici, ma finita ch’ella fu, nella stanza durarono due giorni d’andare a vederla gl’uomini e le donne, i giovani et i vecchi, come si va a le feste solenni, per veder le maraviglie di Lionardo, che fecero stupire tutto quel popolo. »
(Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568), Vita di Lionardo da Vinci.)
Pare ormai assodato che l'opera non sia il Cartone di sant'Anna oggi a Londra, che è invece un'opera dipinta forse per Luigi XIII poco dopo, entro il 1505, e proveniente dalla casa milanese dei conti Arconati[43].
La Madonna dei Fusi
Madonna dei Fusi (1501 circa), New York, collezione privataIsabella d'Este nel frattempo cercava di ottenere i servigi di Leonardo per il suo studiolo e per un ritratto, secondo il suo progetto di far competere i maggiori pittori dell'epoca, che doveva coinvolgere anche Giovanni Bellini, Giorgione e altri. Con l'intercessione del carmelitano Pietro da Novellara chiese il ritratto e in subordine, «un quadretto de la Madonna devoto e dolce como è il suo naturale», ma il frate le rispose che «li suoi isperimenti matematici l'hanno distratto tanto dal dipingere che non può patire il pennello».
Nella lettera datata 14 aprile 1501 il frate le comunicò che Leonardo stava eseguendo un "quadrettino" per il segretario del re di Francia Florimond Robertret, che raffigurava la Vergine nell'atto di "inaspare i fusi" e il Bambino mentre afferra l'aspo come se fosse una croce. Si tratta sicuramente della Madonna dei Fusi, della quale esistono molte versioni, nessuna pienamente autografa. Le più vicine alla mano leonardesca sono ritenute quella nella collezione del duca di Buccleuch nel Drumlaring Castle presso Edimburgo, forse la più antica, e quella in una collezione privata a New York[44].
Le lettere testimoniano comunque che Leonardo fosse ormai, anche a Firenze, pienamente occupato come pittore[44].
Al servizio di Cesare Borgia
Pianta di Imola disegnata per Cesare Borgia, Museo Vinciano, VinciNel 1502 Leonardo venne assoldato da Cesare Borgia in veste di architetto e ingegnere militare. I due avevano già avuto modo di conoscersi a Milano nel 1499. Il figlio di papa Alessandro VI, detto "duca del Valentino", fu uno dei tiranni più feroci del momento ed occupò Leonardo, che era giunto a Cesena, in varie mansioni legate alle continue campagne militari, come rilevare e aggiornare le fortificazioni delle città di Romagna conquistate. Per lui mise a punto un nuovo tipo di polvere da sparo, formata da una miscela di zolfo, carbone e salnitro, studiò macchine volanti e strumenti per la guerra sottomarina[44]. In agosto soggiornò a Pavia, da dove partì per ispezionare le fortezze lombarde del Borgia; disegnò inoltre mappe dettagliate per facilitare le mosse strategico-militari dell'esercito[44].
Al seguito del Valentino assistette a una delle più sanguinose e crudeli campagne dell'epoca, l'attacco a tradimento contro Urbino[44]. Proprio a Urbino Leonardo strinse rapporti d'amicizia con Niccolò Machiavelli, probabilmente già conosciuto a Firenze[44].
La Battaglia di Anghiari
Leonardo - Studio di volti per l'Opera LA BATTAGLIA d'ANGHIARI |
Studio per la Battaglia di AnghiariDal marzo 1503 fu nuovamente a Firenze, scampando per poco al crollo dei domini del Borgia. Ad aprile Pier Soderini gli affidò l'incarico di decorare una delle grandi pareti del nuovo Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, opera grandiosa per dimensioni e per ambizione, a cui avrebbe atteso nei mesi successivi. In luglio, intanto, la Repubblica gli affidò un complesso progetto idraulico-militare per lo sbarramento dell'Arno in modo da farlo deviare contro la ribelle Pisa: Leonardo si recò nella città assediata dai fiorentini, insieme a Gerolamo da Filicaja e Alessandro degli Albizi, ma il suo progetto fallì per un errore di calcolo, che mandò su tutte le furie il gonfaloniere Soderini[44].
Tornato in città, si dedicò allora al progetto in Palazzo Vecchio. Nel Salone dovevano essere raffigurate alcune vittorie militari dei fiorentini, celebranti il concetto di libertas repubblicana contro nemici e tiranni. A Leonardo venne affidato un episodio degli scontri tra esercito fiorentino e milanese del 29 giugno 1440, la Battaglia di Anghiari, mentre sulla parete opposta avrebbe dovuto lavorare Michelangelo Buonarroti, con la Battaglia di Cascina (29 luglio 1364, contro i Pisani)[44]. Per ragioni diverse nessuna delle due pitture murali venne portata a termine, nè si sono conservati i cartoni originali, anche se ne restano alcuni studi autografi e copie antiche di altri autori.
Leonardo in particolare studiò una nuova tecnica che lo sollevasse dai tempi brevi dell'affresco, recuperando dalla Historia naturalis di Plinio il Vecchio l'encausto. Come per l'Ultima Cena anche questa scelta si rivelò drammaticamente inadatta quando era ormai troppo tardi[44]. La vastità del dipinto non permette infatti di raggiungere coi fuochi una temperatura sufficiente a far essiccare i colori, che colano sull'intonaco e tendono ad affievolirsi, se non a scomparire del tutto. Nel dicembre 1503 l'artista interruppe così il trasferimento del dipinto dal cartone alla parete, frustrato da un nuovo insuccesso[44].
Tra le migliori copie tratte dal cartone di Leonardo c'è quella di Rubens, oggi al Louvre[44]. Perduto anche il cartone, le ultime tracce dell'opera furono probabilmente coperte nel 1557 dagli affreschi del Vasari.
Monna Lisa del Giocondo (La Gioconda) 1503 - 1506 Museo del Louvre |
La Gioconda
La Gioconda (1503-1506), Parigi, Musée du LouvreIn questo periodo iniziò il capolavoro che lo rese celebre nei secoli, la Gioconda. L'artista tenne con sé l'opera fin quando in Francia fu vista ancora nel Castello di Cloux, residenza di Leonardo, e descritta da Antonio de Beatis, il 10 ottobre 1517, come «certa donna Fiorentina, facta di naturale ad istantia di quondam magnifico Juliano de' Medici», mentre Cassiano dal Pozzo a Fontainebleau, nel 1625, scrisse di «un ritratto della grandezza del vero, in tavola, incorniciato di noce intagliato, a mezza figura ed è ritratto di tal Gioconda. Questa è la più completa opera che di questo autore si veda, perché dalla parola in poi altro non gli manca».
Identificata tradizionalmente come Lisa Gherardini, nata nel 1479 e moglie di Francesco Bartolomeo del Giocondo (da cui il nome "Gioconda"), il dipinto, considerato il ritratto più famoso del mondo, va ben oltre il limiti tradizionali del genere ritrattistico. Come scrisse Charles de Tolnay (1951) «nella Gioconda, l'individuo - una sorta di miracolosa creazione della natura - rappresenta al tempo stesso la specie: il ritratto, superati i limiti sociali, acquisisce un valore universale. Leonardo ha lavorato a quest'opera sia come ricercatore e pensatore sia come pittore e poeta; e tuttavia il lato filosofico-scientifico restò senza seguito. Ma l'aspetto formale - l'impaginazione nuova, la nobiltà dell'atteggiamento e la dignità del modello che ne deriva - ebbe un'azione risolutiva sul ritratto fiorentino delle due decadi successive [...] Leonardo ha creato con la Gioconda una formula nuova, più monumentale e al tempo stesso più animata, più concreta, e tuttavia più poetica di quella dei suoi predecessori. Prima di lui, nei ritratti manca il mistero; gli artisti non hanno raffigurato che forme esteriori senza l'anima o, quando hanno caratterizzato l'anima stessa, essa cercava di giungere allo spettatore mediante gesti, oggetti simbolici, scritte. Solo nella Gioconda emana un enigma: l'anima è presente ma inaccessibile.[45]»
La morte del padre e il Trattato delli uccelli
Il 9 luglio 1504 morì il padre Piero; Leonardo annotò più volte la circostanza, in apparente agitazione: «Mercoledì a ore 7 morì ser Piero da Vinci, a dì 9 luglio 1504, mercoledì vicino alle ore 7[46]» e ancora, «Addì 9 di luglio 1504 in mercoledì a ore 7 morì Piero da Vinci notaio al Palagio del Podestà, mio padre, a ore 7. Era d'età d'anni 80. Lasciò 10 figlioli maschi e due femmine[47]». Il padre non lo fece erede e, contro i fratelli che gli opponevano l'illegittimità della sua nascita, Leonardo chiese invano il riconoscimento delle sue ragioni: dopo la causa giudiziale da lui promossa, solo il 30 aprile 1506 avvenne la liquidazione dell'eredità, dalla quale Leonardo fu escluso.
Nella primavera del 1505 iniziò a scrivere il Trattato delli uccelli, opera incompiuta che avrebbe dovuto avere uno svolgimento sistematico su tutto l'argomento, compreso lo studio del volo e delle sue regole fisiche. Nei tre anni successivi Leonardo sviluppò ulteriormente i suoi studi sull'anatomia dei volatili e sulla resistenza dell'aria e, attorno al 1515, sulla caduta dei pesi e sui moti dell'aria[33]. Da queste conoscenze cercò poi di costruire originali macchine volanti, in alcuni casi messe in opera, come sembra confermare un appunto autografo di data imprecisata: «Piglierà il primo volo del grande uccello sopra del dosso del suo magno Cecero empiendo l'universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al luogo dove nacque»[48]. Si crede che Leonardo abbia fatto sperimentare il volo a un suo attendente fidato, Tommaso Masini detto "Zoroastro", dalla collina di Fiesole, senza però ottenere un successo: pare infatti che il malcapitato cadde rovinosamente rompendosi anche una gamba[33].
Leonardo e Michelangelo
Il rapporto tra i due geni del Rinascimento, Leonardo e Michelangelo, fu difficile, spesso teso, a causa della differenza generazionale (Michelangelo era 23 anni più giovane di Leonardo), dei caratteri diversi e degli ideali artistici inconciliabilmente lontani: il primo fu riflessivo, poliedrico e interessato al mondo naturale; il secondo più impulsivo, notoriamente riottoso e idealista[49]. Non vi sono prove dirette della loro inimicizia, ma svariati indizi e testimonianze indirette. Nel Trattato della pittura, ad esempio, Leonardo condannò gli "eccessi anatomici e la retorica muscolare"[50] che fanno parte dello stile michelangiolesco e dei suoi seguaci, pur senza mai citare direttamente il rivale.
L'Anonimo Gaddiano li ricorda in una novella, in cui i due artisti, presso piazza Santa Trinita, si incontrarono e Michelangelo, sprezzante e polemico, incalzò Leonardo circa l'interpretazione di un verso dantesco, oggetto della discussione. La reticenza di Leonardo nell'accettare la provocazione generò l'ira di Michelangelo, che lo dileggiò circa il fallito progetto del cavallo di bronzo terminando: "et che t'era che creduto da que' caponi de' Milanesi?"[49]
Le incomprensioni e la rivalità dovettero accendersi anche durante la doppia commissione ufficiale in Palazzo Vecchio, ma, forse per la mancata concretizzazione del progetto, le fonti tacciono a riguardo[49].
Prima di partire da Firenze ci fu un altro episodio che riguardò i due: Michelangelo aveva infatti completato il suo David e gli artisti fiorentini vennero chiamati in commissione a decidere per la collocazione della statua in piazza della Signoria, il 25 gennaio 1504. Tra Botticelli, Andrea della Robbia, il Cronaca, Filippino Lippi, il Perugino, Lorenzo di Credi, Giuliano e Antonio da Sangallo, Leonardo prese la parola per consigliare, seguendo un'idea di Giuliano, una posizione defilata per la statua, nella Loggia della Signoria, a ridosso della parete breve incorniciata magari da una nicchia "in modo che non guasti le cerimonie delli ufficiali". La sua presa di posizione, che provocò evidentemente la contrarietà del Buonarroti, ebbe un seguito minoritario, prevalendo infine l'ipotesi di Filippino Lippi, per una collocazione di massimo risalto all'aperto, dominante e autorevole davanti a Palazzo Vecchio, l'edificio più importante della città, nonché cuore nevralgico della politica e della vita sociale fiorentina[51].
Gli ultimi anni (1508–1519)
A Firenze Leonardo iniziò ad essere lusingato dal governatore francese di Milano, Charles d'Amboise, che lo sollecitava, fin dal 1506, ad entrare al servizio di Luigi XII. L'anno successivo fu lo stesso re a richiedere espressamente Leonardo, che infine accettò di tornare a Milano dal luglio 1508. Il secondo soggiorno milanese, durato fino al 1513, con alcuni viaggi dall'ottobre 1506 al gennaio 1507 e dal settembre 1507 al settembre 1508, fu un periodo molto intenso[52]. Dipinse la Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnellino, completò, in collaborazione col De Predis, la seconda versione della Vergine delle Rocce e si occupò di problemi geologici, idrografici e urbanistici[53]. Studiò fra l'altro un progetto per una statua equestre in onore di Gian Giacomo Trivulzio, quale artefice della conquista francese della città[53].
