martedì 17 luglio 2012

G H I A N D O L A P I N E A L E o Epifisi - TERZO OCCHIO E MELATONINA: Le Reali Funzioni della GHIANDOLA nella Vita D'OGNI ESSERE SENZIENTE.

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http://www.menphis75.com/ghiandola_pineale.htm:

2012 IL RISVEGLIO DELLA PINEALE

                                 
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PSICOSOMATICA: 

PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIA, EMOZIONI E SALUTE 

Un panorama delle più interessanti scoperte e ricerche sull'unità cervello-mente-corpo e sui risvolti sulla salute globale. 
Questa sezione comprende i seguenti capitoli:

  1. PNEI: PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIA: le ricerche scientifiche che connettono la mente, il cervello, il sistema endocrino e il sistema immunitario. Le basi dell'unita olistica psicofisica.
  2. CRONOBIOLOGIA: la scienza dei cicli che regolano il corpo, le emozioni e la mente.
  3. PSICOSOMATICA SPERIMENTALElricerche sulla psicosomatica e gli stati di coscienza attraverso le ricerche sulla sincronizzazione  e la coerenza del cervello.
  4. PSICOSOMATICA: EMOZIONI E SALUTE GLOBALEle ricerche ed i dati emersi sull'unità mente, emozioni e salute psicofisica.
  5. MANTRA, SUONO, MUSICA E CERVELLO: le ricerche e i dati emersi sugli effetti della musica sul cervello, la mente, le emozioni e la salute globale.
PNEI: PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIA





INTRODUZIONE


a cura di Maria Carmela Sgarrella e Nitamo Montecucco


Dopo aver preso conoscenza dei punti essenziali di come si sia creata la complessa struttura del sistema nervoso umano con il suo asse spinale, i suoi tre cervelli (v.d. capitolo 3) e i due emisferi, presentiamo una serie di "colonne" fondamentali per una conoscenza globale dell’essere umano e del suo cervello.
Come nelle altre scienze, anche nella medicina e nella neurofisiologia osserviamo la mancanza di un soggetto o "unità di coscienza" e, utilizzando il modello Cyber, cerchiamo di riproporre una visione medica più globale e umana. Il , in medicina, viene di fatto intuitivamente considerato il centro dell’essere umano, ma questa percezione viene poi rimossa nei testi e nella logica medica ufficiale. Fortunatamente, negli ultimi decenni, la radicale trasformazione in atto nella cultura planetaria ha portato a rivoluzionari mutamenti che creano unità e integrazione anche nella medicina e nella neurofisiologia. Vediamo come le due categorie, corpo e coscienza, oggi stanno ritornando all’originale unità.


Uno dei maggiori contributi alla riunificazione della dicotomia umana in medicina è dovuto al lavoro e alla visione pionieristica di Candace Pert. La Pert, neurofisiologa, direttrice del centro di biochimica cerebrale del NIMH, National Institute for Mental Health, è una delle più importanti figure nell’ambito della ricerca internazionale sul cervello: ha infatti scoperto le endorfine e un vasto numero di neuropeptidi, le molecole che trasmettono le informazioni nel sistema nervoso, ed ha evidenziato che i neuropeptidi sono i mediatori sia delle informazioni, sia delle emozioni e sono attivi praticamente in tutte le cellule del corpo, nel sistema nervoso, ma soprattutto nel sangue, nel sistema immunitario e nell’intestino. Queste scoperte l’hanno candidata al Nobel per la medicina, ed hanno creato - come spesso accade in questi ultimi anni - una sorta di rivoluzione nel modello di essere umano della medicina ufficiale. Come l’editore John Maddox ha riportato su Nature, le persone più esperte in questo campo sostengono che ogni stato d' animo è fedelmente riflesso da uno stato fisiologico del sistema immunitario.
Occorre puntualizzare che, fino ad una ventina di anni fa, termini come "mente", "emozione" o "coscienza" non erano nemmeno menzionati nei testi di medicina, in quanto il modello umano ufficiale considerava il corpo come unica realtà e la mente un concetto estraneo alla scienza e non indispensabile. In neurofisiologia si riteneva (e molti purtroppo ritengono ancora) che il cervello "producesse" il pensiero e che il suo funzionamento fosse quello di un computer, basato su una semplice logica di acceso-spento. La scoperta dei primi mediatori sembrava avvalorare questa concezione puramente meccanicista, ad esempio un neurotrasmettitore "eccitava" un neurone che "attivava" un muscolo mentre un secondo mediatore "inibiva" il neurone e "rilassava" il muscolo.


Con le scoperte della Pert sui neuropeptidi, questo modello è stato scardinato completamente. Innanzitutto i neuropeptidi devono essere considerati delle molecole "psichiche", in quanto non trasmettono solo informazioni ormonali e metaboliche, ma "emozioni" e segnali psicofisici: ogni stato emotivo (amore, paura, piacere, dolore, ansia, ira... ), con le sue complesse sfumature chiamate sentimenti, è veicolato nel corpo da specifici neuropeptidi. Anche la vecchia divisione tra neurotrasmettitori e ormoni è diventata obsoleta, in quanto entrambi sono da considerarsi categorie di neuropeptidi. Contrariamente alle aspettative, questi neuropeptidi e i loro recettori sono stati rinvenuti in ogni parte del corpo e non soltanto nel sistema nervoso: inoltre la semplice meccanica dell’"acceso-spento" è stata soppiantata dalla logica estremamente più complessa della "neuromodulazione". Lo psicofisiologo francese Jean-François Lambert, sul concetto di neuromodulazione, ha valutato le possibili variazioni di comunicazione in una singola sinapsi neuronica nell'ordine delle centinaia fino alle migliaia di differenti possibilità.
Questo significa che l’intero corpo "pensa", che ogni cellula o parte del corpo "sente" e prova "emozioni", elabora le proprie informazione psicofisiche e le trasmette ad ogni altra parte attraverso una fittissima rete di comunicazioni di estrema varietà comunicativa.
Tutto il corpo è vivo, intelligente e cosciente, ogni cellula prova piacere e dolore ed elabora strategie metaboliche per il benessere collettivo. Finalmente la medicina scopre che il corpo non è una macchina! Su queste basi teoriche e sperimentali, Candace Pert parla dell’essere umano come di una complessa "rete di informazioni" e dichiara che l’antica divisione tra mente e corpo non ha più ragioni di sussistere: al vecchio concetto bisogna sostituire quello di psicosoma (bodymind), in cui ogni aspetto psicofisico umano è visto come parte di un’unica organica realtà. Queste avanzate concezioni mediche costituiscono un importante sostegno alla concezione unitaria o psicosomatica del modello Cyber, in particolare se consideriamo che è stata documentata la presenza di neuropepdidi e dei loro recettori anche negli unicellulari: tale dato sostiene la nostra ipotesi degli organismi unicellulari come unità di coscienza in grado di sentire ed elaborare informazioni in modo analogo agli animali superiori, anche se su livelli o densità informatiche più semplici e primitive.


La psiconeuroimmunologia - lo studio di come la psiche, il sistema nervoso centrale e il sistema immunitario si influenzino vicendevolmente - sta diventando una delle branche più interessanti e in rapido sviluppo dell’intera medicina moderna. Questa nuova scienza attira l’interesse di psichiatri, endocrinologi e biologi molecolari. Le nuove intuizioni cliniche nel ruolo della mente nel processo di guarigione offrono affascinanti prospettive di ricerca e nuove speranze.
Sin dai tempi dei Greci, filosofi e medici avevano discusso e dibattuto sulla supremazia del cuore o del cervello come centro dell’identità degli organismi viventi. In India il cervello è la sede dell’Atman, la coscienza superiore, il cuore è la sede di Jivatman, la coscienza vitale. Nelle medicine antiche, come la medicina taoista, ogni organo era considerato sede di una certa anima o emozione: lo Shen. Il cuore tuttavia veniva considerato come l’imperatore dell’intero dominio che è il corpo fisico. Cuore come centro di coscienza e di benessere, ma soprattutto della gioia e dell'amore di vivere che permettono la nostra stessa esistenza. Le recenti scoperte di psiconeuroimmunologia, in accordo con la concezione olistica, evidenziano una profonda interrelazione tra cuore e cervello. L’antica saggezza ora riemerge proprio in seno ad una delle branche più avanzate della ricerca medica.


Le emozioni e le sensazioni non solo sarebbero alla base del processo di memorizzazione delle esperienze, ma sarebbero responsabili della maggior parte dei meccanismi neurofisiologici che regolano o bloccano il funzionamento dell’intero organismo vivente. Da differenti esperimenti e ricerche emerge che il cuore, da sempre sede delle emozioni, e il sistema limbico, vero "cuore del cervello", costituiscono il centro della complessa unità psicosomatica.
Abbiamo una serie di dati: l’amigdala e l’ipotalamo, che rappresentano la parte centrale del cervello mammifero e sono deputate alla gestione delle emozioni e delle memorie, sono le aree cerebrali in cui si trova la maggior concentrazione e varietà di neuropeptidi, mediatori delle informazioni e delle emozioni. Al centro della stessa zona si trova l’ipofisi, la ghiandola che gestisce (modula) le attività di tutte le altre ghiandole del corpo. Molti neuropeptidi sono ormoni e svolgono la loro funzione attraverso il sangue. Il sistema immunitario agisce attraverso i linfociti (globuli bianchi del sangue) che producono e hanno recettori per trasmettere e ricevere gran parte dei neurotrasmettitori, e quindi rappresentano una sorta di "sistema nervoso liquido" circolante nel corpo. È stato ampiamente dimostrato che, nel cervello mammifero, le emozioni positive favoriscono la produzione di una cascata di reazioni tale da attivare il sistema immunitario ed in particolare i linfociti killer. Al contrario, gli stati di depressione emotiva portano ad un'inibizione della resistenza immunitaria. Il timo, la grossa ghiandola situata appena sopra il cuore (esattamente nel punto in cui portiamo la mano sul petto quando, col linguaggio corporeo, vogliamo indicare il nostro "io"), è una primaria stazione linfatica sede del complesso meccanismo di produzione dei linfociti T (timici) e della loro "istruzione" a riconoscere il self (il proprio essere vivente) dal non-self (ogni batterio, virus o entità estranea). Sono stati scoperti neurotrasmettitori che dal cuore influenzano l’ipotalamo.
Le posizioni antiche si confondono: il cuore ha quindi un suo cervello rappresentato dai globuli bianchi e dal sistema immunitario e il cervello ha un cuore che sente e gestisce le emozioni di tutto il corpo. Se nell’antichità il cuore era visto come imperatore che riceve le informazioni da tutto il regno, prende le decisioni e le rimanda a destinazione, nella moderna neuroscienza l’ipofisi assume esattamente l’identica posizione. Essa riceve dal sistema nervoso e dal sistema sanguigno le informazioni di ogni distretto del corpo, le elabora, ne valuta in modo altamente equilibrato il senso e secerne nel sangue nuovi messaggeri biochimici, gli ormoni, che portano a compimento le sue decisioni per il benessere globale.


 
Meditazione, genetica e immunità
di Francesco Bottaccioli
Presidente onorario della Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia
Numerosi studi che ho riassunto in due libri scritti con Antonia Carosella dimostrano che le tecniche antistress e meditative hanno effetti importanti sulla salute. Se correttamente apprese e praticate regolarmente aiutano a risolvere disturbi dell’umore (ansia e depressione), ma anche ipertensione e malattie infiammatorie di origine autoimmune. Sono anche di grande aiuto nel trattamento dei tumori.
Riguardo ai disturbi dell’umore, un nostro studio in corso di pubblicazione, realizzato su 71 partecipanti al corso di base “Meditazione a indirizzo Pnei” condotto da Antonia Carosella e da chi scrive, ha dimostrato, come si evince dal grafico (vedi Fig.1), un abbattimento dei sintomi d’ansia e depressione di tre volte rispetto alla condizione di partenza. Di rilevo sono le seguenti caratteristiche: brevità del corso, livello iniziale di attività antistress e meditativa, elevato livello di istruzione dei partecipanti con una forte quota di medici e psicologi e di altri operatori sanitari.
Riguardo al sistema immunitario, recentemente è stato pubblicato su Brain Behavior and Immunity, la rivista internazionale leader nel campo della ricerca psiconeuroendocrinoimmunologica, uno studio realizzato 75 donne a cui era stato diagnosticato un tumore al seno e che erano state operate. Il campione è stato diviso in due gruppi: uno ha seguito un corso di 8 settimane, con una seduta settimanale di due ore e mezza ciascuna, di apprendimento di tecniche antistress e meditative; l’altro invece ha funto da controllo.
Dopo l’intervento chirurgico e prima di iniziare l’esperimento, tutte le donne sono state studiate con vari strumenti per valutare la qualità della vita, il loro livello di stress (tramite l’analisi del cortisolo, principale ormone dello stress) e il livello del loro sistema immunitario (misurando alcune citochine –segnatamente le citochine del Th1 e del Th2\Th3- e l’attività di alcune cellule, tra cui le Natural Killer).
In questa fase tutte le partecipanti avevano un basso punteggio relativo alla qualità della vita, alti livelli di stress e un sistema immunitario complessivamente squilibrato in senso Th2\Th3 e cioè un relativo aumento di IL-4 e IL-10 e un basso livello di IFN-gamma e IL-12.
A metà del corso di meditazione già erano visibili cambiamenti importanti che si sono poi consolidati alla fine del corso e nel successivo controllo a tre mesi.
Le donne che avevano imparato a meditare avevano un punteggio più alto relativamente alla qualità della vita mentre i livelli di cortisolo erano nettamente più bassi delle altre.
Di notevole interesse è poi lo studio sull’immunità che ha mostrato nelle “meditanti” una rapidissima capacità di recupero di un profilo immunitario da persona sana.
E cioè il nostro sistema immunitario ha una serie di armi per combattere il tumore, che in gergo si riassumono in una espressione: immunità cellulo mediata di tipo citotossico cosiddetta di tipo Th1. Il che vuol dire che sono molto attive cellule che ammazzano altre cellule (sono cioè “citotossiche”). Tramite questo circuito immunitario noi possiamo scovare le cellule trasformate e distruggerle. Queste cellule killer dei tumori sono i linfociti T citotossici e le Natural killer, le quali vengono fortemente indebolite dallo stress tramite il cortisolo.
Quando è attiva questa immunità protettiva, nel sangue ci sono alcune molecole alte (interferone- gamma) e altre basse (interleuchina-10 e interleuchina-4). Ebbene le donne che partecipavano al gruppo della meditazione avevano esattamente questo profilo, a differenza delle altre che invece avevano quei valori capovolti. È noto che il problema principale della malattia tumorale è quello di prevenire la diffusione delle metastasi e di impedire la cosiddetta ricaduta e cioè la comparsa di un nuovo tumore. La principale assicurazione che abbiamo contro queste eventualità è il nostro sistema immunitario, la cui salute è influenzata da numerosi fattori comportamentali, ma innanzitutto dal grave stress emotivo che porta con sé una diagnosi di tumore e dagli effetti immunosoppressivi della terapia chirurgica e farmacologia.
Epigenetica meditativa
Ma adesso sappiamo anche qual è la strada che la meditazione usa per equilibrare il nostro sistema immunitario.
Tre anni or sono, uno studio pilota su praticanti il Qi Gong, antica tecnica cinese che, se correttamente praticata, è una forma di meditazione molto efficace, aveva dimostrato che nelle cellule immunitarie dei praticanti il Qi Gong si verificava un’espressione genica diversa da quella dei non praticanti, che riguardava in particolare i geni che controllano la risposta infiammatoria.
Nei neutrofili (cellule immunitarie di prima linea contro le infezioni) dei praticanti il Qi Gong si attivavano prontamente i geni che comandano la fagocitosi e cioè la capacità della cellula di “mangiarsi” batteri e virus. Ciò ovviamente conferisce all’immunità una forte capacità di risposta ad agenti potenzialmente nocivi, ma l’aspetto più  interessante è un altro. Sempre nei neutrofili di queste persone, dopo la pronta attivazione dei geni per la fagocitosi, si verificava un’altrettanto pronta attivazione dei geni per l’apoptosi e cioè del suicidio cellulare programmato. Quest’ultima modalità è fondamentale perché garantisce che una cellula infiammatoria non rimanga troppo a lungo in questo stato, che, se nel breve periodo ci protegge dai patogeni, può, nel lungo periodo, danneggiarci. Di qui il meccanismo di salvaguardia garantito dall’apoptosi. In conclusione, in questo primo piccolo studio si era constatato che chi medita ha un profilo di espressione genica che determina un sistema immunitario pronto a rispondere e, al tempo stesso, a tornare rapidamente nei ranghi quando lo stimolo infettivo sia passato.
Uno studio recente ha allargato il campione e ha testato tecniche più semplici. Lo studio, pubblicato su PLOS, è stato condotto nel Mind Body Institute di Henry Benson, pioniere della ricerca sulle tecniche di rilassamento.
Una sessantina di persone sono state divise in tre gruppi di uguale entità: un gruppo di praticanti le tecniche di rilassamento di Benson da più di un anno (M); un gruppo di persone in buona salute non praticanti, che quindi fungevano da controlli (N1); un gruppo di praticanti di primo livello, che cioè avevano seguito un corso di base di qualche settimana (N2).
L’indagine sull’espressione genica, realizzata con la moderna tecnica del microarray, che consente la valutazione simultanea dell’espressione di migliaia di geni, ha dato i seguenti risultati: in M (i praticanti da lungo tempo) rispetto a N1 (i non praticanti) troviamo l’espressione differenziale di 2.209 geni, di cui 1.279 sovraespressi e 934 sottoregolati. Ma anche il gruppo N2 ( i praticanti novizi) rispetto a N1 ha espresso differenzialmente 1561 geni, di cui 874 sovraespressi e 687 sottoregolati. Complessivamente, anche in questo studio emerge un profilo di espressione genica nelle cellule immunitarie che conferisce ai praticanti un maggior controllo dell’infiammazione.
Ovviamente avremo bisogno di molte altre conferme, ma una nuova entusiasmante strada di ricerca è stata aperta: la valutazione degli effetti della meditazione sui geni, infatti, ci può spiegare l’efficacia clinica di questa pratica.
 


In una conferenza di alcuni anni fa, a Toronto, una équipe di ricercatori dell’Università di Pittsburgh ha riferito importanti dati emersi dallo studio di settantacinque donne affette da cancro al seno. Queste le interessanti scoperte: le donne che si mantenevano "calme e indifferenti" al loro male avevano meno cellule killer naturali per combatterlo. Quelle inizialmente più preoccupate avevano invece ottenuto una risposta immunitaria maggiore e dimostravano di avere maggiori possibilità di guarigione.
Alla scuola di medicina dell’Università di San Francisco si è visto che i malati di asma che usavano una particolare tecnica di visualizzazione per "viaggiare attraverso il corpo" fino alle cellule sofferenti, necessitavano minori cure rispetto agli altri. Essi dimostravano inoltre un miglioramento nella respirazione.
Ad una conferenza all’Università di Los Angeles sono state presentate ulteriori scoperte sul ruolo della mente nella guarigione. Il sistema immunitario incomincia a sembrare un organo liquido sensorio-motore ha detto il Dott. Ted Melnechuk, direttore delle ricerche sulla comunicazione presso l’Institute for the Advancement of Health. Questa definizione di sistema immunitario era stata precedentemente elaborata dagli studiosi Nelson Paz e Francisco Varela.
Gli scienziati sovietici furono i primi a rilevare un simile collegamento mente.cervello.difesa immunitaria. Essi furono inizialmente ridicolizzati dagli immunologi conservatori, i quali ribattevano che le risposte immunitarie potevano essere osservate anche "in vitro", senza quindi l’intervento di mente o cervello.
Ecco alcune sorprendenti scoperte riviste da Melnechuk:
- Le piacevoli sensazioni sperimentate ascoltando musica vengono eliminate se si bloccano le naturali sostanze narcotiche presenti nel cervello.
- Le emozioni negative innescano il processo di emissione di norepinefrina, un messaggero biochimico noto come soppressore della funzione immunitaria. Questo conferma il ruolo delle emozioni positive nel mantenimento della salute.
- Le risposte immunologiche possono essere apprese. Recentemente si è scoperto che una risposta immunologica appresa può prolungare la vita di cavie allevate per sviluppare un disordine autoimmunitario che li porta alla morte.
- Gli uomini sposati con donne malate di cancro in fase terminale hanno un diminuito numero di linfociti (le cellule del sistema immunitario deputate a respingere il male).
- È stato visto che le cellule nervose del ponte di Varolio, una regione critica per il mantenimento del basilare supporto della vita, si proiettano sino alla ghiandola del timo, un'importante stazione di ricambio per le sostanze immunitarie. Sono state trovate anche cellule nervose che dal timo tornano al cervello, mostrando perciò che esiste una comunicazione nei due sensi. Nei linfociti sono stati trovati recettori dei messaggeri chimici usati da queste cellule, fornendo perciò un diretto legame chimico tra il sistema immunitario e il sistema nervoso.
- Alcune scimmie separate dalla madre mostrano una depressione immunitaria. Questa situazione può essere migliorata se le si pone in un ambiente sociale attivo in cui trovano sostegno.
- Uno studio su pazienti malati di cancro ha rilevato un aumento dell’attività delle cellule killer e una diminuzione della crescita del tumore usando la tecnica dell' immaginazione visiva. L’effetto fu contrario quando i pazienti interruppero questa pratica.
- I conigli accarezzati dagli sperimentatori mostrano una maggiore resistenza all’arteriosclerosi rispetto ad un gruppo di conigli non amati.
- I topi accarezzati dagli sperimentatori sin dalla nascita hanno mostrato un netto miglioramento nei test di apprendimento.
L'enorme avanzamento delle ricerche nel campo della psiconeuroimmunologia rende questi dati ormai "vecchi", come comprovano testi recenti e aggiornati come il libro Psiconeuroimmunologia di Francesco Bottaccioli, un volume di grande interesse e impatto per creare la connessione scientifica, concettuale e linguistica tra la medicina ufficiale e la medicina olistica.






Relazione al "Symposium on Consciousness and Survival" sponsorizzato dalI'Istitute of Noetic Science, estratto da Whole Earth Review, Summer 88.
In questo articolo descriverò un insieme di affascinanti e, per lo più nuove, informazioni sulle sostanze chimiche del corpo chiamate neuropeptidi. Basandomi su queste scoperte, avanzerò l'idea che i neuropeptidi e i loro recettori formano una rete per le informazioni all'interno del corpo. Potrebbe sembrarvi un'ipotesi di poca importanza, ma le sue implicazioni sono tuttavia vastissime. Io credo che i neuropeptidi e i loro recettori sono la chiave per capire come la mente e il corpo sono interconnessi e come le emozioni si manifestano nel corpo. In effetti più conosciamo i neuropeptidi più diventa difficile pensare a 'corpo e mente' in modo tradizionale, risulta sempre più evidente che bisogna parlare di 'mente/corpo' come un'unica entità integrata.
La maggior parte di quello che descriverò sono risultati di laboratorio: scienza 'dura'; è importante ricordare che, benché gli studi scientifici di psicologia sono tradizionalmente focalizzati su una sperimentazione fatta su animali, se si guarda l'indice di della maggior parte dei libri di testo di psicologia, sarà difficile trovare termini come 'consapevolezza', 'mente' o anche 'emozioni'. Questi argomenti finora non sono mai stati accettati nel regno della psicologia sperimentale tradizionale che, normalmente, studia esclusivamente il comportamento perché può essere osservato e misurato.


