lunedì 18 marzo 2013

"La Scienza dello Spirito" di Tiziano Bellucci

 

 

Riflessioni sull'Antroposofia

La Scienza dello Spirito

di Tiziano Bellucci

 

In questa rubrica vengono esposti contenuti elaborati secondo la concezione antroposofica del mondo.  L'antroposofia è una "scienza spirituale"  fondata da Rudolf Steiner.

È un tentativo di investigare e descrivere fenomeni spirituali per mezzo della "osservazione animica mediante metodo scientifico".

La ricerca antroposofica tenta di investigare e descrivere un mondo spirituale che, come cerca di dimostrare, risiede al di là del mondo dei sensi umani e delle esperienze, e ambisce a raggiungere la stessa precisione e chiarezza dell'approccio scientifico delle scienze naturali nell'investigazione e descrizione del mondo fisico.

Le massime di base dell'antroposofia:

  1. Al di là della percezione sensoriale esiste una realtà invisibile che chiamiamo mondo spirituale

  2. L'uomo stesso è costituito di parti che sono invisibili ai sensi fisici

  3. Esiste una vita tra nascita e morte e una vita tra morte e rinascita (reincarnazione e karma)

  4. Il mondo fisico ha anch'esso una costituzione occulta ed è soggetto a morte e rinascita (evoluzione del mondo)

  5. Esiste una via per conseguire la visione di queste realtà (cammino iniziatico)

  6. Il tema centrale della storia umana è la venuta e l'azione dell’entità solare denominata “Logos”, Cristo

  7. Esiste un momento storico situato nel futuro, in cui umanità è destinata a superare la sua condizione fisica per penetrare in un nuovo stadio evolutivo, privo di materia fisica

   Tiziano Bellucci

 

Esercizio della concentrazione   Marzo 2013

 

L’esercizio della concentrazione è il fondamento da cui parte ogni pratica occulta: è la condizione indispensabile per attuare la trasposizione della coscienza di veglia in stati superiori della coscienza.  Senza il pieno possesso della tecnica della concentrazione, che conduce all’esperienza del pensiero libero dai sensi, non vi è meditazione, preghiera o atto cultico che non sia soggetto a pericoli per l’anima e per il corpo: tuttavia, nel migliore dei casi, ogni pratica sarà puro tempo perso.

 

Si tratta di creare silenzio nella coscienza, facendo astrazione da ogni percezione disturbatrice esteriore e interiore, per evocare nella coscienza un oggetto prodotto dall’uomo, descrivendo a sè stessi l’aspetto e la funzione dell’oggetto, sino a condensare il tutto in una specie di immagine di sintesi. Dopodiché tale immagine va tenuta davanti alla coscienza per almeno 3 minuti, avendo cura di non voler vedere altro che quella.

 

In altri termini, si deve tendere a voler pensare univocamente un semplice concetto relativo ad un dato ente, affinché esso si muova vivo nella coscienza: dopodiché tutto il pensiero suscitato deve venire riassunto in una singola immagine simbolica e osservato come se fosse un oggetto esterno: ciò che prima si era voluto pensare, lo si deve ora volere vedere. Vale da dire: smettere di pensare il pensiero, per volgersi ad osservarlo.

Ogni disciplina esoterica preparatoria antica o moderna, in realtà tende a questo scopo: far sperimentare al discepolo la Forza grazie alla quale si formano nella sua coscienza i concetti.

Tutte le ascesi esoteriche si fondano sulla capacità di imparare a conoscere e quindi a vedere la forza del Pensiero come una forza impersonale, indipendente dall’organismo psico-fisico nel quale si è normalmente identificati: come un substrato energetico, o meglio un’Entità autonoma esistente fuori dall’uomo, poggiante su se stessa.

Si tratta di pervenire all’esperienza delle proprie forze di coscienza di atto.

Il giusto atteggiamento per iniziare l’esercizio della concentrazione è quello di un aspirante musicista, che si sedesse al pianoforte per imparare a suonare.

L’esercizio è costituito di 2 fasi: costruzione analitica delle immagini; contemplazione della loro sintesi.

 

1° FASE: costruzione delle immagini

Forma e colore – origine dell’oggetto - Costruzione dell’oggetto – funzione e applicazione

 

Dapprima la rappresentazione dell’oggetto viene formata e descritta dalla memoria, anche se ciò che è stato già pensato nell’esercizio di ieri non dovrebbe essere ripetuto meccanicamente a memoria, perché ciò non sarebbe più pensare.

Il pensare dovrebbe attuarsi assolutamente nel presente, e ogni volta in forme nuove, con intensità uniforme. Ricordare ciò che è stato pensato ieri non è pensare attivo, ma passivo; sopratutto non è creativo. Si può pensare lo stesso oggetto ogni giorno, senza rappresentarselo allo stesso modo. Ogni esercizio deve essere un’occasione per inventarsi ogni giorno un modo nuovo per illustrare un medesimo oggetto.

Dapprima serve molto materiale rappresentativo per immergersi nel tema, poi piano piano l’area del tema diventa sempre più piccola. Accade da sé. Il pensare si attiva e si avverte di essere padroni nel proprio mondo di rappresentazione; comincia a vivere. Non è più faticoso rimanere concentrati quanto lo era invece prima, diviene quasi spontaneo quello stato, piacevole. E’ uno stato in cui si avverte una lucidità senza uguali, in cui le preoccupazioni e i pensieri abituali non penetrano, non si insidiano per loro volontà. Accade un’unificazione fra pensare e volere.

Diventa un gioco. Un piacevole gioco mentale. Sorge una piena felicità; ogni cosa che si pensa diventa spontanea. Non si deve più sforzarsi a pensare, ma il pensare avviene in modo semplice e naturale. Questo stato non può essere mantenuto in modo costante o permanente, e non deve diventare un’occasione in cui bearsi, come giunti ad una fase di liberazione conseguita. Sarebbe una distrazione. Deve esistere solo il tema, di nuovo; non si deve dimenticare il tema per considerare la propria beatitudine o alla propria leggerezza. Il tema è l’ideale, non il successo o l’insuccesso dell’esercizio. Anche il pensare le istruzioni per eseguire l’esercizio è distrazione.

Successivamente, il cerchio su qui muoviamo il tema deve diventare più piccolo da solo, non lo si deve diminuire volontariamente. Deve spontaneamente avvenire che il pensare diventi più intenso e più lento. Si deve smettere di pensare con le parole. Più si pensa in immagini, più il pensare si intensifica, basandosi sempre meno su se stesso.

E’ utile annotare (finito l’esercizio) ogni ulteriore intuizione riguardante la tecnica, che sopravvenga durante l’esercizio.

Pensare le immagini senza usare troppe parole significa aver conseguito rettamente un buon grado di concentrazione.

 2° FASE: contemplazione della sintesi delle immagini; intuire l’idea.

Si tratta in tale fase di scorgere la pura idea o concetto puro dell’oggetto.

Non si deve cercare una rappresentazione o un immagine di questo, ma di ricercare “l’elemento comune” a cui ci siamo riferiti per poter attuare il lavoro di costruzione rappresentativa precedente.

Occorre attendere che si riduca spontaneamente il cerchio (la quantità) delle rappresentazioni create.