Viveva nei pressi di San Babila e sul suo stato finanziario resta l'annotazione di una provvigione ottenuta per quasi un anno di 390 soldi e 200 franchi dal re di Francia[54]. Il 28 aprile 1509 scrisse di aver risolto il problema della quadratura dell'angolo curvilineo e l'anno dopo andò a studiare anatomia con Marcantonio della Torre, giovanissimo professore dell'università di Pavia; allo scopo, scrisse, di dare «la vera notizia della figura umana, la quale è impossibile che gli antichi e i moderni scrittori ne potessero mai dare vera notizia, sanza un'immensa e tediosa e confusa lunghezza di scrittura e di tempo; ma, per questo brevissimo modo di figurarla» - ossia rappresentandola direttamente con disegni, «se ne darà piena e vera notizia. E acciò che tal benefizio ch'io do agli uomini non vada perduto, io insegno il modo di ristamparlo con ordine»[55].
Durante i suoi brevi viaggi visitò Como, poi scalò il Monte Rosa, poi con il Salaì e il matematico Luca Pacioli soggiornò a Vaprio d'Adda, presso Bergamo, dove gli venne affidato dal padre il giovane Francesco Melzi, l'ultimo e il più caro dei suoi allievi che lo seguì fino alla morte[53].
Nel 1511 morì il suo sostenitore Charles d'Amboise. Due anni dopo la nuova guerra della Lega di Cambray scacciò i Francesi da Milano, che tornò agli Sforza[53].
A Roma
Si occupò del prosciugamento delle Paludi pontine, i cui lavori erano stati appaltati da Giuliano de' Medici - il progetto venne approvato da Leone X il 14 dicembre 1514, ma non fu eseguito per la morte sia di Giuliano che del papa di lì a pochi anni - e della sistemazione del porto di Civitavecchia[59]. Con Giuliano e il papa fece un viaggio a Bologna, dove ebbe modo di conoscere direttamente Francesco I di Francia[53].
Leda e il cigno, Chatsworth
Secondo il Vasari, durante questa sua breve permanenza a Roma, fece «per messer Baldassarre Turini da Pescia, che era datario di Leone, un quadretto di una Nostra Donna col figliuolo in braccio con infinita diligenza e arte» e ritrasse «un fanciulletto che è bello e grazioso a maraviglia, che sono tutti e due a Pescia», ma delle due opere si è persa ogni traccia, unitamente alla Leda con il cigno, celebre al tempo, e vista ancora da Cassiano dal Pozzo nel 1623 a Fontainebleau: «una Leda in piedi, quasi tutta ignuda, col cigno e due uova al piè della figura».
A Roma cominciò anche a lavorare a un vecchio progetto, quello degli specchi ustori che dovevano servire a convogliare i raggi del sole per riscaldare una cisterna d'acqua, utile alla propulsione delle macchine. Il progetto però incontrò diverse difficoltà soprattutto perché Leonardo non andava d'accordo con i suoi lavoranti tedeschi, specialisti in specchi, che erano stati fatti arrivare apposta dalla Germania. Contemporaneamente vennero ripresi i suoi studi di anatomia, già iniziati a Firenze e Milano, ma questa volta le cose si complicarono: una lettera anonima, inviata probabilmente per vendetta dai due lavoranti tedeschi, lo accusò di stregoneria. In assenza della protezione di Giuliano de' Medici e di fronte ad una situazione fattasi pesante, Leonardo si trovò costretto, ancora una volta, ad andarsene. Questa volta aveva deciso di lasciare l'Italia. Era anziano, aveva bisogno di tranquillità e di qualcuno che lo apprezzasse e lo aiutasse.
L'ultima notizia del suo periodo romano data all'agosto 1516, quando misurava le dimensioni della basilica di San Paolo fuori le mura[60], dopodiché dovette accettare gli inviti del re di Francia[53].
In Francia, al servizio di Francesco I
Nel 1517 Leonardo partì per la Francia, dove arrivò in maggio, insieme con Francesco Melzi e il servitore Battista de Vilanis, venendo alloggiato dal re nel castello di Clos-Lucé[53], vicino ad Amboise, e onorato del titolo di premier peintre, architecte, et mecanicien du roi, con una pensione di 5000 scudi. Francesco era un sovrano colto e raffinato, amante dell'arte soprattutto italiana, come dimostrò anche negli anni successivi accogliendo con onori altri artisti (Primaticcio, Rosso Fiorentino, Andrea del Sarto, Benvenuto Cellini).
Gli ultimi tre anni passati in Francia furono sicuramente il periodo più sereno della sua vita, assistito dai due fedeli allievi e, sebbene indebolito dalla vecchiaia e da una probabile trombosi celebrale che gli paralizzò la mano destra, poté continuare con passione e dedizione i propri studi e le ricerche scientifiche[53].
L'alta considerazione di cui godette è dimostrata anche dalla visita ricevuta, il 10 ottobre, del cardinale d'Aragona e del suo seguito: Leonardo gli mostrò «tre quadri, uno di certa donna Fiorentina facta di naturale ad istantia del quondam mag.co Juliano de Medici, l'altro de San Joane Bap.ta giovane et uno de la Madona et del figliolo che stan posti in grembo di S.ta Anna tucti perfectissimi, et del vero che da lui per esserli venuta certa paralesi ne la dextra, non se ne può expectare più bona cosa. Ha ben facto un creato Milanese chi lavora assai bene, et benché il p.to M. Lunardo non possa colorir con quella dulceza che solea, pur serve a far disegni et insegnar ad altri. Questo gentilhomo ha composto de notomia tanto particularmente con la demonstratione de la pictura sì de membri come de muscoli, nervi, vene, giunture, d'intestini tanto di corpi de homini che de done, de modo non è stato mai facto anchora da altra persona [...] Ha anche composto la natura de l'acque, de diverse machine et altre cose, secondo ha riferito lui, infinità di volumi et tucti in lingua vulgare, quali se vengono in luce saranno proficui et molto dilectevoli».[61]
Progettò il palazzo reale di Romorantin, che Francesco I intendeva erigere per la madre Luisa di Savoia. Si trattava del progetto di una cittadina, per la quale previde lo spostamento di un fiume che l'arricchisse d'acque e fertilizzasse la vicina campagna: «El fiume di mezzo non riceva acqua torbida, ma tale acqua vada per li fossi di fori della terra, con quattro molina dell'entrata e quattro all'uscita [...] il fiume di Villafranca sia condotto a Romolontino, e il simile sia fatto del suo popolo [...] se il fiume mn [ Bonne Heure ], ramo del fiume Era [ Loira ] si manda nel fiume di Romolontino, colle sue acque torbide esso grasserà le campagne sopra le quali esso adacquerà, e renderà il paese fertile».[62]
Partecipò alle feste per il battesimo del Delfino e a quelle per le nozze di Lorenzo de' Medici. Tra i lavori come curatore di feste e apparati si ricorda quello messo in scena a Lione nel 1515 e ad Argenton nel 1517, in entrambi i casi per festeggiare la presenza di Francesco I. Si trattava dell'automa del leone, che era in grado di camminare e poi fermarsi aprendosi il petto "tutto ripieno di gigli e diversi fiori, [...] che fu di tanta meraviglia a quel re"[63].
L'ultima data presente su un manoscritto di Leonardo risale al giugno del 1518: preso da calcoli di geometria, gli studi sono bruscamente interrotti con un "eccetera, perché la minestra si fredda"! Si tratta di una rara annotazione istintiva di vita quotidiana, che rende la dimensione umana del personaggio che, incalzato dai richiami di qualcuno, deve rompere la concentrazione per mangiare[64]
L A M O R T E
La tomba di Leonardo, castello d'Amboise
Il 23 aprile 1519 redasse il testamento davanti al notaio Guglielmo Boreau, alla presenza di cinque testimoni e dell'inseparabile Francesco Melzi: dispose di voler essere sepolto nella chiesa di San Fiorentino, con una cerimonia funebre accompagnata dai cappellani e dai frati minori, oltre che da sessanta poveri, ciascuno reggente una torcia; richiese la celebrazione di tre messe solenni, con diacono e sottodiacono, e di trenta messe "basse", a San Gregorio, a Saint-Denis e nella chiesa dei francescani[64].
A Francesco Melzi, esecutore testamentario, lasciò «li libri [...] et altri Instrumenti et Portracti circa l'arte sua et industria de Pictori», oltre alla collezione dei disegni e del guardaroba[64]; al servitore De Vilanis e al Salaì la metà per ciascuno di «uno iardino che ha fora de le mura de Milano [...] nel quale iardino il prefato Salay ha edificata et constructa una casa»; alla fantesca Maturina dei panni e due ducati; ai fratellastri fiorentini il suo patrimonio nella città toscana, cioè 400 scudi depositati in Santa Maria Nuova e un podere a Fiesole[65].
Leonardo morì di lì a poco, il 2 maggio. Francesco I, a Saint-Germain-en-Laye dove si trovava, apprese la notizia della scomparsa direttamente dal Melzi e si lasciò andare a un pianto sconsolato[64].
Il 12 agosto un registro ricorda come «fu inumato nel chiostro di questa chiesa [Saint-Florentin ad Amboise] M. Lionard de Vincy, nobile milanese e primo pittore e ingegnere e architetto del Re, meschanischien di Stato e già direttore di pittura del duca di Milano».[66] Cinquant'anni dopo, violata la tomba, le sue spoglie andarono disperse nei disordini delle lotte religiose tra cattolici e ugonotti[53].
Trent'anni prima aveva scritto delle parole che suonano profetiche nel suo caso:
« Sì come una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire. »
(Trattato della pittura, 27 r.)
La pittura e la scienza
Studio di testa femminile, Windsor, Raccolte Reali (...forse per Leda...)
(Per approfondire, vedi la voce Trattato della pittura.)
Copie di scritti di Leonardo sulla pittura circolavano già nel Cinquecento: il Vasari riferisce di un anonimo pittore milanese che gli mostrò «alcuni scritti di Lionardo, pur di caratteri scritti con la mancina a rovescio, che trattano della pittura e de' modi del disegno e del colorire»; Benvenuto Cellini possedeva scritti di Leonardo sulla prospettiva.
Grazie all'impegno di Cassiano dal Pozzo, una raccolta di manoscritti di Leonardo, redazione estremamente abbreviata di quella messa insieme dall'allievo ed erede Francesco Melzi, fu pubblicata per la prima volta a Parigi nel 1651, insieme con la traduzione francese, con incisioni tratte da disegni di Nicolas Poussin; un'altra edizione italiana del Trattato della pittura fu pubblicata a Napoli nel 1733.
La pittura, per Leonardo, è scienza, rappresentando «al senso con più verità e certezza le opere di natura», mentre «le lettere rappresentano con più verità le parole al senso». Ma, aggiunge Leonardo riprendendo un concetto aristotelico, è «più mirabile quella scienza che rappresenta le opere di natura, che quella che rappresenta [...] le opere degli uomini, com'è la poesia, e simili, che passano per la umana lingua»[67].
Leonardo studiò anche per primo in Europa la possibilità di proiettare immagini dal vero su un foglio dove potevano essere facilmente ricopiate, con la cosiddetta camera oscura leonardiana.
Lo scienziato
« So bene che, per non essere io letterato, che alcuno prosuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare coll'allegare io essere omo sanza lettere. Gente stolta! Non sanno questi tali ch'io potrei, sì come Mario rispose contro a' patrizi romani, io sì rispondere, dicendo: ”Quelli che dall'altrui fatiche se medesimi fanno ornati, le mie a me medesimo non vogliono concedere”. Or non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla sperienza, che d'altrui parola, la quale fu maestra di chi bene scrisse, e così per maestra la piglio e quella in tutti i casi allegherò »
(Codice Atlantico a 119 v)
"Omo sanza lettere" sta per uomo che non conosce il latino: ma non gli occorre la conoscenza del latino perché «Io ho tanti vocaboli nella mia lingua materna, ch'i' m'ho piuttosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole, colle quali bene esprimere il concetto della mente mia»; e se il volgare ha piena capacità di esprimere ogni concetto, il problema resta quello della verità di ciò che si argomenta.
Studio di proporzionalità di un corpo umano, Venezia, AccademiaSecondo il pensiero di Leonardo, una prima verità si trae dall'esperienza diretta della natura, dall'osservazione dei fenomeni: «molto maggiore e più degna cosa a leggere» non è allegare l'autorità di autori di libri ma allegare l'esperienza, che è la maestra di quegli autori. Coloro che argomentano citando l'autorità di altri scrittori vanno gonfi «e pomposi, vestiti e ornati, non delle loro, ma delle altrui fatiche; e le mie a me medesimo non concedano; e se me inventore disprezzeranno, quanto maggiormente loro, non inventori, ma trombetti e recitatori delle altrui opere, potranno essere biasimati».[68] Se poi costoro lo criticano sostenendo che «le mie prove esser contro all'alturità d'alquanti omini di gran riverenza appresso a' loro inesperti iudizi», è perché non considerano che «le mie cose esser nate sotto la semplice e mera sperienza, la quale è maestra vera»[69].
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Se l'esperienza fa conoscere la realtà delle cose, non dà però ancora la necessità razionale dei fenomeni, la legge che è nascosta nelle manifestazioni delle cose: «la natura è costretta dalla ragione della sua legge, che in lei infusamene vive» e «nessuno effetto è in natura sanza ragione; intendi la ragione e non ti bisogna sperienza», nel senso che una volta che si sia compresa la legge che regola quel fenomeno, non occorre più ripeterne l'osservazione; l'intima verità del fenomeno è raggiunta.