Esiste un campo della psicologia in cui la mente, intesa come stati di coscienza, è stata studiata oggettivamente da almeno vent'anni: è il campo della psicofarmacologia in cui i ricercatori hanno sviluppato metodologie molto rigorose per misurare gli effetti dei farmaci e gli stati alterati della coscienza.
La ricerca in questo campo si è sviluppata partendo dall'assunto che una sostanza può agire solo se è 'fissata', ossia, se in qualche modo, si 'attacca' al cervello. Quindi i ricercatori inizialmente immaginarono degli ipotetici tessuti i cui costituenti erano capaci di legare una sostanza chimica, proprio come una chiave con la serratura, e li chiamarono 'recettori'. In questo modo, la nozione di recettori cerebrali specifici per una sostanza, diventò in psicofarmacologia una teoria centrale. E un concetto ormai vecchio.
Negli ultimi anni un punto focale nello sviluppo di questa ricerca si è avuto con l'invenzione di tecniche che permettono di legare le specifiche sostanze ai loro recettori, di studiarne la distribuzione nel cervello e nel corpo e di evidenziarne la struttura molecolare.
Il mio lavoro iniziale in questa area fu presso il laboratorio di Solomon Snyder, alla Johns Hopkins University, dove focalizzammo la nostra attenzione sull'oppio, una sostanza che ovviamente altera la coscienza e che è anche usata in medicina per alleviare il dolore. Ho lavorato a lungo e duramente, superando molti mesi di iniziale fallimento, per sviluppare una tecnica capace di misurare il materiale cerebrale con cui l'oppio interagisce per produrre i suoi effetti. Rendendo breve una storia lunga (e tecnica), dirò che abbiamo usato sostanze radioattive che ci permisero di identificare i recettori per l'oppio nel cervello. La molecola di oppio si lega ad un recettore specifico e come da questa piccola connessione si producano una grande sequenza di eventi.
Risultò poi che l'intera classe di sostanze a cui appartiene l'oppio, chiamate oppiacei e che includono la morfina, la codeina e l'eroina, si attaccano agli stessi recettori. Scoprimmo poi che i recettori erano sparsi non solo per tutto il cervello ma anche per il corpo. Dopo aver trovato i recettori per gli oppiacei di provenienza esterna, ci fu un nuovo sviluppo nelle ricerche. Se il cervello e le altre parti del corpo hanno dei recettori per sostanze che provengono dall'esterno, è logico supporre che le stesse sostanze debbano essere prodotte anche all'interno del corpo, altrimenti perché dovrebbero esistere tali recettori? Questa nostra ipotesi ci condusse all'identificazione delle sostanze chimiche chiamate beta endorfine, gli oppiacei endogeni del cervello. Le beta endorfine sono sostanze peptidiche create nei neuroni del cervello e sono quindi dei neuropeptidi. I peptidi vengono prodotti direttamente dal DNA che contiene le informazioni della costruzione Del nostro cervello e del nostro corpo. Se immaginate una normale cellula nervosa potete visualizzare il meccanismo generale. Nel centro della cellula, il nucleo, c'è il DNA, una parte di questo DNA codifica la produzione dei neuropeptidi, che poi si spostano lungo gli estesi prolungamenti della cellula nervosa (gli assoni) e vengono immagazzinati in piccole sfere vicino alla superficie della membrana cellulare, in attesa di una certa carica elettrofisiologica che li libera. Il DNA produce anche i Rettori che sono costituiti dalla stessa sostanza dei peptidi, ma che sono molto più grandi. Bisogna aggiungere che sono stati identificati più di 60 neuropeptidi ognuno dei quali specifico, come le beta endorfine. Abbiamo quindi un sistema enormemente complesso. Fino a pochi anni fa, si pensava che le informazioni del sistema nervoso erano distribuite presso la superficie tra due cellule nervose: la sinapsi, questo comporta che la sinapsi dei neuroni determina ciò che viene comunicato. Ora invece sappiamo che una grande parte delle informazioni che partono e giungono al cervello, non dipendono direttamente dalle sinapsi di una serie di neuroni posti uno dopo l'altro, ma dalla specificità dei recettori.
Infatti quando una cellula nervosa secerne i suoi peptidi oppiacei, questi possono agire a 'chilometri' di distanza da quella cellula nervosa e lo stesso vale per tutti i neuropeptidi. Nello stesso istante moltissimi differenti neuropeptidi possono scorrere nel corpo e attaccarsi ai loro specifici recettori. I recettori quindi servono come meccanismo che sceglie le informazioni trasmesse nel corpo.


A cosa ha portato tutto ciò? A qualche cosa di molto affascinante: i recettori dei neuropeptidi sono, a tutti gli effetti, la chiave biochimica delle emozioni. Negli ultimi anni i ricercatori del mio laboratorio hanno formalizzato questo concetto in un grande numero di pubblicazioni scientifiche, di cui vi parlerò in breve. Molti scienziati giudicherebbero questa idea oltraggiosa, in quanto non è ancora stata accettata dalla 'saggezza' ufficiale. Infatti, venendo da una tradizione in cui i libri di testo di neurofisiologia non contengono neanche la parola 'emozione' nell'indice, non è senza un certo imbarazzo che abbiamo iniziato a parlare di substrato biochimico delle emozioni.
Inizierò puntualizzando un fatto su cui i neuroscienziati sono concordi da molto tempo, ossia che le emozioni sono mediate dal sistema limbico del cervello. Il sistema limbico include l'ipotalamo (che controlla i meccanismi omeostatici del corpo, e che a volte è chiamato il 'cervello' del cervello) e l'amigdala, due aree di cui noi tratteremo particolarmente.
Gli esperimenti che mostrarono la connessione tra emozioni e sistema limbico furono iniziati da Wilder Penfied e altri neurologi scoprirono che quando stimolavano con elettrodi la corteccia sopra l'amigdala, provocavano un'intera gamma di manifestazioni emozionali: potenti reazioni di rabbia, di dolore o di piacere associate a profonde memorie e sempre accompagnate da un comportamento del corpo connesso a quelle emozioni. Il sistema limbico quindi fu identificato tramite esperimenti psicologici. Quando iniziammo a creare una mappa delle localizzazioni dei recettori oppiacei nel cervello, scoprimmo che il sistema limbico conteneva alte concentrazioni di questi recettori e, come scoprimmo poi, anche di tutti gli altri tipi di recettori. L'amigdala e l'ipotalamo, che sono ritenuti classicamente i più importanti costituenti del sistema limbico, risultano infatti colmi di recettori oppiacei: quaranta volte di più che nelle altre aree del cervello. Questi 'punti caldi' corrispondono a nuclei molto specifici o gruppi di neuroni che gli psicologi e i neurofisiologi hanno identificato come i centri di controllo dell'appetito, del comportamento o del bilanciamento dei liquidi nel corpo. La nostra mappa di recettori conferma ed espande in modo molto importante gli esperimenti psicologici sul sistema limbico.
Molti di loro sono degli analoghi (composti chimici simili) di sostanze chimiche psicoattive ma, inaspettatamente, una grossa parte è rappresentata dagli ormoni. Gli ormoni storicamente sono stati ritenuti essere prodotti dalla ghiandole endocrine e non dalle cellule nervose. Introduciamo ora nel nostro quadro alcuni altri neuropeptidi che, come ho già detto, sono ormai più di 60. Da dove vengono i neuropeptidi? Si pensava che un ormone fosse concentrato in una ghiandola del corpo e quindi viaggiasse nel sangue, verso i recettori in un'altra parte del corpo. Uno degli ormoni principali è l'insulina, secreta dal pancreas. Si è scoperto ora che questa insulina non solo è un ormone ma è pure un neuropeptide, prodotto e conservato anche nel cervello e che, naturalmente, esistono recettori cerebrali per l'insulina. Quando abbiamo fatto la mappa dei recettori insulinici, di nuovo abbiamo scoperto 'punti caldi' nell'amigdala e nell'ipotalamo. In breve, abbiamo chiaramente provato che il sistema limbico, il luogo delle emozioni nel cervello, è il punto focale dei recettori dei neuropeptidi.
Un altro punto focale: quando abbiamo studiato la distribuzione di questi recettori, abbiamo scoperto che non sono esclusivamente localizzati nel sistema limbico ma che sono presenti in altre parti del corpo. Abbiamo chiamato questi punti di grande concentrazione dell'attività chimica 'punti nodali' e abbiamo rilevato che sono collocati in zone del corpo in cui esiste una forte modulazione delle informazioni emozionali. Uno dei punti nodali è nella spina dorsale sulle corna posteriori del midollo spinale, zona in cui vengono gestite le informazioni sensoriali. Abbiamo scoperto che ogni area che riceve le informazioni, da tutti i 5 sensi, è un punto nodale che contiene recettori neuropeptidi.
Credo che queste scoperte hanno affascinanti implicazioni per comprendere come le emozioni lavorano e operano. Consideriamo ora la sostanza chimica angiotensina, un altro classico ormone diventato ora un neuropeptide. Quando abbiamo fatto la mappa dei recettori per l'angiotensina, ancora abbiamo trovato una grande concentrazione nell'amigdala. È noto da tempo che l'angiotensina controlla la sete, infatti, se attraverso un tubicino inserito nel cervello di un topo, mandiamo una goccia di angiotensina nell'amigdala, in dieci secondi il topo inizierà a bere anche se è totalmente sazio di acqua. Chimicamente parlando l'angiotensina provoca un'alterazione dello stato mentale che può essere tradotto come 'ho sete'. In altre parole i neuropeptidi modificano gli stati di coscienza.
È ugualmente importante considerare il fatto che i recettori non sono solo nel cervello ma anche nel corpo. Le nostre mappe mostrano infatti gli stessi recettori dell'angiotensina sia nel cervello che nei reni, dove favoriscono la ritenzione dell'acqua. Quindi la produzione di angiotensina conduce sia al comportamento del bere che alla conservazione dei liquidi.
La mia convinzione di base è che i neuropeptidi rappresentano la base fisiologica delle emozioni. Come i miei colleghi ed io abbiamo recentemente discusso in un articolo sul Journal of Immunology: la particolare struttura della distribuzione dei recettori neuropeptidici nelle aree della regolazione umorale del cervello, tanto quanto il loro ruolo di mediazione delle comunicazioni nell'interno organismo, rende i neuropeptidi gli ovvi candidati quali mediatori biochimici delle emozioni. È possibile che ogni neuropeptide veicoli un certo tipo di informazioni solo quando occupa un recettore in un certo punto nodale del corpo e del cervello. Se così fosse ogni neuropeptide potrebbe evocare un particolare 'tono' emozionale equivalente ad un preciso stato psichico.
All'inizio del mio lavoro di ricerca credevo, a tutti gli effetti, che le emozioni fossero nella testa ossia nel cervello.
Ora sono persuasa che sono realmente presenti anche nel corpo, esse sono prodotte dal corpo e parte del corpo. Ora non posso più fare la distinzione precisa tra cervello e corpo.


Voglio portare ora in questo quadro il sistema immunitario. Abbiamo già visto che il sistema ormonale, ritenuto da sempre separato dal cervello, è invece concettualmente parte del sistema nervoso. Quantità di 'succo' vengono secrete e diffuse molto lontano dal luogo dove verranno ricevute. L'endocrinologia e la neurofisiologia sono quindi due aspetti dello stesso processo.
Parlerò ora dell'immunologia, che considero parte di questo stesso processo e che non può più essere considerata una disciplina separata. Una proprietà fondamentale del sistema immunitario è che le sue cellule si muovono. Se non fosse per questo, esse sarebbero identiche agli stabili neuroni del cervello. I monociti, per esempio, che 'mangiano' gli organismi estranei, iniziano la loro vita nel midollo spinale e vengono quindi diffusi nelle vene e nelle arterie. Un monocita viaggia lungo le vie sanguigne e ad un certo punto può ricevere un certo neuropeptide che si attacca a un recettore sulla sua memoria, ricevendo l'informazione di iniziare un processo di aggregazione (chemiotassi). I monociti non sono solo responsabili del riconoscimento e della gestione dei corpi estranei ma sono anche coinvolti nel meccanismo di riparazione dei tessuti e della guarigione delle ferite. Stiamo parlando del fatto che le cellule del sangue hanno una funzione importante nell'elaborazione delle informazioni che proteggono il nostro intero organismo.
La nuova scoperta è che ogni recettore dei neuropeptidi che abbiamo analizzato (usando un elegante e preciso sistema sviluppato dal mio collega Michael Ruff) è presente anche sui monociti umani. I monociti umani hanno recettori per gli oppiacei, per il PCP, per un altro peptide chiamato bombasina e così di seghetto. Questi motori biochimici delle emozioni sembrano attualmente controllare il ricambio e le migrazioni dei monociti. I monociti comunicano con i linfociti B e T, agendo in tutto il sistema sanguigno, per combattere le malattie e per distinguere il Self da non Self, decidendo, diciamo, quali parti del corpo sono degenerate (come le cellule tumorali) o estranee e devono essere eliminate dai linfociti K (Killer). Sembra anche che le cellule del sistema immunitario, non solo hanno i recettori per i neuropeptidi, ma che esse stesse producono neuropeptidi. Ci sono categorie di cellule immunitarie che producono beta endorfine e altri peptidi oppiacei. In altre parole, queste cellule producono le stesse sostanze che sono sempre state ritenute i controllori biochimici degli umori del cervello. Queste cellule controllano l'integrità dell'intero corpo e producono sostanze che modificano l'umore: ancora una volta psiche e soma sono fusi in una unità complessa.


Come abbiamo visto i neuropeptidi sono molecole che mandano segnali: esse inviano messaggi in tutto il corpo compreso il cervello. Naturalmente per avere una tale ampiezza di comunicazioni, c'è bisogno di componenti che possano 'parlare' tra di loro e che possano 'ascoltarsi'. Nel quadro di quello che stiamo discutendo, le componenti che 'parlano' sono i neuropeptidi e quelle che 'ascoltano' sono i recettori. 
Come può essere? Come possono cinquanta o sessanta neuropeptidi essere prodotti, muoversi nel corpo e parlare a cinquanta o sessanta tipi di recettori che ascoltano? Perché regna l'ordine invece del caos? La scoperta che mi appresto a discutere non è accettata totalmente ma i nostri esperimenti sembrano avvalorarla. Ci sono migliaia di scienziati che studiano i recettori e i peptidi oppiacei, e tutti riscontrano una grande eterogeneicità nei recettori. Essi hanno dato una serie di nomi greci a questa apparente diversità. Comunque, con ogni evidenza, l'esperienza dei nostri laboratori suggerisce che esiste solo un tipo di molecola nel recettore oppiaceo: una lunga catena polipeptidica di cui si può scrivere la formula. Questa molecola è in grado di mutare facilmente la propria conformazione all'interno delle membrane, assumendo così un diverso numero di forme. Ho notato così che questa interconversione può avvenire ad una forte velocità, così veloce che è difficile dire, in un preciso istante, in quale stato essa si trovi. In altre parole è come se questa molecola possegga sia una struttura tipo 'onda' che tipo 'particella', ed è importante notare che l'informazione è memorizzata in relazione alla forma che il recettore aveva in quel preciso momento. Come ho detto, l'unità molecolare dei recettori è davvero straordinaria. Il tetrahymena, un protozoo, uno degli organismi più semplici, nonostante la sua semplicità unicellulare, è capace di fare tutto ciò che anche noi possiamo fare, può, mangiare, fare del sesso e naturalmente produrre gli stessi componenti neuropeptidi di cui abbiamo parlato. Questo protozoo produce insulina e beta endorfina. 
Abbiamo preso la membrana del tetrahymena e studiato in particolare i recettori oppiacei presenti nella loro superficie, abbiamo anche studiato i recettori oppiacei nel cervello dei topi e nei monociti umani. Crediamo di aver dimostrato che la sostanza molecolare di tutti questi recettori è la stessa. L'attuale molecola del nostro cervello è identica a quella dei recettori oppiacei del più semplice degli animali! Io spero che la forza dei miei argomenti sia evidente. I recettori oppiacei nel mio cervello e nel vostro sono fatti delle stesse sostanze molecolari di quelle del tetrahymena: questa scoperta tocca la semplicità e l'unità della vita ed è comparabile alle quattro coppie di basi del DNA che formano il codice per la produzione di tutte le proteine, che sono il substrato fisico della vita. Sappiamo ora che in questi substrati fisici esistono all'incirca 60 molecole segnalatrici neuropeptiche che provvedono all'elaborazione di tutte le differenti manifestazioni fisiologiche delle emozioni o, se preferite, per esprimere le emozioni vitali da un fluire di energie.
L'identica forma dei recettori del tetrahymena dimostra che i recettori non diventano più complessi nell'evoluzione della complessità degli esseri viventi. Identiche componenti molecolari che gestiscono il flusso di informazioni, attraverso l'evoluzione si conservano. L'intero sistema nel suo complesso e semplice, elegante e completo in se stesso.


Abbiamo parlato della mente e sorge la questione: dove si trova? Nel nostro lavoro la coscienza è apparsa nel contesto dello studio sul dolore e sulla sua modulazione svolta dai recettori oppiacei e dalle endorfine. Moltissimi laboratori stanno misurando il dolore e siamo tutti d'accordo nel ritenere la sostanza grigia periacqueduttale (situata intorno al terzo ventricolo del cervello) come una sorta di area di controllo del dolore in quanto piena di recettori oppiacei. Abbiamo trovato che la sostanza grigia periacqueduttale è anche piena di recettori per, virtualmente, tutti i neuropeptidi finora studiati.
È ormai noto a tutti che ci sono Yogi che possono esercitare certe pratiche volontarie in modo da non percepire più il dolore; a volte le partorienti possono fare la stessa cosa. Sembra che questo tipo di persone siano capaci di 'inserirsi' nelle loro sostanze grigie periacqueduttali. In qualche modo riescono ad avervi accesso, con la loro coscienza suppongo, e a modificare la soglia di percezione del dolore. In queste situazioni una persona ha un'esperienza che produce dolore, ma una parte della stessa persona fa coscientemente qualcosa in modo che il dolore non venga sentito. Da dove viene questa coscienza, questo io cosciente che si inserisce nelle aree cerebrali del dolore in modo che il dolore non venga percepito?
Vorrei riagganciarmi all'idea di rete di informazioni (network).
Una rete è differente da una struttura gerarchica che possiede una parte superiore e una inferiore. Teoricamente ci si può inserire in ogni punto di una rete e raggiungere qualsiasi altro punto. Il concetto di rete mi sembra adatto a comprendere il processo di come la coscienza è presente nelle aree del dolore e di come le modifica per controllarlo.
Tanto lo Yogi che la partoriente usano una tecnica simile per il controllo del dolore: il respiro. Anche gli atleti lo usano. Il respiro è estremamente potente. L'area neurofisiologica della funzione respiratoria è nei nuclei del tronco cerebrale. Io ritengo che questi nuclei dovrebbero essere inclusi nel sistema limbico in quanto sono 'punti nodali' fittamente disseminata di neuropeptidi e dei relativi recettori.
La mia idea si potrebbe mettere così: il respiro ha una base fisica nei nuclei del tronco cerebrale che sono, anche, un punto nodale. Questo punto nodale è parte di una rete di informazioni in cui ogni punto è in contatto con ogni altro, per cui la coscienza può, tra le altre cose, inserirsi sulle funzioni delle aree del dolore.
Io ritengo sia possibile concepire la mente e la coscienza come prodotto dell'elaborazione delle informazioni emozionali, e, in quanto tali, la mente e la coscienza apparirebbero essere indipendenti dal cervello e dal corpo.


Un'ultima congettura, oltraggiosa probabilmente, ma coerente con il tema di questo simposio su 'Sopravvivenza e Coscienza'. Può la mente sopravvivere alla morte del cervello? Credo che ora dovremo ricordare come la matematica ritiene che le entità fisiche possono improvvisamente collassare o espandersi all'infinito. Io penso sia importante realizzare che l'informazione è immagazzinata nel cervello e mi sembra plausibile che l'informazione possa trasferirsi in qualche altra dimensione. La molecola di DNA contiene sicuramente le informazioni che producono il cervello e il corpo, e lo psicosoma sembra scambiare (nella riproduzione-fecondazione n.d.r.) le molecole dell'informazione che danno vita all'organismo.
Dove vanno le informazioni dopo la distruzione fisica della molecola (la massa) che la compone? La materia non può essere creata né distrutta, ed è plausibile che il flusso di informazioni biologiche non possa scomparire alla morte e debba essere trasformato in un'altra dimensione.
Chi può razionalmente dire 'impossibile'? Nessuno fino ad ora ha unificato matematicamente la teoria dei campi gravitazionali con la materia e l'energia. La matematica della coscienza non è ancora stata applicata. La natura dell'ipotetica 'altra' dimensione è correttamente riconosciuta nella realtà religiosa e mistica, in cui alla scienza occidentale è inibita ad addentrarsi.



LA PSICONEUOROENDOCRINOIMMUNOLOGIA - PNEI: studio dei rapporti tra Psiche, sistema nervoso, sistema endocrino, sistema immunitario.

di Carmela Sgarrella
La PNEI è diventata negli ultimi anni una delle discipline più ricche e interessanti dell’intera ricerca medica e scientifica. La PNEI sta trasformando radicalmente il consueto modo frammentato di concepire l’essere umano, proponendo una visione realmente unitaria dell’essere umano e dei suoi principali sistemi di comunicazione interna, una visione olistica in cui la psiche, ossia il pensiero, la coscienza e l’emozione diventano elementi fluidi e dinamici direttamente implicati in ogni processo nervoso, endocrino e immunitario.
Prima di addentrarci nell’analisi dei rapporti tra questi grandi sistemi, occorre precisare che le conoscenze relative al sistema nervoso, al sistema endocrino e al sistema immunitario si sono arricchite e modificate tanto da stravolgere completamente la precedente visione della funzione di ciascun sistema.
Gli studi condotti dagli anni settanta ad oggi, hanno portato alla individuazione di particolari proteine, i neuropeptidi. La loro scoperta ha ampliato le conoscenze sul funzionamento sia del sistema nervoso che di altri importanti sistemi quale quello endocrino e immunitario, che oggi ci appaiono molto più integrati nello scopo comune di adattare sempre meglio l’organismo all’ambiente.
Il dato più sconcertante è la loro produzione contemporanea sia a livello centrale, da parte del sistema nervoso, con funzioni di neuromodulazione, che e a livello periferico, da parte di cellule appartenenti a sistemi diversi quali il sistema endocrino o immunitario o digerente, ponendo il problema del significato funzionale di questa doppia rappresentazione polipeptidica centrale e periferica.




I neuropeptidi e i rispettivi recettori, hanno messo in discussione i principi basilari della fisiologia classica riguardo la neurotrasmissione.
La trasmissione nervosa avviene tramite la trasformazione dell’impulso da elettrico in chimico a livello delle sinapsi cioè dei punti di contatto tra una cellula e l’altra, ma si supponeva che le sostanze chimiche coinvolte fossero di un solo tipo, i neurotrasmettitori, molecole semplici, eccitatrici o inibitrici, a struttura non polipeptidica e a rapida inattivazione, attualmente identificate in noradrenalina, adrenalina, serotonina, acetilcolina, Gaba (acido gamma amino butirrico), dopamina.
Ora si sa che la stessa cellula nervosa libera anche neuropeptidi (fenomeno chiamato "cotrasmissione"), molecole più grosse e più complesse, con una vita più lunga, così che ogni impulso, durante il suo tragitto, viene modulato, ossia arricchito di sfumature al variare dei neurotrasmettitori, dei neuropeptidi e del tipo dei recettori coinvolti.
Ma la distinzione tra neurotrasmettitori e neuropeptidi a volte è impossibile: prendiamo ad esempio la vasopressina, essa è al tempo stesso un neuropeptide, un ormone, e un neurotrasmettitore a seconda della sede e della funzione presa di volta in volta in considerazione. La semplice logica dell‘acceso-spento è stata soppiantata da quella più complessa della "neuromodulazione".
Lo psicofisiologo francese Jean-Francois Lambert, sul concetto di neuromodulazione ha valutato le possibili variazioni di comunicazione in una singola sinapsi neuronica nell’ordine delle centinaia fino alle migliaia di differenti possibilità.
In questo nuovo modello funzionale del sistema nervoso, mentre i neurotrasmettitori classici servono a trasmettere segnali alquanto aspecifici ed elementari, i neuromodulatori neuropeptidici hanno durata relativamente lunga, sono così numerosi e con funzioni tanto integrate che si parla di sistemi neuropeptidici, ed esercitano la loro azione su aree sinaptiche assai vaste armonizzando e modulando insieme le centinaia di migliaia di impulsi elementari che transitano nelle vie nervose, così da influenzare funzioni sempre più complesse, e in ultima analisi il comportamento stesso.
E infatti gli studi di psicobiologia sui correlati biologici dei comportamenti umani, hanno mostrato una sconcertante convergenza tra comportamenti e sistemi neuropeptidici, come se ad ogni azione umana corrispondesse un determinato assetto neuropeptidico.
L’indagine sui legami tra comportamenti, eventi esterni e modificazioni biologico-somatiche fu intrapresa da Seyle nel ’36. Seyle osservò che animali sottoposti a stimoli nocivi sia fisici sia chimici o in ogni caso minacciosi per la vita, reagivano producendo modificazioni biologiche specifiche e comportamenti finalizzati.
In particolare Seyle si rese conto che la percezione di un evento stressante determinava l’attivazione del sistema nervoso vegetativo simpatico, modificazioni del sistema endocrino e un comportamento volto all’annullamento dell’evento stesso.
Studi successivi hanno mostrato che sono capaci di stimolare una reazione da stress, come quella descritta per la prima volta da Seyle, non solo le situazioni oggettivamente minacciose, ma anche soggettivamente valutate come tali.
Questa capacità si manifesta con il progredire della scala evolutiva. Nell’uomo lo sviluppo del cervello, e in particolare della corteccia cerebrale che presiede alle funzioni cognitive e dell’area limbica che presiede alle emozioni, fa sì che gli impulsi nervosi provenienti dalla stimolazione dei nostri sistemi sensoriali si trasmettano a più aree cerebrali capaci di connettersi tra loro per la fitta rete di interconnessioni gliali. Si realizza così un’integrazione delle informazioni ricevute con le precedenti esperienze e ogni evento viene associato a determinate emozioni così da acquistare una valutazione soggettiva. Ogni emozione diventa così l’espressione di un processo di elaborazione degli stimoli sensoriali e cognitivi capace poi tramite il sistema dei neurotrasmettitori di trasmettere al resto del corpo questa informazione, con conseguenti modificazioni metaboliche capaci di adattare il corpo alle nuove esigenze.
I neuropeptidi innescano così tante reazioni a catena, inducendo nel sistema nervoso determinate attività mentali e nuovi stati emozionali, negli altri sistemi "in periferia" quali quello neurovegetativo, endocrino, immunitario ecc., modificazioni metaboliche funzionali.
Dunque l’aspetto più interessante di questi studi è quello di aver posto in primo piano nella vita di ogni uomo l’importanza delle emozioni, capaci di innescare reazioni fisiche per adattare l’organismo alle mutate condizioni e consentirgli un adeguato comportamento.