Dopo aver pensato l’origine, la costruzione, l’uso e la funzione dell’oggetto inizierà la seconda fase: quando produrremo molte possibili versioni dell’oggetto, secondo le varie forme che possa apparire. Per far questo dovremo riferirci a un elemento comune che percorre le singole differenti forme. Solo questo elemento comune ci da la possibilità e il diritto di poter creare i singoli oggetti diversi.

D’ora in poi questo “riferimento” ideale, o elemento comune, diventa il tema della concentrazione.

La particolarità di questa “idea” è che completamente trasparente al pensare; non si sostanzia in una forma o un immagine, ma appare simile alla sensazione che si trae di fronte ad una formula matematica o una figura geometrica.

Un’altra particolarità è che non è mai finita. Non essendo conchiusa in una forma, non si percepisce l’inizio e la sua fine.

E’ diversa da una rappresentazione: quest’ultima viene richiamata e prelevata dalla memoria, tramite uno sforzo volitivo e dopodiché può essere osservata. Qui invece non è chiesto né sforzo produttivo, né mnemonico. Essa viene recepita come un “quid” che era presente anche durante il processo di costruzione, essendo l’elemento di riferimento tramite cui ciò si è reso possibile: soltanto che non era consciamente sperimentabile.

La si avverte come un flusso, una corrente in movimento, una luce, una musica.

In questo attimo, il tema e il pensare sono uniti. Non esiste tema al di fuori del pensare. Il pensare stesso è tema e idea. Concentrandosi su tale tema-idea, si può dire che si osserva la propria attività pensante.

Non ci dovrebbe essere nulla da osservare. Al  momento opportuno sorge da sé la sensazione che è in atto un’esperienza di sperimentazione cosciente del proprio pensare, che si sta vivendo il processo pensante. E’ osservazione solo in senso figurato: non si vive un “dentro” e un “fuori”. Non vi è oggetto. L’oggetto coincide con il soggetto. La coscienza ottenuta esiste accanto al pensare. Essa è la fonte stessa del pensare, il vero io sono. Appare il Sé umano. Un essere sovrasensibile.

Quando si attua in noi la consapevolezza di aver attuato in noi questo stato, si può prendere in esame un tema più universale, come quello di triangolo o cerchio. Anche se è bene proseguire con il tema iniziale.

Si potrebbe anche dire che il lavoro di costruzione precedente è stato solo un pretesto per poter conseguire questo stato o fase; da questo punto in poi si può eleggere qualsiasi altro tema, da cui partire per avviare o una contemplazione su idea universale (forme geometriche o frasi mantriche) o una meditazione su un sentimento oggettivo (fratellanza, giustizia, gioia).

La seconda fase è assai più suscettibile di distrazione, poiché in essa il tema esiste solo grazie alla nostra propria attività. Non vi sono immagini, ma solo riferimenti ideali. Non vi sono elementi concreti. E’ una fase di conoscenza non-mediata.

Con l’apparire della coscienza del Sé, i sentimenti egoici diventano più superflui. I sentimenti si liberano, poiché l’io non ha bisogno di nulla per affermare se stesso.

L’ego si sente, mentre invece l’io è.

L’ego ha bisogno di esprimere se stesso tramite pensieri, sentimenti, azioni, per soddisfare le sue ambizioni, per affermarsi, mentre l’io non pensa, non sente, non vuole: è semplicemente qui, è tutto, non gli serve e non desidera nulla perché ha tutto in sé, è tutto.

L’ego si regge sul bisogno di autoaffermazione avvalendosi di cose a lui esterne; l’io non ha bisogno di nulla, perché contiene tutto.

 

Difficoltà

Se durante la concentrazione la coscienza cade in uno semi sognante, è bene interrompere l’esercizio perchè è richiesto invece uno stato pienamente lucido e cosciente.

Può accadere anche che l’oggetto evocato cominci ad animarsi; ciò non è buon segno, perché significa che esso ha assunto un aspetto indipendente, ossia è “mosso” da qualcun’altro che è esterno alla nostra volontà. Ogni cosa che creata da noi, nell’esercizio, deve essere completamente sotto nostro dominio.

Qualora la concentrazione non si realizzi, ma ci si distragga spesso, può essere utili raccontare a voce sussurrata i pensieri che solitamente vengono elaborati mentalmente, come se volessimo raccontarli ad un’altra persona.

 

Tiziano Bellucci

 

Amare senza desiderare: una mèta umana   Febbraio 2013

 

Noi umani viviamo come occultati in un incantesimo, che ci nasconde la reale natura della condizione in cui viviamo.

La scienza dello spirito ci dice che se potessimo vederci con gli “occhi dello spirito” vedremmo che noi umani non siamo separati gli uni dagli altri e che come spiriti viviamo in una completa unità, in una compenetrazione assoluta.

La realtà della nostra vita ci appare frammentata in percezione e concetto, soggetto e oggetto come due cose distinte, divise.

In sé la natura, le nostre entità non sono separate, ma parte di un unico corpo, di un'unica entità.

E’ solo a causa della strutturazione della nostra coscienza che tutto appare duale, disunito: l’anima è fatta in modo da farci sperimentare una “separazione”, una distinzione fra i corpi: io sono qui, lui è là. Ed è anche un bene che sia così: non d’un tratto ci si affacciasse la reale condizione in cui siamo posti (condizione che viviamo durante lo stato di sonno e dopo la morte) ci scopriremmo parte di una realtà “marina” in cui come onde viviamo gli uni negli altri, senza possibilità di poterci afferrare in un nucleo individuale, perché di continuo, immergendoci nell’ambiente e negli altri, saremmo di continuo trasformati in ciò che attraversiamo. Saremmo soggetti ad una continua e perenne metamorfosi: diventeremmo sempre qualcosa di altro rispetto noi stessi.

La saggia natura corporea ci ha posta quindi in un “incantesimo benedetto” entro il quale dobbiamo vivere l’illusione di essere separati.

Questo genera la particolare stato di coscienza umano: ma è anche la base su cui si origina ogni sofferenza, nostalgia e malinconia.

L’umano appare come un “eterno insoddisfatto” perché mancandogli di continuo la coscienza dell’unità con il mondo e gli altri, tenta di sopperire a questa tramite artificiosi sotterfugi.

Soprattutto nei sentimenti.

L’umano desidera una compagna e la vorrebbe legare a sè per sempre, compiendo un assurdo: vorrebbe compiere un unione, una saldatura che è invece già realizzata dall’eternità: ella è già legata a lui, essendo parte dell’universo dove entrambi ne sono un particella costitutiva.

Di certo l’ambizione di “fare dei due una carne sola” è una meta che appartiene di più ad un processo che deve compiere la coscienza, che non un fatto fisico. Anche se nei corpi è incantato il “presentimento” di una possibilità di afferrare questa unione occulta: presentimento che  si invera  “facendo l’amore” perché esso è uno dei pochi momenti in cui l’unità di cui si è accennato sinora, si realizza e diviene un fatto reale esperibile da entrambi. Ci si sente “uno”.