Le leggi che regolano la natura si esprimono mediante la matematica: «Nissuna umana investigazione si può dimandare vera scienza, s'essa non passa per le matematiche dimostrazioni»[67], restando fermo il principio per il quale «se tu dirai che le scienze, che principiano e finiscano nella mente, abbiano verità, questo non si concede, ma si niega, per molte ragioni; e prima, che in tali discorsi mentali non accade sperienza, senza la quale nulla dà di sé certezza»[67].
Il rifiuto della metafisica non poteva essere espresso in modo più netto. Anche la sua concezione dell'anima consegue dall'approccio naturalistico delle sue ricerche: «nelle sue [della natura] invenzioni nulla manca e nulla è superfluo; e non va con contrapesi, quando essa fa li membri atti al moto nelli corpi delli animali, ma vi mette dentro l'anima d'esso corpo contenitore, cioè l'anima della madre, che prima compone nella matrice la figura dell'uomo e al tempo debito desta l'anima che di quel debbe essere abitatore, la qual prima restava addormentata e in tutela dell'anima della madre, la qual nutrisce e vivifica per la vena umbilicale» e con prudente ironia aggiunge che «il resto della difinizione dell'anima lascio ne le menti de' frati, padri de' popoli, li quali per ispirazione sanno tutti i segreti. Lascio star le lettere incoronate [le Sacre Scritture] perché son somma verità»[70].
Ma ribadisce: «E se noi dubitiamo della certezza di ciascuna cosa che passa per i sensi, quanto maggiormente dobbiamo noi dubitare delle cose ribelli ad essi sensi, come dell'essenza di Dio e dell'anima e simili, per le quali sempre si disputa e contende. E veramente accade che sempre dove manca la ragione suppliscono le grida, la qual cosa non accade nelle cose certe».
Riconosce validità allo studio dell'alchimia, «partoritrice delle cose semplici e naturali», considerata non già un'arte magica ma «ministratrice de' semplici prodotti della natura, il quale uffizio fatto esser non può da essa natura, perché in lei non è strumenti organici, colli quali essa possa operare quel che adopera l'omo mediante le mani», ossia scienza dalla quale l'uomo, partendo dagli elementi semplici della natura, ne ricava dei composti, come un moderno chimico; l'alchimista non può però creare alcun elemento semplice, come testimoniano gli antichi alchimisti, che mai «s'abbatero a creare la minima cosa che crear si possa da essa natura» e sarebbero stati meritevoli dei massimi elogi se «non fussino stati inventori di cose nocive, come veneni e altre simili ruine di vita e di mente».
È invece aspramente censore della magia, la «negromanzia, stendardo ovver bandiera volante mossa dal vento, guidatrice della stolta moltitudine». I negromanti «hanno empiuti i libri, affermando che l'incanti e spiriti adoperino e sanza lingua parlino, e sanza strumenti organici, sanza i quali parlar non si pò, parlino e portino gravissimi pesi, faccino tempestare e piovere, e che li omini si convertano in gatte, lupi e bestie, benché in bestia prima entran quelli che tal cosa affermano».[71]
UOMO VITRUVIANO-Studio sulle PROPORZIANI UMANE
Leonardo è conosciuto soprattutto per i suoi dipinti, per i suoi studi sul volo, probabilmente molto meno per le numerose altre cose in cui è stato invece un vero precursore, come ad esempio nel campo della geologia. È stato tra i primi, infatti, a capire che cos'erano i fossili, e perché si trovavano fossili marini in cima alle montagne. Contrariamente a quanto si riteneva fino a quel tempo, cioè che si trattasse della prova del diluvio universale, l'evento biblico che avrebbe sommerso tutta la terra, Leonardo immaginò la circolazione delle masse d'acqua sulla terra, alla stregua della circolazione sanguigna, con un lento ma continuo ricambio, conclusione luoghi in cui affioravano i fossili, un tempo dovevano essere stati dei fondali marini. Anche se con ragionamenti molto originali, la conclusione di Leonardo era sorprendentemente esatta.
Il contributo di Leonardo a quasi tutte le discipline scientifiche fu decisivo: anche in astronomia ebbe intuizioni fondamentali, come sul calore del Sole, sullo scintillio delle stelle, sulla Terra, sulla Luna, sulla centralità del Sole, che ancora per tanti anni avrebbe suscitato contrasti ed opposizioni. Ma nei suoi scritti si trovano anche esempi che mostrano la sua capacità di rendere in modo folgorante dei concetti difficili; a quel tempo si era ben lontani dall'aver formulato le leggi di gravitazione, ma Leonardo già paragonava i pianeti a calamite che si attraggono vicendevolmente, spiegando così molto bene il concetto di attrazione gravitazionale. In un altro suo scritto, sempre su questo argomento, fece ricorso ad un'immagine veramente suggestiva; dice Leonardo: immaginiamo di fare un buco nella terra, un buco che l'attraversi da parte a parte passando per il centro, una specie di "pozzo senza fine"; se si lancia un sasso in questo pozzo, il sasso oltrepasserebbe il centro della terra, continuando per la sua strada risalendo dall'altra parte, poi tornerebbe indietro e dopo aver superato nuovamente il centro, risalirebbe da questa parte. Questo avanti e indietro durerebbe per molti anni, prima che il sasso si fermi definitivamente al centro della Terra. Se questo spazio fosse vuoto, cioè totalmente privo d'aria, si tratterebbe, in teoria, di un possibile, apparente, modello di moto perpetuo, la cui possibilità, del resto, Leonardo nega, scrivendo che «nessuna cosa insensibile si moverà per sé, onde, movendosi, fia mossa da disequale peso; e cessato il desiderio del primo motore, subito cesserà il secondo».[72]
Anche nella botanica Leonardo compì importanti osservazioni: per primo si accorse che le foglie sono disposte sui rami non casualmente ma secondo leggi matematiche (formulate solo tre secoli più tardi); è una crescita infatti, quella delle foglie, che evita la sovrapposizione per usufruire della maggiore quantità di luce. Scoprì che gli anelli concentrici nei tronchi indicano l'età della pianta, osservazione confermata da Marcello Malpighi più di un secolo dopo.
Osservò anche l'eccentricità nel diametro dei tronchi, dovuta al maggior accrescimento della parte in ombra. Soprattutto scoprì per primo il fenomeno della risalita dell'acqua dalle radici ai tronchi per capillarità, anticipando il concetto di linfa ascendente e discendente. A tutto questo si aggiunse un esperimento che anticipava di molti secoli le colture idroponiche: avendo studiato idraulica, Leonardo sapeva che per far salire l'acqua bisognava compiere un lavoro; quindi nelle piante, in cui l'acqua risale attraverso le radici, doveva compiersi una sorta di lavoro. Per comprendere il fenomeno tolse la terra, mettendo la pianta direttamente in acqua, e osservò che la pianta riusciva ancora a crescere, anche se più lentamente.
Si può trarre un conclusivo giudizio sulla posizione che spetta a Leonardo nella storia della scienza citando Sebastiano Timpanaro:[73] «Leonardo da Vinci attinge dai Greci, dagli Arabi, da Giordano Nemorario, da Biagio da Parma, da Alberto di Sassonia, da Buridano, dai dottori di Oxford, dal precursore ignoto del Duhem, ma attinge idee più o meno discutibili. È sua e nuova la curiosità per ogni fenomeno naturale e la capacità di vedere a occhio nudo ciò che a stento si vede con l'aiuto degli strumenti. Per questo suo spirito di osservazione potente ed esclusivo, egli si differenzia dai predecessori e da Galileo. I suoi scritti sono essenzialmente non ordinati e tentando di tradurli in trattati della più pura scienza moderna, si snaturano. Leonardo (bisogna dirlo ad alta voce) non è un super-Galileo: è un grande curioso della natura, non uno scienziato-filosofo. Può darsi che qualche volta vada anche più oltre di Galileo, ma ci va con un altro spirito. Dove Galileo scriverebbe un trattato, Leonardo scrive cento aforismi o cento notazioni dal vero; mentre Galileo è tanto coerente da diventare in qualche momento conseguenziario. Leonardo guarda e nota senza preoccuparsi troppo delle teorie. Molte volte registra il fatto senza nemmeno tentare di spiegarlo».
L'inventore
Progetto di macchina volante
Il 25 novembre 1796 i manoscritti di Leonardo sottratti alla Biblioteca Ambrosiana giungevano a Parigi e dalla loro analisi il fisico italiano Giovanni Battista Venturi, allora in Francia, traeva un Essai sur les ouvrages physico-mathématiques de Leonard de Vinci, escludendo da questo gli studi vinciani sul volo, giudicandoli probabilmente solo una bizzarria chimerica.
Nel 1486 Leonardo aveva espresso la sua fede nella possibilità del volo umano: «potrai conoscere l'uomo colle sue congegnate e grandi alie, facendo forza contro alla resistente aria, vincendo, poterla soggiogare e levarsi sopra di lei». Dal 14 marzo al 15 aprile 1505 scrive parte di quello che doveva essere un organico Trattato delli uccelli, dal quale avrebbe voluto estrarre il segreto del volo, estendendo nel 1508 i suoi studi all'anatomia degli uccelli e alla resistenza dell'aria e, verso il 1515, vi aggiunge lo studio della caduta dei gravi e i moti dell'aria.
Chiama moto strumentale il volo umano realizzato con l'uso di una macchina: individua nel paracadute il mezzo più semplice di volo: «Se un uomo ha un padiglione di pannolino intasato, che sia di 12 braccia per faccia e alto 12, potrà gittarsi d'ogni grande altezza sanza danno di sé». Dall'analogia col peso e l'apertura alare degli uccelli cerca di stabilire l'apertura alare che la macchina dovrebbe avere e quale forza dovrebbe essere impiegata per muoverla e sostenerla.
La fede di Leonardo nel volo umano sembra essere rimasta immutata per tutta la sua vita, malgrado gli insuccessi e l'obiettiva difficoltà dell'impresa: «Piglierà il primo volo il grande uccello sopra del dosso del suo magno Cecero (il monte Ceceri, presso Firenze), empiendo l'universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al loco dove nacque». Un esperimento in tale senso si svolse veramente e fece da cavia il suo amico Tommaso Masini.
I suoi appunti contengono numerose invenzioni in campo militare: gli scorpioni, una macchina «la quale po' trarre sassi, dardi, sagitte» che può anche distruggere la macchine nemiche; i cortaldi, cannoncini da usare contro le navi; le serpentine, adatte contro le «galee sottili, per poter offendere il nimico di lontano. Vole gittare 4 libre di piombo»; le zepate, zattere per incendiare le navi nemiche ormeggiate in porto, e progetta navi con spuntoni che rompano le carene nemiche e bombe incendiarie composte di carbone, salnitro, zolfo, pece, incenso e canfora, un fuoco che «è di tanto desiderio di brusare, che seguita il legname sin sotto l'acqua».
Un altro progetto avrebbe compreso il palombaro - vi è chi ha pensato addirittura al sottomarino - a proposito del quale scrive però di non volerlo divulgare «per le male nature delli omini, li quali userebbono li assassinementi ne' fondi mari col rompere i navili in fondo e sommergerli insieme colli omini che vi son dentro». Pensa all'attuale bicicletta, all'elicottero, un modello del quale è stato realizzato nel parco del castello di Clos-Lucé, a un apparecchio a ruote dentate che è stato interpretato come il primo calcolatore meccanico, a un'automobile spinta da un meccanismo a molla e a un telaio automatico, ricostruito dal Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, che tesse 2 centimetri di tela al minuto.
Negli anni trascorsi in Vaticano ideò un uso industriale dell'energia solare, mediante l'utilizzo di specchi concavi per riscaldare l'acqua.
Gli studi d'anatomia
Anatomia femminile, Windsor, Raccolte Reali
Gli scritti di anatomia precedenti l'opera leonardesca, come quelli di Mondino de' Luzzi o di Guy de Chauliac, riproponevano la tradizione di Galeno ed erano pertanto privi di ogni verifica sperimentale.
L'insaziabile desiderio di conoscere, di capire tutto ciò che vedeva, portava Leonardo ad esplorare, spesso per primo, ogni cosa. Anche il corpo umano. Questa macchina perfetta, ben più complicata delle sue macchine fatte di ingranaggi, lo affascinava; voleva capire cosa c'è dentro, come funziona e cosa succede quando si ferma definitivamente con la morte. Per questo, prima a Milano, alla fine del Quattrocento, e poi a Firenze, agli inizi del Cinquecento, si recava negli obitori e usando forbici e bisturi sezionava cadaveri; almeno trenta, secondo quanto riportano i suoi contemporanei. Nei suoi disegni mostra anche gli strumenti allora usati dai chirurghi, seghe e divaricatori. L'anatomia era ai primordi, le idee sul corpo umano erano molto confuse. Egli può a buon diritto essere considerato il fondatore di tale scienza, unitamente almeno con il belga Andrea Vesalio (1514-1564), la cui opera De humani corporis fabrica doveva apparire nel 1543.
