mercoledì 31 agosto 2011

IL LINGUAGGIO DELL'ANIMA di John Lane - Dalla caverna di Lascaux ad oggi, la Consapevolezza dello Spirito Creativo Unificante

                                                                                 Dipinti rupestri nella caverna di Lascaux   

                      Il linguaggio dell'anima


di John Lane - 29/08/2011

{Fonte: fiorigialli}

Su una delle pareti dipinte della caverna di Lascaux, attorniata da
quegli animali colorati, vividi e splendidamente sagomati, c'è una
figura quasi infantile di un uomo, un cacciatore che avendo scagliato
la sua lancia contro le budella di un bisonte, è ora disarmato e
vulnerabile, fragile, attaccabile ed incompleto. Un moderno poeta
americano W. Berry ha commentato che il messaggio sembra
essenzialmente quello della voce del turbinio nel Libro della
Creazione: la creazione è al tempo stesso, benefica e misteriosa e
l'umanità è solo una parte di essa,non il suo eguale e molto meno che
il suo padrone.

15.000 o 20.000 anni dopo che queste caverne furono dipinte, un altro
poeta, Goethe, visitando la cappella Sistina, osservò che nessuno che
non abbia visto gli affreschi di Michelangelo, può avere una chiara
idea di quello che un essere umano può raggiungere. Se avesse visto
Lascaux, forse il più affascinante reperto della collezione del nostro
passato, ho pochi dubbi che egli avrebbe espresso la sua ammirazione
in termini non dissimili. Da lì, sino alla cosiddetta alba della
coscienza umana, si era già capaci di una tale sofisticatezza estetica
che, io penso, sia tra le più raffinate della nostra intera storia.
Forse l'arte, pensava Whistler, l'arte che inizia dall'infinito non
può progredire.

Quali sono queste necessità ed emozioni artistiche di cui fecero
esperienza i nostri antenati cacciatori e quali noi, ancora,
riconosciamo quando le percepiamo? Qual è la bellezza e la sua
antitesi, la bruttezza? Quale è la dimensione estetica, la visione
interiore e cosa succede quando essa c'è, come è, nella nostra propria
era, condotta o eseguita?

Noi non conosciamo come gli artigiani senza nome -carpentieri,
carrettieri, vasai e stuccatori, fossero capaci una volta di produrre
bellezza, né come, prima che il mondo venisse privato di quasi ogni
santità, ogni cosa la gente facesse per il proprio uso, ciotole,
vestiti o case, fosse dotato di una armonia così candida e così
squisitamente elaborata che solo i nostri migliori artisti possono
emulare oggi quei livelli.
Ancora sembra che, con tutte le sue mancanze, la cultura del passato,
la cultura delle società tradizionali e preindustriali fosse
armoniosa, qualcosa non solo intero a sé ma di una integrità o
equilibrio che includeva insieme ciò che era conosciuto e ciò che non
lo era.
                                Cratere ETRUSCO per vino - Alta Tuscia

Una cultura sana ha un carattere integro, un ordine comune di memoria,
saggezza, valori e reverenza. E ci permette, o ci incoraggia, ad
incarnare aspetti della vita che altrimenti non potremmo conoscere.
Essa rivela le necessità ed i limiti umani. Chiarisce i nostri legami
con la Terra e con ogni altro essere. Questo, in tutte quelle culture
antecedenti alla metafora delle macchina e prima che fosse permesso
usurpare e togliere dalla considerazione, non semplicemente alcuni
valori, ma la vera essenza del valore, è ciò che erano i nostri
laboriosi antenati, quasi tutti loro, come avrebbe detto Coomaraswamy,
non lavoranti ma artisti, uno speciale tipo di artista.

Non vi era, a quei tempi, alcuna parole per "arte" almeno nel senso
che intendiamo adesso, arte era tutto quello che veniva fatto bene ed
in verità. Ma per coloro in cui l'estetica e la pratica di vita non
sono state divise dal lavoro di quegli uomini e donne, vi era anche,
come la sua bellezza ancora testimonia, una attitudine responsabile e
qualitativa, la comprensione pratica del valore, la promulgazione, il
riconoscimento e la sottoscrizione di responsabilità ad un mistero che
ascoltato a Lascaux può essere udito ancora oggi.