La struttura coinvolta più direttamente nell’integrazione degli stimoli provenienti dalle varie aree cerebrali e nella elaborazione delle emozioni è il sistema limbico.
Con esso si intende una zona del cervello dai confini non ben definiti che include l’ipotalamo, l’ipofisi, l’amigdala, l’ippocampo, il giro cingolato, il fornice, il setto, i nuclei del talamo.
Il sistema limbico riesce a stabilire fitte interconnessioni con tutto il resto del cervello e con i principali sistemi del nostro corpo, quali quello endocrino o immunitario, proprio attraverso i neuropeptidi di cui è particolarmente ricco.
Sono stati individuati oltre 50 neuropeptidi e alcuni autori (Pancheri, Biondi e altri) li hanno raggruppati in "sistemi peptidergici" correlandoli a determinati comportamenti finalizzati. Sono stati così individuati e proposti quattro sistemi peptidergici:
sistema dell’azione, del piacere-dolore, della riproduzione, del supporto biologico di base.
Il sistema dell’azione è rappresentato principalmente dai neuropeptidi CRF, ACTH, TRH, Vasopressina. Essi attivano la sequenza ipotalamo-ipofisi- corticosurrene, tipica della reazione da stress con significato generale di tipo adattativo e di aumento delle possibilità di sopravvivenza dell’organismo.
Il sistema del piacere-dolore è rappresentato fondamentalmente dai peptidi oppioidi, endorfine e encefaline. Tali peptidi modulano la soglia e la reattività emozionale al dolore, ma anche le reazioni emozionali dei processi di attaccamento e perdita, alcuni comportamenti appetitivi e alimentari, il comportamento sessuale ecc.
Il sistema peptidergico della riproduzione è rappresentato dal GnRH ipotalamico, LH, FSH, ossitocina, prolattina, e a livello periferico dagli ormoni gonadici. Queste sostanze, insieme alla loro azione endocrino-metabolica classica, modulano emozioni e comportamenti sessuali, e il complesso delle emozioni che portano all’attaccamento materno oltre ancora a svolgere un ruolo sull’apprendimento e la memoria.
Il sistema di supporto metabolico delle funzioni vitali comprende una pluralità di neuropeptidi ognuno con funzioni sia centrali, ossia sul sistema nervoso, che periferiche. I più importanti sono: angiotensina, CCK, bombesina, Vip, neurotensina, gastrina, peptidi intestinali ecc. Essi sono implicati in funzioni fisiologiche essenziali per la vita, tra cui alimentazione e assimilazione, metabolismo, bilancio idrico, sonno, bioritmi, mantenimento della identità genetica.
L’evidenza ed il riconoscimento dell’influenza di fattori psichici ed emozionali sui processi biologici e quindi anche sui processi di malattia, hanno raggiunto un maggiore consenso proprio con l’accrescersi di questi studi che hanno documentato su base sperimentale tali rapporti.
I neuropeptidi rappresentano dunque il punto di contatto tra corpo e mente, "l’anello mancante" (Pancheri ) capace di spiegare la connessione psicosomatica da tanto cercata.
Ogni stimolo provoca emozioni, pensieri e modificazioni organiche contemporaneamente e questo tramite i neuropeptidi e i propri recettori, definiti da Candace Pert, neurofisiologa, direttrice del centro di biochimica cerebrale del NIMH, National Institute for Mental Health, "sostanze informazionali" cioè capaci di trasportare informazioni, immaginando il corpo umano come una rete interdipendente di sistemi informazionali, in cui l’antica divisione tra corpo e mente non esiste più.
Il sistema nervoso non deve essere visto più come un semplice incanalatore degli stimoli ambientali nel momento in cui essi colpiscono i vari organi di senso, ma come un elaboratore di informazioni, in accordo alle moderne tesi dei neurofisiologi quali Sperry, Eccels, Pibram.
Tutto questo ci impone di ridisegnare i confini del sistema nervoso, modificare i concetti anatomofisiologici su cui ci siamo basati finora e aprire nel campo delle neuroscienze nuove basi biologiche del comportamento.




Originariamente si considerava che il sistema nervoso e quello endocrino fossero distinti e che le informazioni venissero veicolate nel primo caso attraverso l’impulso nervoso e i neurotrasmettitori chimici, che agivano solo localmente, nel secondo attraverso sostanze chimiche prodotte dalle cellule delle ghiandole a secrezione interna, che venivano immesse nel sangue e andavano ad agire a distanza anche notevole dal sito di produzione.
Oggi sappiamo che i due sistemi sono strettamente connessi e la divisione puramente artificiosa. La scoperta che sostanze ad azione ormonale chiamate peptidi sono prodotte, non solo da cellule appartenenti al sistema endocrino classico, ma anche da quelle nervose o del sistema immunitario o del tubo digerente, ha modificato la nostra concezione del sistema endocrino, non più limitato alle ghiandole propriamente dette (ipofisi, tiroide, paratiroidi, surreni, gonadi, pancreas) ma formato da cellule che se pure dislocate in tessuti appartenenti a sistemi diversi, hanno tutte la capacità di secernere ormoni detti anche peptidi o neuropeptidi se secreti da cellule nervose, così che si può affermare che il cervello stesso è anche un organo endocrino e che è artificiosa la distinzione tra neurotrasmettitori, neuromodulatori e ormoni.
A.Pearse ipotizzò dieci anni fa che tutte le cellule che producono peptidi sono dei neuroni, con una comune origine dall’ectoderma neurale, confondendo così i confini tra sistema nervoso e sistema endocrino.
La scoperta che gli ormoni possono favorire direttamente funzioni quali l’apprendimento, la memoria, ecc.. ha ulteriormente arricchito le connessioni tra i due sistemi.
Vent’anni di ricerche hanno ormai stabilito che l’equilibrio del sistema endocrino è sensibile a situazioni e stimoli emozionali non solo stressanti -tipo un intervento chirurgico o una competizione sportiva, l’attesa di un esame, la morte di una persona cara- ma di tutte le emozioni, comprese quelle che provocano un  riso a crepapelle per una barzelletta spassosa.
Ogni emozione è connessa a dei neurotrasmettitori che vanno a stimolare sia direttamente il sistema nervoso inducendo determinate attività mentali quali attenzione, memoria ecc, sia attivando altre emozioni quali dolore-paura-rabbia ecc, sia producendo modificazioni periferiche sul sistema ormonale propriamente detto così da indurre un metabolismo adeguato alle circostanze.
Se, ad esempio, una emozione spinge l’individuo ad agire, in particolare a muoversi e reagire in senso attivo(possiamo immaginare per soccorrere qualcuno in difficoltà) l’ipotalamo stimolato da uno specifico "codice" di vari neurotrasmettitori (noradrenalina NA, dopaminaDA, serotonina 5HT, acetilcolina Ach, acido gamma amino butirricoGABA ) produce un neuropeptide chiamato CRF che induce l’ipofisi anteriore a produrre un ormone chiamato ACTH capace di agire sul corticosurrene stimolando la produzione dell’ormone cortisolo. Tutte queste sostanze, sia il CRF che l’ACTH che il cortisolo, in vario modo, preparano l’organismo all’azione.
Il CRF ha un importante ruolo nella regolazione del sistema nervoso vegetativo stimolando il sistema simpatico con l'aumentata produzione di adrenalina e noradrenalina nel sangue, e inibendo il sistema parasimpatico con conseguente eccitazione del sistema cardiocircolatorio così da rendere pronto l’organismo a fronteggiare ogni sforzo fisico. Parallelamente il CRF va a deprimere la produzione di un altro importante neuropeptide, il GnRH gonadotropin realising factor, stimolante la produzione di ormoni sessuali, così da concentrare ogni attività solo sull’azione.
L’ACTH oltre ad una azione endocrina di stimolo del cortisolo, possiede anche una azione "centrale" diretta sul cervello stesso rilevabile a livello di risposte comportamentali quali miglioramento della attenzione, delle capacità di prestazione e della reattività.
Nel caso di uno stress fisico intenso vengono attivati anche altri ormoni quali gli oppioidi endogeni responsabili della analgesia da stress, e la melatonina che regola il nostro sonno.
 Anche uno stress puramente emozionale determina una attivazione dei principali sistemi endocrini, e gli ormoni coinvolti variano a seconda del tipo di emozione e della durata della stessa e della maggiore o minore capacità di farvi fronte. Es. lo stress da perdita di una persona cara normalmente non si associa ad una riduzione degli ormoni sessuali, anche se questo può avvenire, mentre uno stress acuto da subordinazione si associa sempre ad una riduzione di questi ormoni.
Altra correlazione tra sistema nervoso e sistema endocrino è visibile attraverso lo studio della cronobiologia, ossia dei ritmi del nostro corpo.
Il cervello produce neuropeptidi con una certa ritmicità o pulsatilità dipendente probabilmente anche dai condizionamenti ambientali subiti nel corso dell’evoluzione e quindi invia segnali ai vari tessuti e quindi anche alle ghiandole endocrine che a loro volta possono, attraverso una loro soglia di concentrazione nel sangue, regolare in maniera retroattiva la produzione dei neuropeptidi cerebrali e quindi in ultima analisi la loro stessa produzione.



Anche in questo campo le scoperte degli ultimi anni hanno rivoluzionato l’immagine del sistema immunitario. La tradizionale concezione del sistema come puro meccanismo difensivo comandato dallo stimolo antigenico è stata ormai abbandonata. Le cellule immunitarie interagiscono costantemente con il sistema nervoso e il sistema endocrino a tal punto che non c’è modificazione del sistema nervoso che non si associ a modificazioni del sistema endocrino e immunitario e viceversa. E come può avvenire tutto questo?
Le fibre del sistema nervoso autonomo innervano gli organi linfatici avvolgendoli e infiltrandoli così da creare delle strettissime connessioni con i linfociti, si parla infatti di ‘giunzioni neuroimmunitarie’, così che ogni più piccola variazione nell’equilibrio del sistema simpatico-parasimpatico viene registrata dalle cellule immunitarie.
Inoltre l’individuazione sulla parete cellulare dei linfociti di recettori per una serie di sostanze che possono attivare o inibire le loro funzioni è stata decisiva per comprendere una delle basi molecolari dell’influenza della mente sul sistema immunitario. Questi recettori sono come serrature che si possono aprire per dare inizio a delle attività cellulari e le molecole che interagiscono con essi sono neurotrasmettitori, neuopeptidi, ormoni.
I linfociti posseggono recettori per i neurotrasmettitori del sistema nervoso autonomo, noradrenalina, adrenalina, acetilcolina. Così ogni più piccola modificazione del sistema simpatico-parasimpatico, e della concentrazione dei suoi neurotrasmettitori, a livello delle giunzioni neuroimmunitarie, produrrà i suoi effetti sulle cellule immunitarie stesse, che verranno più o meno stimolate. E’ stato visto, in animali da esperimento, che denervando linfonodi e milza, organi nei quali le cellule immunitarie vengono immagazzinate e prodotte, la risposta immunitaria dopo inoculazione di un virus, era enormemente ridotta. Dunque il sistema nervoso non solo è collegato a quello immunitario, ma è essenziale per una funzione immunitaria appropriata. Se consideriamo poi quanto il sistema nervoso autonomo, attraverso una eccitazione o inibizione del simpatico o del parasimpatico, possa far esprimere a tutto il corpo una emozione nata nel sistema nervoso centrale, allora ci apparirà sempre più evidente il nesso tra emozioni e sistema immunitario.
Altri recettori linfocitari sono specifici per i neuropeptidi ipotalamici e ipofisari:
CRH, TRH, GRF, GnRH, encefaline, endorfine, ACTH, VIP, sostanza P, alfaMSH, prolattina e per ormoni propriamente detti quali estrogeni, ormoni tiroidei ecc.
Ogni nuovo assetto neuroendocrino, che sappiamo si stabilisce al variare delle richieste del nostro corpo per fronteggiare gli eventi della vita, da quelli banali dei ritmi sonno-veglia, alle cicliche modificazioni ormonali per garantire una procreazione, alle continue sollecitazioni del mondo esterno che richiedono adattamenti fisici e psichici, alle emozioni più o meno forti, si associa ad un adattamento del sistema immunitario. E come il cervello è in grado di apprendere e di memorizzare, così fa anche il sistema immunitario, capace di riconoscere il "sé" dall’estraneo e di produrre quella memoria immunitaria che ci protegge da nuove aggressioni dello stesso virus o che ci rende immunodepressi di fronte anche al solo ricordo di un evento stressante.





Le cellule del sistema immunitario sono i Leucociti divisi in tre grandi gruppi: granulociti (neutrofili, basofili, eosinofili), linfociti, monociti-macrofagi.
I leucociti neutrofili e i monociti-macrofagi, rispondono in maniera aspecifica distruggendo con i loro enzimi le sostanze estranee precedentemente inglobate al loro interno.
I linfociti si dividono in linfociti B deputati alla produzione degli anticorpi (immunità umorale) e in linfociti T che reagiscono direttamente verso le cellule che espongono sulla loro superfice i determinanti antigenici e si suddividono a loro volta in linfociti T helper(CD4), Tcitotossico (CD8) (immunità cellulare).
I linfociti rispondono in maniera molto specifica. Dopo aver riconosciuto come estranee sostanze di varia natura, quali virus o cellule non appartenenti al l’organismo. I linfociti B, con l’aiuto dei linfociti T helper(CD4), a contatto con l’antigene (sostanza riconosciuta come estranea) si trasformano in cellule che producono anticorpi ossia molecole che si legano all’antigene, così che il complesso antigene anticorpo possa venire eliminato.
Il linfocita T citotossico o killer(CD8) riconosce e distrugge direttamente le cellule anomale, infettate da un virus o trasformate in neoplastiche, tramite sostanze capaci di farle scoppiare.
I linfociti T helper non sono tutti uguali ma suddivisi in due sottogruppi, i Th1 e i Th2 che rappresentano due modi diversi di attivare la risposta immune attraverso la produzione di differenti citochine, molecole proteiche che mettono in comunicazione le varie cellule del sistema immunitario, le cellule del sistema immunitario e gli altri due grandi sistemi, il sistema nervoso e quello endocrino.
I linfociti Th1 attivano una risposta cellulo mediata, ossia attraverso i linfociti T citotossici, i linfociti Th2 stimolano invece la risposta umorale attraverso i linfociti B e la produzione di anticorpi. Alcuni ricercatori pensano che risposte immuni attraverso il circuito Th1 o Th2 dipendano dal tipo di infezioni o stimolazioni antigeniche (virus, parassiti, allergeni)
Il sistema immunitario realizza le sue difese verso agenti nemici non solo attraverso le cellule appena descritte, ma anche attraverso molecole proteiche chiamate citochine, prodotte sia dalle cellule del sistema immunitario che da altri tipi di cellule, quali cellule nervose o epiteliali. Queste sostanze, di cui se ne riconoscono molti tipi, interferoni, fattori di crescita, fattori di necrosi tumorale, interleuchine, assicurano una buona cooperazione tra le cellule del sistema immunitario e il sistema nervoso e endocrino. Costituiscono quindi un altro gruppo di "molecole informative" che mettono in connessione il sistema PNEI. Esse oltre ad esserne prodotte sono in grado anche di agire sulle cellule immunitarie e neuroendocrine stesse indirizzando la reazione immunitaria ( es. più umorale o più cellulare) o la risposta neuroendocrina, e con effetti anche su tutti quegli altri fattori che intervengono nel corso di una risposta infiammatoria (istamina, fattori chemiotattici, acido arachidonico, prostaglandine, prostacicline, trombossano, leucotrieni, PAF)
Sappiamo che in situazioni di stress acuto i livelli di adrenalina e noradrenalina nel sangue aumentano e che l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene viene attivato e di conseguenza la cortisolemia aumenta. Il cortisone sappiamo avere una funzione soppressiva nelle reazioni immunitarie attraverso una riduzione diretta sul numero dei leucociti circolanti e in particolare sui macrofagi, i linfociti T helper, e sui NK, e indiretta inibendo la produzione di citochine (INF-gamma,IL1-2-3.6)mediatori della flogosi, da parte dei linfociti stessi. Inoltre sembra che i glucocorticoidi siano in grado di stimolare l’attività dei linfociti soppressori cioè proprio quei linfociti che contribuiscono a "spegnere" la reazione immunitaria con effetti immunosoppressori che si sommano a quelli prima descritti. Infine inducono la produzione di particolari proteine(le lipocortine) che bloccano la formazione di molecole infiammatorie, prostaglandine ed altre.
Situazioni di stress prolungato e in particolare le situazioni di subordinazione sociale o di minaccia o di forte competizione oppure ancora stati depressivi cronici particolarmente successivi a perdita o abbandono di figure affettivamente importanti , creano un assetto ormonale caratterizzato da una cronica attivazione dell’asse ipotalamo ipofisi surrene e da un cronico stato immunodepressivo con facilità alle infezioni e alle malattie virali. Questo, alla lunga, crea una sregolazione a livello dei recettori per i glucocorticoidi presenti nell’ippocampo che normalmente fa da segnapassi nella stimolazione dell’ipotalamo alla produzione di CRH con una più difficoltosa regolazione successiva dei livelli di cortisolo e quindi una più difficile capacità di ripristino delle condizioni normali dopo un qualsiasi evento stressante. Questa scarsa adattabilità agli eventi stressanti della vita anche quotidiana, rende il soggetto più esposto alla malattia. Sono state fatte correlazioni tra le personalità di coloro che i quali sono stati sottoposti soprattutto da piccoli a situazioni cronicamente stressanti e rischio di malattia. Le personalità sono caratterizzate da tendenza alla rinuncia, meticolosità, mitezza, sincerità, e riservatezza. C’è una cronica inibizione emozionale e una non efficiente risposta allo stress, nel senso che il soggetto non è in grado di attivare e disattivare rapidamente la reazione di stress, mantenendosi invece in uno stato di iperattivazione cronica di grado moderato. Tutto questo sopprime o altera la risposta immunitaria e predispone alla comparsa di malattie croniche o degenerative.
La cronica attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene può portare a quadri diversi: sembra che nella classica depressione di tipo malinconico vi sia un’ipereccitabilità dei neuroni ipotalamici che secernono CRH e la risposta, la controregolazione inibitoria ad opera del cortisolo, pur essendo molto sostenuta al punto da produrre una cortisolemia alta, non riesce a "spegnere l’incendio". Alimentato anche tramite la produzione di forti quantità di noradrenalina da parte del locus coeruleus, che fungono da stimolo ai neuroni che producono CRH.
Nella depressione invece cosiddetta atipica, che accompagna varie malattie di tipo autoimmunitario, quali l’artrite reumatoide, prevale invece o un cronico deficit di CRH o una inadeguata risposta alla sua stimolazione, con prevalenza dei fenomeni infiammatori cronici.