È noto l'appunto su una di queste sue esperienze fiorentine: «questo vecchio, di poche ore innanzi la sua morte, mi disse lui passare i cento anni, e che non si sentiva alcun mancamento ne la persona, altro che debolezza; e così standosi a sedere sopra uno letto nello Spedale di Santa Maria Nova di Firenze, sanza altro movimento o seguito d'alcuno accidente, passò di questa vita. E io ne feci notomia, per vedere la causa di sì dolce morte».[74]
Leonardo studiò anatomia in tre distinti periodi: a Milano, tra il 1480 e il 1490, se ne occupò, interessandosi in particolare dei muscoli e delle ossa, in funzione della propria attività artistica; successivamente a Firenze, tra il 1502 e il 1507, si applicò in particolare della meccanica del corpo, e infine, dal 1508 al 1513, a Milano e a Roma, s'interessò allo studio degli organi interni e della circolazione del sangue.
Movimento del braccioLeonardo fu il primo a rappresentare l'interno del corpo umano con una serie di disegni; si trattava anche di un modo del tutto nuovo per "guardare dentro" il corpo, rompendo tra l'altro antichi tabù. Sono centinaia i disegni conservati oggi al castello di Windsor e di proprietà della regina d'Inghilterra, che visualizzano quello che prima era soltanto descritto a parole e in modo poco chiaro. Scrisse Leonardo: «Con quali lettere descriverai questo core, che tu non empia un libro, e quanto più lungamente scriverai alla minuta, tanto più confonderai la mente dello uditore, e sempre avrai bisogno di sponitori o di ritornare alla sperienzia, la quale in voi è brevissima e dà notizie di poche cose rispetto al tutto del subbietto di che desideri integrar notizia».[75]
Leonardo inventò l'illustrazione anatomica. Inventò anche un modo di illustrare che ancora oggi viene usato dai moderni disegnatori, la cosiddetta "immagine esplosa": un esempio si ha guardando come Leonardo rappresentava una testa sezionata, disegnando il cranio e il cervello in sequenza in modo da mostrare come entrano l'uno dentro l'altro. Studiò le ossa, i muscoli, le arterie, le vene, i capillari; riuscì a capire le alterazioni senili e persino ad intuire l'arteriosclerosi. Gli sfuggì invece il ruolo del cuore, studiato a Roma fino al 1513: «Tutte le vene e arterie nascano dal core, e la ragione è che la maggiore grossezza che si trovi in esse vene e arterie è nella congiunzione che esse hanno col core, e quanto più se removano dal core, più si assottigliano e si dividano in più minute ramificazioni» [76] e questa convinzione gli deriva dall'analogia con le piante, le quali hanno le radici nella loro parte inferiore ingrossata: «è manifesto che tutta la pianta ha origine da tale grossezza, e per conseguenza le vene hanno origine dal core, dov'è la lor maggior grossezza» [77]
Allo stesso modo i suoi studi di botanica lo sviarono, facendogli ritenere che la circolazione sanguigna funzionasse come la linfa delle piante, con una linfa ascendente e una discendente. Del cuore aveva bensì individuato la natura di muscolo: «il core è un muscolo principale di forza, ed è potentissimo sopra li altri muscoli» [78] ma anche come equivalente di una stufa per dare calore al corpo: «Il caldo si genera per il moto del core; e questo si manifesta perché, quando il cor più veloce si move, il caldo più multiplica, come c'insegna il polso de' febbricitanti, mosso dal battimento del core» [79]
Tra i suoi disegni anatomici, i più spettacolari ed impressionanti rimangono quelli che mostrano un feto prima della nascita: erano immagini del tutto nuove per l'epoca e, certamente, sconvolgenti.
Leonardo studiò anche i meccanismi dell'occhio per capire come funziona la visione tridimensionale, dovuta alla sovrapposizione di due immagini leggermente sfalsate. Fece bollire un occhio di bue in una chiara d'uovo, in modo da poterlo sezionare e vedere ciò che si trova all'interno. Scoprì così la retina e il nervo ottico, e riportò queste osservazioni nei suoi disegni.
Le opere idrauliche
Studi di acque, ca 1508Nel Seicento, Francesco Arconati, figlio del conte Galeazzo, trasse dagli scritti vinciani da questi donati alla Biblioteca Ambrosiana, un trattato che intitolò Del moto e misura dell'acqua, che tuttavia verrà pubblicato solo nel 1826.
Leonardo si dedicò a studi idraulici a partire dalla sua permanenza a Milano, già ricca di navigli, e in Lombardia, solcata da un'ampia rete di canali.
Collaborò con la Repubblica di Venezia per la sistemazione dell'assetto del fiume Brenta, per evitarne le inondazioni e renderlo navigabile, ma non si conoscono opere realizzate su suoi progetti, alcuni dei quali, particolarmente grandiosi, sono attestati dai suoi scritti: un canale che unisca Firenze con il mare, ottenuto regolando il corso dell'Arno; il prosciugamento delle Paludi Pontine, nel Lazio, che si sarebbe dovuto realizzare deviando il corso del fiume Ufente; la canalizzazione della regione francese della Sologne, con la deviazione del fiume Cher, presso Tours.
Leonardo progettò anche macchine per l'uso dell'energia idraulica, per il prosciugamento e per l'innalzamento delle acque. Secondo il suo costume, egli studia la natura dell'acqua: «infra i quattro elementi il secondo men grieve e di seconda volubilità. Questa non ha mai requie insino che si congiunge al suo marittimo elemento dove, non essendo molestata dai venti, si stabilisce e riposa con la sua superfizie equidistante al centro del mondo»,[80] la sua origine, il movimento, certe caratteristiche, come la schiuma: «l'acqua che da alto cade nell'altra acqua, rinchiude dentro a sé certa quantità d'aria, la quale mediante il colpo si sommerge con essa e con veloce moto resurge in alto, pervenendo a la lasciata superfizie vestita di sottile umidità in corpo sperico, partendosi circularmente dalla prima percussione».[81]
Osserva gli effetti ottici sulla superficie dell'acqua e trova che «il simulacro del sole si dimostrerrà più lucido nell'onde minute che nelle onde grandi» e che «il razzo del sole, passato per li sonagli [le bolle] della superfizie dell'acqua, manda al fondo d'essa acqua un simulacro d'esso sonaglio che ha forma di croce. Non ho ancora investigato la causa, ma stimo che per cagion d'altri piccoli sonagli che sien congiunti intorno a esso sonaglio maggiore».[82]
Si occupa dei fossili che si trovano sui monti e ironizza con coloro che credono nel Diluvio universale: «Della stoltizia e semplicità di quelli che vogliono che tali animali fussin in tal lochi distanti dai mari portati dal diluvio. Come altra setta d'ignoranti affermano la natura o i celi averli in tali lochi creati per infrussi celesti [...] e se tu dirai che li nichi [ le conchiglie ] che per li confini d'Italia, lontano da li mari, in tanta altezza si vegghino alli nostri tempi, sia stato per causa del diluvio che lì li lasciò, io ti rispondo che credendo che tal diluvio superassi il più alto monte di 7 cubiti - come scrisse chi 'l misurò! - tali nichi, che sempre stanno vicini a' liti del mare, doveano stare sopra tali montagne, e non sì poco sopra la radice de' monti».[83]
È convinto che con il tempo la terra finirà con l'essere completamente sommersa dall'acqua: «Perpetui son li bassi lochi del fondo del mare, e il contrario son le cime de' monti; séguita che la terra si farà sperica e tutta coperta dall'acque, e sarà inhabitabile».[8
L'ingegneria civile e l'architettura di Leonardo
Progetto di chiesa a pianta centrale, Parigi, Institut de France
Scrive il Vasari che Leonardo «nell'architettura ancora fe' molti disegni così di piante come d'altri edifizii e fu il primo ancora che, giovanetto, discorresse sopra il fiume Arno per metterlo in canale da Pisa a Fiorenza», testimonianza che, a parte che nell'occasione del progetto di deviazione dell'Arno, avvenuto nel 1503, Leonardo non era affatto "giovanetto", mostra che gli interessi di Leonardo o le richieste a lui rivolte riguardavano soprattutto progetti di idraulica o di ingegneria militare. In compenso, nella nota lettera indirizzata a Ludovico il Moro nel 1492, Leonardo vanta le sue competenze di natura militare ma aggiunge che in tempo di pace crede di «satisfare benissimo a paragone de omni altro in architectura, in composizione di edifici pubblici e privati, et in conducer acqua de uno loco ad un altro».
A Milano avrà in effetti solo il titolo di "ingegnarius", mentre nel suo secondo soggiorno fiorentino potrà fregiarsi del titolo di architetto e pittore.
È certo che per l'approfondimento delle nozioni ingegneristiche si giovasse della conoscenza personale del senese Francesco di Giorgio Martini e dei suoi scritti: possiede e postilla una copia del suo Trattato di architettura militare e civile; progetta fortificazioni con bastioni spessi e irti di angoli che possano opporsi alle artiglierie nemiche.
Sono noti suoi disegni sia per la cupola del Duomo di Milano sia per edifici signorili, per i quali pensa a giardini pensili e a innovative soluzioni interne, quali scale doppie e quadruple e nell'interno delle case «col molino farò generare vento d'ogni tempo della state; farò elevare l'acqua surgitiva e fresca, la quale passerà pel mezzo delle tavole divise [...] e altra acqua correrà pel giardino, adacquando li pomeranci e cedri ai lor bisogni [...] farassi, mediante il molino, molti condotti d'acque per casa, e fonti in diversi lochi, e alcuno transito dove, chi vi passerà, per tutte le parti di sotto salterà l'acque allo insù».
Ma si occupa anche della moderna ideazione di "una polita stalla", per giungere a immaginare una città ideale, strutturata su più livelli stradali, ove al livello inferiore scorressero i carri, e in quello superiore avessero agio i pedoni.
Nel 1502 Leonardo da Vinci produsse il disegno di un ponte a campata unica di 300 metri, come parte di un progetto di ingegneria civile per il Sultano ottomano Bayazed II. Era previsto che un pilone del ponte sarebbe stato collocato su uno degli ingressi alla bocca del Bosforo, il Corno d'Oro, ma non fu mai costruito. Il governo turco, nei primi anni del XXI secolo ha deciso la costruzione di un ponte che segua il progetto leonardesco.
La personalità di Leonardo
Ritratto di Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì, di anonimo, ca 1495, Vaduz, Fondazione Alois
I contemporanei riferivano di una presunta omosessualità di Leonardo, a partire dalla denuncia anonima del 1476 (per altro conclusasi con assoluzione), dalla mancanza di relazioni con donne, dalle note sulla sua ambiguità del Vasari e dal rapporto con i suoi allievi Melzi e Caprotti, molto più giovani di lui e avvenenti[20].
Dalla nota dello stesso Leonardo, «ne la mia prima ricordazione della mia infanzia è mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venissi a me e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotessi con tal coda dentro alle labbra»,[85] derivò l'interpretazione di Sigmund Freud, nel suo libro Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci, pubblicato nel 1910, come fantasia di un atto sessuale orale, mentre il nibbio rappresenterebbe androginicamente la madre; dalla curiosità sessuale infantile dell'artista deriverebbe la sua curiosità artistica e scientifica mai soddisfatta e conclusa[20].
ANGELI - Dal " BATTESIMO DI GESU'" |
Se l'omosessualità di Leonardo resta probabile per quanto non certa, con tutte le possibili disquisizioni su quanto questo possa aver influito o meno sulla sua arte[20], la sua irreligiosità e scetticismo sono indubbi, legati alle osservazioni del Vasari, per il quale «tanti furono i suoi capricci, che filosofando de le cose naturali, attese a intendere la proprietà delle erbe, continuando et osservando il moto del cielo, il corso della luna e gli andamenti del sole. Per il che fece ne l'animo un concetto sì eretico, che è non si accostava a qualsivoglia religione, stimando per avventura assai più lo esser filosofo che cristiano».
ANGELO INCARNATO (...o Disegno Erotico, secondo le versioni...) |
L'Aretino, secondo il suo costume di inventare anche fatti che rendessero edificante la vita dei biografati per i quali provava stima e simpatia, scrive che «vedendosi vicino alla morte, disputando de le cose cattoliche, ritornando nella via buona, si ridusse a la fede cristiana con molti pianti. Laonde confesso e contrito, se bene è non poteva reggersi in piedi, volse devotamente pigliare il Santissimo Sacramento fuor de 'l letto», morendo poi nelle braccia del re Francesco I.