Di fatto tutte le tradizionali culture preindustriali avevano (o
hanno) una complessa dottrina metafisica che presiedeva alle loro
varie arti ed attività, includendo la più basilare di tutti,
l'agricoltura - il vero agricoltore dipende molto dal carattere, dalla
devozione, dall'immaginazione e da un senso di struttura esattamente
come il dipinto di un quadro.
Ognuno era visto non solamente come un centro di produzione per le
necessità materiali ma come il paradigma di un'arte cosmogonica, un
sentiero meditativo, un supporto alla contemplazione. In alcune
società l'attitudine a cuocere il pane o rifinire le assi di una sedia
era una vocazione nel vero senso della parola: una parte inseparabile
all'uomo che agisce, una parte inseparabile di una vita in cui
espressione e bellezza erano caratteri integrati della vita come un
tutto. Noi troviamo ciò riconfermato in molti oggetti, storie folk e
miti, così come nei canti dei Navajos:
Io cammino nella bellezza
Verso la bellezza davanti a me io procedo
Alla bellezza sopra me io ascendo
Così si arriva (di nuovo) alla bellezza
Tutto finisce in bellezza.


E' tipico della mentalità della nostra epoca che non riusciamo a
concepire bellezza eccetto che in termini di passato, denaro,o del
lavoro di qualcuno. Non riusciamo a concepirla come l'apparente e
visibile segno di una grazia intima e spirituale, non vediamo le gemme
ed i fiori di un albero come carattere o ciclo, processo ordinato o
reverenza.
Nella nostra cultura il generale diniego dello spirito, la morte
dell'anima, nome col quale vogliamo fuggire dalla visione interiore
di un mondo oltre, è andato così lontano che anche la materia è stata
vista come grossolana, assunta a base, e lontano dall'esaltarla, essa
è ora abusata e trattata con disprezzo.

Dai suburbi di Dagenham alle periferie di New York, Mexico City o
Hannover, un crescente numero di persone adesso vive in un ambiente
meno personale e meno interessante di quello realizzato da qualsiasi
altra civilizzazione del passato. Un numero crescente di persone ora
lavora per organizzazioni che ne negano la responsabilità non solo per
ciò che loro fanno, ma anche per il tipo o la qualità di ciò che essi
fanno.(come disse Ruskin le cosidette unità di produzione producono
ogni cosa eccetto persone).

Bruttura e disordine,si potrebbe dire, sono divenuti uno stile di vita
e come scriveva D.H. Lawrence negli anni trenta prima che gli effetti
disumanizzanti della filosofia meccanicistica cartesiana
raggiungessero il loro climax: "E' come se una malinconia lugubre
avesse impregnato ogni cosa".
                                                        
Francesco Simeti - Scene di disordine e confusione - 2010 - still da video - 6'


Anche se la nostra cultura è disordinata e divisa la conoscenza sacra
della mente intuitiva o creativa, la risposta
all'armonia,ordine,integrità, ritmo, finanche reverenza non è stata
completamente estirpata.
Nei momenti eterni e senza tempo noi rispondiamo individualmente alla
chiamata del bello, là dove il suo tratto è completo. Qualche volta
questi picchi di esperienza, come un paesaggio ghiacciato sotto il
sole invernale provvedono in noi ad una immediata percezione della
vita come vita. Essi ci danno la capacità di vedere la reale natura
delle cose che sono davanti ai nostri occhi, della gente che
conosciamo qui ed ora in questo mondo, di tutte le creature e di noi
stessi.

Attraverso l'ultima e la più ricca delle risorse umane, la fertile
solitudine del sé profondo, il nostro cuore risponde all'incontro con
il mondo. Esso danza le lenti melodie delle colline, scivola sotto
l'arcobaleno, prega il fiore senziente. Parlando di una campanula,
Hopkins dice: Io conosco la bellezza del Signore da essa: una grande e
semplice affermazione ma tuttavia priva di significato per coloro che
sono sotto l'incantesimo del materialismo.