“L’io che si identifica con la sua forma terrestre sente come propria, la separazione fra lui e l’altro, e soffre la nostalgia dell’unità con l’altro, che invece nel suo intimo già possiede.  La ravvisa, ove la forma bramata dell’altro possa risalire al vero essere, che è il suo essere: il suo io.  L’io spirituale è uno con la realtà dell’altro, ma di ciò non se ne ha mai coscienza. L’atto sessuale sembra realisticamente ripristinate tale unità: ma ciò è soltanto il gioco della luce riflessa suscitato dal gioco della forma astratta.

Nell’atto sessuale con l’altro, sorge la sensazione di beatitudine, perché in esso vi è la condizione  tramite cui si attua una proiezione sensibile di ciò che invece è una realtà compiuta nel mondo spirituale.  L’anima cerca mediante il corpo ciò che è suo da una remota infinità, o da un  tempo originario; lo fa però tendendo verso l’esterno, ignorando che l’altro è già dentro di lei”.

L’atto sessuale è l’illusa, tentata immersione dell’io nell’altro io”.

Tuttavia al principio, si deve cercare se stessi attraverso l’altro: altrimenti non avrebbe senso la vita sociale e di coppia. Si deve amare l’altro per divenire capaci di trovare l’amore in se stessi. Il contrario è quasi impossibile. L’umano è sostanza di amore: ma quell’amore deve passare attraverso l’imbuto dell’egoismo e scadere nella materia, per ridiventare un amore divino. La cosa fondamentale che deve e doveva essere coltivata affinché sorgesse nell’uomo una retta capacità di amare non poteva essere altro che lo sviluppo della sua piena autocoscienza. Portatore del vero amore non può essere nient’altro che un io indipendente che sperimenta l’essenza dell’egoismo gradualmente, di incarnazione in incarnazione. Può nascere la massima capacità di amare solo se si conosce e si sperimenta il suo contrario: l’odio e l’egoismo. E questo poteva solo succedere su un pianeta predisposto: la Terra. Solo un amore divenuto egoista, quindi un amore prigioniero delle sue brame e passioni, può risorgere come amore libero, che ama senza desiderare. Che è la mèta dell’uomo.

Vi è bisogno di amore. Di tenerezza e di calore. Non attraverso la sola conoscenza e l’astrattezza dei concetti realizzeremo il progetto divino. Ma attraverso la reale pratica d’amore. Che è sempre più tendere a “com-prendersi”, ad accettare ad accogliere l’altro come un essere che come noi, ha i nostri stessi desideri. In realtà non vi umano che non abbia bisogno d’amore e non voglia amare, come noi: soltanto che non lo sa ancora. Si tratta soltanto di accorgersene. E di cominciare ad incontrarci su questo piano. Ora.

 

Tiziano Bellucci

 

 

 

La conoscenza, il perfezionamento di sé e il destino in anticipo   Gennaio 2013

 

Apprendere, acquisire conoscenza significa divenire sempre più consapevoli e più partecipi dello stato delle cose riguardo il senso della vita e la missione dell’uomo sulla terra.

Qui per “conoscenza“ non si intendono le nozioni scientifiche, ma le rivelazioni provenienti da indagini chiaroveggenti di individui predisposti.

Più conosco e più mi si “svela” il mondo, i suoi esseri e i suoi propositi. Più apprendo è più vengo a sapere cosa devo fare e cosa non devo fare: che cosa si attende da me il cosmo. Mi si rivela il mio ruolo nell’economia universale come essere umano.

Al contempo tramite il conoscere mi vengono messe a disposizione soluzioni, giuste indicazioni per come operare in modo retto, sano e fecondo nel mondo.

Se eseguo in modo corretto quelle indicazioni (che spesso implicano una “modificazione” morale di me stesso) allora opero nel mondo e contribuisco al divenire: tutto sarebbe in armonia.

Ma cosa accade se pur conoscendo cosa non mi è utile, cosa “non è bene che io faccia” io faccio il contrario? Pur sapendo che la linea generale è “smettere di far quel che mi pare” per adempiere invece ai propositi che sono scritti nel mio destino, cosa accade se io mi abbandono ai miei utilitarismi, rinnegando i qualche modo la conoscenza e la mia coscienza?

Accade un fatto sconveniente.

Di solito un iniziato, sa che “per ogni passo verso la conoscenza deve fare tre passi verso i perfezionamento di se stesso” : conoscere significa “moralizzarsi”, ossia diventare individui eticamente responsabili di tutto.

Un iniziato è un individuo che precorre nel tempo l’intera umanità: compie in una vita ciò che la globalità degli uomini realizzerà in millenni. Acquisisce doti e facoltà interiori, poteri spirituali che sono conseguibili solo a mezzo di una severa disciplina occulta.

Questo comporta che, anticipando il suo futuro e quello dell’umanità debba trovarsi davanti anche quegli eventi, quegli incontri del destino che si sarebbero svolti solo in un lontano futuro, in vite future. In altri termini egli si trova in una sola vita a far fronte a “risolvere” legami di destino che forse avrebbe potuto o dovuto adempiere solo in tante vite. “Molti colpi di destino “ gli arrivano: viene investito da molti effetti karmici che come attratti da una calamita si precipitano verso lui. Solitamente tali “effetti karmici” si presentano come eventi dolorosi.  Solitamente l’iniziato è dotato di potenti forze per far fronte a ciò: in altre parole, la sua iniziazione è connessa con il suo karma. Egli si dedica al propri perfezionamento, affinchè in lui si generino forze capaci di affrontare il destino in modo adeguato e di risolverlo. Solo se “diventa un essere perfetto, morale e giusto”, risolvendo, perdonando e amando può conseguire le sue doti e al contempo “liberarsi dal suo destino”.

Cosa accade invece se un uomo comune, non sottoposto a discipline, non dotato di enormi forze di compassione e di perdono, e quindi per nulla motivato ad essere “saggio ed elevato”, cosa succede se si dedica allo studio, al conoscere tanto da “riempirsi” di infinite rivelazioni spirituali?

Ciò che avrebbe dovuto conoscere per via naturale in tante vite lo viene a conoscere in una vita: il suo livello di consapevolezza cresce e pur conoscendo nulla, non fa nulla per migliorarsi.

Accade che come all’iniziato il crescere di conoscenza e consapevolezza, accresce il carico del suo destino, che gli viene incontro, travolgendolo. Incidenti, scontri, malattie, liti e discussioni di tante vite, arrivano in una sola vita e reclamano di essere risolti in modo impellente, ora. L’individuo incapace di gestire tale impeto, privo di forze e protezioni è destinato a soccombere.

Questo è il pericolo del tempo odierno.

Siamo circondati da libri, individui che in poco tempo e parole semplici senza richiedere all’uditori il minimo sforzo (spesso viene chiesto denaro) donano la conoscenza occulta: essa viene diffusa. Si ricevono “iniziazioni in un week end” o per corrispondenza.

All’individuo vengo rivelati dati fatti occulti, che lo destano e lo potenziano, senza affiancare al sapere una appropriata disciplina interiore compensatrice.

Ovunque veniamo bombardati da nozioni occulte: ogni “saggezza” acquisita senza sforzo, senza metterla in pratica reale comporta “attirare” destino futuro in questa vita. Senza esserne consapevoli, accrescendo la nostra conoscenza ci assumiamo la responsabilità di impegnarci a far fonte giù da ora a grosse preoccupazioni di destino.