CRONOBIOLOGIA


Cronobiologia: approccio olistico a mente-corpodi Gianni Francesetti e Alessandro Meluzzi
La ciclicità è una caratteristica praticamente costante della materia vivente: esistono ritmi delle cellule, degli organi e sistemi, della biologia e del comportamento degli organismi e della specie. Così, ad esempio, è presente una ritmicità nel ciclo riproduttivo delle cellule del nostro organismo ed è ritmica l'attività elettroencefalografica cerebrale. Ma anche tutta la nostra vita psicosociale segue dei ritmi più o meno evidenti, come dimostrano il comportamento alimentare o sessuale e il ciclo sonno/veglia. A questo proposito alcune indagini epidemiologiche hanno evidenziato che l'attività sessuale nell'uomo, la frequenza dei rapporti sessuali, la masturbazione, la vendita di contraccettivi, i nuovi casi di malattie sessuale trasmesse, le violenze sessuali denunciate presentano un picco circannuale tra il mese di luglio e quello di ottobre.
Si è osservato, inoltre, che l'attività criminosa contro le persone presenta un picco massimo in estate, mentre quella contro la proprietà è massima in inverno.
 Le convulsioni epilettiche variano la loro frequenza con un ritmo che segue le fasi lunari e con un ritmo circadiano. È per questo che gli antichi chiamavano l'epilessia "mal di luna"? Tutto ciò è in relazione col mito dei licantropi (uomini-lupo)?
La depressione e la mania sono sindromi tipicamente cicliche e a volte stagionali e anche l'incidenza dei suicidi presenta dei massimi e dei minimi annuali; per esempio alle nostre latitudini vi è un massimo al solstizio d'estate.
Qual è il significato e quali sono i meccanismi regolatori di questa sorta di cronometro o clessidra della biologia e dei comportamenti? Occorre innanzitutto precisare che esistono molti tipi di ritmi biologici: ci sono ritmi circadiani, della durata, cioè, di circa un giorno; ritmi infradiani, con un periodo maggiore di 24 ore, come quelli circamensili o circannuali; ritmi ultradiani, con un periodo inferiore alle 24 ore. Ogni ritmo biologico e comportamentale è la risultante di un elemento endogeno e di un sincronizzatore esterno; esiste infatti un ritmatore (nel nucleo soprachiasmatico ipotalamico) che genera dei ritmi con un periodo di circa 24 ore. A questo programma genetico si sovrappone l'influenza dei sincronizzatori ambientali: si tratta di fattori fisici (ciclo luce-buio, della temperatura, fasi lunari, campi geomagnetici) e psicosociali (turni di lavoro, orario dei pasti, ecc.). In condizioni di isolamento da questi fattori ambientali, (come durante l'isolamento in grotte), i ritmi biologici saranno l'espressione dei soli ritmatori endogeni che produrranno dei ritmi cosiddetti free-running perché non più controllati dall'esterno; ad esempio il ciclo sonnoveglia invece di essere di 24 ore acquisterà un periodo più lungo (di 25 ore circa). È dal reciproco contributo dei sincronizzatori interni ed esterni che nasce l'equilibrio cronologico dell'organismo.
Un "relais" fondamentale dell'adattamento temporale dell'individuo all'ambiente è costituito dalla ghiandola pineale o epifisi. Questa ghiandola venne definita da Cartesio la "sede dell'anima" e anello di giunzione fra la Res Cogitans e la Res Extensa (la coscienza e il corpo). Inoltre, per gli orientali, la pineale costituisce il "terzo occhio" o "occhio di Buddha", che, se aperta, penetra nelle dimore di cose ineffabili e, a livello epifisario, è posto il settimo chakra: il loto dell'illuminazione. L'epifisi secerne la melatonina in funzione del ciclo luce/buio e di altre determinanti ambientali come i campi elettromagnetici. La melatonina agendo sul sistema endocrino, sul sistema immunitario e verosimilmente su quello nervoso, informa l'organismo delle variazioni ambientali permettendogli di adeguarsi ad esse.
È evidente il significato adattivo di tutto ciò: un organismo è evolutivamente avvantaggiato dal fatto di essere programmato in anticipo per adottare la propria fisiologia e comportamento alle variazioni ritmiche ambientali; infatti, poiché la durata giornaliera della luce solare (fotoperiodo) varia col variare della stagione, la pineale modifica la sua funzione nei diversi periodi dell'anno e permette, ad esempio, all'animale che andrà in letargo di accumulare grassi in anticipo prima che il freddo e la scarsità di cibo si facciano sentire.
Ognuno di noi "funziona" quindi sulla base di una quantità innumerevole di ritmi qualitativamente eterogenei. Ritmi cellulari: ad esempio l'attività mitotica e metabolica; ritmi sistematici: per il sistema neuroendocrino ricordiamo l'attività ciclica circadiana e circannuale dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene e quindi del cortisolo, ormone principe dello stress, e del sistema endorfinico del piacere-dolore (cioè il sistema delle endorfine, i cosiddetti oppioidi endogeni). Anche il sistema immunitario varia la sua attività lungo le 24 ore (ad esempio le cellule natural killer presentano la massima reattività alle 5 del mattino secondo un ciclo controllato dalla melatonina). Ad un livello ancora superiore si situano i ritmi organismici integrati: il ritmo sonno-veglia, con le sue fasi REM (sonno con sogno) e non REM (sonno senza sogno), i ritmi di attività e riposo, i ritmi emozionali, quelli sessuali e riproduttivi. Tutti questi sistemi sono strettamente integrati fra di loro: durante le fasi REM del sonno si osserva un incremento a picco dei tassi di IL-2 (interleukina 2), una sostanza endogena che stimola le Natural Killer che difendono l'organismo dai virus e dalle cellule neoplastiche che quotidianamente si formano nel nostro organismo. È possibile che tale azione sia mediata dalle beta-carboline, allucinogeni endogeni secreti anche dalla pineale e che possiedono importanti azioni sul sistema immunitario. È molto affascinante notare che queste stesse betacarboline sono contenute nelle piante allucinogene utilizzate dagli sciamani sudamericani nelle loro pratiche terapeutiche.
A questo proposito, come non ricordare la correlazione che molte civiltà proponevano fra attività onirica e condizioni di salute e malattia? I Greci, ad esempio, passavano le notti nei templi di Esculapio (Dio della medicina) aspettando la visita della divinità nel sogno. Al mattino si poteva essere o spacciati o guariti.
E ancora: durante il giorno abbiamo dei ritmi brevi, cosiddetti ultradiani, della durata di 90 minuti in cui alternativamente risulta attivato o l'emisfero destro o quello sinistro; ciò si può facilmente determinare controllando con quale narice si sta respirando: l'emisfero attivo è quello opposto alla narice aperta. Durante la dominanza dell'emisfero destro viene stimolata la fantasia e la creatività, come quando si sogna ad occhi aperti, ed è in questa fase che si verificano con più frequenza lapsus, distrazioni e incidenti; viceversa, quando è l'emisfero sinistro ad essere più attivo, siamo più vigili su ciò che ci circonda e sono più pronte le nostre capacità analitiche, matematiche, razionali. L'organizzazione bioritmica del nostro organismo, della quale abbiamo dato qualche esempio, è quindi essenziale per l'adattamento del nostro psicosoma all'ambiente in cui vive e, quindi, per il mantenimento dell'omeostasi. Infatti, quando quest'ultima viene persa e insorge la malattia, troviamo praticamente sempre delle alterazioni cronobiologiche.
Nel settore del disturbo mentale, una tipica disritmia è la psicosi maniaco-depressiva in cui sono presenti variazioni cicliche con periodo circadiano (il paziente sta regolarmente peggio al mattino) e con periodi maggiori mensili o annuali. In questa patologia si ritiene che un'alterazione dei ritmi possa giocare un ruolo causale nell'insorgere della malattia; infatti la luce, come risincronizzante se somministrata in particolari momenti del giorno, ha un effetto terapeutico (9,10) (Light-therapy).
bioritmi possono alterarsi in seguito allo stress o per la desincronizzazione fra fattori regolatori ambientali e pacemakers endogeni. Lo stress causa alterazioni neuroendocrine importanti che sregolano il ritmo ormonale del soggetto e altera il normale alternarsi di dominanza emisferica. La desincronizzazione provoca il disadattamento fra individuo e ambiente: ciò accade ad esempio nei turni di lavoro e nei viaggi intercontinentali aerei. Queste situazioni sono accompagnate da una quantità di sintomi psicosomatici dei quali un tipico esempio è il jet-lag e che vanno dalla cefalea e disorientamento, all'insonnia o ipersonnia, ai disturbi gastrointestinali o dermatologici; inoltre nei disturbi somatoformi e dell'umore si riscontrano spesso alterazioni cronobiologiche ormonali che possono giovarsi di una terapia risincronizzante quale la somministrazione di ACTH (un ormone ipofisario che induce un aumento della cortisolemia) alle ore 7 del mattino.
In conclusione, la cronobiologia non deve essere intesa come un settore ultraspecialistico della medicina, dove alcune sofisticate elaborazioni matematiche permettono di misurare le variazioni temporali di alcuni parametri biologici. È invece un metodo di analisi della biologia e del comportamento che si fonda sul rapporto fra l'uomo e l'ambiente, fra ecosistema interno ed ecosistema esterno, fra microcosmo e macrocosmo. Si tratta quindi di un approccio profondamente olistico che nella valutazione dell'equilibrio omeostatico non tiene conto soltanto di fattori interni al sistema, ma anche del rapporto psicobiologico che si stabilisce in ogni momento con l'ecosistema esterno.
In questa prospettiva l'uomo non solo non è più la positivista e meccanicistica somma di cellule e organi, ma non è neppure una monade isolata dal proprio ambiente; la cronobiologia, inserendo la variabile "tempo" nell'indagine psicobiologica, ristabilisce il contatto di ogni nostro fenomeno fisico, chimico, biologico o psicologico con i parametri ecosistemici ambientali: la luce, le variazioni dei campi elettromagnetici, le rivoluzioni planetarie e il susseguirsi delle stagioni, rivelando così la presenza di una risonanza cosmica di ogni evento psicologico.  

Secondo gli studi storici eseguiti dal neutoanatomista J. Ariens Kappers, (l979), la ghiandola pineale fu scoperta più di 2300 anni fa da Herophilus (325-280 a.C.) un anatomico alessandrino, il quale riteneva che essa controllasse il flusso della memoria.
La letteratura indiana antica presenta numerosi riferimenti alla pineale come organo di chiaroveggenza o di meditazione che permetteva all'uomo di ricordare le sue vite precedenti. Per i buddisti, quest'organo costituisce il "terzo occhio" che, se aperto, penetra nelle dimore di cose ineffabili. Finché il terzo occhio dorme, l'adepto rimane inconsapevole dell'ineffabile. Sono tuttavia descritte molte tecniche per permettere agli aspiranti di "aprirlo", una di queste è la meditazione.
Questo terzo occhio è stato anche ampiamente rappresentato nelle opere di arte sacra orientale dove accade frequentemente di incontrare delle figure umane dotate di un occhio che si apre al centro della fronte. Il segno indù delle caste si trova in un punto scelto comunemente per simbolizzare l'"occhio", e anche il colore utilizzato rappresenta lo spazio di sviluppo spirituale.
L'epifisi assume un ruolo importante anche nella visione energetica dei sette chakra dell'uomo. Gli studi classici della medicina greco - romana considerano l'epifisi una struttura capace di materializzare e guidare il fluido del pensiero dal terzo al quarto ventricolo cerebrale, attraverso, cioè, quel sistema di canalicoli e cisterne nei quali fluisce il liquido cefalo - rachidiano. Galeno, medico del II secolo a.C., considerò la pineale come una struttura simile alle ghiandole linfatiche. Questa interpretazione venne accettata nella cultura occidentale per molti secoli, finché in epoca rinascimentale, qualcuno non tornò ad occuparsi di ghiandola pineale. Nel 1640, Descartes definisce l'epifisi come "la sede dell'anima" e anello di congiunzione tra res cogitans e res extensa, postulando anche l'esistenza di una connessione occhio - epifisi - muscolo e attribuendo così, intuitivamente, un significato funzionale all'epifisi come mediatore degli effetti della luce sull'apparato muscolare. Questa piccola struttura cerebrale era quindi in grado di trasformare un immateriale pensiero in un'azione e di risolvere in questo modo, molti problemi alla costruzione filosofica cartesiana.
In seguito, sotto l'influenza del pensiero cartesiano, molti studiosi del XVII e XVIII secolo associano la pineale e le sue calcificazioni alla pazzia e alla patologia psichiatrica in genere. Da allora la pineale resta sostanzialmente nell'oblio e l'aggettivo "vestigiale" è quello più frequentemente applicato a questa ghiandola.
Tuttavia recenti ricerche psiconeuroendocrinoimmunologiche hanno riportato l'attenzione sull'epifisi.
Le attuali conoscenze neurofisiologiche evidenziano come la pineale non sia semplicemente una ghiandola ma, come la midollare del surrene, un trasduttore neuroendocrino. Essa converte, infatti, un input nervoso (un neurotrasmettitore) in un output ormonale che va in circolo.
L'input nervoso è la NA, (Noradrenalina) l'output ormonale è la melatonina. La sintesi della Melatonina dalla serotonina è catalizzata dalla pineale che la sintetizza essa stessa dal triptofano, aminoacido essenziale.
La sintesi e la secrezione di melatonina sono regolate dalla percezione della luce: è interessante osservare che la pineale deriva da un organo fotorecettoriale, funzionalmente "un terzo occhio", presente in alcune specie di rettili ed anfibi. La pineale dei mammiferi non risponde però direttamente alla luce, ma all'impulso luminoso, raccolto dalla retina. La secrezione della melatonina è massima di notte e minima di giorno (il picco massimo si situa intorno alle 02,00 di notte).
Esistono dei recettori specifici per la melatonina nel Sistema Nervoso Centrale, in particolare nel nucleo soprachiasmatico ipotalamico che rappresenta un centro di primaria importanza cronobiologica. Oltre alla luce, anche i campi elettromagnetici influenzano l'attività della pineale, la quale sembra essere il mediatore principale degli effetti di questi campi sui sistemi biologici. La pineale si presenta quindi come un fondamentale detector di alcune variabili ambientali, in grado di trasferire le informazioni dall'ecosistema esterno a quello interno, permettendo così la sincronizzazione fra ritmi ambientali e ritmi biologici dell'organismo. Quest'organo ricopre infatti un ruolo centrale nell'organizzazione cronobiologica del nostro organismo consentendo ad esso di adattarsi in modo ottimale alle variazioni temporali ambientali.
L'azione dei secreti pineali, in gran parte ancora ignota (infatti a tutt'oggi è stata isolata solo la melatonina), si esplica innanzitutto sul sistema endocrino e immunitario in modo estremamente complesso.
Soffermiamoci ad analizzare le influenze su quest'ultimo, riportando alcune delle numerose osservazioni effettuate in tal senso:
- nel topo il blocco dell'attività della pineale (con somministrazione serale di propanololo) sopprime la risposta anticorpale primaria contro le emazie di pecora. Tale soppressione non si manifesta se si somministra contemporaneamente la melatonina.
- nel topo la somministrazione di melatonina aumenta la risposta anticorpale primaria in vivo contro le emazie di pecora.
- la melatonina contrasta gli effetti immunosoppressori dello stress da immobilizzare (un tipica situazione di "inibizione dell'azione") sulla risposta anticorpale primaria e sul peso del timo nel topo.
- in topi che hanno ricevuto una dose subletale di virus encefalomiocarditico, lo stress causa una mortalità del 90% circa degli animali. La contemporanea somministrazione di melatonina riduce la mortalità al 10% circa.
- l'effetto immunostimolante della melatonina segue un ritmo circadiano con un effetto massimo per la somministrazione serale.
- la melatonina interferisce con il ritmo circadiano dell'attività delle cellule NK (Natural Killer) producendo un aumento di attività fino al 20% dopo due ore dalla somministrazione e una diminuzione dopo 6 ore.
- la melatonina aumenta l'attività interferon-dipendente delle cellule NK.
Queste osservazioni depongono per un ruolo della pineale stimolante sul sistema immunitario e antagonista nei confronti dello stress.
Quindi la pineale sembra essere un fondamentale centro di sincronizzazione dei ritmi dell'organismo ai ritmi ambientali, tramite un'azione su diversi sistemi, fra cui come abbiamo detto, quello immunitario.
La regolare cadenza dei singoli bioritmi e il loro sincronismo rappresentano una delle condizioni essenziali per un adeguato funzionamento dell'essere vivente. Infatti, la caratteristica essenziale dei ritmi biologici di alternare periodi di riposo a periodi di attività funzionale permette di mantenere i vari distretti a un livello ottimale di funzionamento.
È dunque evidente che ogni fattore che interferisce col normale svolgersi dei complessi cicli bioritmi dell'organismo, non solo altera una normale sequenza adattativa e difensiva, ma favorisce la formazione dei precursori della malattia somatica. È un dato di fatto che vari bioritmi fondamentali risultano alterati in numerose malattie considerate come psicosomatiche quali l'asma bronchiale, l'ipertensione essenziale, l'ulcera gastroduodenale, le malattie coronariche ed altre. Inoltre, alcuni importanti bioritmi psiconeuroendocrini, fra cui lo stesso ritmo della melatonina, sono profondamente modificati nei disturbi dell'umore (per intenderci nelle sindromi depressive).
In queste situazioni l'alterazione del ritmo cronobiologico sembra essere qualcosa di più di un mero effetto secondario, sembra cioè rivestire un ruolo causale nell'insorgenza del quadro psicopatologico; a conferma di ciò stanno le recenti acquisizioni terapeutiche che svolgono la loro azione proprio agendo sui bioritmi (la fototerapia). Inoltre, anche molti farmaci antidepressivi, dal litio alla clorofilla e imipramina, hanno dei rilevanti effetti sull'andamento dei bioritmi.
È quindi evidente come la modificazione della normale oscillazione ritmica dei diversi parametri fisiologici si associ all'insorgenza di situazioni patologiche.
Ma quali sono le principali cause di disorganizzazione bioritmica?
In primo luogo la causa della desincronizzazione può essere endogena, e sembra essere il caso, ad esempio, di alcuni disturbi psichiatrici come la depressione endogena.
In secondo luogo, possono essere causa di alterazioni cronobiologiche gli eventi psicosociali, lo stress, le alterazioni di parametri ambientali.
Mentre nelle società contadine ad economia agricola i ritmi del lavoro, dell'alimentazione e del riposo - attività tendevano ad essere sincroni con i ritmi biologici e con il variare periodico degli eventi naturali, la rivoluzione industriale ha progressivamente modificato questa situazione.
La moderna società urbana industriale ha infatti sempre più imposto i propri ritmi, legati a esigenze di tipo economico - tecnologico, sui ritmi biologici individuali e di gruppo. Così, il progressivo aumento di attività lavorative legati ai turni notturni, i rapidi spostamenti attraverso i fusi orari che avvengono nei viaggi aerei, ma soprattutto l'induzione di ritmi comportamentali uguali per tutti i vincolati a necessità produttive ha portato a sincronismi artificiali con serie conseguenze sul piano psicosomatico. Infatti i ritmi comportamentali e i ritmi biologici sono fra loro armonicamente collegati per un migliore adattamento dell'individuo alle richieste dell'ambiente. La situazione ottimale di minor rischio psicosomatico viene dunque raggiunta quando due serie di ritmi sono in fase perfetta fra di loro e il comportamento riceve esattamente il supporto biologico di cui ha bisogno in quel momento. Però, quando per l'azione di determinanti psicosociali, i bioritmi comportamentali-emozionali vengono forzati in direzioni diverse da quelle dei loro ritmi biologici di supporto, si crea una dissociazione fra programmi biologici e comportamenti che è una delle principali condizioni per la formazione dei precursori della malattia. Nella attuale organizzazione sociale urbano-industriale i ritmi comportamentali dell'attività, della sessualità e riproduzione, dell'alimentazione sono scarsamente sincronizzati con i ritmi biologici che ad essi sottendono e sono per lo più fissi nel tempo in contrasto col variare ciclico delle determinanti fisiche ambientali quali il variare delle stagioni. È come se vivessimo, a livello emozionale-comportamentale, in un limbo metacronologico, dissociato dai ritmi ambientali.
Per quanto riguarda lo stress, il ritmo cronobiologico sembra essere molto protetto da alterazioni indotte dallo stress. Ciò conferma come lo stress inizialmente sia una reazione biologico-comportamentale utile e necessaria per la vita e, dall'altra parte, come la stabilità e la regolarità dei bioritmi sia importante per la sopravvivenza dell'individuo e della specie.
Tuttavia le situazioni di stress acuto estremamente intenso oppure cronico producono nell'individuo delle alterazioni cronobiologiche associate all'insorgenza di disturbi psicopatologici e psicosomatici.
Quale ruolo ha la pineale in questo processo di insorgenza della malattia da desincronizzazione? La ricerca in questo settore è tutt'altro che conclusa, tuttavia se pensiamo da un lato alla funzione cronobiologica della pineale e dall'altro all'attività che la melatonina svolge sul sistema neuroendocrino e sul sistema immunitario, la pineale diventa in modo evidente un possibile mediatore degli effetti patologici della desincronizzazione.
A questo proposito si sta aprendo strada il concetto che la pineale possa svolgere un ruolo di "regolatore dei regolatori" nell'organismo animale, venendo a configurarsi come mediatore ambiente-individuo e come modulatore teso a mantenere l'omeostasi contrastando tutto ciò che minaccia di comprometterla. Non solo, quindi, un "ormone antistress", ma più generalmente un modulatore omeostatico che antagonizza gli effetti dello stresso quando questo si presenta come una "inibizione dell'azione" in senso Laboritiano ed è quindi pericoloso per la sopravvivenza dell'individuo.
Vorremmo concludere riassumendo l'ipotesi che abbiamo tentato di delineare in questo intervento. Si tratta di una affascinante ipotesi di lavoro e d'interpretazione dei dati esistenti e non ancora di una conclusiva e organica teoria, anche se è possibile fin d'ora intravedere in tal senso delle applicazioni terapeutiche. In sostanza l'ipotesi è questa: l'azione di fattori endogeni e esogeni (fattori psicosociali, stress, fattori fisici ambientali) causano, tramite l'azione sui detectors (recettori sensoriali) l'alterazione dei sistemi cronobiologici, neuroendocrino-immunitari, determinando così l'insorgere della malattia. Il principale candidato mediatore di questo gioco sembra essere la ghiandola pineale. Quindi, uno dei meccanismi attraverso cui il dato psicologico-sociale-ambientale può, quanto meno, preparare il terreno alla insorgenza, della malattia, è proprio un meccanismo cronobiologico mediato dalla pineale.
Lo studio della ghiandola pineale e dei suoi secreti è quindi un chiaro esempio di ricerca olistica, in quanto deve considerare l'oggetto di ricerca non più isolatamente e non soltanto come facente parte di un organismo più complesso, ma deve tenere conto anche dell'ecosistema in cui questo organismo si trova. D'altra parte, per questo studio, è necessario un approccio transdisciplinare che si arricchisca dell'interazione tra i diversi approcci al problema, e che deve saper comprendere e parlare sia il linguaggio del biochimico che quello dell'antropologo, sia quello del fisico che quello dello sciamano.
Questa prospettiva transdisciplinare, interattiva e complessa, è quella che nell'attuale paradigma scientifico può farsi crogiolo di nuove conoscenze, in quanto capace di utilizzare, oltre al microscopio, anche il macroscopio e percepire così non solo le cose, ma anche le relazioni fra le cose.




British Journal of Psychiatry (1988), 152,465-469
La connessione fra rischio familiare verso la schizofrenia e la stagione di nascita è stato studiato in 88 pazienti schizofrenici. Un rischio accresciuto per la schizofrenia e disturbi è stato dimostrato fra parenti di primo grado nei pazienti schizofrenici nati d'inverno e in primavera. Comunque, rispetto alla stagione di nascita i pazienti non differivano dai pazienti che non avevano alcuna storia familiare di schizofrenia.
La stagione di nascita non era legata al sesso del paziente, all'origine di nascita, all'età all'insorgere della malattia o all'appartenenza a sottotipi clinici (paranoide - nonparanoide come definito dal RDC, e 'stretto' o 'largo' come definito da Taylor e Abrams nei criteri espressi nel 1975). L'andamento del rischio della malattia sostiene l'ipotesi della diatesi da stress laddove i fattori ambientali (in questo caso gli attacchi virali che variano stagionalmente potrebbero essere coinvolti) interagiscono con la vulnerabilità genetica per aumentare il rischio di schizofrenia.



Sin dall'antichità l'uomo ha sempre cercato di prevedere il futuro o conoscere il passato attraverso l'osservazione dei fenomeni più diversi: gli aruspici, i romani, si affidavano all'osservazione delle viscere delle vittime, ma ancora più tipica e antica è l'indagine degli influssi degli astri sulla vita dell'uomo e sugli avvenimenti del mondo: l'astrologia.
Esiste qualche rapporto, scientificamente fondato, fra la posizione astronomica di pianeti, satelliti e stelle e la nostra personalità, le nostre attitudini, gli avvenimenti che viviamo, la nostra salute o le nostre avventure in amore? Giugno 1988, Sellar e Goldacre della Oxford University pubblicano sulla prestigiosa rivista "The lancet", un articolo in cui segnalano un rapporto statisticamente significativo fra la stagione, l'anno di nascita e lo sviluppo di malattia artritica in tarda età; secondo questo studio questi pazienti sarebbero nati prevalentemente in autunno e in inverno. Nel febbraio 1988, Paccand e collaboratori riportano, sempre su Lancet, la notizia che la mortalità perinatale del neonato varia in funzione della nascita, dopo uno studio effettuato su 220.540 nascite e 2.152 decessi perinatali in Svizzera. Sfogliando la letteratura troviamo altri dati estremamente interessanti. Sono molti gli psichiatri che in passato affermarono che la luna ha un evidente effetto sul malato di mente. Nel 1835 John Hunter sosteneva che i pazzi erano maggiormente influenzati dalla luna in certi periodi delle sue fasi. Il francese Daquin giunse addirittura ad affermare che "la pazzia è una malattia del cervello sulla quale la luna esercita un influsso indiscutibile".
Arnold Lieber, professore di psichiatria all'Università di Miami in Florida, stabilì di studiare una variabile del comportamento aggressivo facilmente indagabile: l'omicidio. I risultati furono sorprendenti: in fase di plenilunio gli omicidi erano molto più numerosi che nelle altre fasi lunari, in maniera statisticamente significativa; fu registrata inoltre una diminuzione del numero di tali crimini durante il periodo di novilunio.
I dati furono confermati successivamente da Malstron di Berkeley (USA) che mise in relazione i cicli lunari con la periodicità degli omicidi e suicidi avvenuti nella contea di Alameda in California e in quella di Denver in Colorado, nello stesso periodo di tempo preso in considerazione da Lieber (15 anni dal 1956 al 1970). L'effetto lunare sul comportamento appariva indiscutibile. Altri due psichiatri americani, Weiskoff e Tipton, studiarono le frequenze di ricovero negli ospedali psichiatrici del Texas per un periodo di nove mesi e osservarono che la più alta percentuale avveniva nelle fasi di plenilunio o durante l'ultimo quarto di luna, sia che, per le condizioni atmosferiche, la luna fosse visibile oppure no. Occorre dire che non mancano i critici alla metodologia e interpretazione di questi dati, tuttavia, malgrado queste prudenziali riserve, resta la significatività statistica dei dati epidemiologici. Anche l'attività solare è stata studiata in rapporto ad alcune variabili biologiche e mediche, con risultati molto interessanti, spesso inspiegabili, a volte discordi.
Basti pensare alle famose ricerche di Giorgio Riccardi, professore dell'Università di Firenze, che dimostrò che le macchie solari possono influenzare l'attività fisica e biologica dell'acqua.
Ma quale importanza può avere il mese o l'ora della nascita sulla personalità, comportamento o fortuna del soggetto?
I coniugi Gauquelin, utilizzando il metodo statistico, hanno condotto un ampio studio per dare una risposta a questa domanda, non trovando alcuna corrispondenza tra il pianeta dominante nel segno astrologico e la personalità. Trovarono però altre corrispondenze: esiste una relazione significativa fra il sorgere o il tramonto all'orizzonte di alcuni pianeti al momento della nascita e la professione del soggetto, mentre, secondo questo studio, è irrilevante il segno zodiacale di appartenenza.
Tuttavia nel 1974 J. Cooper pubblicava addirittura su "Nature" i risultati di un lavoro in cui emergeva una relazione fra segno zodiacale e specializzazioni scientifiche.
Cosa dire della malattia mentale? Nel 1929 M. Tramer, psichiatra svizzero, analizzò la data di nascita di 2100 pazienti ricoverati del 1876 al 1927 nell'ospedale psichiatrico nel quale egli lavora. Riuscì così a evidenziare che gli psicotici nascono con maggiore frequenza in inverno, nel periodo compreso fra dicembre e marzo. Molti altri ricercatori indagarono a questo proposito (V. Lang, F. Petersen, E. Huntington, ecc) fino alla registrazione complessiva della distribuzione mensile delle nascite per più di 30.000 pazienti schizofrenici con psicosi maniaco-depressiva. Tutti i dati concordano nel mostrare che questi soggetti nascono con più frequenza nel primo quadrimestre dell'anno. D'altra parte, nell'emisfero australe, gli psicotici nascono per lo più tra maggio e ottobre quando in queste aree è inverno, dimostrando una relazione specifica fra la nascita di questi pazienti e la stagione invernale. Anche per i ritardati mentali e addirittura per il mancinismo nelle bambine si sono trovati dati interessanti: i primi nascono più frequentemente nei mesi invernali, le seconde in novembre. Come si possono spiegare queste affascinanti e misteriose osservazioni? Non esiste oggi alcuna spiegazione scientifica esauriente. Certo è che queste osservazioni statistiche trovano una corrispondenza evidente nel retaggio linguistico e nelle tradizioni popolari di diverse culture. In Italia usiamo definire "lunatico" colui che ha un carattere difficile o è soggetto a improvvisi sbalzi d'umore, e diciamo di avere "la luna storta" quando ci sentiamo nervosi o irritabili; un'espressione popolare assicura che chi è nato in marzo (il "marzolino") ha facilmente "qualche rotella fuori posto". Gli inglesi chiamano "lunatic" il folle, il malato di mente e il manicomio è il "lunatic asylum". Nella lingua francese si dice "avoir des lunes" e "lunatique" e i tedeschi utilizzano il termine "mondsuchtig" per indicare i disturbi mentali.
Per concludere possiamo affermare che esistono certamente molti dati affascinanti, ma a volte discordi e che non trovano ancora, benché siano molto indicativi, una spiegazione e una sistemazione in una logica teoria scientifica.