Le esperienze esaltanti della coscienza, impossibili da tradurre in
parole, accadono nelle nostre vite più frequentemente di quanto
vorremmo ammettere. L'esperienza può essere breve, spontanea ed
inaspettata ma di una chiarezza nella quale tutto è minutamente
percepito dai sensi più fini. E' allora con tranquilla semplicità che
noi comprendiamo in modo differenti ed assai più fini come lo yin
sullo lo yang, l'attività sulla contemplazione, la conoscenza naturale
sulla saggezza intuitiva, la scienza sopra la religione riescono ad
incrementare l'incapacità di lavorare per la loro integrazione.
Allora conoscere, la conoscenza estetica, l'esperienza predominante
della vista con l'occhio interiore, l'occhio del cuore, l'occhio
dell'amore è uno dei significati, se non il significato principale col
quale possiamo realizzare l'unità di tutte le cose: la non dualità.

La luce del corpo è l'occhio - dice Matthew - se lì il tuo occhio è
solo, il tuo intero corpo può essere pieno di luce, ma se il tuo
occhio è diavolo allora il tuo intero corpo sarà pieno di oscurità.
Sicuramente queste enigmatiche parole ci ricordano che conoscere nel
pieno senso del termine è "vedere", essere pieni di luce, e non
passeggiare nel buio.
Cosa succede in quei piccoli momenti così gentili e così significativi
per le nostre vite? Possono essere spiegati ? e se così come?
Attualmente è familiare l'idea che la nostra conoscenza di sé non
significa o non rappresenta il nostro intero essere. C'è un 'immensa
raccolta di evidenze che suggerisce che non solamente i processi
inconsci occupano una gran parte dell'attività mentale ma che anche
questa stessa attività ricopre un vasto spettro di diverse attività
come sogni, immaginazione creativa, riconoscimento di carattere,
concettualizzazione, intuizione ed esperienza religiosa.

La coscienza allora, come dice Kathleen Raine, è come un piccolo circo
di luce intorno al quale giacciono le regioni della memoria, alcune
visitabili a volontà ed altre no, ed intorno alle nostre memorie
personali poi, configurazioni archetipiche ed energie sconosciute
della psiche. Intorno ad ogni cosa che possiamo, anche lontanamente
chiamare noi stessi, c'è quello che i mistici hanno chiamato il
terreno divino, la presenza, di ciò che, per la nostra anima, può
essere chiamato Dio.
I misteri prendono molti nomi: nous per i greci, mens per i mistici,
pneuma o spirito per S. Paolo, che descrive questa presenza nella
parte più profonda e centrale della psiche umana, come il respiro
vivente di Dio dal quale tutte le cose sono continuamente sostenute e
create.

Sebbene questa presenza sia chiamata talvolta il sovraconscio o sé
transpersonale - in contrasto con il limitato conscio, pieno di ego
personale, regno - nelle parole di Blake - della personalità di
Satana, al quale essa è interamente opposta, per me stesso io
preferisco usare il nome con la quale essa è più conosciuta: anima.
Una interpretazione non dissimile della divinità di tutto si può
trovare nel classico della letteratura sanscrita, le Upanishad, dove
le parole Brahman il terreno dell'essere universale e Atman, il
terreno dell'essere personale, descrivono rispettivamente quello che
può essere tradotto come lo Spirito Santo e la sua indivisibile
presenza in ciascuno di noi.
Per la verità può essere che Dio non debba essere sentito come
qualcosa di lontano e separato da noi, in un cielo al quale ascendiamo
dopo la morte, ma piuttosto come qualcosa racchiuso in mano sempre e
per sempre nel più profondo di noi: più profondo a noi -come dice
Tommaso D'Aquino - di quanto noi siamo a noi stessi. Questa santità
della vita non è qualcosa di predicato o predicabile, come un
attributo, ma è inerente alla divina natura del terreno, lo spirito
divino dell'umanità.

Queste riflessioni, io credo, sono confermate ogni volta che
riconosciamo la bellezza, rispondiamo all'amore o ad alcuni aspetti
della verità che muovono a noi, come il mare stesso è attirato, da una
invisibile forza di gravità spirituale. Ma mai più che in quei
momenti di singolare intensità, più rari e di un differente ordine di
coscienza della percezione del bello, noi afferriamo le esaltanti
visioni della percezione dell'eterno ORA.
Quando, per esempio, non cercando la sicamora buddista nella elusione,
ma vivendola, noi siamo PURO ESSERE. Allora , nel confronto del
temporale con l'eterno, l'Io dell'Anima e quello dell'albero sono
uniti in un inno eterno di preghiera per il flusso della vita: l'uno
nei molti e i molti in uno.