Conoscere significa attivare un anticipazione di destino.

Qui, non si vuole dire che occorre"smettere di conoscere": ma piuttosto avvisare dell'effetto che "ingenue" nozioni o "leggeri" insegnamenti possono fare sul carico di vita umano.

Vi sono cose che agiscono ed esistono anche se non vi crediamo.

Conoscendo, ci si responsabilizza senza saperlo.

Se decidiamo di conoscere, cerchiamo dunque di farlo armandoci delle qualità morali adeguate al contrappeso che ci verrà richiesto.

 

Tiziano Bellucci

 

 

Il ruolo del maschile e del femminile per il Divenire della terra   Dicembre 2012

 

La donna in un tempo antico aveva un rapporto diretto con le entità dell’universo. Aveva un ruolo di “ponte” fra la materia e lo spirito. Riceveva dallo spirito le ispirazioni, le direttive dal mondo sovrasensibile: le cosiddette “muse”, indovine erano donne chiaroveggenti che effondevano nell’umanità bellezza e creatività. Attraverso la donna si è creata tutta la conoscenza religiosa del passato, tutta la tendenza verso il bello e il buono. Erano le donne che trasmettevano all’umanità dei primordi la direzione morale attingendola direttamente dalle regioni superiori spirituali.

Dal quarto secolo A. C. (in Grecia, Egitto, Roma) avvenne un cambiamento: nel maschio fluirono potenti forze di razionalismo che andarono a sostituirsi all’azione ispiratrice del mondo femminile. L’umanità smise di venire ispirata dalle donne, e cominciò a diventare “razionale”. Perse il contatto con il divino, la guida saggia delle femmine, per venire addestrata dalla mente maschile. Il materialismo cominciò a diffondersi. Da quel momento avvenne anche la “discesa” sociale della donna, la quale venne accantonata, disprezzata, violentata moralmente, fisicamente  e associata impropriamente a forze oscure (vedi streghe medievali). La donna cominciò a subire la supremazia del maschio e smarrì la connessione con il divino. Venne a scadere sia socialmente, che spiritualmente. Perse le sue facoltà a causa dell’oppressione maschile.

Il materialismo fu un fatto necessario per l’individuazione del singolo, che deve però essere superato. Doveva venire reciso a mezzo dell’uomo il legame con il mondo spirituale, affinchè si potesse poi rifondarlo su una base nuova, cosciente. Se l’umanità avesse continuato ad essere condotta da un mondo spirituale che operava tramite il femminile, l’umano non avrebbe mai potuto conseguire l’individualità, sarebbe stato un essere guidato dal mondo celeste in modo automatico.

Oggigiorno dobbiamo essere capaci di compiere grandi gesti: atti eroici, soprattutto interiormente.

Essere capaci di vedere la passata sottomissione della donna come una “fase” dettata da una precisa volontà superiore di fare sprofondare l’umanità nel materialismo, richiede una grande spregiudicatezza.

 

Parlare di “necessità” del maschilismo è indubbiamente qualcosa di infame.

 

Ma pensare che doveva “necessariamente” interrompersi quell’antico “matriarcato” spirituale in cui la Saggezza del mondo spirituale dominava l’umanità come rigida “genitrice” rende tutto plausibile.

 

La Madre del cosmo, istruiva l’umanità attraverso il mondo femminile, il quale riportava tali leggi e direttive entro il consorzio umano. Questo era in realtà il “matriarcato”: l’edificazione e la conduzione della coscienza morale umana secondo indicazioni provenienti dal mondo spirituale. Una “educazione” occulta, tramite il femminile.

 

L’avvento del “Patriarcato” interruppe la comunicazione e la possibilità di venire addestrati dal cosmo spirituale. L’uomo divenne libero dalle leggi divine, ma anche più solo, abbandonato a se stesso. Tale solitudine lo spinse a cercare simulacri di Dèi nel mondo fisico. Il materialismo, la soddisfazione di sé tramite beni materiali, soppiantò l’antica guida del cosmo femminile.

 

L’umanità doveva arrivare ad una fase in cui toccando il basso, doveva avvertire una spinta che la facesse risalire verso l’alto.

 

Il tempo del "matriarcato" è paragonabile ad un tempo in cui l'umanità era bambina, ed era irresponsabile, incapace di autonomia: era guidata dal mondo spirituale che tramite il mondo femminile indicava la direzione da seguire.

Il tempo del "patriarcato" è invece il tempo dell'adolescenza dell'umanità, ove entra in scena una ribellione, in cui gli individui smettono di prendere norme dal mondo spirituale e si rimettono ai loro impulsi, alle loro necessità interiori.

Ora ci troviamo nel 21° secolo e l'umanità ha acquisito l'età della maturità, la "maggiore età".

Non è possibile qualificare i tempi antichi come migliori degli attuali: non si può dire che l'infanzia è meglio dell'adolescenza. Sono entrambi "fasi" della vita che servono per costruire l'individualità. Una volta diventati adulti, non si può più tornare indietro. Si vede il passato come un periodo necessario al proprio sviluppo.

 

In futuro non vi sarà più un cosmo che guida l’umanità. Né un patriarcato o un matriarcato. Ma una maschio e una femmina che consapevoli dei loro passati ruoli, come bambini cresciuti, adulti, cammineranno insieme verso il luogo da cui sono provenuti. Torneranno alla loro casa, portando con sé il frutto del loro lavoro insieme e intraprenderanno un processo di collaborazione consapevole con le entità del mondo spirituale.

Il mondo spirituale che un tempo guidava la Terra tramite le ispirazioni del mondo femminile non imporrà più la sua volontà, ma la condividerà con l'umanità futura. L'umano interagirà con il cosmo, divenendo egli stesso un collaboratore e amministratore delle leggi del cosmo. Diverrà un essere della decima gerarchia: un angelo che dopo aver attraversato il massimo materialismo, ha edificato la massima libertà, la massima capacità di amare in modo libero. Matriarcato e Patriarcato appariranno così come due "fasi" necessarie all'edificazione di quell'entità spirituale futura: l'umanAngelo.

Quando oggigiorno, le varie confraternite dicono che la donna “deve tornare ad innalzarsi, ad essere ciò che era” si intende che si deve riportare la donna all’antico splendore, quando era in grado di farsi ispirare dallo spirito le leggi estetiche e morali.

Le antiche qualità femminili sono come “state dimenticate” dalla donna, riposte in lei, seppellite da secoli di pregiudizi e ingiustizie. Si tratta di farle nuovamente riaffiorare, di ripristinare le condizioni affinché la donna possa ricollegarsi con il divino in modo cosciente. Tali capacità perdute possono essere riacquisite tramite un cammino di autoconoscenza.

L’uomo deve riconoscere la donna come colei che può farlo emergere dal materialismo, attraverso la forza dell’ispirazione e della Speranza. Il ruolo dell’uomo sarà di accogliere i contenuti femminili, conferendo loro una forma.

 

La donna è la forza, l’uomo la forma.