Molte sue note mostrano disprezzo verso gli uomini di Chiesa: sui preti che dicono messa: «Molti fien quelli che, per esercitare la loro arte, si vestiran ricchissimamente, e questo parrà esser fatto secondo l'uso de' grembiuli»;[86] sulle chiese: «Assai saranno che lasceranno li esercizi e le fatiche e povertà di vita e di roba, e andranno abitare nelle ricchezze e trionfanti edifizi, mostrando questo esser il mezzo di farsi amico a Dio»;[77] sul vendere il Paradiso: «Infinita moltitudine venderanno pubblica e pacificamente cose di grandissimo prezzo, senza licenza del padrone di quelle, e che mai non furon loro, né in lor potestà, e a questo non provvederà la giustizia umana» [77] o anche «Le invisibili monete [ le promesse di vita eterna ] faran trionfare molti spenditori di quelle»;[77] o sui conventi: «Quelli che saranno morti [ i santi ], dopo mille anni, fien quelli che daranno le spese a molti vivi [ i frati ]»;[87] o ironizza sui riti: «Quelli che con vestimente bianche andranno con arrogante movimento minacciando con metallo e foco [ il turibolo con l'incenso ] chi non faceva lor detrimento alcuno» [88] e sulla devozione delle immagini: «Parleranno li omini alli omini che non sentiranno; aran gli occhi aperti e non vedranno; parleranno a quelli e non fie lor risposto; chiederan grazie a chi arà orecchi e non ode; faran lume a chi è orbo».[89]
Il Vasari riferisce della sua generosità, della sua grandezza d'animo e del suo orgoglio: «andando al banco per la provvisione ch'ogni mese da Pier Soderini soleva pigliare, il cassiere gli volse dare certi cartocci di quattrini, ed egli non li volse pigliare, rispondendogli: "Io non sono dipintore da quattrini"»; della piacevolezza della sua conversazione e del suo amore per gli animali: «spesso passando dai luoghi dove si vendevano uccelli, di sua mano cavandogli di gabbia, e pagatogli a chi li vendeva il prezzo che n'era chiesto, li lasciava in aria a volo, restituendogli la perduta libertà». E questa sua compassione e tenerezza nei confronti degli animali si lega alla notizia, riferita da Andrea Corsali, sul fatto che Leonardo fosse vegetariano.[90]
Ma dai suoi scritti traspare l'immagine di un uomo molto meno socievole di quello che l'agiografia vasariana voglia imporre: «se tu sarai solo, tu sarai tutto tuo, e se sarai accompagnato da un solo compagno, sarai mezzo tuo, e tanto meno quanto sarà maggiore la indiscrezione della sua pratica. E se sarai con più, cadrai di più in simile inconveniente», e altrove scrive ancora che «salvatico è quel che si salva», e in tante parti dei suoi manoscritti appare la sfiducia e il pessimismo nei confronti dell'"umana spezie". Le sue ricerche e i suoi lavori venivano infatti preferibilmente espletati in solitudine, come ricorda la vivace descrizione del maestro all'opera al Cenacolo di Matteo Bandello nella sua novella LVIII[91]. Non era solito seguire regole rigide o abitudini prefissate, preferendo assecondare l'estro e l'ispirazione del momento[49]. La sua ricerca quasi maniacale della perfezione, con infiniti ritocchi e modifiche (come avvenne per la Gioconda) derivano dalla sua convinzione per cui la pittura, a differenza della musica, è destinata a restare e non a esaurirsi nella singola performance: «la pittura non muore immediate dopo la sua creazione come fa la musica, ma lungo tempo darà testimonianza dell'ignoranza tua [...] ma se studierai [...] tu lascerai opere che ti daranno più onore che la pecunia»[92].
Considerato per la vastità dei suoi interessi la massima e irripetibile manifestazione del Rinascimento, Leonardo, non legato a nessuna città, Stato o principe, è il primo esempio del cosmopolitismo degli intellettuali italiani, unico in Europa, espressione di una frattura fra cultura e popolo destinata a prolungarsi fino ai nostri giorni.
La biblioteca di Leonardo
La biblioteca di Leonardo venne lasciata in eredità al fedelissimo Francesco Melzi che, all'indomani della scomparsa del suo maestro, si trasferì da Amboise alla propria villa di famiglia a Vaprio d'Adda, portando con sé libri, manoscritti e strumenti di bottega appartenuti a Leonardo[64]. Di questa raccolta parlarono l'Anonimo Gaddiano (1537-1542), Giorgio Vasari (1568) e Giovanni Paolo Lomazzo (1590), che la ricordano come gelosamente custodita[64]. Inoltre Vasari ricordò come un pittore milanese (Aurelio Luini?) possedesse alcuni scritti di Leonardo "scritti con la mancina a rovescio"[64].
Dall'analisi dei codici vinciani, si è potuto ricavare almeno una parte dei testi posseduti da Leonardo per i suoi studi. Nel 1504 dichiarava infatti in un suo scritto di avere oltre un centinaio di libri più una cinquantina di raccolte di suoi scritti: venticinque "piccoli, sedici "più grandi", due "maggiori", sei in "carta pecora" e uno con "coverta di camscio verde"[93]. La biblioteca di Leonardo doveva comprendere:
Leon Battista Alberti, De pictura
Alberto Magno, Commentum in libros phisicorum, Mineralium libri V
Alberto di Sassonia, De proportione velocitatum in motibus
Dante Alighieri, La Divina Commedia
Jacopo Alighieri, Dottrinale
Al Kindi, Libellum sex quantitatum
Giovanni Antonio Amadeo, libro d'architettura
Aristotele, De phisica, De metheoris
Avicenna, Il canone della medicina
Ugo Benzi, Tractato utilissimo circa la conservatione de la sanitate
Guido Bonati, Liber astronomicus
Poggio Bracciolini, Facezie
Burchiello, Sonetti
Cecco d'Ascoli, Acerba
Cleomede, De mundo
Piero de' Crescenzi, Libro dell'agricoltura
Goro Dati, Spera
Paolo dell'Abaco, Recholuzze del maestro Pagolo astrolacho
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi
Gian Giacomo Dolcebuono, libro d'architettura
Elio Donato, Ars minor
Euclide, De ponderibus, De levi et ponderoso fragmentum, De prospectiva
Marsilio Ficino, Theologia platonica
Francesco Filelfo, Epistulae
Jacopo Filippo Foresti, Il supplemento delle cronache
Angelo Fosinfronte, De motu locali
Federico Frezzi, Quadriregio del decorso della vita umana
Galeno, Terapeuticorum libri XIV
Francesco di Giorgio Martini, Trattato di architettura militare e civile
Giuniano Giustino, Epitome delle Storie filippiche di Pompeo Trogo
Guglielmo di Heytesbury, De velocitatis augmentatione
Isidoro di Siviglia, Etymologiae
Cristoforo Landino, Formulario di epistole volgari
Lorenzo Guglielmo di Saona, Rethorica nova
Tito Livio, Deca I, III, IV
John Mandeville, Il cavalier Zuanne de Mandavilla
Mondino de' Luzzi, Anathomia
Giovanni di Mandinilla, Tractato delle più maravigliose cosse e più notabili
Ovidio, Epistulae
Luca Pacioli, De divina proportione
Giovanni Peckham, De prospectiva
Biagio Pelacani, Quaestiones de coelo et mundo, De ponderibus
Francesco Petrarca, Canzoniere
Piero della Francesca, De prospectiva pingendi
Platina, Dell'onesta voluttà
Plinio il Vecchio, Naturalis historia
Luca Pulci, Driadeo
Luigi Pulci, Morgante
Riccardo di Swineshead, De motibus naturalibus
Ermete Trismegisto, De alchimia
Giorgio Valla, De expetendis et fugiendis rebus
Roberto Valturio, De re militari
Witelo, De prospectiva
Non è difficile immaginare la rapida dispersione di quella grande mole di libri, fogli e appunti un tempo posseduta da Leonardo[93]. Gli eredi di Francesco Melzi infatti vendettero tutto il patrimonio lasciatogli dal maestro, dando inizio alla dispersione dell'opera di Leonardo.
I manoscritti
(Per approfondire, vedi la voce Codici di Leonardo da Vinci.)
Nella caratteristica scrittura speculare, svolta da destra a sinistra, tale da poter esser letta facilmente solo ponendo i fogli davanti a uno specchio, i manoscritti di Leonardo, dati in eredità a Francesco Melzi, pervennero dopo la morte di questi allo scultore Pompeo Leoni che, per commerciarli più facilmente, li suddivise in diversi gruppi, mutandone l'aspetto originario. Raccolti in gran parte nel XVII secolo dal conte milanese Galeazzo Arconati, furono donati alla Biblioteca Ambrosiana di Milano dalla quale furono trasferiti nel 1796 a Parigi, da dove tornò a Milano, dopo la caduta di Napoleone, il solo Codice Atlantico, mentre gli altri, per un errore dell'incaricato austriaco, rimasero all'Institut de France. Altri codici erano già da tempo finiti in Inghilterra.
Oggi esistono oltre 8.000 fogli di appunti (più di 16.000 pagine) con molte decine di migliaia di disegni lasciati da Leonardo, ma si ritiene che siano solo una piccola parte di ciò che ha scritto e disegnato. Alcuni pensano che abbia scritto 60.000, forse 100.000 pagine, ormai perdute. Ma forse qualcosa ancora esiste, sepolta in qualche antico archivio; nel 1966 per esempio sono stati trovati due nuovi codici a Madrid. Si tratta di pagine scritte quasi "di getto", tant'è vero che gli esperti di Leonardo dicono: "sembra di sentirlo parlare come da un registratore".
Ordine degli scritti
Codice A, Parigi, Institut de France, 1492, 63 fogli di vari argomentiCodice B, Parigi, Institut de France, 1489, 84 fogli sull'arte della guerraCodice C, Parigi, Institut de France, 1490, 28 fogli sulla luce e l'ombraCodice D, Parigi, Institut de France, 1508, 10 fogli di vari argomentiCodice E, Parigi, Institut de France, 1513 - 1514, 80 fogli sulla geometria e il voloCodice F, Parigi, Institut de France, 1508 - 1509, 96 fogli sull'idraulicaCodice G, Parigi, Institut de France, 1510 - 1516, 93 fogli di vari argomentiCodice H, Parigi, Institut de France, 1493 - 1494, 142 fogli di vari argomentiCodice I, Parigi, Institut de France, 1497 - 1499, 141 fogli di vari argomentiCodice K1, Parigi, Institut de France, 1504, 48 fogli di vari argomentiCodice K2, Parigi, Institut de France, 1504 - 1509, 32 fogli di vari argomentiCodice K3, Parigi, Institut de France, 1509 - 1512, 48 fogli di vari argomentiCodice L, Parigi, Institut de France, 1497 - 1503, 94 fogli di vari argomentiCodice M, Parigi, Institut de France, 1498 - 1500, 94 fogli di vari argomentiCodice Ashburnham I o Codice 2037 (già Codice B), Parigi, Institut de France, 1492, 34 fogli sulla pitturaCodice Ashburnham II o Codice 2038 (già 'Codice A), Parigi, Institut de France, 1484 - 1486, 10 fogli di vari argomentiCodice Atlantico, Milano, Biblioteca Ambrosiana, 1483 - 1518, 403 fogli di vari argomentiCodice Trivulziano, Milano, Castello Sforzesco, 1484 - 1486, 51 fogli di vari argomentiCodice del volo degli Uccelli, Torino, Biblioteca Reale, 1505, 18 fogliCodice Forster I, Londra, Victoria and Albert Museum, 1484 - 1505, 55 fogli sulla stecheometriaCodice Forster II, Londra, Victoria and Albert Museum, 1495 - 1497, 157 fogli di vari argomentiCodice Forster III, Londra, Victoria and Albert Museum, 1490 - 1493, 88 fogli di vari argomentiCodice Arundel 263, Londra, British Museum, 1504 - 1516, 283 fogli di vari argomentiFogli di Windsor, Windsor, Royal Library, 600 disegniFogli di Anatomia A, Windsor, Royal Library, 1510, 18 disegniFogli di Anatomia B, Windsor, Royal Library, 1489, 42 disegniQuaderni di Anatomia, I - VI, Windsor, Royal Library, 119 disegniCodice Madrid I, Madrid, Biblioteca Nazionale, 1490 – 1496, 192 fogli sulla meccanicaCodice Madrid II, Madrid, Biblioteca Nazionale, 1503 – 1505, 157 fogli sulla geometriaCodice Leicester (già Codice Hammer), Collezione Bill Gates, 1504 - 1506, 36 fogli sull'idraulica
Leonardo scrittore
La prosa di Leonardo viene giudicata tra le migliori del Rinascimento italiano; aliena da ogni retorica, artificio e sonorità, è tutta aderente alle cose: rifacendosi al linguaggio parlato, ha colore, robustezza, concisione, in modo da dare energia e spigliatezza all'espressione.
Per Francesco Flora,[94] Leonardo si dimostrò inventore anche nella scrittura, tanto da apparire molto più moderno rispetto tanto ai suoi predecessori che ai suoi contemporanei: «Non diremo più il Boccaccio padre della prosa italiana [...] nel suo insieme la prosa di Boccaccio tende alla sintassi lirica [...] prosa fu quella del Convivio di Dante e d'alcune cronache e trattati; ma la prosa grande, la prima prosa grande d'Italia, è da trovare negli scritti di Leonardo: la prosa più alta del primo Rinascimento, sebbene in tutto aliena dal modello umanistico e liberamente esemplata sul comune discorso».
La sua opera più importante è il Trattato della pittura, raccolta postuma curata da un allievo anonimo.
Le fattezze di Leonardo
Le fattezze di Leonardo si conoscono da un presunto Autoritratto senile, databile al 1515 circa e conservato nella Biblioteca Reale di Torino. L'opera, dalla quale derivano altri ritratti ideali, fa parte ormai dell'immaginario collettivo.
Sulle fattezze di Leonardo in età giovane o matura restano alcune ipotesi di identificazione in opere sue o di altri artisti, come nel giovane in piedi all'estrema destra dell'Adorazione dei Magi, nel David di Verrocchio o nella figura di Platone nella Scuola di Atene di Raffaello.
Esistono poi varie fonti che, pur senza descrivere il suo aspetto fisico in maniera precisa, parlano dei suoi modi e celebrano la sua bellezza. Ad esempio l'Anonimo Gaddiano scrisse: «[La Natura] non solo della bellezza del corpo, che molto bene gli concedette, volse dotarlo, ma di molte rare virtù volse anchora farlo maestro. [...] Era di bella persona, proportionata, gratiata et bello aspetto. portava uno pitocco rosato corto sino al ginocchio, che allora s'usavano i vestiri lunghi, haveva sino al mezo in petto una bella capellaia et anellata et ben composta».