La causa principale della depressione potrebbe essere connessa con la perdita degli 'orologi sociali', persone o aspetti della vita quotidiana che aiutano a programmare i nostri orologi biologici. Questo modello è stato proposto da Cindy Ehlers della Scripps Clinic di La Jolla, California, e dai suoi colleghi dell'Università di Pittsburg, che stanno cercando una teoria che includa tutti i vari fattori coinvolti nella depressione. L'idea è che la perdita del lavoro, del consorte, dell'esposizione al sole o di ogni altro fattore regolatore della vita quotidiana spesso conducono alla rottura dei ritmi biologici di una persona.
Questa rottura può a sua volta condurre a difficoltà nel sonno, che si osservano nel 90% dei depressi, e a livelli alterati della melatonina.
Nel modello, gli antidepressivi aiutano i pazienti stabilizzando i cicli del sonno, le neuroendocrine e la temperatura. I miglioramenti di umore e di concentrazione che ne risultano possono facilitare un'opportuna terapia che, in genere, inizia richiedendo al paziente di ristabilire delle routines quotidiane regolari.
In precedenza altri ricercatori si erano focalizzati sulla depressione come problema esclusivamente psicologico, e solo successivamente si è cominciato a trattarla come fondamentalmente biologica. La Ehlers ha detto: 'Stiamo cercando di trovare una spiegazione che prenda in considerazione entrambi gli aspetti. Probabilmente alcune forme di depressione possono essere alleviate semplicemente con una conversazione, ma pochissime persone possono essere curate solo con gli antidepressivi. La maggioranza dei casi avranno bisogno di un approccio integrato'.
Le persone differiscono anche per la loro sensibilità a perdite o a difficoltà. Per esempio, molte vedove manifesteranno inevitabilmente qualche alterazione ritmica e svilupperanno alcuni sintomi depressivi, ma molte sono capaci di ristabilire un ritmo giornaliero stabile nell'arco di qualche settimana. Nelle precedenti ricerche, vedovi e vedove di data recente che manifestavano meno disturbi sociali mostravano anche meno sintomi di depressione.
La Ehler ritiene che solo una persona predisposta alla depressione o che ha subito una perdita seria, sviluppa veramente una depressione clinica ricorrente. La ricercatrice ha suggerito che nel cambiamento dei ritmi connessi alla depressione siano implicati quattro fattori, forse genetici:
- una soglia più bassa di rottura dei ritmi.
- difficoltà di riaggiustamento una volta che i ritmi sono stati alterati.
- una tendenza psicologica a tentare di 'congelare' la depressione, invece che a passarci attraverso o ad affrontarne le cause.
- un ritardo di fase nei ritmi, in risposta ai cambiamenti nella vita, invece che la risposta più consueta di anticipo della fase. Se hanno un ritardo di fase, le persone possono sviluppare un stato depressivo dormendo più del consueto, invece che meno.
Ehler ha detto che: 'Una teoria degli 'orologi sociali' potrebbe fornire un buon terreno di lavoro su cui fare ricerca, e sviluppare nuovi programmi di trattamento'.

PSICOSOMATICA SPERIMENTALELE RICERCHE SULLA COERENZA E LA SINCRONIZZAZIONE CEREBRALE

( vedi  - Ricerche sulla meditazione e la psicosomatica )



PSICOSOMATICA: EMOZIONI E SALUTE GLOBALE
LE RICERCHE SULL'UNITA' MENTE-emozioni e salute psicofisica


Il modo, ottimista o pessimista, di spiegare degli eventi sfavorevoli quando si è giovani, potrebbe permettere di predire il futuro stato di salute nel periodo di mezza età.
Questo risultato è basato su una ricerca durata 35 anni su un gruppo di laureati di Harvard intervistati per la prima volta nel 1946. I soggetti raggruppati per età e per condizioni di salute vennero intervistati a proposito di loro esperienze difficili durante la seconda guerra mondiale. Alcuni diedero spiegazioni leggere e divertenti, altri si sentivano tristi o colpevoli.
I ricercatori hanno suddiviso i racconti negativi in tre categorie: globale ("Distruggerà tutta la mia vita"), stabile ("Non mi abbandonerà mai") e internalizzata ("È stata colpa mia").
Quelli che usavano interpretazioni negative dei fatti erano consistentemente più ammalati e/o più portati a morire rispetto ai loro pari con visione ottimista degli eventi.
La differenza raggiunge il culmine verso l'età di 45 anni, malgrado ci siano più differenze sostanziali fin dall'età dei 35. I ricercatori fanno l'ipotesi che l'effetto dell'atteggiamento psicologico sia più grande all'inizio della mezza età. Negli anni successivi potrebbero diventare più importanti problemi fisici generali.
"I risultati confermano il buon senso", dice Christophe Peterson dell'Università del Michigan, uno degli autori dello studio, "il modo in cui uno spiega un fatto è un buon indicatore del grado di senso di impotenza o della tendenza ad affrontare i problemi direttamente".
"Malgrado ci siano molti modi in cui il pessimismo può condurre a un deterioramento della salute, io credo che sia strettamente legato al comportamento. È molto meno probabile che un pessimista smetta di fumare, rifiuti un dolce in più o ottenga cure mediche qualificate".
Potrebbero essere attivi anche altri fattori, dice Peterson, fra questi:
- Il pessimismo potrebbe essere legato a una scarsa capacità di risolvere i problemi e quindi alla tendenza ad avere problemi seri. Da questo deriverebbe una certa vulnerabilità alle malattie.
- Il pessimismo può portare a una diminuzione dei contatti sociali, e anche questo comportamento viene associato a uno stato di malattia.
- Il senso di impotenza legata al pessimismo potrebbe alterare le funzioni del sistema immunitario.
Peterson avverte però che l'ottimismo può essere sia una causa che un sintomo di buona salute.
"Penso che lavorino in combinazione", ha detto. "Ma combinare l'ottimismo con un lavoro intenso è ancora il modo più valido di migliorare la vostra salute. La capacità di ridere a volontà, da sola, non è in grado di eliminare un'epidemia".


Sembra che l'ostilità e la sfiducia siano un fattore chiave nel predire malattie di cuore e morti precoci. Recentemente alcuni ricercatori della Duke University hanno suggerito che si potrebbe insegnare alle persone sospettose ad avere "cuori" più fiduciosi.
Lo psichiatra Redford Williams, parlando a un raduno della associazione dei cardiologi americani a Monterey, ha detto che i tipi A, ostili e aggressivi, potrebbero avere un problema comune: una diramazione del sistema parasimpatico, coinvolta nel calmare una persona quando si trova in situazioni di confronto, sarebbe più debole.
Ricerche precedenti avevano mostrato che il sistema ha un effetto più veloce negli uomini di tipo B. Il tipo A ha anche una risposta più forte al cortisolo, un ormone connesso con lo stress che stimola il rilascio di adrenalina.
Un eccesso di cortisolo può alterare il rivestimento delle arterie e condurre all'arteriosclerosi.
In uno studio condotto alla Duke, Williams e collaboratori hanno esaminato la vita di 118 avvocati che erano stati sottoposti a test psicologici quando erano all'università. Dopo 25 anni, la mortalità di quelli che avevano avuto un punteggio elevato per quanto riguarda l'ostilità era maggiore di 4,2 volte di quella dei colleghi più tranquilli.
Quelli che avevano ricevuto un punteggio più elevato per quanto riguarda il cinismo e la manifestazione di rabbia risultavano ancora peggiori, con una mortalità che era 5,5 volte quella dei tipi più fiduciosi.
Williams sottolinea che i nuovi risultati non sono in conflitto con le ricerche precedenti, quali i lavori del pioniere Meyer Freidmann sul tipo A.
"Stiamo soltanto raffinando l'ipotesi del tipo A", ha detto Williams facendo notare che, mentre la rabbia e l'ostilità rivelano un legame diretto con la morte, altre caratteristiche del tipo A, come il senso di urgenza del tempo, non mostrano alcun legame.
"Stiamo semplicemente cercando di capire meglio quali caratteristiche del tipo A sono dannose. Certe caratteristiche biologiche sembrano rendere le persone ostili candidati a una morte precoce. Tuttavia la personalità e l'ambiente sono molto importanti, lavorando per cambiare il modo in cui guardate la vita e per ridurre lo stress potete migliorare le vostre possibilità di sopravvivenza".
Per realizzare un cuore più fiducioso e più sano Williams offre un programma in 12 punti:
1) Controlla i tuoi pensieri cinici. Williams raccomanda di tenere un giornale delle situazioni in cui si tende a rispondere cinicamente e di tentare di valutarle da una prospettiva diversa.
2) Confessa che riconosci la tua ostilità.
3) Sforzati a fermare i pensieri cinici mentre si stanno formando.
4) Esamina le situazioni ragionevolmente.
5) Mettiti nei panni degli altri.
6) Impara a ridere di te stesso.
7) Impara a rilassarti
8) Pratica la fiducia. Fai sforzi particolari per aver fiducia in qualcuno, anche se per cose non importanti.
9) Impara ad ascoltare.
10) Impara ad essere assertivo. Quando sorge una situazione difficile, asserisci il tuo punto di vista con calma, piuttosto che reagire aggressivamente.
11) Immagina che oggi sia l'ultimo giorno della tua vita. Williams prende in considerazione il fatto che l'ostilità della gente spesso diminuisce dopo una malattia grave.
12) Pratica il perdono.
Poiché sembra che siano in funzione sia fattori psicologici che fisiologici, Williams offre un altro suggerimento: "Se il tuo sistema parasimpatico non è programmato per calmarti è meglio che usi la tua corteccia cerebrale".


Pubblichiamo una lettera scritta da David Cheek a Brain/Mind Bulletin. Cheek è un ostetrico in pensione, ex presidente della società americana per l'ipnosi clinica e coautore del libro MindBody Therapy (W.W. Norton).
L'articolo di Peter Jemsen sul Ritalin sembra giustamente indicare che circa i due terzi dei bambini con turbe psicologiche non erano stati desiderati e che metà di loro era stata minacciata di essere "data via".
E' stato rilevato che molti bambini hanno mal interpretato l'informazione che ricevono o pensano di ricevere prima di essere nati. Fino a tre anni fa si pensava che il danno fosse solo nella sala parto, quando alla madre vengono somministrate così tante medicine che non può parlare. Ma è diventato sempre più chiaro, da quando ho cominciato a far luce sulle influenze dei primi momenti di vita, che le impressioni primarie impresse durante la vita intrauterina sembrano dipendere da principi di sopravvivenza.
Sono incline a pensare che le impressioni dell'emisfero sinistro abbiano a che fare sia con il nutrimento affettivo, il cibo e l'accettazione che con la logica. L'attività del cervello destro sembra aver origine dalla sopravvivenza, nel cercare di conoscere quanto possibile dell'ambiente che è là fuori, prendendo suggerimento da stimoli supersensoriali, inclusi i pensieri del padre e della madre.
L'apertura supersensoriale alle impressioni è apparentemente già attiva sin dal momento che la madre realizza di essere incinta, gli ormoni materni vanno direttamente attraverso la placenta, ma sono sicuro, sulla base delle mie ricerche con l'ipnosi, che i pensieri materni vengono ricevuti dall'embrione.
Sembra persino che sia possibile verificare, occasionalmente, le impressioni di una persona ipnotizzata, attraverso il ricordo dell'evento da parte della madre, quando l'embrione "sentì" che il dottore diceva a sua madre che era incinta. È una cosa difficile da capire perché i meccanismi dell'ottavo nervo connesso con l'udito vengono completati solo al quinto mese di gestazione e sono molto curioso sull'origine di questa conoscenza dell'embrione.
Una madre che è biologicamente pronta e contenta di esser gravida può rendersi conto consciamente che il marito si oppone ad avere un bambino. Questo fattore secondario può soverchiare i suoi buoni sentimenti. Quando una madre viene riempita di medicine non può avere vicino il suo bambino al momento della nascita, il danno diventa doppio. Né la madre né l'infante possono completare il legame che era iniziato con la vita intrauterina del feto.
Ogni osservazione fatta al bambino negli anni della sua formazione dopo la nascita verrà interpretata come un ulteriore rifiuto da parte della madre. Tuttavia, è possibile cambiare questa immagine con l'ipnosi di regressione (tecnica che riporta il paziente indietro negli anni e permette di decondizionarlo da comportamenti non più rispondenti alla situazione attuale). Mi sembra che ogni ostetrico e ginecologo dovrebbe sapere come penetrare nelle percezioni della vita precoce e come rimodellare la situazione sfavorevole.
Naturalmente ci sono molte madri che rimangono incinte accidentalmente e detestano l'intero processo. Il meglio che sono riuscito a fare è stato di far rivivere alla persona disturbata il processo di sviluppo, come se fosse stata al posto della madre.
Il meglio sarebbe che ogni gravidanza venisse pianificata e goduta fin dall'inizio. Ma non sembra che funzioni così.
Persone adulte, che erano state adottate, sapevano di non essere desiderati molto prima di essere messi in un orfanotrofio o affidati a una strana donna, quando lasciavano l'ospedale. Molti embrioni sono in grado di andarsene durante la prima settimana di gestazione e i meno energetici rimangono nell'utero per cominciare una vita piena di problemi.


Uno psichiatra della Georgia ha riferito che più della metà dei bambini iperattivi che ha studiato soffrivano anche di depressione e di ansietà. Ha stimato che circa il 30% dei bambini della sua clinica prendevano anche medicine non necessarie. Anche Peter Jensen, del centro medico Eisenhower di Fort Gordon, ha trovato che i due terzi dei bambini disturbati erano frutto di gravidanze non desiderate. La metà erano stati minacciati dai parenti di essere dati via. Il 90% erano secondo o terzogeniti e due terzi erano stati ricoverati in ospedale durante l'infanzia. Poiché i genitori di questi bambini rivelavano essi stessi alti livelli di stress e di depressione, Jensen raccomanda una terapia familiare completa per bambini iperattivi.
  


Una recensione del libro The Chemistry of Love di Michael Liebowitz (ed. Little Brown, Boston)
Che cosa succede nel nostro cervello quando ci innamoriamo? Qual è la base biochimica del cambiamento che lo accompagna, l'aumento di energia vitale e di ottimismo, una diminuzione dell'appetito e del bisogno di sonno?
Michael Leibowitz direttore della clinica per le malattie di origine ansiosa dell'istituto psichiatrico dello stato di New York esplora questo terreno vergine nel suo libro. Malgrado le obbiezioni dei romantici che desiderano che il mistero rimanga tale e dei professionisti convenzionali che si attaccano ai loro modelli psicologici, i ricercatori stanno lavorando per rintracciare i correlati chimici delle nostre vite emozionali.
'Le differenze con cui le persone reagiscono a esperienze di innamoramento positive o negative sono determinate dalle differenze con cui rispondono biologicamente a queste situazioni. L'intensità dell'eccitazione nell'incontrare una persona nuova, la durata della luna di miele o la profondità di una depressione post innamoramento sono in definitiva determinati dai cambiamenti che avvengono nella chimica del cervello e dalla durata di questi cambiamenti'.
Ricerche recenti suggeriscono che nell'innamoramento sono coinvolti due diversi sistemi chimici: l'attrazione che porta la gente ad unirsi e l'attaccamento che li mantiene uniti.
Liebowitz fa l'ipotesi che l'attrazione funzioni come le anfetamine nel cervello, aumentando le pulsazioni del cuore, intensificando gli stati d'animo e aumentando il livelli di neurotrasmettitori quali la norepinefrina, la dopamina e la feniletilamina.
Persino l'idealizzazione dell'amato nelle prime fasi di un innamoramento di tipo mentale può avere un aspetto neurochimico. 'Finché la nuova relazione va bene è come se la soglia del piacere del cervello venisse abbassata così che molte più cose possano raggiungerlo mentre la soglia del dispiacere viene innalzata così che lo raggiungano meno cose spiacevoli'. D'altro canto, la depressione che accompagna una disillusione nell'innamoramento potrebbe essere il risultato di un abbassamento dei livelli di alcuni composti chimici del cervello o di un abbassamento della sensibilità di alcuni ricettori chiave. 'Sembra che nei centri limbici del cervello avvenga un rapido cambiamento per cui niente più può essere vissuto come piacevole'. Pare inoltre che l'attaccamento e l'ansietà per la separazione coinvolgano un sistema chimico diverso, le endorfine, sostanze narcotiche naturali. Leibowitz sostiene che noi siamo programmati geneticamente a secernere endorfine quando siamo in una relazione molto stretta. La perdita di contatto, a sua volta, potrebbe interrompere la produzione di endorfine. Si è trovato, inoltre, che narcotici come la morfina inibiscono una parte del tronco encefalico, il locus coeruleus, che si pensa inneschi sentimenti di panico e di ansietà da separazione. Liebowitz, basandosi su studi recenti, pensa che le endorfine possano inibire i sentimenti da separazione fungendo come una specie di colla che tiene assieme le persone. Questo fornisce una chiave per le malattie da innamoramento: 'Molte persone che hanno difficoltà in amore potrebbero avere i sistemi stimolanti del cervello iperattivi il che li rende così storditi da non poter pensare con chiarezza, quando incontrano una persona che li attrae. 'Sembra che altri soffrano di sentimenti cronici di assuefazione all'innamoramento, alle droghe o a qualunque cosa che possa dare loro un sollievo temporaneo'. Innamorarsi è biologicamente facile perché il nostro sistema nervoso risponde alla novità. Rimanere innamorati è tutta un'altra storia.

"Le lacrime esprimono forti emozioni, le portano fuori". Una antica leggenda narra che l'uomo è nato dalle lacrime. Il potente dio Ra era così esausto al termine della creazione che incominciò a piangere, alcune lacrime caddero sulla Terra e da queste nacque l'uomo. L'uomo è l'unico essere sulla Terra che versa lacrime per manifestare le sue emozioni.
Comunque l'umanità ha versato lacrime senza conoscerne il meccanismo segreto. È solo da pochi anni che la scienza della dakriologia (lo studio delle lacrime) si è sviluppata e ha scoperto che le lacrime fanno bene alla salute e favoriscono il benessere e la bellezza. In una stanzetta dell'American University del Minnesota, gli scienziati hanno creato un singolare laboratorio per le lacrime, nel quale molti volontari hanno singhiozzato. Le donne sono state i soggetti sperimentali migliori, i ricercatori hanno scoperto che piangono quattro volte più degli uomini.
Le lacrime vengono dapprima raccolte: è un processo stancante e lungo, ogni lacrima pesa infatti solo 15 milligrammi. Sono necessarie più di 66.000 lacrime per averne un litro. Dopodiché le lacrime vengono analizzate nella loro struttura molecolare ed esaminate con l'aiuto della gascromatografia fluida ad alta pressione. Si è scoperto così che le lacrime contengono peculiari sostanze: l'ormone prolattina, l'ormone ACTH, il lisozima e l'encefalina.
Questo spiega il perché le donne piangono più degli uomini, il loro livello di prolattina è maggiore. Il Dott. William H. Frey, psichiatra del centro medico di San Paul-Ramsey dell'Università del Minnesota, ed esperto nella biochimica delle lacrime, ha scoperto che la prolattina, che gioca un ruolo determinante nell'allattamento, interviene anche nella formazione delle ghiandole lacrimali. Fino a dodici anni una ragazzina non versa più lacrime di un suo coetaneo, il loro tasso di prolattina è equivalente. A partire dai dodici anni questo ormone subisce nelle ragazze un incremento che a 18 anni raggiunge il 60% in più che nei ragazzi. Per confermare la scoperta il Dott. Frey ha trattato malati depressi, con frequenti crisi di pianto, con dopamina, una sostanza conosciuta per l'azione inibitrice della prolattina: come risultato le crisi di pianto si sono attenuate.
Ma piangere come fontane non ha solo degli inconvenienti. Le lacrime provocate da una grande emozione eliminano dall'organismo i prodotti chimici responsabili dello stress. Esse contengono neurotrasmettitori e ormoni, soprattutto l'ACTH e l'encefalina, che provengono dal cervello e sono legati allo stato di ansia e allo stress. L'encefalina è una sostanza simile alla molecola di morfina prodotta dal cervello per alleviare il dolore. Il lisozyma è invece un enzima con proprietà antibatteriche usato per combattere le infezioni.
È interessante notare che queste sostanze sono presenti solo nelle lacrime delle persone che piangevano per autentiche emozioni, nelle lacrime provocate da una cipolla tagliata non si trovano né ormoni né enzimi.
Un po' di statistica del pianto: su 200 uomini e donne che hanno tenuto un diario in cui registravano ogni singola lacrima, si è trovato che solo il 55% degli uomini piange almeno una volta al mese contro il 94% delle donne. Il 73% degli uomini e l'85% delle donne si sente meglio dopo aver pianto. La media delle donne piange cinque volte al mese, mentre solo pochissimi uomini piangono più di una volta; quando piangono però 'il tempo delle lacrime' è uguale per tutti: da uno a due minuti in cui vengono versate circa 50 lacrime che equivalgono a 50 millilitri. Ogni essere umano produce circa 70 litri di lacrime in tutta la sua vita. Gli umani piangono di più tra le 19 e le 22 e non amano farlo da soli. Se un uomo viene osservato mentre piange la scusa più comune è quella di dire che qualche cosa gli è finito nell'occhio. Le donne invece non mostrano particolare imbarazzo nel mostrare i loro sentimenti quando piangono. I ricercatori americani ritengono che questi dati possano spiegare il maggior numero di collassi cardiaci da stress negli uomini che nelle donne. Alcuni studi epidemiologici confermerebbero questa assunzione: gli uomini soffrirebbero di maggiori disturbi da stress proporzionalmente alla difficoltà che hanno di piangere. Secondo il Dott. Frey piangere diminuisce la tristezza e l'ira di circa il 40%.