 

Tiziano Bellucci

 



 

Il Pensare ritrovato   Novembre 2012

 

Tutte le passate, antiche forme di conoscenza si basavano sul principio dell’osservazione della natura: l’osservazione dei fatti, l’analisi dei fenomeni in sé già completi. E’ andato perduto tale antico metodo: quello che donava una conoscenza “artistica” del mondo.
Si deve essere consapevoli che procedere nell’indagine del mondo secondo il canone scientifico attuale, significa creare un collegamento fra i fatti empirici esteriori (osservazione) e qualcosa di costruito in modo completamente interiore (leggi concettuali). E’ l’uomo che “inventa”, deduce o suppone una logica che opera nei fenomeni percepiti: non sono mai le cose che parlano di sé, ma l’uomo che le precede, tentando una spiegazione di esse.

Goethe ha cercato di rivalutare e ricostruire in forma moderna un nuovo metodo scientifico, basandosi su un principio di osservazione, “artistica”.

Egli “non usava la ragione per ricercare qualcosa dietro i fenomeni, ma per osservarli in modo che si spiegassero a vicenda e si componessero in una unità”.

Goethe aveva istituito un metodo di osservazione pura, in cui usava il pensiero non per “ragionare” o dedurre significati intellettuali dalle cose: usava la ragione per leggere le cose.

Noi leggiamo uno scritto, formando un tutto con le singole lettere: ogni singola riga ci consegna un determinato senso o concetto. Analizzare le singole lettere non ci porterebbe a nulla. Nel linguaggio ordinario si deve smettere di prestare attenzione (dimenticare) della forma delle varie lettere alfabetiche che compongono una parola, se si vuole arrivare ad apprendere il senso che è espresso nella parola intera. Non porta a nulla considerare la forma della “C” o della “L” se si vuole arrivare al concetto della parola “cielo”.

Si deve operare una sintesi: dimenticarsi della totalità delle lettere, per accogliere il significato che tutte insieme contengono, esprimono nella loro totalità.

Goethe faceva lo stesso con i singoli fenomeni della natura. Non filosofeggiava sulle vibrazioni del suono, della luce, delle forze misteriose che potrebbero esistere dietro ad un processo. Non usava la ragione per speculare cosa opera dietro i fenomeni. Ma così come noi leggendo uno scritto dobbiamo collegare ogni lettera e dimenticarci delle forme della scrittura per cogliere il significato concettuale, egli riunisce tutti i singoli fenomeni in modo che sia possibile leggerli nel loro insieme. Goethe adopera il pensiero come un mezzo di “lettura cosmica”. Egli attende che la contemplazione dei singoli fenomeni lo porti a far si che essi si spieghino a vicenda componendosi in una unità. Non cerca qualcosa dietro al singolo fenomeno, ma cerca di “leggere” nei fenomeni che accadono spazialmente e nel tempo, un significato superiore. “Non si cerchi nulla dietro i fenomeni, sono essi stessi l’insegnamento.”

Accade qualcosa di analogo, quando in termini occulti, rosicruciani, si parla de “La lettura della scrittura occulta,” la modalità esoterica di definire la coscienza ispirata. La “capacità di leggere i caratteri di cui sono composti i nomi divini”. Di fatto i “caratteri” di siffatta scrittura occulta sono quelle immagini eteriche che appaiono al discepolo attorno agli oggetti che egli contempla tramite l’immaginazione, dopo aver superato la fase di concentrazione del pensiero: tali rappresentazioni immaginative devono venire composte insieme, o meglio dimenticate per poter far affiorare il significato globale di ciò che dietro ad esse vive e si può esprimere.

Come scienziati dello spirito, si deve riuscire addirittura arrivare a superare lo stesso Goethe (che era il precursore di questo nuovo modo di indagare) per arrivare a conseguire un tal sentimento di unificazione con i processi stessi. Si deve voler vivere entro i fenomeni, desiderare di immedesimarsi in essi, vivendoli intensamente. In tal modo si realizza quell’atteggiamento di dedizione amorevole nell’atto della ricerca: l’unico che conferisce risultati alla ricerca occulta.

Secondo le indicazioni di Goethe, dobbiamo quindi rieducarci alle fenomenologia e all’osservazione. Ma la vera novità dell’indagare goethiano sta nella fase finale dell’osservazione.

Immaginiamo per esempio che l’indagine sia rivolta verso una determinata pianta o un dato minerale; anche se questo è applicabile anche a fatti o eventi umani.

Dopo essersi familiarizzati con l’intero decorso spaziale/temporale dei vari fenomeni, dopo aver analizzato, realizzato diverse e attente osservazioni delle singole fasi esprimenti il tema indagato, occorre ritrarsi in un ambiente appartato e silenzioso. Occorre cominciare a ricordare esattamente e chiaramente tutte le osservazioni compiute, tutti i singoli particolari investigati. Possibilmente senza usare le parole e la dialettica, ma solo evocando le immagini di ricordo le osservazioni compiute. Accade allora che fra i ricordi e unitamente all’attività del ricordare si affaccerà una nuova immagine ben densa e pregna, nella nostra coscienza. Si tratterà poi di cancellare tutto, di reprimere tutto per deliberazione interiore: attivando la coscienza ispirata. Si dirigerà ora l’attenzione soltanto verso la forza animica di dedicazione impiegata. La coscienza deve essere sgombra di immagini: impregnata solo dell’eco della forza di sentimento spesa sinora.

E si attenderà così pazientemente, un responso dal mondo spirituale. Che non tarderà ad arrivare al di là dell’abisso. Apparirà una conoscenza che mostrerà un altro lato dell’esistenza.

Ma ci si potrebbe chiedere: come mai è possibile ottenere una conoscenza che si basa sulla percezione (osservazione), anziché sui concetti?

In conseguenza all’applicazione di questa metodologia goethiana non solo si può ottenere una coscienza siffatta, ma si svela anche la missione della forza del pensiero e il suo ruolo nell’economia conoscitiva umana. Si comprende cosa è il Pensiero vivente. Come espressione della corrente di vita dell’universo che intesse con la sua trama, ogni cosa esistente nel mondo: un principio di “unitarietà” organica del cosmo, pervaso e legato in una comune vita.

Si viene a sapere che ogni cosa o essere è collegata, permeata dalla stessa corrente di vita unitaria. Il pensiero ordinario nell’uomo è una frammentaria e momentanea espressione di tale vita unitaria, che si mostra come facoltà di ragionare. “Scade” dalla sua natura vivente per metamorfosarsi in pensiero astratto.

Ma perché chiamarlo “pensiero vivente”, essendo come natura più affine alla natura di un qualcosa di vita vegetale, di impersonale, un qualcosa di così dissimile dal concetto di pensare umano, esprimente razionalità e intellettualità? Perché non chiamarlo in altro modo?

Invece è appropriato chiamarlo “pensiero” perché nella sua essenza reca più “intelligenza e saggezza” di quello che vi è nel pensare umano.

La natura del pensiero di fatto si palesa come un essenza titanica di vita fluente incessante, un tessuto sovrasensibile ove si intrecciano colloqui spirituali, deliberazioni di volontà promananti da entità divine: impulsi connotati secondo progetti e intenzioni di una saggezza sovrumana. In esso fluttua la “parola primordiale” cantata di coro in coro, di angelo in arcangelo.

Il pensiero usuale è quindi un “non pensiero” ossia, un cadavere. Ma deve divenire tale, per poter essere cosciente di sé. Deve diventare pensare umano, per essere ritrovato come pensare divino.