Vasari colse invece l'aspetto docile e amorevole del suo carattere: «Egli con lo splendor dell'aria sua, che bellissima era, rasserenava ogni animo mesto, e con le parole volgeva al sì et al no ogni indurata intenzione. Egli con le forze sue riteneva ogni violenta furia. [...] Con la liberalità sua raccoglieva e pasceva ogni amico povero e ricco, pur che egli avesse ingegno e virtù. [...] Per il che ebbe veramente Fiorenza grandissimo dono nel nascere di Lionardo, e perdita più che infinita nella sua morte.»
La fortuna critica del pittore
La fortuna critica del pittore è stata immediata e non ha mai subito oscuramenti. Già per il Vasari[95] «volle la natura tanto favorirlo, che dovunque è rivolse il pensiero, il cervello e l'animo, mostrò tanta divinità nelle cose sue che nel dare la perfezione di prontezza, divinità, bontade, vaghezza e grazia nessun altro mai gli fu pari». Per il Lomazzo «Leonardo nel dar il lume mostra che habbi temuto sempre di non darlo troppo chiaro, per riservarlo a miglior loco et ha cercato di far molto intenso lo scuro, per ritrovar li suoi estremi. Onde con tal arte ha conseguito nelle facce e corpi, che ha fatto veramente miracoli, tutto quello che può far la natura. Et in questa parte è stato superiore a tutti, tal che in una parola possiam dire che 'l lume di Leonardo sia divino»[96]. Non a caso lo storico aretino gli ascrisse l'avvio della "Maniera moderna", ponendolo all'inizio della terza parte delle Vite.
Per Goethe,[97] «Leonardo si rivela grande soprattutto come pittore. Regolarmente e perfettamente formato, appariva, nei confronti della comune umanità, un esemplare ideale di essa. Come la chiarezza e la perspicacia dell'occhio si riferiscono più propriamente all'intelletto, così la chiarezza e l'intelligenza erano proprie dell'artista. Non si abbandonò mai all'ultimo impulso del proprio originario impareggiabile talento e, frenando ogni slancio spontaneo e casuale, volle che ogni proprio tratto fosse meditato e rimeditato».
Per il pittore Delacroix,[98] Leonardo «giunge senza errori, senza debolezze, senza esagerazioni, e quasi d'un balzo, a quel naturalismo giudizioso e sapiente, lontano del pari dall'imitazione servile e da un ideale vuoto e chimerico. Cosa strana! Il più metodico degli uomini, colui che fra i maestri del suo tempo si è maggiormente occupato dei metodi di esecuzione, che li ha insegnati con tanta precisione che le opere dei suoi migliori allievi sono sempre confuse con le sue, quest'uomo, la cui maniera è così tipica, non ha retorica. Sempre attento alla natura, consultandola senza tregua, non imita mai sé stesso; il più dotto dei maestri è anche il più ingenuo, e nessuno dei suoi emuli, Michelangelo e Raffaello, merita quanto lui tale elogio».
Scrive Hippolyte Taine [99] che «non c'è forse al mondo un esempio di genio così universale, inventivo, incapace di contentarsi, avido d'infinito e naturalmente raffinato, proteso in avanti, al di là del suo secolo e di quelli successivi. Le sue figure esprimono una sensibilità e uno spirito incredibili; traboccano d'idee e di sensazioni inespresse. Vicino ad esse, i personaggi di Michelangelo non sono che atleti eroici; le vergini di Raffaello non sono che placide fanciulle, la cui anima addormentata non ha vissuto. Le sue, sentono e pensano con ogni tratto del viso e della fisionomia; ci vuole un certo tempo per stabilire un dialogo con loro: non che il sentimento che esse esprimono sia troppo poco definito; al contrario, esso scaturisce dall'intero aspetto, ma è troppo sottile, troppo complicato, troppo al fuori e al di là del comune, impenetrabile e inesplicabile. L'immobilità e il silenzio di esse lasciano indovinare due o tre pensieri sovrapposti, e altri ancora, celati dietro quello più lontano; s'intravede confusamente questo mondo intimo e segreto, come una delicata vegetazione sconosciuta sotto la profondità di un'acqua trasparente».
Per il Wölfflin,[100] «è il primo artista che abbia studiato sistematicamente le proporzioni nel corpo degli uomini e degli animali e si sia reso conto dei rapporti meccanici, nell'andare, nel salire, nel sollevare pesi e nel portare oggetti; ma anche quello che ha scoperto le più lontane caratteristiche fisionomiche, meditando coordinatamente sopra l'espressione dei moti dell'animo. Il pittore è per lui il chiaro occhio del mondo, che domina tutte le cose visibili».
Per Octave Sirén [101] Leonardo «fu fiorentino fino al midollo, benché più sagace, più duttile, più intelligente dei suoi predecessori. Più tardi s'interessò ai problemi pittorici via via che andava approfondendo quelli scientifici; dal che deriva la presenza, nella sua arte, di tendenze nuove e di tratti sconosciuti ai suoi contemporanei. Il passaggio dai dettagli precisi, dai contorni netti, alle gradazioni del chiaroscuro, alla corposità dello sfumato, riassume una tendenza generale nella pittura del Rinascimento; ma ciò che attorno a Leonardo non si attuò prima di due o tre generazioni, in lui divenne maturo nello spazio di venti o trent'anni».
Per Emilio Cecchi [102] «da lui ebbe origine una pittura d'intensità insuperata, dove il rude chiaroscuro e luminismo di Masaccio è genialmente dedotto in una quantità di espressione plastica che, se ancora una volta dobbiamo richiamarci al ricordo della Grecia, non si può confrontare che alla grazia misteriosa e sublime della scultura prassitelica»
Per André Chastel,[103] premessa la precarietà e l'ambiguità della stessa vita umana, il «senso di una posizione ambigua dell'uomo tra l'orribile e lo squisito, fra il certo e l'illusorio, si è accentuato in Leonardo con gli anni: c'è nella sua opera pittorica uno sviluppo parallelo del chiaroscuro. Il principio di esso era anzitutto l'interesse del contrasto che valorizza i termini opposti [...] egli si è dunque compiaciuto di far scivolare insensibilmente le dolci luci nelle ombre deliziose, risolvendo in questo modo il conflitto fra disegno e modellato [...] Dichiarando che, come Giotto e Masaccio, si deve essere unicamente figli della natura, egli intende affermare che tutti i problemi della pittura, a tutti i gradi, devono essere ripensati integralmente. Lo sfumato risolve le difficoltà del disegno e ottiene l'unità delle forme entro lo spazio avvolgendole nell'atmosfera».
Per l'Argan,[104] infine, in Leonardo «tutto è immanenza. L'esperienza della realtà deve essere diretta, non pregiudicata da alcuna certezza a priori: non l'autorità del dogma e delle scritture, non la logica dei sistemi filosofici, non la perfezione degli antichi. Ma la realtà è immensa, possiamo coglierla solo nei fenomeni particolari [...] e il fenomeno vale quando, nel particolare, manifesta la totalità del reale». Se nell'arte di Michelangelo predomina il sentimento morale, per cui dalla natura occorre riscattare la nostra esistenza spirituale con la quale siamo legati a Dio, in Leonardo predomina il sentimento della natura, «quello per cui sentiamo il ritmo della nostra vita pulsare all'unisono con quello del cosmo».
Elenco delle opere
Non vi è certezza sulla attribuzione di tutti i dipinti di Leonardo. Su una quindicina di essi l'attribuzione è pressoché universale, altri sono semplicemente stati realizzati a più mani (specie le prime opere di Leonardo, nel periodo in cui lavorava "a bottega" dal Verrocchio). Di altre, fino ad ora attribuite ad altri artisti, recentemente gli studiosi propendono per l'attribuzione al maestro.
Gioventù a Firenze
Madonna Dreyfus (Madonna della melagrana), 1469-1470, olio su tavola, 15,7x12,8 cm, Washington, National Gallery of Art (attribuita anche a Lorenzo di Credi o opera collaborazione)
Tobiolo e l'angelo, 1470-1475 circa, tempera su tavola, 84x66 cm, Londra, National Gallery (opera di Andrea del Verrocchio con alcune parti attribuite a Leonardo)
Annunciazione, 1472-1475 circa, tempera e olio su tavola, 98x217 cm, Firenze, Uffizi
Paesaggio con fiume, 1473, disegno su carta, 19x28,5 cm, Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
Madonna del Garofano, 1473 circa, olio su tavola, 62x47,5 cm, Monaco di Baviera, Alte Pinakothek (attribuzione recente, ma "storicamente" assegnata dal Verrocchio)
Studio di mani, 1474 circa, punta d'argento e lumeggiature di biacca su carta preparata in tinta rosa, 21,4x15 cm, Windsor, Royal Library
Ritratto di Ginevra de' Benci, 1474 circa, olio e tempera su tavola, 38,8x36,7 cm, Washington, National Gallery of Art
Profilo di capitano antico, 1475 circa, punta d'argento su carta preparata, 28,5x20,7 cm, Londra, British Museum
Battesimo di Cristo, 1475-1478, olio e tempera su tavola, 177x151 cm, Firenze, Uffizi, (collaborazione col Verrocchio e altri)
Annunciazione, 1475-1478 circa, tempera su tavola, 16x60 cm, Parigi, Louvre (attribuzione contesa con Lorenzo di Credi)
Corpo di Bernardo Baroncelli impiccato, 1478, disegno, Bayonne, Musée Bonnat
Madonna Benois, 1478-1482, olio su tavola trasportata su tela, 48x31 cm, San Pietroburgo, Ermitage
San Girolamo, 1480 circa, olio su tavola, 103x75 cm, Città del Vaticano, Pinacoteca vaticana
Studi di dispositivi di difesa, 1480 circa, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Studi di strumenti idraulici, 1480 circa, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Studio di fiori, 1480-1481, disegno, Venezia, Galleria dell'Accademia
Schizzo per la Madonna del Gatto, 1480-1481, disegno, Londra, British Museum
Studio prospettico per l'Adorazione dei Magi, 1481 circa, disegno, Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
Studio per l'Adorazione dei Magi, 1481 circa, disegno, Parigi, Cabinet des Dessins
Adorazione dei Magi, 1481-1482, olio su tavola, 246x243 cm, Firenze, Uffizi
Primo soggiorno a Milano
Monumento equestre a Francesco Sforza, 1482-1493, opera incompiuta di cui esisteva un modello colossale del cavallo in terracotta, già a Milano, Corte Vecchia, distrutto
Presunto studio per l'angelo della Vergine delle Rocce, 1483-1485, disegno, Torino, Biblioteca Reale
Studi per la Vergine delle Rocce, 1483 circa, disegno, Venezia, Galleria dell'Accademia
Vergine delle Rocce, 1483-1486, olio su tavola trasportato su tela, 199x122 cm, Parigi, Louvre
Ritratto di musico, 1485 circa, olio su tavola, 44,7x32 cm, Milano, Pinacoteca Ambrosiana
Studio per il monumento a Francesco Sforza, 1485 circa, disegno, Castello di Windsor, Royal Library
Vite aerea, 1487 circa, disegno, Parigi, Bibliothèque de l'Institut de France
Progetto per la copertura per crociera del Duomo di Milano, 1487-1488, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Studio per macchina da guerra (Carri falcati), 1487-1490, disegno, Torino, Biblioteca Reale
Dama con l'ermellino, 1488-1490 circa, olio su tavola, 54,8x40,3 cm, Cracovia, Museo Czartoryski
Idea per la figura di san Pietro nell'Ultima Cena, 1498-1490 circa, disegno, Vienna, Graphische Sammlung Albertina
Studio per il Cenacolo, 1488-1490 circa, disegno, Venezia, Galleria dell'Accademia
Studio per il Cenacolo, 1488-1490 circa, Parigi, Cabinet des Dessins
Sezione di cranio, 1489 circa, disegno, Castello di Windsor, Royal Library
Uomo vitruviano, 1490 circa, matita e inchiostro su carta, 34x24 cm, Venezia, Gallerie dell'Accademia
Studio delle gambe anteriori di un cavallo, 1490 circa, disegno, Torino, Biblioteca Reale
Figure geometriche e disegno botanico, 1490 circa, disegno, Parigi, Bibliothèque de l'Institut de France
Raggi luminosi attraverso uno spiraglio angolare, 1490-1491, disegno, Parigi, Bibliothèque de l'Institut de France
Belle Ferronière, 1490-1495 circa, olio su tavola, 63x45 cm, Parigi, Louvre
Progetto per l'armatura di fusione della testa del cavallo, 1491-1493 circa, disegno, Madrid, Biblioteca Nacional
Emblema degli Sforza, 1492-1494, disegno, Parigi, Bibliothèque de l'Institut de France