La gioia di questa unione è descritta da S. Teresa con parole che ci
ricordano le Upanishad di duemila anni prima. Essa è, lei scrive, come
acqua cadente dal cielo in un fiume o fontana, quando tutto diventa
acqua e non è possibile dividere o separare l'acqua del fiume da
quella caduta dal cielo o quando un piccolo fiume si riversa nel mare
così impetuosamente che non vi è possibilità alcuna di separazione.
Alcune esperienze della realtà ultima sono estetiche, in quei momenti,
faccia a faccia con Giotto e Rembrandt e l'albero della sicamora non
vi è distinzione soggetto-oggetto, tutta l'identità individuale è
persa, dissolta nella Grande Anima e noi e la natura siamo UNO.
Questa é, naturalmente la reale rinuncia alla quale siamo demandati,
la rinuncia di io e mio.

Ero solito interrogarmi se questa trasformazione di coscienza potesse
essere raggiunta attraverso l'educazione pedagogica standard o
apposita.Temo di no. L'espansione diretta, la verità dell'anima, non
può essere raggiunta dalla ragione astratta ma solamente con la
trascendenza dell'ego, il centro di tutti i pensieri consci,
attraverso tormento, sofferenza amore contemplazione e, non ultimo,
attraverso l' arte.

Se la logica della transizione dalla divinità all'arte non è
immediatamente evidente, questa è la misura del discredito nella quale
le arti sono cadute così tanto che una loro menzione nel contesto di
una illuminazione spirituale dell'umanità può sembrare ormai strano.

Nondimeno ciò che ora noi chiamiamo arti, sono importanti,
supremamente importanti, poiché esse sono, o possono essere, il
raggiungimento delle verità immaginative che altrimenti l'uomo non può
conoscere.
Ovviamente le arti ed i prodotti di differenti culture sono esse
stesse differenti in contenuto, stile e tradizione, come divise l'una
dall'altra sono le diverse razze della Terra.
Anche se sicuramente queste differenze sono importanti, esse sono i
dialetti di un medesimo linguaggio dello spirito.

Per Eraclito, la parola è comune a tutti e la saggezza è conoscere il
volere da quale tutte le cose sono emanate, così io sono convinto che
esiste un universo umano di discorso trascendente le differenze e le
lingue. Anche i lavori delle ere o civiltà remote dalla nostra come la
preistoria, della quale noi possiamo avere solo una magra conoscenza,
ci parlano direttamente, più direttamente di quei lavori del nostro
tempo prodotti dall'immaginazione. L'Immaginazione è eterna, la moda
no.
Così compreso come le arti ,i prodotti della visione, siano il vero
cibo della nostra umanità, dei quali, come Gesù Cristo ricorda, la
parola di Dio, le parole ed i suoni attraverso tempo e spazio, culture
e medium, sono il linguaggio vivente dell'Immaginazione.

L'immaginazione è la reale essenza della vita umana, il principio di
unità in noi, il principio dal quale possiamo percepire, valutare ed
imitare l'ordine oltre la nostra razionale comprensione. Essa è
inoltre la sola facoltà con il potere di attraversare lo iato tra
oggetto e soggetto e di vedere, con estrema chiarezza, la realtà o
forma essenziale. La ragione non può. Per sua natura essa è ristretta
al finito ed al materiale, ma l'Immaginazione, non avendo limitazione
alcuna, lo può. Essa può infatti percepire l'infinito in ogni cosa ed
in quel momento di scoperta fare entrare un'altra mente oltre la mente
del nostro ego personale.