 

Tiziano Bellucci

 


La concentrazione del pensiero   Ottobre 2012

 

Vi è una precisa differenza fra pensare e osservare: pensare è assistere passivi allo scorrere di pensieri che fluiscono nella mente in modo associativo, automatico; osservare è guardare la propria produzione di pensieri, proiettare nella propria visuale interiore nuovi pensieri tratti non dalla memoria, ma dalla propria capacità creativa secondo una logica di concatenazione e di conformità al succedersi dei fatti. Osservare la produzione della propria sostanza mentale. E’ come dire: si sperimenta ciò che esiste nei pensieri quando sono lasciati a se stessi. Ci si accorge così che piano piano si smette di usare il cervello, per cominciare ad usare il corpo eterico. Lo sforzarsi ad arrivare ad “osservare, a considerare le proprie forze di coscienza in atto” tramite un atto di estrema concentrazione e dedicazione, causa una rafforzamento del pensare che cessa di essere astratto, e diventa vivente. Prende un movimento e una vita sua propria: cessa di essere rappresentazione, elucubrazione per diventare una forza viva impersonale, prima di connotazioni egoiche. Avere l’esperienza di vivere l’essenza del proprio corpo eterico significa sperimentare questo particolare pensare: un pensare come forza vivente. Energia eterica: l’esperienza di un qualcosa che “tesse” oltre i pensieri: qualcosa che è “più” del solito pensare.

Si comincia solo allora a saggiare cosa significhi usare consapevolmente il proprio corpo eterico, cosa rappresenti pensare usando un organo eterico e non fisico: che equivale a vivere il pensare non come “pensiero” o facoltà di pensare, ma come esperienza di percezione degli esseri spirituali agenti nelle cose.  Si scopre solo allora che “pensare” è vivere nelle cose, avere un atto di comunione intima con le cose. Ci si accorge che sinora non si aveva mai pensato veramente, ma solo connesso insieme ricordi e nozioni tratte dalla memoria. Si aveva “associato e confrontato”, non pensato. Pensando davvero, si può dire che si cessa di pensare in modo ordinario, trasformando ciò che si chiamava prima “pensiero” in organo di percezione animico purissimo, in  grado di consegnare all’io percezioni pure: percezioni che l’io traduce in intuizioni coscienti. In altri termini si diviene consapevoli che sinora si aveva usato impropriamente un “occhio” (il corpo eterico) a guisa di “associatore di pensieri”, di memoria. Riportando il pensare al suo ruolo universale, lo si riporta alla sua dignità di strumento di percezione della vita universale.

Il pensare “occhio” di Rha egizio, risorge nell’anima.

Al contempo ci si accorge che il pensare non è legato alla materia. Esso è di natura sovrasensibile.

Il pensare, se viene rafforzato, sviluppato da divenire ricco, mobile e denso interiormente tramite la concentrazione, esso si solleva dalla sua apparente ordinaria natura, e ci trasporta direttamente entro una nuova condizione della nostra coscienza. In quello stato, sperimentiamo come se il valore e la qualità della nostra coscienza si fosse eccezionalmente accresciuta. Lo sforzo concentrativo ci ha “spostati” all’interno del corpo eterico, facendo si che la coscienza non si immedesimi più con il cervello e il corpo fisico, ma con il corpo eterico. In altri termini il nostro reale essere spirituale si presenta direttamente ora entro il nostro corpo eterico, senza la mediazione della riflessità conferita dal corpo fisico. “Diveniamo” ora davvero l’io, assaggiando una natura qualitativa diversa di noi stessi. Di fatto viviamo sempre nell’esclusione di questa esperienza:  la natura reale del nostro essere spirituale ci è sempre “celata”. Durante l’evento del “pensare vivente” l’Io vive nel corpo eterico e noi ci ritroviamo allora “cambiati”, perché ci sperimentiamo come esseri non più dentro al corpo fisico sottomessi alle sue espressioni, ai suoi istinti: ma fuori di esso. Questa nuova condizione realizza un esperienza particolarissima. Ciò che eravamo prima, ciò a cui dicevamo “io” diventa ora un essere esterno a noi, un oggetto indipendente a noi. Questo perché il nostro essere spirituale viene “strappato” fuori dalla vita del corpo tramite gli esercizi animici, contenuti nella Scienza occulta o L’Iniziazione di R. Steiner.  Immedesimandosi nel pensare vivente, puro, libero dal sistema nervoso, ci si scopre quindi estranei a ciò che ordinariamente dicevamo “io”. La somma di attributi, istinti, passioni che prima costituivano il nostro  “essere io” diventa un “tu”. Non ci si sente più legati alle proprie ambizioni e determinazioni usuali, ma le si vedono come qualcosa che non ci appartiene. Questo accade perché si vive nel vero “io” che non ha bisogno di nulla oltre a se stesso per essere.

Il rafforzamento, fa cessare la dipendenza dell’anima dal sistema neurosensoriale: si realizza il cosiddetto “pensiero libero dai sensi”.

Il pensare ordinario è troppo limitato dall’influenza dell’anima legata al corpo: non è in grado di entrare nel mondo spirituale. Il corpo impronta e predispone il pensare ordinario secondo una caratteristica che lo lega ad elementi che esprimono soggettività, quindi separazione, personalismo, egoismo. I sensi rapportano il pensiero agli oggetti materiali, e l’anima apprende a desiderarli e a usufruirne per suo vantaggio: questo determina una legame dell’anima con il mondo dei sensi e le sue manifestazioni. Sino a che l’anima è legata ai sensi, non è in grado di penetrare nel mondo spirituale, perché le manca la forza dell’impersonalità, impregnata nella convenienza utilitaristica egoica. Solo attraverso una pratica esoterica l’anima diviene capace di svincolare il pensare dal proprio essere abituale, egoico, scollegandosi dal corpo fisico. Proprio perché l’anima diviene capace di smettere momentaneamente i sensi e il corpo, elevandosi alla coscienza immaginativa, vivendo entro il corpo eterico, riesce ad accedere alla soglia del mondo spirituale.

Occorre superarlo, tramite diversi esercizi di pensiero che aiutino a svincolare il pensare usuale dai sensi. Si tratta di un pensare troppo debole per percepire lo spirituale.

Gli esercizi atti a conseguire un distacco dal pensare ordinario, si attuano a mezzo dell’analisi di pensante di rappresentazioni  simboliche. Sono pratiche tramite cui, con energica concentrazione, portiamo l’attenzione preferenzialmente verso pensieri con carattere di immagine. Si deve aver cura di considerare pensieri che si possano dominare con lo sguardo interiore, e che dei quali si possa ben essere certi che siano stati formati da noi, che siano nostre produzioni. Non deve trattarsi di ricordi o reminescenze: devono essere pensieri creati a nuovo per l’occasione. Cosa fondamentale a questo punto, fatto l’esercizio è la ripetizione. Siccome il “ripetere” il lavoro varie volte su uno stesso simbolo può portare ad automatismi, è bene cambiare volutamente sempre i concetti e i pensieri di cui egli è formato per timore di ricadere in un ripetere automatico. La forza animica non deve svilupparsi tramite un “ricordare” ma un “creare” ex nuovo. E’ importante ripetere lo stesso simbolo: proprio perché si ritorna sempre allo stesso concetto simbolico, lo si separa dalla vita consueta del pensare ordinario e lo si “affida” al mondo spirituale che lo elabora senza di noi. Con il tempo, accadrà che dopo anni si reincontrerà quel lavoro di pensiero che si aveva “consegnato” al mondo spirituale: si accederà allora ad una fra la più importanti esperienze interiori che introduce al gradino successivo nella conoscenza spirituale: la conoscenza/esperienza del proprio corpo eterico.