Cancro e psicoterapia di gruppoI malati di cancro che seguono terapie di gruppo allungano anche del doppio la propria vitaa cura di Maria Fantacci
David Spiegel della Stanford University, in una sua recente ricerca, ha scoperto che i malati di cancro, che seguono terapie di gruppo o altri tipi di psicoterapie, allungano la propria vita rispetto a coloro che si affidano unicamente a trattamento medico tradizionale. Spiegel ha reso noto che un gruppo di donne con tumori al seno, che aveva seguito una terapia di gruppo e lezioni in autoipnosi, è sopravvissuto di media quasi il doppio (36.6 mesi) rispetto a un gruppo che era stato curato solo con metodi medici tradizionali (18.9 mesi). Rivolgendosi al Congresso annuale dell'Associazione Americana Psichiatri a San Francisco, Spiegel ha detto che né lui né i suoi collaboratori della Stanford University e della University of California si aspettavano di trovare differenza fra i due gruppi. La ricerca, durata 10 anni, ha seguito 86 donne di mezza età a cui era stato diagnosticato un cancro al seno. I soggetti erano stati divisi in due gruppi; il primo riceveva solo cure mediche ma il secondo, in aggiunta al trattamento tradizionale, frequentava, per un anno, gruppi terapeutici settimanali. A queste pazienti veniva anche insegnata l'autoipnosi per il controllo del dolore. Alla fine del periodo di 10 anni, 83 delle 86 donne erano morte, ma le donne nel secondo gruppo avevano vissuto quasi 18 mesi in più. Anche se i tumori delle donne del primo gruppo erano di media ad uno stadio più avanzato quando furono diagnosticati, in ambedue i gruppi la malattia si era diffusa nel corpo in modo tipico e col medesimo ritmo, fatto che portò Spiegel alla conclusione che la differenza iniziale poteva incidere sul risultato. Spiegel si definì "sbalordito" dato che la ricerca intendeva smentire l'idea corrente che lo stato d'animo gioca un ruolo importante nel decorso di malattie definite potenzialmente distruttive. Alla luce dei risultati ottenuti, Spiegel, professore associato di psichiatria, conviene che evidentemente devono esserci fattori inaspettati in questo processo. La terapia di gruppo poteva aver dato alle donne una speranza che le portava ad attenersi più strettamente alle cure mediche. Spiegel ha suggerito che la psiconeuroimmonologia potrebbe dare ulteriori delucidazioni in merito a questi sorprendenti risultati.


Terapie e relax in acquai bagni termali sincronizzano il cervello
a cura di Federico Nitamo Montecucco
Quando si fanno le terapie in acqua, come il massaggio watsu, il rilassamento antistress, la meditazione o la respirazione profonda, si entra in uno stato di profondo benessere e pace nel corpo e nell'anima. In particolare quando ci si immerge nelle antiche vasche di acqua termale si sperimenta un grande senso di pace e di piacere. In particolare, da tempo siamo stati colpiti dalla similitudine tra il senso di benessere delle persone che sperimentano dei periodi di dieci-quindici giorni di intensa meditazione e delle persone che sperimentano lo stesso periodo di cure termali. Oggi sappiamo che non si tratta di una semplice coincidenza ma che, durante le terapie termali, si verificano una serie di processi neuropsicofisiologici che conducono ad uno stato di profondo rilassamento del tutto sovrapponibile. E' significativo ricordare che in moltissime tradizioni spirituali, come la grotta calda, il bagno, le capanne sudatorie della tradizione Navajo, Hopi e Lakota dei nativi nordamericani, o le tradizionali saune degli Iamabushi del nord del Giappone, erano considerate importanti ritualità religiose, delle vere esperienze spirituali che avevano un doppio carattere di prova iniziatica (individuale o di gruppo) e di presidio medico terapeutico, per la depurazione e la cura di molte malattie. Le avanzate ricerche neurofisiologiche che stiamo conducendo presso le Terme di Bagni di Lucca sull'attività cerebrale delle persone nella grotta e durante i bagni in acqua termale, hanno mostrato, in molto casi, un forte aumento della sincronizzazione cerebrale, che permane per un certo tempo. La sincronizzazione cerebrale, come coerenza tra le onde dei due emisferi, è un dato di grande rilevanza per la valutazione della salute globale e psicosomatica. Le persone che stanno male, depresse o demotivate hanno statisticamente una bassa sincronizzazione cerebrale (come potete vedere nella prima immagine (acqua6.tif), dove la parte sinistra del cervello è irregolare e asimmetrica rispetto a quella destra), mentre al contrario, chi vive con gioia e intensità mostra un'elevata sincronizzazione. In particolare le persone in meditazione mostrano un'altissima sincronizzazione con onde armoniche, associata ad un grande senso di pace e rilassamento.
Nella seconda immagine (acqua5.tif) potete osservare delle onde armoniche ad altissima sincronizzazione (tipiche della meditazione profonda) rilevate durante un rilassamento in vasca termale. Altri esperimenti hanno anche rilevato che quando due persone entrano insieme nelle grandi vasche termali di marmo si viene a creare una profonda comunicazione tra i loro cervelli e i loro corpi, una sottile empatia, che aiuta a ritrovare l'amicizia e la tenerezza nei rapporti.
Per noi la salute globale è quando l’essere umano è naturalmente sé stesso, quando è integro e biologicamente reattivo, ossia quando le differenti dimensioni del suo essere - corpo, istinti, emozioni, sentimenti, pensieri e coscienza - sono in uno stato di coerenza ed equilibrio tra loro; e il cervello riflette un parallelo stato armonico neuropsichico.





 In una recente conferenza a Los Angeles alcuni esperti hanno proposto una visione cautamente ottimista della malattia.
Il 4 e il 5 febbraio il simposio sulle recenti scoperte immunitarie ha radunato 450 persone per ascoltare George Solomon, Lydia Temosbok, Peter Duesberg, Lecnard Wisneski e altri, che hanno discusso i problemi e le soluzioni possibili dell'epidemia. Il pubblico includeva sia malati di AIDS che operatori sanitari e dei servizi sociali.
Il medico Laurence Badgley, citando lo scopritore del virus dell'AIDS, Luc Montagnier, dell'istituto Pasteur di Parigi, ha detto: "L'AIDS non conduce inevitabilmente alla morte, specialmente se si eliminano i cofattori che facilitano la malattia. Non è il virus che ha cambiato il suo comportamento di base ma il suo ospite".
Badgley, autore del libro "Healing AIDS naturally" (guarire l'AIDS con metodi naturali) e direttore della fondazione per le ricerche sulle terapie naturali (FRONT), una delle principali sponsorizzatrici del simposio, ha proposto un nuovo modello del processo della malattia.
"Il virus, quando entra nel corpo, viene 'messo a dormire', più tardi, alcuni coattori, come l'abuso di droghe, alcool, una dieta povera e lo stress, lo risvegliano."
Il momento più intenso del simposio è stato un dibattito tra 10 sopravvissuti alI'AIDS che hanno fatto osservazioni e dato suggerimenti basati sulla loro esperienza personale. Ognuno di loro ha sottolineato che non c'è una sola risposta alla sopravvivenza.
Altri oratori si sono dichiarati d'accordo e hanno sottolineato il ruolo degli influssi periferici. Solomon, creatore del termine psiconeuroimmunologia negli anni '60, ha detto che tre fattori possono permettere di predire la velocità di sviluppo della malattia in un paziente AIDS:
- Numero dei partners sessuali nell'arco della vita
- Numero di malattie veneree
- Numero di amici che sono morti
Tutti questi fattori, oltre allo stress, che Solomon considera inevitabile negli omosessuali, possono attaccare il sistema immunitario. La maggior parte degli adulti che soffrono di AIDS sono uomini omosessuali e bisessuali.
"Le persone di costituzione sana affrontano meglio l'AIDS", ha detto Solomon. "Perché le donne, il cui sistema immunitario è in genere più forte, hanno meno successo nella sopravvivenza?" La sua risposta: la maggior parte delle donne vittime dell'AIDS hanno abusato di droghe e quindi non hanno più una costituzione forte.
Temoshok, uno psichiatra dell'istituto Longeley Porter di San Francisco, descrive, in una sua ricerca, parecchie caratteristiche comuni ai sopravvissuti che sono stati colpiti dall'AIDS da lungo tempo. Tra queste:
- Accettazione della diagnosi, combinata col rifiuto di considerarla una sentenza di morte. "Ci sono molti pazienti che non sono morti e se la cavano bene", ha detto, "non possiamo descriverla semplicemente come una malattia terminale. È molto più complessa".
- Sentire il medico come un collaboratore.
- Avere degli affari da finire, avere una motivazione molto forte per la sopravvivenza. Un paziente aveva fatto voto di non morire fino a che non avesse finito di aggiungere alcune stanze alla sua casa. Sino al momento dell'ultimo controllo aveva ottenuto prestiti bancari e stava per terminare il lavoro.
- Prendere responsabilità personale per la malattia e la guarigione.
- Avere un sentimento spirituale di qualcosa al di là del sé.
Altri oratori hanno presentato i documenti delle ultime ricerche sulle terapie alternative inclusa l'omeopatia, le erbe cinesi, le vitamine, le diete di frutti e vegetali.
"Abbi fiducia nel tuo istinto, fai qualunque cosa funzioni", ha detto Micheal Callen, uno dei membri più noti del gruppo dei sopravvissuti, che ha offerto la sua lista di caratteristiche della persona che sopravvive.
"Non c'è un modo solo e tu hai il potere di aiutare te stesso. Continua con qualunque cosa sembra darti beneficio".


Credenze positive, umorismo, autostima aiutano i malati di aids
Alla fine del dibattito ognuno dei 10 sopravvissuti all'AIDS ha risposto ad alcune domande.
Uno dei sopravvissuti, colpito dal male nel 1983, ha detto: "L'AIDS è la cosa migliore che mi sia mai successa". La sua dichiarazione sincera rifletteva i sentimenti generali del gruppo, molti dei quali hanno detto di essersi sentiti più forti e ricompensati dallo loro lotta contro la malattia.
Alcuni dei punti più salienti:
Fin dalla diagnosi nel 1982, Dan è ritornato a finire la scuola di medicina e ha usato una dieta per ripulire il corpo; ha però messo in guardia che la sua tecnica non funziona necessariamente per tutti. Egli ha superato di gran lunga le previsioni di sopravvivenza.
"Durante questi anni ho messo tutto su alcune carte di credito, e ho finito di doverle pagare tutte!"
Cristofer, un altro sopravvissuto, ha descritto i suoi sentimenti dicendo che, dopo che gli era stato diagnosticato il male nel 1982, non aveva più nessuna voglia di vivere. Durante un trattamento intervenoso con alfa-interferone, aveva cominciato a darsi alla cocaina, abitudine che durò per tre anni.
Più tardi smise di usare la cocaina e si sottopose a un trattamento di medicina olistica.
Scherzando ha detto: "Spero non sia stato solo tutto lo zucchero e il cibo sano che mi hanno portato a questo punto oggi!"
Niro, una francese, dopo essere stata diagnosticata sieropositiva nel 1985, decise di lavorare in stretta collaborazione con i suoi medici. Ha detto:
"Scoprire che cosa ci vuole per amare me stessa e gli altri è stato l'inizio del processo di guarigione". Il suo stato attuale è cambiato in HIV-negativo.
Will, un ingegnere-analista, ha detto che il suo addestramento scientifico l'ha condotto a pensare che solo la medicina tradizionale poteva fornire una risposta. Presto, tuttavia, il suo senso di impotenza l'ha indotto a muoversi per lavorare con Louise Hay, organizzatore di gruppi per malati di AIDS in tutta l'America.
Ha detto al pubblico: "Non dobbiamo pensare che non ci sia più nulla da fare; le emozioni sono il meccanismo di connessione tra la mente e il corpo e tutti i nostri problemi si connettono con emozioni negative".
A David, 56 anni, era stato detto che non avrebbe vissuto oltre il Natale del 1982. Cosi la sua famiglia gli fece una festa di compleanno in anticipo. Parecchie feste dopo ha detto: "Probabilmente ormai stanno esaurendo la loro carica di simpatia".
Michael Callen, che era stato trovato malato di AIDS nel 1982, ha dato l'avvio a parecchie organizzazioni per l'AIDS. Ha scritto molto e tenuto conferenze. Callen ha sollecitato i pazienti a usare la pentamidina, una nuova medicina, valida nel prevenire la polmonite da pneumotocistis carinii, una delle maggiori cause di morte nei malati di AIDS.



Gruppi di ricercatori di due università americane hanno riferito di aver trovato un meccanismo probabile dell'interazione tra il cervello e il sistema immunitario. Il campo relativamente nuovo della psiconeuroimmunologia si focalizza sui legami tra fattori mentali e fattori emozionali nelle malattie. Un gruppo dell'università di Rochester ha riferito di aver scoperto speciali recettori nervosi nella milza, nei nodi linfatici, nel midollo osseo e nelle pareti dei vasi sanguigni. David Felten ha detto che "la scoperta è il legame che da tanto tempo mancava: la comunicazione di ritorno verso il cervello".
Ricercatori dell'università di Chicago hanno trovato che il cervello produce interleukina-1 (IL-1), un mediatore della funzione immunitaria. Già si sapeva che i globuli bianchi producono IL-1 in risposta ad un'infezione, e che quindi potevano influenzare il cervello. Il rilascio di IL-1 da parte dei globuli bianchi in risposta ai batteri o ai virus innesca il rilascio degli ormoni del cervello.
Clifford Saper, un farmacologo dell'università di Chicago, ha identificato l'IL-1 nel cervello e nel sistema nervoso periferico dei cadaveri. Il ricercatore suggerisce che ci sia un circuito di feedback con cui il cervello tiene in controllo il sistema immunitario.
Il meccanismo che impedisce al sistema immunitario di reagire più del necessario potrebbe essere lo stesso che lo sopprime.
Entrambe le scoperte sono state riportate al congresso della Società di Neuroscience a Toronto.



Malgrado sia ormai noto che eventi stressanti tendono a provocare uno stato di malattia, è molto meno chiaro il legame tra tipo di personalità e tipo di malattia.
H.J. Eysenck, un noto ricercatore inglese, ha passato in rivista alcuni studi europei che indicano una diversità sorprendente tra i tipi di personalità che poi svilupperanno o una malattia di cuore o il cancro.
Eysenck e il ricercatore che ha condotto gli studi su larga scala, Ronald Grossarth-Mathicek, hanno riferito che la terapia comportamentale ha un effetto impressionante.
Eysenck ha sottolineato l'importanza di distinguere tra "stress" e "sforzo", come si usa in fisica.
Lo stress è una forza esterna, lo sforzo è la reazione dell'oggetto sottoposto allo stress. La personalità è la variabile che altera lo sforzo, la reazione allo stress.
"Molti generi di stimoli... impongono più di uno sforzo sulle persone emozionalmente instabili che non sulle persone emozionalmente stabili. Queste differenze... non possono essere omesse da alcun studio scientifico sull'influenza dello stress sulle malattie del corpo".
Eysenck si riferisce a scoperte contenute in tre studi a lungo termine (vedi articolo successivo), uno in Yugoslavia (1353 soggetti) e due in Germania (8/2 e 1042 soggetti). La ricerca, condotta a Grossarth-Maticek, ha trovato drammatiche correlazioni tra il tipo di personalità di individui non ancora ammalati e la successiva frequenza di morti premature per cancro o malattie del cuore.
Nello studio yugoslavo, i soggetti avevano un età tra i 59 e 65. Nello studio tedesco la maggior parte erano tra i 40 e i 60. Grossarth-Maticek e i suoi collaboratori hanno registrato il numero di morti premature in ciascun gruppo nei successivi 10 anni.
Gli individui che tendevano a reprimere le loro emozioni di fronte allo stress erano più pronti degli altri a morire di cancro. Quelli che avevano un alto punteggio nelle misure della frustrazione emozionale e dell'aggressività avevano un alto tasso di morte collegata a malattie di cuore.
Nel predire la possibilità del cancro le variabili della personalità erano più importanti che non il fumare. Il fumare era un prerequisito per il cancro ai polmoni, ma tra i fumatori solo i tipi emozionalmente repressivi (tipo 1) sembravano prendersi la malattia.
Grossarth-Maticek ha diviso i soggetti in quattro tipi sulla base del test della personalità. Questi includono il tipo 1, sottoeccitato, con facilità a prendersi il cancro; il tipo 2, sopraeccitato, individuo emozionalmente frustrato, prono a sviluppare una malattia di cuore; il tipo 3, ambivalente, che altera tra repressione emozionale e frustrazione emozionale; il tipo 4, autonomo, che aveva poca probabilità di ammalarsi durante il periodo di controllo.
In tutti e tre gli studi, il rischio calcolato per ogni tipo si è rivelato particolarmente accurato.
Infatti, i risultati sono stati così impressionati che altri ricercatori ne hanno messo in questione l'accuratezza. (Psycology Today, dicembre 1988).
Il 46.2% del tipo 1, sottoeccitato, del gruppo yugoslavo è morto di cancro nel decennio seguente; solo l'8,3% è morto di malattie coronariche.
Una terapia comportamentale somministrata a un gruppo di 50 persone del gruppo tedesco ha ridotto in modo drastico il numero delle morti nel gruppo nei 10 anni successivi.
Dopo 10 anni, 45 delle 50 persone che avevano ricevuto la terapia erano ancora vive, mentre 31 di un gruppo di controllo erano morte. Nessuna delle persone del primo gruppo è morta di cancro, al confronto di 16 del gruppo di controllo che non aveva ricevuto terapia comportamentale.
Lo scopo della terapia era stato di raggiungere una maggior autonomia emozionale negli individui che avevano una personalità che faceva predire o il cancro o una malattia di cuore.
Gli studi, dice Eysenck, devono essere considerati solo come linee guida, anche se trova che l'evidenza empirica è molto convincente.
Ci sono "troppe prove empiriche per dubitare che lo stress-sforzo, interagendo con la personalità, gioca un ruolo causale nella genesi del cancro, probabilmente in combinazione con fattori quali fumo e alcool".
Sebbene i dettagli dell'interazione tra i fattori siano ancora da esse chiariti, "è chiaro che le spiegazioni semplici... non hanno alcun ruolo in uno studio scientifico del cancro".

 Neuropersonalità?
H.J. Eysenck fa l'ipotesi che certi ormoni e peptidi influenzino sia le personalità che il sistema immunitario. L'eccessiva reazione da stress, caratteristica del tipo 1, può produrre un eccesso di cortisolo che è legato alla immunosoppressione. (saltuariamente il cortisolo si trova anche nella depressione).
Ricerche precedenti avevano dimostrato che un alto livello di stress e di sforzo conducono a un declino nell'attività naturale delle cellule-killer, essenziale per una risposta immunitaria. Lo stress/sforzo può anche alterare il sistema endocrino.
Eysenck ha detto: "In questo modo, la personalità, lo stress/sforzo e il cancro potrebbero essere connessi lungo una catena perfettamente intelligibile".


I quattro tipi definiti da Grossarth-Maticek sono basati su profili della personalità sviluppati dalle risposte che i partecipanti alla ricerca hanno dato a domande dettagliate sulla loro vita emotiva.
  •  Il tipo 1 ("sottoeccitato" tendeva ad avere una persona o un oggetto (per esempio un'ambizione di carriera) come fuoco emotivo. Poiché il suo benessere era profondamente dipendente da questa persona-oggetto, si trovava soggetto a sforzo o a depressione se ne viveva la perdita, la distanza o la separazione. 
  • Il tipo 2 ("sopraeccitato") era anch'esso focalizzato su un solo oggetto emotivo e più suscettibile a collasso di qualunque genere che non semplicemente al senso di perdita. Tendeva a reagire con frustrazione e rabbia piuttosto che con depressione.
  •  Il tipo 3 ("ambivalente") rispondeva con depressione in qualche occasione e rabbia e frustrazione in altre.
  •  Il tipo 4 ("autonomo") era emotivamente ben adattato, sano e capace di contare su se stesso.
Non si prevedeva nessun rischio elevato in nessuna area per i due ultimi tipi. Dopo aver ottenuto i profili delle personalità si sono registrate le statistiche delle morti per i successivi dieci anni.
In Yugoslavia il 46,2% dei soggetti di tipo 1, tra i 59 e 65 anni al momento delI'esame, morirono di cancro nei successivi dieci anni, mentre solo l'8,3% morì di malattie di cuore.
In contrasto, il 29.2% delle persone di tipo 2 morì di malattie di cuore, contro solo il 5,0% morte di cancro.
Quelli che avevano avuto un punteggio basso sulla razionalità protettiva (atteggiamenti mentali e ragionamenti che proteggono l'individuo dal percepire emozioni dolorose) e la mancanza di espressione emozionale, indipendentemente dal tipo, svilupparono meno di un decimo dei casi di cancro che sarebbero stati predetti solo dal caso. Quelli con punteggio alto avevano un'incidenza di cancro tre volte superiore alla media della popolazione.
In Germania, persone tra i 40 e i 60, al tempo del test della personalità, l'1% del tipo 1 morì di cancro nel decennio successivo contro solo 11,8% morto di malattie di cuore. Del tipo 2, il 13,5% mori di malattie di cuore contro solo il 5,9% di cancro.
In una successiva ricerca, condotta ad Heidelberg, su persone considerate "molto stressate" da amici e parenti, il 38,4% delle persone di tipo 1 morì di cancro, il 7% di malattie di cuore. Per il tipo 2 la tendenza era invertita. La frequenza complessiva delle morti era maggiore del 40% per i tipi stressanti che non per un campione casuale.


La rosa mistica
Una nuova terapia meditativa per l'uomo moderno: ridere piangere meditare
a cura di Aurora Maggio Cooper
La rinuncia, divenuta inconsapevole, alla libera espressione emozionale e sensibile che il moderno stile di vita impone per agire e operare nel mondo sociale quotidiano, è alla base del malessere generalizzato di cui, chi più chi meno, conosciamo gli effetti negativi. Dietro la famosa sindrome da stress, dietro la mancanza di gioia di vivere, dietro la noia e l'indifferenza diffusa ci sono emozioni e frustrazioni represse e compresse dentro di noi, che costituiscono il potenziale terreno dell'indebolimento vitale.

Le emozioni represse
Il processo meditativo denominato 'La Rosa mistica' offre un'occasione di libera espressione, per mezzo del riso e del pianto, le forme biologiche con cui la natura ha provvisto l'uomo per liberare i propri canali energetici vitali. Si tratta di un processo fondato su un'osservazione illuminata dell'uomo moderno e delle sue difficoltà reali a vivere liberamente. Il processo offre un'occasione semplice/non semplice di dare uno spazio privilegiato a noi stessi e di alleggerire la nostra vita dal passato e dalla rigidità che ci portiamo dietro.
Un metodo semplice che richiede però un forte desiderio di migliorare la qualità della propria vita. Non si tratta di una terapia nel senso di fornire aiuto esterno ai problemi psicofisici ma di una terapia autoresponsabile, che ognuno può decidere di darsi, in piena libertà e responsabilità individuale. Da quando è stato introdotto da Osho Rajneesh tre anni fa molte migliaia di persone vi hanno partecipato, a Poona e in Europa e altrove.

Ya-hoo e Ya-boo, mantra senza terapia
Il processo della Rosa Mistica crea unicamente un ambiente protetto e privilegiato in cui ogni partecipante può, attraverso il riso e il pianto e la meditazione che ne consegue, aiutarsi a integrare consapevolmente angoli rimossi di emozioni passate che inquinano lo slancio vitale di ognuno. Nella sua struttura pratica 'La Rosa Mistica' è molto particolare perché unisce una coralità oggettiva, tutti sono partecipi ma ognuno è da solo con la propria dimensione emotiva e la propria consapevolezza individuale. Tutti insieme e ognuno per sé. Le uniche 'tecniche' suggerite all'inizio di ogni sequenza sono due mantra molto potenti che stimolano l'espressione 'oggettiva', cioè a dire senza motivo attuale, del riso e del pianto. E' un gruppo di 21 giorni, suddiviso in tre parti. Nella prima si inizia con il mantra 'Yahoo!' tutti insieme a piena voce, poi per tre ore al giorno si ride a partire da niente, si ride senza motivo, per sette giorni consecutivi. Nella seconda si inizia con il mantra 'Yaabhoo!' tutti insieme a piena voce e poi si piange senza un motivo immediato per sette giorni sempre per tre ore al giorno. Nella terza parte denominata 'l'osservatore sulla collina' si sta seduti in silenzio in giardino per tre ore, sempre per sette giorni. Diamo qui uno stralcio di un'intervista di Ma Anand Nirved che lo conduce sin dall'inizio.

Un metodo semplice e rivoluzionario
Nirved parla della sua esperienza con questo metodo semplice e rivoluzionario: 
"Per quanto sembri incredibile sono tre anni da quando abbiamo iniziato a gridare 'Yahoo!' la prima volta, è stato un grande regalo. Ho appena finito un'altra Rosa Mistica con circa 100 persone e sono veramente stupita di riscoprire ancora una volta quanto questo lavoro sia la mia meditazione preferita. Nel discorso in cui ha introdotto questo processo Osho diceva" Vi sorprenderà scoprire che nessuna meditazione vi può dare tanto quanto questa piccola strategia". 'Ed è vero, sono sempre più sorpresa della magia che accade nella Rosa Mistica, il segreto sembra la semplicità nessuna terapia, nessuna parola, nessuna analisi. Ognuno resta da solo con la propria energia nel presente, ogni istante una scelta, ogni istante una nuova occasione per andare più a fondo in se stessi. Un processo molto pulito, non si deve aggiungere niente, solo creare un riparo, una protezione, uno spazio chiaro per la scoperta di ognuno.