Vergine delle rocce, 1494-1508, olio su tavola, 189,5x120 cm, Londra, National Gallery
Testa di Cristo, 1494 circa, gessetto e pastello su carta, 40x32 cm, Milano, Pinacoteca di Brera
Capelli, nastri, oggetti per mascherare, 1494 circa, disegno, Londra, Victoria and Albert Museum
Studio di testa virile, 1494 o 1499, disegno, Torino, Biblioteca Reale
Progetto per un dispositivo, 1494-1496 circa, disegno, Madrid, Biblioteca Nacional
Ultima Cena, 1494-1498, olio su parete, 460x880 cm, Milano, Refettorio di Santa Maria delle Grazie
Ritratto di una Sforza, 1495 circa, gesso e inchiostro su pergamena, 33x23 cm, Canada?, collezione privata
Schizzo di tre figure di profilo, 1495 circa, disegno, Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
Vecchio e giovane affrontati, 1495 circa, disegno, Milano, Biblioteca Trivulziana
Ritratti dei duchi di Milano con i figli, 1497, tempera e olio su parete, 90 cm circa di base ciascuno, Milano, Refettorio di Santa Maria delle Grazie
Schizzo di borsetta da signora, 1497, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Intrecci vegetali con frutti e monocromi di radici e rocce, 1498 circa, tempera su intonaco (ripassata in età moderna), Milano, Castello Sforzesco, Sala delle Asse
Periodo errabondo
Studio per il Ritratto d'Isabella d'Este, 1499 circa, disegno, Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
Ritratto di Isabella d'Este, 1500 circa, 63x46 cm, sanguigna e pastello su carta, Parigi, Louvre
Madonna dei Fusi, 1501 circa, olio su tavola trasferito su tela e incollato su tavola, 50,2x36,4 cm, New York, collezione privata
Madonna dei Fusi, 1501 circa, olio su tavola, 48,3x36,9 cm, già a Edimburgo, Drumlaring Castle, trafugato
Studio per la Vergine e sant'Anna, 1501 circa, disegno, Venezia, Galleria dell'Accademia
Studio per la Vergine e sant'Anna, 1501 circa, disegno, Parigi, Cabinet des Dessins
Cartone di sant'Anna, 1501-1505 circa, gessetto nero, biacca e sfumino su carta, 141,5x104,6, Londra, National Gallery
Bastione a stella con indicazione delle troniere rivolte verso un cavedio circolare, 1502-1503, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Piazzaforte poligonale, 1502-1503 circa, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Gioconda, 1503-1514, olio su tavola, 77x53 cm, Parigi, Louvre
Studio di proporzioni per la Battaglia di Anghiari: fanti e cavalieri, 1503-1504, disegno, Venezia, Galleria dell'Accademia
Studio della testa di un guerriero per la Battaglia d'Anghiari, 1504 circa, disegno, Budapest, Museo di Belle Arti
Battaglia di Anghiari, 1505 circa, pittura murale, Firenze, Palazzo Vecchio, Salone dei Cinquecento, perduto
Testa di Leda, 1505-1510 circa, gessetto rosso su carta preparata rossa, 20x15,7 cm, Milano, Castello Sforzesco
Leda col cigno, 1505-1510 circa (perduto, di esso ne furono fatte diverse copie da altri artisti)
Gli ultimi anni
Mirtillo palustre, 1506 circa, disegno, Castello di Windsor, Royal Library
Studio per il monumento al Maresciallo Trivulzio, 1507 circa, disegno, Castello di Windsor, Royal Library
Scapigliata, 1508 circa, ambra inverdita e biacca su tavola, 24,7x21 cm, Parma, Pinacoteca nazionale
Osservatore che guarda attraverso un modello vitreo di occhio umano, 1508-1509, disegno, Parigi, Bibliothèque de l'Institut de France
San Giovanni Battista, 1508-1513, olio su tavola, 69x57 cm, Parigi, Louvre
Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnellino, 1510-1513, olio su tavola, 168x112 cm, Parigi, Louvre
Bacco, 1510-1515, olio su tavola trasportato su tela, 177x115 cm, Parigi, Louvre
Caustiche di riflessione, 1510-1515, disegno, Londra, British Museum
Canale da navigare tra il lago di Lecco e il Lambro, 1513 circa, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Studi di geometria, 1513 circa, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Studi per Civitavecchia, 1514 circa, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Studio di tre figure danzanti, 1515 circa, disegno, Venezia, Galleria dell'Accademia
Autoritratto, 1515 circa, sanguigna su carta, 33,5x21,3 cm, Torino, Biblioteca Reale
Altri disegni di datazione incerta
Disegno di Madonna, Parigi, Cabinet des Dessins
Testa di bimbo, Parigi, Cabinet des Dessins
Giovane uomo, Parigi, Cabinet des Dessins
Testa di donna, Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
Studio di Madonna col Bambino, Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
Testa di Madonna, Castello di Windsor, Royal Library
Caricature, Venezia, Galleria dell'Accademia
Testa di vecchio, Venezia, Galleria dell'Accademia
Copie da originali perduti di Leonardo
Giovanni Antonio Boltraffio, Madonna Litta, 1490-1491, tempera su tavola, 42x33 cm, San Pietroburgo, Ermitage
Francesco Melzi?, Leda col cigno, 1505-1508 circa, olio e resine su tavola, 130x77,5 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi
Cesare da Sesto, Leda col cigno, 1515-1520 circa, tempera grassa su tavola, 112×86 cm, Roma, Galleria Borghese
Pieter Paul Rubens, Battaglia di Anghiari, disegno, Parigi, Louvre
Leonardo "esoterico"
Leonardo è sempre stato un personaggio avvolto da un alone di mistero, sia per la sua singolare personalità, sia per l'incredibile poliedricità dei suoi interessi, che suscitano ancora oggi curiosità[105]. Non mancano nel suo personaggio alcuni lati "oscuri", che possono suscitare incertezze e perplessità, come i metodi con cui riusciva a condurre le sue indagini anatomiche, o il suo approccio materiale e immanente, quasi agnostico, così anticipatore dei tempi[105]. A ciò va aggiunta la scrittura criptica da destra a sinistra e l'abitudine, per divertimento, di inventare frasi in codice, anagrammi e rebus[105].
Questi e altri elementi hanno costituito un immenso serbatoio da cui attingere per rileggere la sua vicenda umana, oltre che artistica e intellettuale, secondo nuove interpretazioni, a volte veri e propri travisamenti o strumentalizzazioni che poco hanno a che fare col senso autentico della sua complessa personalità[105]. Il caso più eclatante ed emblematico resta senz'altro il romanzo del Codice da Vinci di Dan Brown, col suo clamoroso successo editoriale e mediatico in tutto il mondo[105]. In esso, tra enigmi, omicidi e un fitto intreccio di storia, esoterismo, arte e teologia, si narra di un segreto sconvolgente per la Cristianità tramandato nei secoli da una sorta di società segreta, il Priorato di Sion, ma tenuto occulto dalle gerarchie ecclesiastiche e, negli ultimi tempi, dall'Opus Dei. Tale segreto riguarderebbe la natura umana di Cristo, il suo matrimonio con Maria Maddalena (simboleggiata essa stessa dal Santo Graal) e l'esistenza di una loro progenie. Tra fatti storici realmente avvenuto e altri di pura fantasia, si sostiene che Leonardo abbia rivestito la carica di Gran Maestro del Priorato, celando in alcune sue opere, tramite allusioni e messaggi in codice, una serie di riferimenti alla sua partecipazione attiva e al segreto[106].
Tra le varie opere scelte da Dan Brown ci sono la Gioconda e il Cenacolo: il primo nasconderebbe un autoritratto del pittore in vesti femminili, il secondo sarebbe una rappresentazione del "segreto", con san Giovanni che andrebbe identificato come la Maddalena[106]. Nonostante le infinite polemiche generate dal libro, per le discutibili ricostruzioni storiche e documentali e per gli ingenui errori iconografici, la curiosità e l'attenzione quasi maniacale generata su quasi tutto ciò che riguarda Leonardo ha avuto tutto sommato il merito di portare sotto i riflettori il genio di Vinci, con mostre, convegni, inchieste e documentari passati su tutti i media del mondo[106].
Leonardo e la Sacra Sindone
Secondo alcuni studiosi Leonardo sarebbe l'autore della Sacra Sindone. Per Vittoria Haziel, sarebbe stata disegnata usando un ferro arroventato su una tela antica, con un autoritratto per il volto. La tecnica, sempre secondo la Haziel, ricorda lo sfumato leonardesco [107]. La Haziel ha anche pubblicato, nel 1998, un libro al riguardo, "La Passione Secondo Leonardo"[108]. Anche un'artista USA, Lillian Schwartz, sostiene che la Sindone sia un autoritratto di Leonardo [109]. La Schwartz ha usato delle immagini computerizzate per sostenere la somiglianza della Sindone con gli autoritratti di Leonardo. La Schwartz è la pittrice che negli anni 1980 sostenne essere anche la Gioconda un autoritratto di Leonardo. Tuttavia secondo John Jackson, direttore di un centro studi sulla sacra sindone Stati Uniti, l'ipotesi del falso di Leonardo sarebbe infondato: egli sostiene infatti che esiste un medaglione commemorativo, risalente alla metà del XIV secolo, conservato al Museo di Cluny, per cui la prima notizia sulla sindone precederebbe di circa 100 anni la nascita di Leonardo [110]
Note
1.^ Antonio Falchi, Leonardo musicista, Società editrice Dante Alighieri, 1902. (ISBN non disponibile)
2.^ Mariangela Mazzocchi Doglio, Leonardo e gli spettacoli del suo tempo, Electa, 1983. pp.14-20. ISBN 884350956X
3.^ a b (EN) Emanuel Winternitz, Leonardo da Vinci as a Musician, Londra, 1982. ISBN 978-0300026313
4.^ a b c d e f g Magnano, cit. pag. 138.
5.^ Firenze, AdS, Notarile P 389 c, 105 t
6.^ Firenze, AdS, Catasto n. 795, c. 402-503.
7.^ a b c d e f g G. Vasari, Vite
8.^ a b Magnano, cit. pag. 10.
9.^ Magnano, cit. pag. 12.
10.^ a b c Magnano, cit. pag. 13.
11.^ Firenze, Accademia di Belle Arti, Libro Rosso A, 1472-1520, c 93 v
12.^ Scheda nel sito ufficiale del museo
13.^ a b c Magnano, cit. pag. 14.
14.^ Scheda nel sito ufficiale del museo
15.^ a b Magnano, cit. pag. 16.
16.^ a b c d Magnano, cit. pag. 17.
17.^ Alessandro Parronchi, Nuove proposte per Leonardo scultore, in "Achademia Leonardi Vinci" 2, 1989.
18.^ a b c d e Magnano, cit., pag. 18.
19.^ Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999, pag. 146. ISBN 88-451-7212-0
20.^ a b c d e f g Magnano, cit., pag. 139.
21.^ Si legge solo la fine di unn nome di mese "...bre".
22.^ Magnano, cit., pag. 19.
23.^ AA.VV., Galleria degli Uffizi, collana I Grandi Musei del Mondo, Roma 2003.
24.^ Qui l'Anonimo intende non la lira in uso nell'antichità, ma lo specifico strumento rinascimentale della lira da braccio
25.^ In Codice Atlantico, c 270 r
26.^ a b c d e f g Magnano, cit., pag. 20.
27.^ A. Ottino Dalla Chiesa in "L'opera completa di Leonardo da Vinci" CAR Rizzoli, vol. 12, 1967, scheda 15, pp. 92-95
28.^ Magnano, cit., pag. 21.
29.^ Magnano, cit., pag. 22.
30.^ Codice C, c 16 v.
31.^ a b c d e f g h Magnano, cit., pag. 23.
32.^ Codice I, c. B, 42 v
33.^ a b c d e Magnano, cit., pag. 144.
34.^ Firenze, Archivio di Stato, Carteggio mediceo.
35.^ a b c d Magnano, cit., pag. 24.
36.^ a b c Magnano, cit., pag. 25.
37.^ M. Bandello, Novelle, LVIII
38.^ a b c Magnano, cit., pag. 26.
39.^ Magnano, cit., pagg. 146-147.
40.^ Codice II, c 95 r
41.^ a b c Magnano, cit., pag. 27.
42.^ Magnano, cit., pagg. 140-141.
43.^ Magnano, cit., pag. 112.
44.^ a b c d e f g h i j k Magnano, cit., pag. 28.
45.^ Remarques sur la Joconde, cit. in Magnano, pag. 30.
46.^ Codice Atlantico b 71 v
47.^ Codice Arundel 272 r
48.^ Cit. in Magnano, pag. 144.
49.^ a b c d Magnano, cit., pag. 140.
50.^ Da Magnano.
51.^ Magnano, cit., pag. 141.
52.^ Magnano, cit., pag. 30.
53.^ a b c d e f g h i j Magnano, cit., pag. 31.
54.^ Codice Atlantico, c 192 v
55.^ Quaderno di Anatomia A, 9 v
56.^ Codice E, 1 r
57.^ Codice Atlantico, c 90 v, c 170 r, c 45 v
58.^ Codice Atlantico, c 92 c
59.^ Sull'attività romana di Leonardo, cfr E. Lavagnino, Leonardo a Roma, in «Leonardo da Vinci», Novara 1956.
60.^ Codice Atlantico, b 103 r
61.^ A, de Beatis, Relazione del viaggio del cardinale Luigi d'Aragona
62.^ Codice Atlantico, a 242 v
63.^ Giovanni Paolo Lomazzo, cit. in Magnano, pag. 144.
64.^ a b c d e f g Magnano, cit., pag. 145.