Per poter accogliere e registrare le esperienze che si fanno tramite il proprio corpo eterico, durante l’indagine del mondo spirituale tramite il proprio corpo eterico, occorre sviluppare una particolare facoltà: il colpo d’occhio, la presenza di spirito. Le visioni spirituali si manifestano con carattere di “fulmineità” sono attimi velocissimi, immagini immediate. Se non si sviluppa questo, può accadere che non si veda nulla, non perché nulla si è manifestato, ma perché non si è stati in grado di “registrarlo”. Questo gradino della chiaroveggenza non penetra ancora nel reale mondo spirituale, ma nei suoi avamposti. Si osserva il contenuto del proprio corpo eterico.

Solitamente ci si ricorda di un sogno perché nell’attimo del risveglio, essendovi un legame fra l’astrale e l’eterico le esperienze fatte nel mondo spirituale si rispecchiano nel corpo eterico, rimanendo presenti in esso.  Il rispecchiamento avviene quando il sonno non è abbastanza profondo e il corpo astrale sta per rientrare nel corpo: quando esiste una connessione fra l’eterico e l’astrale.

L’essenza del pensare è qualcosa a cui noi partecipiamo, tramite il nostro corpo eterico. Il pensare universale  è la potenza di vita che intesse e organizza ogni cosa del mondo: vive nei corpi eterici di vegetali, animali e umani. Nella pianta è sola vitalità, nell’anima istinto, nell’uomo pensiero consapevole.

I pensieri ordinari, sono prodotti dall’azione dell’io umano che si “appoggia” sul cervello. Il pensare reale è di natura sovrasensibile: esiste fuori dal corpo, prima del corpo. Esiste senza il corpo, ma può apparire in essere solo in virtù dell’incontro, del “cozzare” con il corpo fisico. E’ come se passeggiando su un terreno fangoso, osservando le orme di un uomo si credesse che quelle orme sono realizzate dalle forze del terreno, non dal fatto che qualcuno vi sia “appoggiato” sopra. Così come “orme” sono le tracce dell’attività del camminare, i “pensieri” sono tracce dell’attività del pensare. Le immagini rappresentative sono “le impronte” del passaggio del pensare cosmico entro l’uomo.

 

Tiziano Bellucci

 

 

Lo spirito "perduto": l'io umano   Settembre 2012

 

Viviamo in un tempo in cui sempre più l’uomo deve divenire consapevole del suo ruolo cosmico, del senso della sua esistenza. Questo “senso” della vita è legato alla conoscenza che l’uomo può formarsi di se stesso. Non indagando il mondo e le sue leggi, arriverà la soluzione di questo compito umano; neppure navigando nello spazio cosmico si verrà a scoprire chi sia l’uomo stesso; tantomeno se ne troveranno tracce esplorando la sua vita psichica. Si potrà ottenere qualche cognizione soltanto cercando di afferrare la sua natura più intima. Esiste infatti nell’uomo un nucleo interiore, misterioso, a lui per ora in conosciuto che si nasconde in lui, al suo interno: è il suo Spirito, il suo Io. Mai come in quest’era, in occidente, è andata perduta la conoscenza di cosa sia lo Spirito: e mai come ora è necessario che l’uomo riconquisti la conoscenza di questo elemento.

Dietro la parolina “io” è incarnato un arcano avviluppato da tanti veli; molti ignorano che dietro a tale parolina vi dimori l’elemento primordiale che compone la sostanza di ogni particella dell’universo: in esso è presente lo stesso principio che si trova insito in ogni cosa del mondo. Così come lo Spirito è la base di ogni esistenza universale, Il nostro io è il fondamento del nostro essere, la nostra essenza. L’io è lo spirito in noi. Ma è’ possibile arrivare ad una comprensione e un’esperienza della presenza dell’elemento “spirito” in noi?

Il concetto di Spirito venne abolito dalla coscienza umana tramite un Concilio ecumenico di Costantinopoli nel 869 dopo Cristo: a quei tempi, venne deciso che l’uomo doveva essere costituito di corpo e anima, la quale aveva qualità spirituali. Mentre prima si designava ovunque l’uomo tripartito di corpo (soma), anima (psiche) e spirito (pneuma), accadde che egli divenne un “bipede” bipartito in due elementi: uno fisico e uno psichico.

I filosofi greci sapevano che nell’uomo vi era un elemento della stessa natura del divino che penetrava in un corpo unendosi ad un anima, vivendo e morendo, per ritornare poi in ripetute terrene, tornando successivamente in corpi e anime sempre diverse. Questo “quid” era lo spirito immortale, la scintilla di Dio. Vi fu una necessità evolutiva che ebbe il compito di nascondere questa conoscenza: l’uomo doveva perdere la consapevolezza di possedere un elemento immortale che ritornava e si reincarnava in vite ripetute. Nello stesso tempo in cui lo spirito scomparve da dentro l’uomo, come elemento individuale, “comparse” all’esterno come Dio dell’universo, un legislatore esteriore.

All’uomo venne inculcato che doveva vivere una vita sola e gli era concesso di vivere come “immortale” solo dopo la morte (se conduceva una vita “retta”). In questo modo la vita umana perse di significato: divenne un mistero. Andò perduta l’occasione per l’uomo l’occasione di potersi “spiegare da sé”, di sostenersi da sé: ebbe bisogno di un istituzione esterna che lo guidasse, che desse un senso alla sua esistenza: sorse la chiesa. Ciò designò anche l’origine del dogmatismo religioso, che impossibilitato di “spiegare” indicava di affidarsi alla “fede cieca”.

Queste sono le cause esteriori della scomparsa dell’elemento spirituale. E’ possibile sperimentare in sé l’esistenza e la presenza dello spirito?

Si provi a risalire indietro ai nostri primi ricordi: si arriverà ad un punto in cui compare il primo ricordo. In genere esso è attorno ai tre anni: il momento in cui il bimbo comincia a dirsi “io”. Prima egli si dice: “Marco ha fame, Marco vuole giocare; non dice “io ho fame, io voglio giocare”. Non è presente ancora in lui un elemento individuale.

Si porti l’attenzione sulla percezione che si può avere di se stessi mentre si cerca di “afferrare” lo stato della coscienza di quel ricordo lontano, e anche di altri ricordi, accaduti durante la vita. Si avvertirà che la qualità della “presenza” della coscienza non cambia: se avevamo 6 anni oppure 31, non vi era modificazione dello stato di coscienza. Ci sentiamo come muoverci in un elemento sempre uguale a se stesso, non connotabile con una età. Colui che “era presente” durante il prodursi degli eventi non si sente inferiore, più piccolo, più immaturo: l’analisi viene compiuta tramite un elemento perenne, slegato dalla condizione temporale. Una sorta di “osservatore” senza età. Questo testimone/osservatore è il nostro io.