Una nuova terapia meditativa
"Possiamo dire che questa è veramente una terapia di nuovo tipo, una terapia meditativa in cui ognuno si confronta soltanto con se stesso e prende la propria responsabilità di espressione. Si tratta di un gruppo che parte da una prospettiva di libertà individuale totale, di pulizia delle emozioni rimosse attraverso il riso e il pianto. Un'esperienza 'oggettiva' delle nostre espressioni emozionali, svincolate da sollecitazioni esterne ma fondate sulla consapevolezza che ci sono troppe emozioni rimosse che abbiamo dentro e da cui vogliamo ripulirci, per ritrovare l'innocenza di quando eravamo bambini. 'Vedendo le facce alla fine di una Rosa Mistica -guardando gli occhi dei partecipanti non ho dubbi che quell'innocenza si è affacciata di nuovo. Vedo anche dei cambiamenti nei gruppi, sono intervenute un'intensificazione e un approfondimento collettivi. Chi prende la responsabilità con se stesso di partecipare alla Rosa Mistica qui a Poona ha fatto un lungo viaggio in senso pratico e interiore e afferra l'occasione per superare le proprie difficoltà di espressione emotiva, nella certezza di procedere sulla strada giusta per avvicinarsi maggiormente a se stesso. Il gruppo avviene dentro una delle nostre piramidi di marmo, costruita apposta per questo processo. A parte il fatto di trovarci in un luogo bellissimo, anche una scettica come me può sentire l'intensificazione energetica che avviene sotto la grande piramide!
Per me è un processo che faccio in continuazione e lo sento sempre nuovo e sorprendente, essenzialmente è una meditazione. In ogni stadio si vede così tanto di se stessi - nel cercare di ridere per tre ore. Come non potrebbe essere così! Provate... Si crea un'intimità fra i partecipanti in un mondo senza parole, uno spazio nudo - momenti di condivisione intensa, senza associazioni, senza aspettative, senza storia - una condivisione di umanità pura. Poi c'è l'osservatore sulla collina e le sorprese continuano, mentre scendiamo in giardino. Molti non avrebbero scelto di fare Vipassana per una settimana e si ritrovano tranquilli a fare niente, a essere testimoni di se stessi e felici di farlo. Eccoci qua a ridere, piangere e meditare nella pace di questo splendido giardino...
  

Uno studio recente dei tassi di mortalità tra gli ebrei prima e dopo la Pasqua ha dato consistenza alla teoria che "la volontà di vivere" tra gli uomini può ritardare la morte fino a dopo una importante occasione sociale.
I ricercatori, usando i certificati di morte computerizzati in California per gli anni 1966-1984, hanno trovato che tra i maschi bianchi con il cognome sicuramente ebraico avvenivano circa il 25% più decessi per cause naturali nella settimana dopo la Pasqua che nella settimana prima.
Quando i ricercatori restrinsero lo studio agli anni in cui la Pasqua cadeva nel fine settimana, rendendo più probabile che fosse un evento sociale di grande importanza, i risultati erano ancora più drammatici. In quegli anni le morti nei maschi ebrei salivano a un fenomenale 61% nella settimana dopo la Pasqua rispetto alla settimana prima. Nelle 24 settimane che venivano un po' prima e un po' dopo la festività il tasso più alto e quello più basso di mortalità avveniva proprio in quelle due settimane.
In contrasto con questo, i tassi di mortalità per i giapponesi o i cinesi (gruppi che non avevano praticamente alcun ebreo) non mostrava alcuna differenza tra le settimane.
Il ricercatore dell'università della California, San Diego, David Philips ha detto: "L'effetto di picchi e valli nel tasso di mortalità è troppo forte per essere dovuto semplicemente al caso. Come passo successivo dovremo scoprire se vale anche per altre feste e per altri gruppi sociali".
Forse l'esempio più noto della "volontà di vivere" è quello dei padri fondatori degli U.S.A., John Adams e Thomas Jefferson, che morirono entrambi nel cinquantesimo anniversario della firma della dichiarazione di indipendenza. Secondo quanto venne registrato dal suo dottore le ultime parole furono: "È il quattro oggi?" Studi precedenti avevano suggerito che potesse esistere una tendenza del genere. La nuova ricerca fornisce la prova più convincente.
"Siamo stati molto sorpresi della intensità dell'effetto", ha detto Philips, "ma è stato confermato anche da numerosi aneddoti. Siamo stati molti felici di trovare un modo di provarlo in modo sistematico".
Lo studio non ha rivelato alcun effetto apprezzabile nelle donne con nome ebraico. Tuttavia questo potrebbe essere dovuto alla prevalenza di matrimoni misti in California per cui molte di queste donne potrebbero non essere ebree e quindi non aver alcun legame sociale con la festa. Inoltre i maschi hanno un ruolo principale durante il rituale della Pasqua. In teoria, la festa che viene osservata da circa il 75% degli ebrei, ha più significato spirituale per gli uomini che per le donne.
Philips e Elliot King hanno preso in considerazione e respinto parecchie alternative della spiegazione della "volontà di vivere".
Per esempio la teoria che le festività portano a morte per stress o per eccesso di cibo non potrebbe spiegare il drammatico declino prima della Pasqua. E neppure si possono attribuire gli effetti a un ritardo di operazioni chirurgiche a dopo la Pasqua. Il tasso di mortalità per quelli che vennero sottoposti a operazioni chirurgiche appena prima della morte non mostrarono alcuna variazione settimanale nel tasso di mortalità. Inoltre la Pasqua avviene ogni anno in momenti diversi eliminando così la possibilità di fattori stagionali o mensili.


  • Un bambino non amato in un ambiente ostile (anche se inconsapevole) percepisce ogni sua espressione vitale come colpevole e pericolosa

In sintesi - Origine dell'esperienza schizoide: bambini non nutriti dall'amore possono diventare personalità schizoidi, incapaci di autopercepire il corpo e le emozioni, chiuse in un mondo mentale illusorio e incapaci di relazionare 
Nel 1958 Alexander Lowen descrive per la prima volta il carattere schizoide ne "Il linguaggio del corpo". Da allora, molti sono stati gli studi in campo bioenergetico e molti autori hanno approfondito le osservazioni sul carattere schizoide. Tra i più autorevoli ricordiamo il caposcuola dell'Orgonomia Elsworth F. Baker ed il prof. Stephen M. Johnson dell'Università dell'Oregon. Lo stesso Lowen tornò, dieci anni dopo, ad occuparsene dedicandovi un intero volume :"Il tradimento del corpo", in cui leggiamo: "Una persona in buona salute ha una chiara rappresentazione del proprio corpo che può descrivere verbalmente e graficamente: espressione del viso, postura e atteggiamenti. Può disegnare una figura ragionevolmente vicina a un corpo umano. Lo schizoide non vi riesce. Le sue figure sono spesso così bizzarre e stilizzate che la carenza della sua rappresentazione del corpo è subito evidente". Johnson, d'altro canto, rivela: "Quando intorno alle tre - cinque settimane di età, il piccolo essere umano emerge dalla condizione di autismo primario, la 'barriera sensoriale' si dissolve lentamente e nel bambino si instaura una sempre maggiore consapevolezza della persona che si prende cura di lui. La persona che egli incontra in questo primo contatto con il mondo può essere benevola, disposta al contatto, pronta a reagire a questo essere totalmente dipendente o può essere fredda, dura, rifiutante, piena di odio, di risentimento per l'esistenza stessa del bambino". Questa è la situazione, secondo Johnson, in cui si trova, al suo primo contatto consapevole con il mondo, il 'bambino non amato', esposto senza difesa ad un ambiente ostile, percepirà ogni sua espressione vitale come potenzialmente pericolosa. Ad ogni suo richiamo, ad ogni suo contatto con l'oggetto primario del suo amore e con la sorgente 'biologicamente designata' di ogni rassicurazione egli percepirà una netta minaccia di distruzione. Poco importa se la madre, mossa da sensi di colpa, cercherà di mediare il proprio sentimento ostile mostrando sentimenti superficiali di premura o di affetto. Il bambino non amato rimarrà consapevole della minaccia latente maldestramente dissimulata da cure eccessive e da un'eccessiva preoccupazione per la sua salute. Ma i suoi meccanismi di difesa sono, a questo punto del suo sviluppo, estremamente primitivi: non potrà che rinunciare alla libera espressione di sé, le cui manifestazioni richiamano l'attenzione ostile del genitore e, per fare ciò, giungerà al punto di rinunciare all'autopercezione. Tale meccanismo si estenderà all'autopercezione corporea le cui esigenze richiederebbero l'attenzione del genitore ed investirà il piano emotivo, perché il bambino non potrebbe letteralmente vivere, sentendosi costantemente esposto ad una terrificante minaccia di annientamento. Per poter sopravvivere, tenendo a bada tanto la minaccia ambientale che la minaccia interna del suo terrore, il bambino dovrà realizzare un difficile compromesso: rinuncerà a vivere sul piano della realtà e si ritirerà in un'area illusoria, talvolta predisposta dal genitore stesso, in cui potrà sentirsi più al sicuro a condizione di sottoscrivere la propria accettazione della pantomima di amore e cura offerta dal genitore in sostituzione del sentimento autentico.
Nei casi più estremi, in cui neppure apparentemente il genitore mostrerà amore ed interessamento per il piccolo, questo dovrà forzare oltre la propria capacità di astrarsi dalla realtà. Giungerà così a credersi un essere speciale, investito da un destino speciale che lo pone in un aldilà, nel quale egli trova finalmente soddisfatto il proprio bisogno di amore incondizionato. Sul piano delle relazioni umane ciò si traduce in una costante sensazione di distacco e di freddezza, mentre i sentimenti e il loro simulacro trovano spazio solo a livello intellettuale. Lo schizoide adulto sarà talvolta in contatto col senso di struggente solitudine della sua condizione, ma se tenterà di infrangerlo incontrerà prima o poi il proprio terrore esistenziale a ogni contatto umano e sarà costretto a ritirarsi nuovamente nel suo universo irreale. Tale universo confina spesso con quello paranoide che l'esperienza clinica consente di differenziare sia dal punto di vista della struttura fisica che dell'atteggiamento psicologico che dei fattori originanti.


  • Lasciar piangere un bambino può creare una resa che lo trasformerà in un adulto 'orale' sempre alla ricerca di appagamento esterno 

Origine dell'esperienza orale: i bambini inascoltati, non toccati abbastanza, non nutriti dall'amore, possono diventare personalità orali, fragili, poco vitali, pronte a rinunciare di fronte alle difficoltà, sempre alla ricerca di un appagamento dagli altri.
Dopo il diritto di esistere emerge nel bambino il diritto di essere sostenuto, toccato e nutrito affettivamente. Quando queste esigenze sono esaudite in modo incompleto, si crea un insieme di temi nodali che portano a un adattamento caratteriale tradizionalmente chiamato "orale". La reazione naturale del bambino che non riceve adeguate cure è quella di piangere, di protestare, di protendersi nel tentativo di ottenere ciò di cui ha bisogno. In tale protesta il bambino metterà tutta la sua energia fino a quando, restando il suo appello disatteso, finirà per cedere alla spossatezza. Ad ogni occasione successiva il bambino si esprimerà con sempre minor vigore, fino ad arrendersi all'evidenza. L'organismo del carattere orale si strutturerà, quindi, intorno a un paradossale " bisogno di non aver bisogno".
In seguito a questa rinuncia, dettata dalle circostanze, il suo Io non ha mai ottenuto il nutrimento necessario a strutturarsi in maniera valida e convincente, quindi, sottoposto a condizioni di stress, mostrerà rapidamente la propria fragilità.


lo fragile in corpo fragile
Il suo corpo sarà debole, spesso longilineo, con una sensazione di "sacco vuoto" piuttosto che di snellezza. Le gambe e la braccia saranno contratte e prive di energia perpetuando così l'impossibilità di muoversi nel mondo e di protendersi per ottenere l'appagamento del bisogno. La mascella sarà tipicamente tesa per l'insoddisfazione e per la conseguente rabbia repressa. Il petto sarà spesso sgonfio, contratto e carenato (a "petto di pollo"). Il collo, la gola e tutti gli organi interni saranno a loro volta contratti nel tentativo di non sentire il vuoto interiore. Dovendo raggiungere degli obbiettivi, nella vita adulta, una persona 'orale' dovrà prestare molta attenzione al proprio equilibrio energetico, perché non possedendo molta vitalità sarà facilmente preda dello sconforto e del sentimento di rinuncia, 'è tutto inutile'. Direttamente correlata agli insuccessi ripetuti, nasce quindi la depressione ed il senso di vuoto, di inefficacia e di spossatezza. Ciò è vero sia nelle relazioni sentimentali che nell'ambito dell'attività professionale. E' di estrema importanza per il carattere orale vivere in un ambiente che gli manifesti amore e approvazione. In tali condizioni egli potrà funzionare meglio, senza peraltro essere mai in grado di costituirsi una 'riserva personale' di positività da consumare nei momenti difficili. 'Il carattere orale ha, in senso sia letterale che figurato, difficoltà a stare in piedi da solo, tende ad appoggiarsi, ad aggrapparsi agli altri' (Lowen). Egli sarà quindi preda di un bisogno di contatto eccessivo, talvolta mascherato nel suo opposto, vale a dire in un esagerato atteggiamento di indipendenza.

 Oscillazioni emotive
Da questa seconda posizione la persona orale si sentirà in grado di dare, ma in realtà, non disponendo di molta 'ricchezza personale' il suo sarà un dare e ricevere a stretto giro di posta. Ciò rende talvolta difficile relazionarsi ad una persona orale, perché in ultima analisi ogni sua offerta, ad esempio a livello sentimentale, va tradotta nella richiesta che in realtà sottende. Quando questa richiesta trova soddisfazione l'orale si carica rapidamente. Ciò spiega le frequenti oscillazioni di questa persone dal polo depressivo al polo euforico. E' frequente osservare nell'orale una tendenza spiccata alla voracità ed all'uso smodato della parola. Attraverso un uso ipertrofico del linguaggio verbale, l'orale cerca di solito l'approvazione e l'ammirazione del suo ambiente. Non di rado, inoltre, si mostra in grado di 'ferire' con le parole, dando prova di uno 'specifico' sadismo orale che lo caratterizza. Dal punto di vista della relazione terapeutica l'orale si mostrerà un cliente spesso disponibile e desideroso di compiacere il proprio analista. Posto in condizioni ottimali di accettazione e di supporto potrà progredire rapidamente, nella misura in cui l'analista sia in grado di promuovere e di accogliere l'espressione del suo senso di solitudine, del suo disperato bisogno di contatto, della sua inconscia richiesta di aiuto, ed in ultima analisi della sua reale motivazione a cambiare uno stile di vita che sembra destinato a perpetuare la sua condizione depressiva.
MANTRA, SUONO, MUSICA E CERVELLO


SUONO, CERVELLO E VIBRAZIONE
Un panorama delle ricerche internazionali
Dalle antiche scritture e dai miti della creazione fino alle più moderne teorie sulla coscienza, si è sempre speculato riguardo alla vibrazione come a ciò che sottostà alle forme fisiche.
Questo concetto compare nei modelli tradizionali dell'origine del Cosmo, nella fisica delle onde sonore, nel movimento planetario e negli studi sulle onde del cervello. Ora la vibrazione può essere vista in azione grazie al "macroscopio".
Basandosi sul lavoro dello scienziato e fisico svizzero Hans Jenny, morto nel 1972, il fisico matematico arnericano Ralph Abraham ha costruito un "macroscopio" in grado di osservare in tempo reale l'emergere delle forme dalle vibrazioni.
I suoni, dalle campane tibetane ai canti gregoriani, che vengono da un altoparlante ad alta fedeltà producono la vibrazione di un liquido trasparente che a sua volta produce delle onde statiche che vengono poi proiettate sullo schermo di un monitor come immagini colorate di strutture in costante movimento.
Trasformando suoni ad alta frequenza in forme/strutture a bassa frequenza il macroscopio dimostra visivamente la relazione tra complessi dinamici e morfogenesi o modelli di formazione.
Le strutture visualizzate dal macroscopio mostrano analogie con popolazioni di cellule, reti di comunicazioni in costante oscillazioni che ricordano i potenziali elettrochimici del cervello.
Pitagora, ad esempio, aveva espresso la sua convinzione che le strutture fisiche o mentali avessero una precisa e matematica origine nelle vibrazioni. Come il matematico Ralph Abraham credeva che le radici del1a matematica, della musica e del misticismofossero strettamente legate: la loro origine comune era appunto la vibrazione informazione.
Il fotone, l'unità di luce, crea tutte le onde elettromagnetiche, dai raggi cosmici ai raggi x, variando la frequenza della sua vibrazione.
Recentemente la matematica è stata separata da queste sue radici culturali. Nel suo libro "Vibrazioni", Abraham traccia le basi della filosofia naturale dall'antichità, al Rinascimento, fino al 20° secolo, mostrando come la vibrazione è stata alla base della creazione della matematica e ricreando poi le basi logiche per la nuova fusione tra matematica, musica e spiritualità che sta avvenendo ora.
Utilizzando gli strumenti della moderna matematica basata sui complessi dinamici, egli ha formulato un prototipo di modello del cervello in cui le onde cerebrali viste come vibrazioni possono essere stimolate da un computer.
"Le onde cerebrali sono dei pacchetti d'onda che oscillano in un network (rete) tridimensionale formata da cellule. Stimolando i loro movimenti e tracciando mappe delle loro transizioni possiamo iniziare a costruire un modello complesso quanto il cervello stesso."
Tomatis: neurofisiologia dei canti gregoriani
Qual è il potere curativo del canto e della recitazione? Perché certi suoni sono considerati sacri in tutto il mondo? Dall'OM alle ninnananne, dai canti Gregoriani ai canti corali moderni, l'esercizio spirituale della voce porta serenità e poteri indescrivibile a parole.
Il medico Francese Alfred Tomatis ha studiato gli effetti terapeutici del canto. Le ricerche di Tomatis in Francia ed in Canada hanno messo in rapporto l'udito con le dinamiche del corpo e della mente.
Al contrario della comprensione popolare, diceTomatis, 'l'orecchio è un organo primario di consapevolezza". E' inteso essenzialmente per provvedere una carica di potenziale elettrico al cervello. La corteccia poi distribuisce in tutto il corpo la carica che ne deriva.
La conclusione di Tomatis è che l'orecchio non è un pezzo differenziato della pelle, piuttosto, la pelle è un pezzo differenziato dell'orecchio.
Le alte frequenze sembrano avere il maggior effetto ricaricante. I suoni nelle basse frequenze possono "scaricare" o stancare gli ascoltatori.
Questo è il segreto del canto: le alte frequenze.
Tomatis ha esaminato il suono dei canti Gregoriani con un oscilloscopio. Questi, ha rapportato, cadevano entro il raggio dei suoni ricaricanti. Inoltre, erano come uno "yoga respiratorio". "Coloro che cantavano sembravano rallentare il loro respiro e inducevano gli ascoltatori nello loro stesso stato di tranquillità."
Tomatis ha visitato monasteri Benedettini in tutto il mondo per studiare i monaci che praticano i canti Gregoriani. Ad un ritiro in Francia, un giovane frate stava riformando la tradizione. Tagliò severamente il tempo che i monaci dedicavano al canto e notò che presto cominciarono a diventare più svogliati e a dormire di più. Inoltre, un medico consigliò agli uomini di seguire una dieta tradizionale e questo fece peggiorare le cose.
Fu chiamato Tomatis. Egli reintrodusse il loro orario lungo di canto. Presto, disse, stavano dormendo meno, lavorando di più e si sentivano meglio.


"Certi suoni sono efficaci come due tazze di caffè. I canti Gregoriani sono fonti di energia fantastici. Io ci lavoro come musica di sottofondo e dormo solo tre o quattro ore a notte".

Percezione dei toni e meditazione
Alcuni psicologi dell'Università di Washington pensano di avere prove attendibili che la meditazione incrementa il funzionamento dell'emisfero cerebrale destro. Gli effetti sembrano anche essere cumulativi. I meditatori più esperti ottengono risultati migliori sia dei meditatori principianti che del gruppo di controllo.
"Per quanto ne sappiamo, questo è il primo studio sperimentale che connette la meditazione con l'emisfero non dominante" - hanno detto Robert Pagano e Lynn Frumkin - "La dimostrazione di questa connessione è coerente con l'aumento delle ricerche empiriche che associano l'emisfero destro alle tecniche di espansione della consapevolezza."
Essi scelsero un compito relativo alla musica considerando che la specializzazione della recettività melodica dell'emisfero destro era già ben stabilita sperimentalmente. Scelsero di utilizzare il "subtest" per la memoria tonale del Seashore Music Battery. I soggetti nel primo test erano praticanti esperti di Meditazione Trascendentale e non meditatori. I meditatori avevano praticato due volte al giorno per almeno un anno (precisamente in un raggio tra 1.4 e 3 anni). I non meditatori erano studenti non laureati di psicologia. Tutti i soggetti erano destrorsi d'età tra 18 e 30 anni.
Dato che altri studi hanno dimostrato che i musicisti allenati tendono ad ascoltare la musica analiticamente, attivando i processi dell'emisfero sinistro, tutti i soggetti erano musicalmente "naive" avevano avuto meno di un anno di training strumentale o vocale durante gli otto anni che precedettero lo studio.
Prima dei test, i soggetti della Meditazione Trascendentale avevano avuto istruzione di meditare per 20 minuti e ai non meditatori fu detto di chiudere gli occhi e di rilassarsi. Poi tutti i soggetti furono testati per la memoria tonale.
I gruppi di meditazione mostrarono una superiorità "altamente significativa" nei confronti dei non meditatori su "blindly rated test data" con una probabilità di punteggio casuale di uno in 200.
Quando i meditatori inesperti (con meno di un mese di pratica) furono paragonati ai soggetti di controllo in un secondo esperimento, non vi fu nessuna differenza significativa tra i due gruppi.
"E' importante notare," dissero i ricercatori, "che i dati risultati dai non meditatori e dai meditatori inesperti... rientrano nei parametri normali. Sono i dati dei meditatori esperti che risultano al di sopra della media e che hanno prodotto differenze significative."
Sembra ragionevole dedurre che la meditazione, una tecnica capace di alterare la consapevolezza in modo significativo, produca anche un effetto differenziale sul funzionamento dell'emisfero destro. Hanno detto che questa ipotesi potrebbe essere provata in maniera più conclusiva se anche altre funzioni dell'emisfero destro fossero incrementate.

Ascoltare col corpo per espandere la dimensione dell'udito. Uno strumento essenziale per l'evoluzione
E' stata recentemente scoperta la "prospettiva uditiva", un modo di percezione dei suoni che può essere paragonato alla scoperta della prospettiva tridimensionale durante il Rinascimento.
Sandra Seagal, una psichiatra di Los Angeles, ha scoperto che questa differente modalità di ascolto può essere acquisita imparando a ricevere le vibrazioni sonore con l'intero corpo.
"Si ascolta con l'intero strumento umano come se fosse suonato dai suoni che gli giungono. E' come essere una particella nella nuova fisica. Ti senti risuonare come un punto focale in un campo di relazioni molto più vasto."
Seagal considera la prospettiva uditiva come "uno strumento essenziale per l'evoluzione".
Ha il potenziale per facilitare la comprensione e l'armonia tra sposi, genitori e figli, insegnanti e studenti, supervisori ed impiegati e anche tra i leader delle nazioni."
Le affermazioni della Seagal sono state confermate sia nella sua pratica privata di psicologa sia in vari casi di consulenze per scuole e aziende.
Le ipotesi della Seagal sono state verificate analizzando i dati emersi dalle persone da lei sottoposte ad apprendimento della nuova tecnica dopo essere state sottoposte ad analisi elettronica della voce.
La prospettiva uditiva rende l'individuo in grado di sentire/ascoltare le altre persone così come sono, indipendentemente da quello che ci dicono. "Le nostre funzioni mentali, emozionali e sensoriali sono codificati nella voce in modo determinato proprio come lo sono le informazioni genetiche nei nostri geni."
Ogni individuo, secondo la Seagal, è centrato in una delle tre seguenti funzioni basilari della personalità:
  • Gli individui con un centro emotivo dominante vedono il mondo valutando le loro relazioni personali.
  • Gli individui con una sfera mentale dominante percepiscono il mondo attraverso le informazioni e le idee che considerano più valide.
  • Gli individui centrati sulle loro sfere sensoriali, meno comuni nell'Occidente, sono predominanti in Oriente. Essi percepiscono il mondo biologicamente attraverso la "saggezza del corpo". Essi sono i tipi caratteriali più accomodanti e meno inclini a voler cambiare il mondo.
 Secondo Seagal, ognuna di queste funzioni caratteriali sono almeno dormienti se non attive in ognuno. Sono poche le persone che hanno pienamente integrato le loro funzioni. Questa integrazione fa parte del dovere evolutivo dell'individuo. L'aspetto meno evidente, ha detto Seagal, è normalmente quello cruciale per il proprio senso di ciò che è significativo ed appagante. Essenzialmente, ha detto Seagal, il disegno sottostante è immutabile quanto l'eredità genetica. "La costituzione di base può essere modulata, ma i tentativi di ristrutturarlo sono una violazione dell'integrità personale. L'equilibrio, la completezza può essere nutrita come può essere storpiata. Non può essere ricostituita. Ogni funzione caratteriale vibra all'interno di un particolare suono o raggio di frequenze: la gente può essere istruita per sentire le differenti risonanza nelle voci di altre persone mentre le ascoltano.
La vibrazione di frequenza alta, mentale, risuona in cima alla testa.
La vibrazione di frequenza media, emozionale, è tracciabile sulla fronte. La frequenza di vibrazione bassa è sentita in mezzo sugli occhi e sulle tempie.
Quando istruisce la gente a sentire queste frequenze, Seagal utilizza musica rappresentativa: Paganini (mentale), Chopin e Beetoven (emozionale), Mozart e Bach (sensoriale). Gli apprendisti ascoltano in uno stato di consapevolezza vasta: gli occhi non completamente a fuoco ma alla stesso tempo consci della periferia, mentre l'attenzione è centrata su di un punto sopra la testa.