65.^ In L. Beltrami, Documenti e memorie riguardanti la vita di Leonardo. L'originale del testamento di Leonardo è andato perduto
66.^ Amboise, Registri del Capitolo reale di Saint-Florentin, in Hardouin, Cabinet de l'amateur
67.^ a b c Trattato della pittura, I, 3
68.^ Codice Atlantico b 117 r
69.^ Codice Atlantico a 119 v
70.^ Quaderno d'anatomia IV 10 r
71.^ Fogli di Anatomia A 31 v
72.^ Codice A 22 v
73.^ La fisica vinciana, in AA VV, Leonardo da Vinci, 1956
74.^ Quaderno d'anatomia I 13 v
75.^ Quaderno d'anatomia II 1 r
76.^ Anatomia B 11 r
77.^ a b c d ibidem
78.^ Codice G 1 v
79.^ Quaderno d'anatomia B 12 r
80.^ Codice C 26 v
81.^ Codice A 59 r v
82.^ Codice F 28 v
83.^ Codice Leicester 8 v
84.^ Codice F 52 v
85.^ Codice Atlantico c 61 r
86.^ Codice Atlantico a 370 v
87.^ Codice I 66 v
88.^ Codice Arundel 212 v
89.^ Codice Atlantico a 370 r
90.^ Viaggi, I
91.^ Si veda il paragrafo sull'Ultima Cena
92.^ Trattato della pittura, in Magnano, pag. 140.
93.^ a b Magnano, cit., pag. 146.
94.^ F. Flora, Storia della Letteratura italiana
95.^ Vite de' più eccellenti pittori [...]
96.^ G. P. Lomazzo, Idea del Tempio della pittura
97.^ Viaggio in Italia
98.^ Journal
99.^ Voyage en Italie
100.^ Die klassische Kunst
101.^ Léonard de Vinci
102.^ Considerazioni su Leonardo
103.^ Art et Humanisme à Florence au temps de Laurent le Magnifique
104.^ Storia dell'arte italiana, II
105.^ a b c d e Magnano, cit., pag. 147.
106.^ a b c Magnano, cit., pag. 148.
107.^ Così Leonardo creò la Sindone. corriere.it, 2 luglio 2009. URL consultato il 2009-07-03.
108.^ Vittoria Haziel, "La Passione Secondo Leonardo"Il genio di Vinci e la Sindone di Torino, Sperling & Kupfer, 1998. ISBN 9788820025649 - ISBN 8820025647
109.^ Was Turin Shroud faked by Leonardo da Vinci?. telegraph.co.uk, 1 luglio 2009. URL consultato il 2009-07-03.
110.^ SACRA SINDONE, FORSE AUTORITRATTO LEONARDO. ansa.it, 1 luglio 2009. URL consultato il 2009-07-03.
Bibliografia
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A. de Beatis, Relazione del viaggio del cardinale Luigi d'Aragona, Freiburg 1905.
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Bibliografia vinciana, Bologna 1931.
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Francesco Flora, Storia della Letteratura italiana, II, Milano 1947
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G. Bologna, Leonardo a Milano, Novara 1982
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M. Kemp, Leonardo, Torino 2005.
Mark Elling Rosheim, Leonardo's Lost Robots, Springer 2006. ISBN 3-540-28440-0
P.C. Marani (a cura di) Leonardo. Dagli studi di proporzioni al Trattato della pittura, catalogo della mostra (Milano 2007-2008), Milano 2007.
Milena Magnano, Leonardo, collana I Geni dell'arte, Mondadori Arte, Milano 2007. ISBN 978-88-370-6432-7
Carlo Pedretti, Leonardo & io, Mondadori 2008. ISBN 978-88-04-56005-0
Voci correlate
Leonardo da Vinci in un monumento posto in piazza della Scala a Milano, di fronte all'omonimo teatro. Luoghi:
Castello di Clos-Lucé
Persone [modifica]
Andrea del Verrocchio
Giorgio Vasari
Ludovico il Moro
Giampietrino
Gian Giacomo Caprotti
Giovanni Antonio Boltraffio
Correnti artistiche [modifica]
Leonardeschi
Rinascimento italiano
Rinascimento fiorentino
Rinascimento lombardo
Maniera moderna
Altro [modifica]
Codici di Leonardo da Vinci
Trattato della pittura
Camera oscura leonardiana
Automa cavaliere
Omaggi [modifica]
3000 Leonardo, asteroide della fascia principale a lui dedicato
Da Vinci, cratere lunare a lui dedicato
Da Vinci, cratere marziano a lui dedicato
Collegamenti esterni
Di carattere generale:
(EN) Biografia in MacTutor
(IT, EN) Leonardo3 Official Website 2009
Leonardo da Vinci nel sito del Museo Nazione della Scienza e della Tecnologia
(IT, EN) La mente di Leonardo - Nel laboratorio del genio universale
(EN) Homepage dedicata a Leonardo dalla BB
(EN) Il progetto del ponte di Leonardo
(EN) Il cavallo di Leonardo
I codici di Leonardo
(EN) Disegni di Leonardo
(IT, DE, EN) Uomo Vitruviano
(EN) Alcuni appunti di Leonardo digitalizzati dal Progetto Gutenberg
(EN) Alcuni appunti di Leonardo digitalizzati dalla British Library
O P E R E:
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ULTIMA CENA (Dopo il Restauro) LA VERGINE COL BAMBINO E SANT'ANNA LA VERGINE COL BAMBINO E SANT'ANNA (dettaglio) MADONNA COL GAROFANO MADONNA COL BAMBINO CON MELOGRANO MADONNA CON L'ARCOLAIO (...o dei Fusi...) LA VERGINE DELLE ROCCE (1506) Madonna Benois (1475) MADONNA LITTA (1490) San Giovanni Battista (1513) Il battesimo di Cristo (1485) Adorazione dei Magi (1481) LA GIOVANE DAMA La belle Ferronière (1490) Donna con ermellino (1485) GINEVRA DE' BENCI RITRATTO DI MUSICISTA (1485) SAN GERONIMO (1480) LA BATTAGLIA D'ANGHIARI (1503) - Dettaglio LA BATTAGLIA D'ANGHIARI 2 (1503) - Dettaglio LEDA (1530) LEDA E IL CIGNO (1510) LEDA E IL CIGNO (1508) SAN GIOVANNI BATTISTA NELLA SELVA - (1510) - {Bacco} <°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°> COME ARRIVARE A VINCI, PAESE NATALE DI LEONARDO: http://www.fototoscana.it/mostra-gallery.asp?nomegallery=vinci http://maps.google.it/maps?hl=it&tab=wl MAPPA GOOGLE In auto: - Da Milano - Roma : Autostrada del sole A1 uscita al casello Firenze - Signa. Prendere superstrada (S.G.C) FI - PI - LI , con uscita ad Empoli - Est, poi seguire le indicazioni per Vinci. - Da Firenze, seguire la SS67 fino a Empoli, seguire poi le indicazioni per Vinci. - Da Pisa: Prendere superstrada (S.G.C) FI - PI - LI con uscita ad Empoli - Est, poi seguire le indicazioni per Vinci. In treno: La stazione ferroviaria più vicina a Vinci è quella di Empoli (9,5 km), posta sulla linea diretta per Pisa, Siena e Versilia che offre il collegamento diretto per gli Aeroporti di Firenze e Pisa con collegamenti ogni ora e per Firenze città ogni 30 minuti In autobus: Da Empoli ogni ora circa, parte un autobus per Vinci. In aereo: Distanze dai principali Aeroporti: Aeroporto Pisa "Galileo Galilei" distanza 40 km collegato tramite superstrada Firenze - Pisa - Livorno Aeroporto Firenze "Amerigo Vespucci" distanza 30 km collegato tramite superstrada Firenze - Pisa - Livorno Aeroporti Milano Malpensa e Milano Linate distanza 250 km circa. Aeroporti Roma Fiumicino e Roma Ciampino distanza 250 km circa. Map data ©2010 Tele Atlas - Termini e condizioni d'usoVinci mappa (nella mappa: dclick sinistro=zoom in, dclick destro=zoom out) Vinci, Rocca Conti Guidi Cenni storici su Vinci Pur essendo un piccolo borgo raccolto attorno alla Rocca dei Conti Guidi, Vinci ha partecipato alle glorie ed alle battaglie di Firenze per la conquista del territorio, prima di essere, come lo stesso Granducato di Toscana, riunita al Regno d'Italia. Ma le glorie storiche sono passate in second'ordine con la nascita di Leonardo che, affiancando il suo nome a quello del paese natale, ha fatto conoscere Vinci nel mondo. Nella rocca dei conti Guidi ha sede il Museo Leonardiano, la biblioteca con opere rare sulla vita di Leonardo. Nella cantina del castello la galleria privata "Museo Ideale Leonardo da Vinci di Arte, Utopia e Cultura della terra" raccogliere antichi strumenti agricoli e conserva molto materiale proveniente da mostre su Leonardo. La casa di Leonardo da Vinci A circa due chilometri da Vinci, in mezzo agli ulivi ed affacciata sulla campagna, si trova quella che è considerata la casa natale di Leonardo. L'antica abitazione di Leonardo è una povera casa di contadini ferma nell'atmosfera sonnolenta e tranquilla che non è cambiata da secoli. Vinci, Viale d'accesso alla casa di Leonardo Museo di Leonardo - Macchina da Guerra Museo di Leonardo da Vinci Entro le mura medievali di Vinci, all’interno del castello Guidi (sec. XI-XII), il Museo Leonardiano conserva bellissimi modelli di macchine realizzati su famosi disegni di Leonardo, inventore, tecnologo ed ingegnere. I modelli presentati sono corredati da immagini tratte da dipinti e manoscritti d'epoca, riferimenti e ricostruzioni digitali che mostrano il funzionamento delle macchine. Sorprendente la visione della grande ala battente ed il maestoso modello funzionante in scala 1:2 della gru realizzata per completare la cuspide della cupola di Santa Maria del Fiore. Museo di Leonardo da Vinci Oltre i disegni e le interessanti macchine di Leonardo, il Museo dispone di una grande sala didattica per la realizzazione di programmi educativi. All'interno della torre c'è una sala video con 25 posti a sedere che consente la proiezione su richiesta di video sulla vita, le opere ed i luoghi di Leonardo. Museo di Leonardo - Macchina per tirare Vinci - Il Cavallo di Leonardo Il cavallo di Leonardo da Vinci Nel centro della Piazza della Libertà di Vinci, fa bella mostra di sè un grande cavallo di bronzo, realizzato dalla scultrice Nina Akamu, utilizzando gli studi ed i disegni fatti da Leonardo per il progetto, mai portato a termine, di una colossale statua di Francesco Sforza. Cosa vedere nei dintorni di Vinci Dopo aver visitato Vinci, dove a fine luglio si tiene una bella Festa Folkloristica a chiusura della quale viene rievocato il "Volo di Cecco Santi" dall'alto della torre della rocca, non resta che fare un giro nei dintorni per visitare casali e cantine che offrono ottimo vino Chianti D.o.c.g. e specialissimo Olio extravergine d'oliva prodotti al piano e sui terrazzamenti che salgono verso il Montalbano. LEONARDO DA VINCI: I DISEGNI AUTORITRATTO (1512)
U O M O V I T R U V I A N O (1492)
TESTA DI UOMO (1503) PROFILO DI UN VECCHIO MISURE DELLA TESTA E CAVALIERE (1490) VECCHIO UOMO (1503) TESTA FEMMINILE (1508) TESTA DI LEDA (1503)
STUDIO DI BAMBINO (1508)
LEDA E IL CIGNO (1506) TESTA GROTTESCA (1500) STUDIO PER L'ULTIMA CENA (1495) GUERRIERO CON ELMETTO (1472) STUDIO PER L'ULTIMA CENA - GIUDA (1495) VECCHIO UOMO CON GIOVANE DONNA (1495) DISEGNI ANATOMICI STUDIO CON GATTI, DRAGONI E ALTRI ANIMALI (1513) STUDIO PER L'ULTIMA CENA (1494) STUDIO DI BATTAGLIE A CAVALLO (1503) STUDI ANATOMICI DELLA SPALLA (1510) STUDIO DI CAVALLI (1504) STUDIO DI GAMBE D'UOMO E DI CAVALLO (1506) STUDIO DEL BUSTO E BRACCIA CINQUE CARICATURE (1490) ISABELLA D'ESTE (1500) |
STUDIO DI CINQUE TESTE GROTTESCHE (1494)
STUDIO DELLE MANI (1474)
STUDIO DELLA MADONNA COL BAMBINO E SANT'ANNA (1503)
VECCHIO SEDUTO
NETTUNO
DISEGNO DI UN CARRO DA BATTAGLIA
ALLEGORIA COL LUPO E L'AQUILA (1516)
PANORAMA DELL'ARNO (1473)
VOLTO DI GESU' (1494)
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je continuerais.wmv
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Je continuerai à croire, même si tout le monde perd espoir. Je continuerai à aimer, même si les autres distillent la haine . Je continuerai à construire, même si les autres
détruisent. Je continuerai à parler de paix, même au milieu d'une guerre….
Alexander
IO CONTINUERO’!
IO CONTINUERO’ A CREDERE, QUANDO TUTTO IL MONDO AVRA’ PERSO OGNI SPERANZA. IO CONTINUERO’AD AMARE, QUANDO GLI ALTRI DISTILLERANNO ODIO. IO CONTINUERO’ A COSTRUIRE, QUANDO GLI ALTRI DISTRUGGERANNO. IO CONTINUERO’ A PARLARE DI PACE, QUANDO SARO’ NEL MEZZO AD UNA GUERRA…
Alessandro
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