Vi è inoltre un altro modo per “cogliere” l’agire in noi dello spirito, durante la vita ordinaria.

 -   Possiamo acquisire cognizioni tramite l’attività di percezione: attraverso i sensi riceviamo le percezioni visive, uditive, tattili, ecc. Tramite esse possiamo farci pensieri e sensazioni, sperimentare l’esistenza di un mondo esterno. Questo avviene a mezzo dei sensi inseriti nel corpo fisico.

 -   Una volta ricevuta una percezione possiamo decidere se essa può esserci utile o dannosa, se possiamo goderne o rifiutarla: sentire se ci piace o no.

Questo è possibile tramite l’elemento dell’anima.

 -   Quando abbiamo percepito, giudicato un oggetto, possiamo compiere un terzo processo: domandarci circa la natura di esso, le leggi che lo governano, il suo uso e significato. Questa prerogativa di indagarne i nessi ci è data dal nostro spirito. Tuttavia sarebbe una concezione errata quella che afferma che la mente è lo spirito: essa non è l'elemento spirituale, ma una sua funzione. Noi possiamo pensare perché vi è in noi uno spirito pensante. Occorre ben dividere ciò che pensiamo da ciò che pensa in noi, ed essere consci che il pensiero non viene da noi prodotto, ma solo manifestato.

Possiamo dire che lo Spirito, il nostro io è quell’elemento che può da un lato consegnarci e rivelarci la conoscenza del mondo e insieme, l’intuizione di noi stessi, come spiriti operanti sulla terra dentro un corpo e un anima.

 

Tiziano Bellucci

 

 

L'Era Dell’Acquario: Il Tempo Della Conoscenza   Agosto 2012

 

La scienza dello spirito Europea (nata al principio del secolo scorso tramite l'impulso di Rudolf Steiner) può e vuole essere un riferimento per tutti coloro che sono in cerca del senso della vita.
 “A lato della scienza ufficiale,” egli dice “esiste ed è sempre esistita un’altra scienza che si occupa di indagare ciò che vuole essere la verità totale del mondo: essa è antichissima, anzi nata prima della stessa scienza materialista ufficiale; essa è denominata "esoterismo", o scienza dello Spirito.”

Chiunque può constatare che il 1900 è stato il primo secolo in cui siano mai state conseguite così tante scoperte in un lasso di tempo breve, rispetto i millenni addietro.

Tale fatto è in collegamento con la presenza di una particolare Forza che agisce nel pensiero umano, dalla fine del secolo diciannovesimo sino ad ora, la quale reca imponenti impulsi di pensiero, ritrovabili come possanza, solo nel periodo greco, ai tempi della filosofia greca: è difatti il medesimo periodo in cui questa stessa Forza agiva anche allora.

Questa Forza, non ha solo il compito di promuovere le scoperte scientifiche ed intellettuali, ma ha anche lo scopo di infondere nell’uomo particolari forze di pensiero atte a praticare il ricongiungimento con Essa stessa: si tratta di un’energia metafisica, che si trova condensata ed espressa in un uomo solo, in tutto il pensiero di R. Steiner: la scienza dello spirito.

Egli scrive: “L’uomo vede solo gli effetti sensibili di cause invisibili che sfuggono alla sua percezione; queste cause sono attività di Forze che dimorano al di fuori del mondo degli effetti: quest’ultimo è soltanto una loro manifestazione.”

In altre parole: “Noi vediamo per prima solo una parte del mondo: non siamo abilitati a vedere i legami tramite i quali vengono azionati gli ingranaggi del mondo; tale movimento è determinato dalle Forze che stanno alla base del cosmo, le quali sono invisibili ai sensi.

In realtà l’uomo vede solo gli effetti sensibili che vengono prodotti da cause extrasensibili.”

Tale scienza spirituale si propone di elaborare un metodo scientifico di conoscenza delle realtà invisibili e inconoscibili, altrettanto rigoroso ed esatto di ciò che oggi si pretende dai metodi scientifici nel campo delle scienze naturali. Lo sguardo dello scienziato dello Spirito deve possedere la stessa precisione che viene applicata dal fisico o dal matematico usuale. Si tratta di esattezza dei particolari nell’indagine soprasensibile.

Come la scienza fisica utilizza materiali e sensi fisici per l'indagine del fisico, la scienza dello spirito utilizza materiali e sensi spirituali per indagare lo Spirito.

Il problema di come poter giungere alla visione della realtà che è al di là della materia, si basa però non su un potenziamento degli organi di senso, ma su un superamento degli stessi: essi devono invero tacere; l’uomo deve elevarsi in uno stato superiore di coscienza.

Così come nel sogno l’uomo pur avendo gli occhi chiusi vede e vive se pur passivamente una realtà che gli appare reale, allo stesso modo lo sperimentatore lascia che il corpo si addormenti, e attivamente segue le fasi del sonno, sino a penetrarvi e a parteciparvi sapendo che il suo corpo sta dormendo.

Non gli appare più un mondo di simboli e immagini oniriche: gli si svela quella parte del mondo che prima nella veglia del corpo gli era celata.

Steiner giunge a poter affermare che è possibile dapprima per tutti gli uomini attraverso il pensiero, afferrare e comprendere in forma di pensieri, di concetti e immagini ciò che un “iniziato” o uno sperimentatore dello spirito, può comunicare circa le sue visioni o percezioni, ottenute attraverso lo sviluppo di determinati organi di senso capaci di percepire manifestazioni che rimangono invisibili ai sensi ordinari.

Comunque egli sostiene che tali rivelazioni possono e devono venir effettuate e confermate da qualsiasi uomo che si dedichi alla conformazione di tali organi, attraverso particolari tecniche.

“Non devi credere a quello che ti dico, ma solo lasciarlo agire in te; verrà un tempo che tu stesso perverrai ad una visione extrasensibile, e allora ti accorgerai che queste comunicazioni oltre che ad essere vere, non erano quindi solo astratti pensieri, ma forze attive che hanno fatto nascere in te facoltà di percezione spirituale.”

Il principale lavoro di Steiner sarà di divulgare, oltre alle molteplici conoscenze spirituali, vari metodi ed esercizi di tirocinio esoterico onde poter conseguire una personale facoltà di percepire la realtà spirituale; tali esercizi attuano modificazioni superiori nella struttura morale dell’anima: l’individuo che li pratica si eleva dal comune gradino di umanità, modificando la sua costituzione interiore animica.  Lo stato di coscienza si innalza, mutandosi in una “supercoscienza” tanto da poter entrare in contatto con tutto ciò che è al di là e al di sopra del comune stato di coscienza. Uno dei primi gradini è appunto di portare la coscienza di veglia attiva, nello stato di sogno e di sonno.

Tale “elevazione morale” causa lo schiudersi di organi di percezione spirituale sopiti nell’uomo stesso, ma presenti in lui da tempi remotissimi.

 

Tiziano Bellucci

 

 X-X  C A M A L E O N T E  X-X

 

 

 

 

 

 

 


 




 


 

 

 

 

 

 

 

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