Una varietà di studi recenti si sono focalizzati sulla neurologia della musica, del rumore, della parola e sulle soglie dell'udito.
Dei ricercatori di Parigi hanno dimostrato che le note e le scale musicali vengono mediati primariamente dall'emisfero sinistro e la melodia dal destro. Studiando 22 soggetti destri, i ricercatori hanno trovato una significativa attività elettrica nell'emisfero destro in risposta a una melodia di Chopin. D'altra parte, una nota monotona ripetuta e una scala maggiore, producevano una maggiore attivazione dell'emisfero sinistro. La predicibilità delle note e delle scale, dicono gli autori, potrebbe coinvolgere la capacità dell'emisfero sinistro di capire le strutture, mentre la melodia potrebbe richiedere un processo integrativo e funzioni associative più complesse.


Canticchiare una melodia a bocca chiusa non è solamente un atto del cervello destro, secondo alcuni ricercatori svedesi. In ogni caso canticchiare il tema di una rima infantile familiare richiede aiuto da parte dell'emisfero sinistro, forse per organizzare la memoria.
Il parlare automatico, - la ripetizione continua dei giorni della settimana - richiede sia la mediazione dell'emisfero sinistro per il controllo della bocca che la meditazione dell'emisfero destro per il controllo della laringe.
Apparentemente l'emisfero destro risponde anche a informazioni che arrivano attraverso le orecchie e altri sensi. Sembra che i due emisferi partecipino in modo eguale nell'attivazione motoria prima del canticchiare a bocca chiusa o del parlare automatico.
Quando i soggetti ripetevano i giorni della settimana, il flusso di sangue nell'emisfero destro aumentava in modo significativo. Durante il canticchiare a bocca chiusa non si notava alcuna differenza nel flusso del sangue.

Due ricercatori dell'UCLA riferiscono che il riconoscimento di una voce familiare attiva di più l'emisfero destro, mentre il distinguere tra due voci non familiari impegna il sinistro. Questo risultato sfida l'ipotesi, molto diffusa tra gli psicologici, che il riconoscimento e la discriminazione della voce siano compiti dallo stesso meccanismo cognitivo. Riconoscere una voce familiare è un atto olistico, un accoppiare delle caratteristiche vocali uniche ad un nome o a una persona.
Questa funzione gestaltica viene, apparentemente, espletata in più dal cervello destro. Ma l'ascoltare diverse voci non familiari ci richiede di discriminare tra accenti, nasalità e altre caratteristiche. Questo sembra richiedere le capacità analitiche dell'emisfero sinistro.


Due patologi di New York suggeriscono che canticchiare a bocca chiusa e, cantare ripuliscono il cervello stimolandone il 'drenaggio'.
Gridare e parlare a voce alta probabilmente servono allo stesso scopo. Karel Jindrak e sua figlia, Heda Jindrak, dell'ospedale metodista dei Brooklyn hanno proposto che il canticchiare a bocca chiusa, cantare e altre vocalizzazioni ad alta voce stimolino l'equivalente di un sistema linfatico del cervello. Le vibrazioni della laringe e l'aria nel tratto vocale sono trasmesse parzialmente nel cranio, massaggiando, così, il cervello. Questo massaggio permette un maggior flusso di liquido cerebrospinale attraverso il cervello e aiuta a rimuovere materiale di scarto.
I Jindrak dicono che la loro teoria ha delle implicazioni per l'evoluzione: i CroMagnon potrebbero aver prevalso sui Neanderthal perché i loro cervelli potevano essere ripuliti. Le vibrazioni della laringe erano troppo deboli e di frequenza troppo bassa per poter portare in risonanza le massicce ossa craniche dei Neanderthal.
I Jindrak fanno notare che cantare è universale, negli esseri umani, quanto il parlare o la religione, eppure altri primati non cantano. Inoltre propongono che il giocare rumoroso dei bambini sia terapeutico.


Un recente studio nello stato di Washington suggerisce che il godere la musica altera il grado di cambiamento temporaneo di soglia (diminuzione dell'acutezza auditiva) a cui la persona è soggetta mentre l'ascolta. Dieci studenti maschi che dicevano di amare la musica pop/rock e dieci che dicevano che non gli piaceva furono esposti, per dieci minuti, sia a musica che a rumore.
Furono quindi studiati a 90 secondi di intervallo per la risposta a frequenza di 4 e 6 kilohertz. I risultati hanno mostrato che quelli che amavano la musica avevano un cambiamento di soglia molto più piccolo di quelli che non la godevano. Inoltre, nel secondo gruppo si registrò uno spostamento più drammatico in risposta alla musica che in risposta al rumore. Questi risultati sono stati osservati soltanto alle frequenze più alte di 6 kilohertz, il che suggerisce che l'intervallo di spostamento più piccolo predice un recupero più veloce dell'udito. H.A. Dengerink crede che gli effetti del rumore possano essere moderati anche dall'atteggiamento. A questo proposito cita studi che mostrano come dei lavoratori di un ovile erano molto meno disturbati dei loro supervisori dal costante scampanio, malgrado lavorassero molto più vicino al rumore.
Tuttavia, Dengerink dice di essere cauti perché il godere o il tollerare la musica o il rumore forte dà solo una protezione limitata dai danni all'udito. A lungo andare una perdita dell'udito è inevitabile. È importante per i ricercatori scoprire la connessione tra effetti a breve e a lungo termine.

Uno studio correlato dimostra che i fumatori tendono ad avere uno spostamento di soglia dell'udito più piccolo dei non fumatori, specialmente quando vengono stimolati dal rumore o da esercizi. Dengerink e collaboratori misero in atto il seguente esperimento:18 soggetti, metà non fumatori, venivano controllati per lo spostamento di soglia dopo essere stati esposti per 10 minuti a del rumore, per 10 minuti a esercizi fisici e, quindi, per 10 minuti ad entrambi simultaneamente. I fumatori sperimentavano consistentemente meno spostamenti dei non fumatori e il battito del loro cuore e la pressione sistolica del sangue aumentavano di più, specialmente nel periodo dell'esercizio. Questo indica che la nicotina può aiutare a produrre gli stessi spostamenti dell'esercizio fisico abbassando la risposta fisiologica. Uno dei fattori chiave potrebbe essere l'aumento del flusso sanguigno cocleare, poiché una diminuzione del flusso è stata correlata a un cambiamento di soglia temporaneo. Tuttavia, dice Dengerink, ci potrebbe essere dell'altro. Altri risultati: gli effetti più forti del rumore avvenivano nell'intervallo di ottava al di là di 2 kilohertz e, come in studi precedenti, una temperatura più alta della stanza è stata correlata con spostamenti più alti.


Dopo il rumore, dicono dei ricercatori francesi, i cibi dolci sono più dolci. Un aumento del desiderio per i dolci potrebbe essere legato allo stress causato dal rumore. Precedenti studi hanno dimostrato che lo stress mobilizza le endorfine stimolanti l'appetito e la dopamina. (C. Ferber e M. Cabanac, Appetite 8, pagg. 229-235)


La complessità di una prova e lo stress da superlavoro hanno un impatto significativo sul parlare, secondo uno studio dell'U. S. Navy. Durante una prova complessa, il tono e il volume si alzano e il parlare diventa rapido. Questo porrà dei problemi per i nuovi sistemi di computer che saranno in grado di essere pilotati dal riconoscimento della voce. La voce di un pilota potrebbe essere alterata da stress quali superlavoro durante il volo, accelerazione, vibrazioni, rumore.
Nello studio che riportiamo 60 studenti piloti dicevano ripetutamente i numeri da zero a nove mentre erano impegnati in due altre prove. La prima richiedeva che il pilota tenesse la sua mira su un bersaglio fisso sia con una manopola a mano che con un pedale. Sembra che parlare durante questa prova aggiungesse molto poco al carico di lavoro. La seconda prova era molto più impegnativa. Gli aviatori dovevano scrivere una serie di lettere e di cifre dette attraverso una cuffia in un orecchio mentre dovevano ignorare quelle dette nell'altro orecchio. Ripetere i numeri nello stesso tempo affaticava molto di più i piloti, e le loro voci cambiavano significativamente.

Dei rumori controllabili e incontrollabili sono stati usati come generatori di stress da dei ricercatori di Baltimore nella speranza di imparare qualcosa di più sul meccanismo implicato nella 'impotenza acquisita'. Le persone non erano molto disturbate, nell'arco di 30 minuti, da un rumore che potevano far smettere, ma la stessa quantità di rumore, quando non erano in grado di controllarla, li lasciava disturbati e alterati neurofisiologicamente. Alan Brier e collaboratori pensano di poter avere identificato i correlati neurobiologici del senso di impotenza che si pensa sia implicato nella depressione. La maggior parte dei modelli precedenti erano basati su ricerche su animali e quindi non potevano correlare cambiamenti oggettivi con cambiamenti di umore.
Delle persone in buona salute mentale dovevano ascoltare un suono forte (100 decibel) in due differenti situazioni. Nella prima erano in grado di far smettere il suono premendo un bottone.
Nella seconda situazione premere il bottone non aveva nessun effetto, ma i soggetti non lo sapevano. Per due volte durante la sessione gli venne dato un messaggio che li spingeva a 'continuare a tentare più forte'. I soggetti riferivano i loro stati d'animo prima di iniziare la sessione. Dopo il suono incontrollabile riferirono un aumento di depressione, di senso di impotenza, ansietà e tensione. "La mancanza di controllo su uno stimolo anche solo mediamente sgradevole' può produrre cambiamenti significativi in soggetti sani, concludono i ricercatori. Essi fanno inoltre l'ipotesi che 'stressori' di rumore incontrollabili dovrebbero produrre cambiamenti ancora più forti in persone depresse o maniaco-depressive. Infatti, risultati preliminari mostrano una risposta particolarmente forte nelle persone con disordini affettivi. I ricercatori hanno in progetto di paragonare le reazioni di queste persone in periodi di remissione e in periodi acuti.


Secondo lo psicologo Philip Zeskind il tono (frequenza sonora) del pianto di un bambino può fare da avvertimento per problemi neurologici. Zeskind ha misurato il grido di neonati a 2000 cicli al secondo, descritto come insopportabile e stressante dagli adulti. Il pianto normale varia tra i 450 Hz (disagio di media intensità) e i 600 Hz (dolore forte). Il pianto a 2000 Hz, che suona come il fischio di un teiera, viene sentito, talvolta, durante le prime 48 ore vita. Raramente continua nel primo mese di vita eccetto che dopo nascite difficili e esposizioni prenatali a alcool, nicotina e altre droghe.

Quando il cervello viene stimolato otticamente (per es. luce stroboscopica), acusticamente o elettromagneticamente in una determinata frequenza, succede che subentri la cosiddetta reazione conseguente alla frequenza (Frequency Following Reponse o FFR): le parti del cervello che ricevano questi stimoli, tendono a sincronizzarsi sulla stessa lunghezza d'onda del segnale che ricevono: ciò significa per es. che una situazione di rilassamento di onda ALPHA può essere prodotta attraverso toni ritmici con la loro frequenza EEG corrispondente...
Anche i due emisferi del cervello (il sinistro atto al pensiero logico e razionale, quello destro invece al pensiero associativo e sede di emozioni e fantasia) possono essere indotti attraverso stimolazioni esterne ad "ondeggiare" con la stessa frequenza, cosa che può portare a nuovi pensieri e deduzioni e ad uno stato di rilassamento ed equilibrio.
Attraverso la risposta conseguente alla frequenza (FFR) e la sincronizzazione degli emisferi cerebrali (HEMYSYNCH) vengono effettuate variazioni sull'elettroencefalogramma verso le onde ALPHA equilibrando i due emisferi del cervello. Ne conseguono rilassamento fisico, rilassamento psicologico ed armonia.
Molti dei fenomeni finora descritti (reazione conseguente alla frequenza, produzione di sostanze chimiche neurotrasmettitrici, crescita ed evoluzione del cervello, crescita delle connessioni nervose e perciò anche dell'intelligenza) possono essere indotti con l'aiuto di queste Brain Machines.
A questo scopo vengono impiegati segnali ben definiti (di natura ottica, acustica o elettromagnetica) con parametri variabili (frequenza, intensità, lunghezza d'onda e fase).
Osservando bene attorno a noi, riconosciamo che la vita è costituita sempre da due poli contrastanti. Giorno-notte, sotto-sopra, destra-sinistra, uomo-donna, positivo-negativo, caldo-freddo, ecc. Anche nel nostro cervello nei due emisferi, esiste questa polarità con diversa funzione.
La stessa polarità si può notare nel sistema neurovegetativo tra il simpatico (che ha come funzione lo scaricare l'energia e condurre la decomposizione nel processo di trasformazione delle sostanze) e del parasimpatico (che ha la funzione di trattenere l'energia, ricostruirla, recuperarla).
Anche nello studio dell'agopuntura, nella parte molto ramificata della rete di meridiano, notiamo che esiste una polarità tra yin e yang.
Più grande è la tensione tra i due poli, maggiore è l'azione tra il caricare e lo scaricare. Succede così che da quest'azione di tesi e di antitesi, nasca una sintesi, la quale produce a sua volta, una nuova tesi, continuando il gioco.
Si può dunque ricreare questa nuova unità anche con l'ausilio del sincronizzatore, sia che se ne sia coscienti sia che non lo sia. In questo caso la macchina della mente è veramente un aiuto nell'aiutare.
La maggiore parte delle persone nella società occidentale utilizza il suo cervello nello stato di veglia in modo che le onde Beta risultano predominanti. Questa gamma d'onde se da un lato è tipica del pensiero analitico e che ha attitudine alla soluzione dei problemi (qualcosa cioè che in una società di lavoro meccanizzato ed altamente specializzato risulta quasi inevitabile) dall'altro lato è però associabile ad uno stato di continua tensione, preoccupazione e paura.
Perciò non deve assolutamente stupire se i molti vantaggi della capacità di sottrarsi alla fase Beta in favore di Alpha, riguardano problemi di varia natura, sia in ambito medico che psicologico. Tenere in allenamento queste capacità è uno degli scopi di tutte le tecniche di rilassamento tradizionali e moderne.
Gli effetti positivi del training autogeno, yoga meditazione, su lavoro e prestazioni, sono a tutt'oggi praticamente indiscussi. Le Brain Machines ottengono effetti simili in tempi sostanzialmente più brevi e sono facilmente utilizzabili, per es. nelle pause lavorative.
Ora il programma di John Selby si attiva automaticamente dopo un determinato tempo di attività e permette all'utente di usufruire di pause rigenerative fatte di esercizi e rilassamento attraverso stimolazioni ottiche ed acustiche mirate. Con il bilanciamento dell'attività cerebrale vengono inoltre influenzate positivamente le reazioni di difesa di situazioni patologiche nel trattamento delle psicosi maniaco-depressive e delle tossicodipendenze.
L'effetto di maggior rilievo in proposito è la produzione di endorfine naturali da parte del corpo.
Tale bilanciamento è in grado infine di favorire l'intelligenza, l'apprendimento, la creatività (attraverso la stimolazione delle onde gamma-teta), la soluzione di problemi di menagement e la capacità di godere del rilassamento nel tempo libero.
La "cultura del corpo" e la "cultura della coscienza" potrebbero insieme essere la base della cultura del terzo millennio.


Dal Corriere delle Sera, 10 settembre 1992.

"...Si tratta di sinfonie musicali ottenute ricopiando le sequenze delle quattro unità chimiche che formano la molecola del DNA", spiega David Deamer, biofisico dell'Università di Davis, il primo a tradurre i geni in musica.
"Ogni unità di Dna rappresenta un'aria musicale autonoma", aggiunge Susan Alexander, compositrice e docente di musica alla California State University, "proprio come nelle Quattro Stagioni o nella Nona sinfonia di Beethoven". La molecola che determina le caratteristiche genetiche di ciascun individuo varia da persona a persona e le sinfonie sono perciò infinite, dato che la configurazione delle quattro componenti chimiche è sempre diversa. "Alcuni individui hanno un Dna musicale noioso, lento e ripetitivo", continua Deamer, "altri invece possono suggerire musiche simili al jazz, altri al blues, le possibilità sono davvero infinite".
In America è già iniziata la corsa alla scoperta dei propri geni in musica, basta andare in un laboratorio medico, farsi determinare la struttura del proprio Dna e affidare i risultati a un compositore. Deamer dice che gli americani vanno pazzi per questa nuova esperienza di poter finalmente dire: "Questa è proprio la mia musica!".
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Ghiandola pineale e scie chimiche

L'epifisi è una struttura diencefalica impari e mediana, di forma ovoidale, situata in corrispondenza della volta del terzo ventricolo. Nell’adulto raggiunge circa 120 mg. Rivestita dalla pia madre, è suddivisa in lobuli da setti di tessuto connettivo, le cui cellule parenchimatose (pinealociti) sintetizzano la melatonina, un ormone derivato dall'amminoacido triptofano. Questo ormone è prodotto ritmicamente in funzione dell'alternanza luce-buio, con concentrazioni nel plasma più elevate nelle ore notturne. La melatonina è quindi un sincronizzatore dei bioritmi e limita gli effetti negativi associati al cambiamento del fuso orario, in seguito a viaggi aerei molto lunghi (il disturbo noto come jet lag). E' stato dimostrato che la melatonina svolge una funzione protettiva nei confronti dei radicali liberi. Essa possiede anche altre proprietà terapeutiche: è efficace contro certe forme di insonnia e contro alcuni tumori.

Nella tradizione esoterica l’epifisi, chiamata, per la sua forma simile a quella di una pigna, anche ghiandola pineale, è abbinata al terzo occhio, ossia alla percezione extrasensoriale, alla visione di dimensioni normalmente invisibili. Alcuni ricercatori hanno pure osservato che, intorno ai sei anni di età, la secrezione di melatonina diminuisce in modo notevole. Non è forse un caso se è pressappoco l'età in cui i bambini cominciano la scuola primaria dove quasi ex abrupto si devono confrontare col pensiero raziocinante, suscettibile di aprire in parte nuovi orizzonti cognitivi, ma soprattutto di chiudere il terzo occhio che è intuizione, letteralmente "guardare dentro" (tueor in).

Descartes ritiene l'epifisi sede dell'anima. Per il filosofo e matematico francese, la ghiandola pineale è il punto privilegiato dove anima (res cogitans) e corpo (res extensa) interagiscono, in quanto unica parte dell’encefalo a non essere doppia. Si potrebbe ritenere dunque che l’epifisi, come il D.N.A., sia un medium tra enti ontologicamente diversi. 

Nell’articolo intitolato “L’occhio che tutto vede”, Gianluca Gualtiero si sofferma sulla pineale, rivisitando le concezioni tradizionali che vi vedono il cosiddetto “Terzo occhio”. A tale proposito, l’autore riporta le asserzioni della Dottoressa Saskia Bosman, secondo cui “in un lontano passato la ghiandola pineale era conosciuta come il terzo occhio, nonostante fosse molto di più: era un ricevitore cosmico e veniva considerata come l’emittente ed il destinatario di informazioni multidimensionali provenienti dalla Sorgente. Attraverso gli altri sensi, l’epifisi comunica con il mondo esterno tramite l’invio e la ricezione di impulsi.[…] Il terzo occhio partecipa ad attività fisiologiche in sinergia con la pituitaria che è il ricevitore del pensiero, mentre la pineale, spesso chiamata ghiandola maestra, è il trasmettitore-mediatore del pensiero, la vera chiave per l’elevazione della coscienza”. E’ molto probabile che il simbolo della pigna, reperibile in molte culture passate, adombri proprio la pineale e le sue facoltà. 

A proposito delle implicazioni psico-biologiche riguardanti tale ghiandola, meritano attenzione gli studi di Rick Strassman che ha indagato le caratteristiche della dimetil-triptamina (DMT), molecola secreta dall’epifisi in concomitanza con situazioni critiche, estreme e di coscienza alterata: l’inizio e la fine della vita di un individuo, la meditazione, le esperienze oniriche, l’estasi… Annota Strassman:“Quanto accade nella pineale sembrerebbe molto simile al fenomeno di risonanza che si ottiene con un calice di cristallo sottoposto a certe lunghezze d’onda. Il corpo pineale comincerebbe a vibrare in risposta a determinate frequenze cerebrali che indebolirebbero le barriere multiple deputate ad impedire la naturale sintesi di DMT: lo scudo cellulare della ghiandola, i livelli enzimatici e la quantità di anti-DMT. Tale indebolimento provocherebbe quindi un flusso abbondante di molecola dello spirito che a sua volta faciliterebbe l’accesso della coscienza a specifici stati mistici o psichedelici a carattere soggettivo”.

Dopo quella di Strassman, le ricerche sul tema si sono moltiplicate: R. N. Lolley osserva: "Il meccanismo di fototrasduzione (attraverso cui le cellule recettrici della retina trattengono fotoni che poi inviano al cervello) nei foto-recettori cellulari retinici è diventato più comprensibile: allo stesso modo è stato acquisito che i pinealociti (cellule della pineale) posseggono uno specifico insieme di proteine retiniche che prendono parte alla cascata fototrasduttrice”. Resta da comprendere come il terzo occhio possa ricevere i segnali luminosi (fotoni): potrebbero essere i cristalli di calcite, contenuti nella pineale, a consentire il flusso di informazioni fotoniche. Secondo S.S. Bacconier, i microcristalli inclusi nella ghiandola, possedendoproprietà piezoelettriche e piezoluminescenti, sono correlati con la capacità di emettere e trattenere messaggi luminosi. Nick Sand ritiene che la stessa DMT abbia proprietà di piezoluminescenza. [1] 

Il chimico Corrado Malanga asserisce che nella pineale si trovano microcristalli di quarzo, le cui caratteristiche piezoelettriche sono note: inoltre – ipotizza il ricercatore - i composti delle chemtrailspotrebbero essere dispersi proprio per inibire le potenzialità dell’epifisi. Un tempo grossa come un bulbo oculare, ora le sue dimensioni sono notevolmente ridotte, mentre il fluoro, nocivo ingrediente di dentifrici, gomme, bibite gassate, acqua “potabile” etc. ne ha provocato e ne sta provocando il malfunzionamento, a causa della calcificazione. 

Le operazioni chimiche sono dunque volte, tra


 gli altri numerosi e sinistri scopi, a sigillare il 

terzo occhio, affinché agli uomini sia preclusa la

 possibilità di scorgere la realtà oltre il velo di

 Maya? La risposta forse non tarderà a venire. 

[1] L’effetto di piezoelettricità è presente in un gran numero di cristalli ed avviene sottoponendo due facce del cristallo a pressione o trazione: si ottiene così sulle facce trasversalmente opposte una differenza di potenziale anche elevata da cui origina una scarica elettrica. La piezoluminescenza è, invece, il fenomeno per cui certi cristalli producono scariche elettriche di differente colorazione. 

Fonti: 

G. Gualtiero, L’occhio che tutto vede, in X Times, n.


41, marzo 2012 con bibliografia ivi contenuta
Enciclopedia delle Scienze, Milano, 2005, s.v. 

epifisi, piezoelettricità

§

<3 LUCE INFINITA DELL'AMORE, DELLA COMPASSIONE, DELLA VERITA' <3

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