Perciò nessuna sorpresa che le arti fioriscono o decadono in accordo
all'adeguamento della nostra idea di trascendente. Fioriscono in
quelle culture o individui che possiedono, comunque inconsciamente,
un senso di luminoso, svaniscono in quelle che hanno perso il potere
di vedere la realtà dello spirito. Come la nostra cultura. Per la
separazione dell'anima dal corpo e dal mondo non vi è in noi alcun
disastro o aberrazione, ma una frattura che attraversa la nostra mente
come una faglia geologica. Non vi é niente di equivoco su questo
fatto. Questa faglia è una screpolatura della mente che corre profonda
sino al cuore della materia. Spirito e corpo non possono essere
divisi, la loro mutualità, la loro unità è inevitabile. La creazione,
ogni creazione non è la liberazione dello spirito dalla carne o dalla
materia, è invece il loro matrimonio, la loro unione, la loro
riconciliazione in armonia. Nessuna meraviglia che H. Bergson
comparasse l'amore di Dio per la sua creazione all'amore per la
creazione che muove l'anima dell'artista. Questa è la mia conclusione
-scrisse- alla quale i filosofi che accettano l'esperienza mistica
devono pervenire: l'intera creazione vuole apparire a lui come una
vasto lavoro di Dio per la creazione di creatori, per la possessione
di esseri collaboranti con Lui e pieni del suo Amore.

In ogni civiltà, l'artista (l'artista che è in ognuno di noi) ha dato
autentica testimonianza della mente del Creatore del quale egli o ella
è il suo rappresentante sulla terra.
In questo l'arte agisce come metafora e preparazione per la più grande
tra tutte le arti, l'arte di dare forma e significato all'esistenza.
Facendo uso della materia in un modo santo ed integro, lavorando
amorevolmente e mangiando gioiosamente, l'artista in noi la consacra e
schiude la luce del mistero. Nella Cabala: noi causiamo l'ascensione a
volare.

Quando noi vediamo che l'immaginazione creativa è presente, noi
viviamo nella conoscenza che la nostra vera esistenza resta
l'immediata causa di ogni momento in cui viviamo dentro Dio, allora la
materia può essere ispirata (dal latino in spire, respirare in ) ed
allora la ciotola del vasaio, i colori del pittore, il legno del
carpentiere possono essere spiritualizzati, resi sacri, una grazia
ricadente solo su coloro che hanno trovato libertà
dall'autoattaccamento.
Tuttavia tutte le cose sulla terra, anche gli incompleti lavori della
mente umana possono facilmente divenire tentazione. Anche il minerale,
di cui la contemplazione può darci, attraverso l'intuizione
dell'immaginazione cosmica, una esperienza vivente di non dualità, une
esperienza vivente che va profonda sotto le radici, il respiro ed il
ritmo della vita, può essere ridotto ad un oggetto di interesse
intellettuale o possesso, un oggetto dei cui significati noi possiamo
sentirci magnificati.

Da quel momento noi diveniamo incantati alla materia, annodati al
tempo, vittime di un attaccamento all'impermanenza che è l'obiettivo
buddista della rinuncia o rimozione. Così facilmente cadiamo ed i
nostri lavori denigrano non solo la vita ma anche la nostra propria
anima.
Ciò sembra portarci naturalmente alla nostra propria epoca, l'età del
materialismo e del suo nadir al quale siamo arrivati.

Il primo principio di questa epoca è la realtà primaria , tutto ciò
che può essere valutato e misurato, la materia. La materia può solo
essere descritta dalla conoscenza empirica e pubblicamente
verificabile del mondo percepito, la materia può essere analizzata,
ricombinata ed utilizzata nel modo che vogliamo, nelle parole di
Bacone: siamo incapaci di gioire dei frutti della terra e di tutti i
suoi confort. In superficie il materialismo può sembrare benefico e
potrebbe essere così se non fosse per la sua implicita assunzione di
una separazione tra mente e materia che ha inaugurato una serie
espandente di divisioni, portando ad un universo vuoto di vita, una
natura desacralizzata al di fuori della quale ognuno di noi giace solo
come, nelle parole di Cartesio, Signore e Padrone.

Ma questo non è tutto. Un'altra più inscrutabile repressione conduce
la macchina dell'industrialismo urbano.Se la materia è la realtà, la
misurazione quantitativa è tutto. Tutto ciò che evade la rete dei
numeri, deve quasi per definizione essere rivista come non provata,
come il sopralasciato reame di mente e spirito, di qualità secondaria-
il paese fantasma dell'arte e della religione che è divenuto meno
rispettato e reso meno abitabile durante gli ultimi trecento anni.

Questo è quello che sta tra le contraddizioni della società moderna.
Questo è quello che sta anche dietro l'appannante bruttezza del nostro
ambiente contemporaneo e la crescita di quello che Schiller chiamò il
disincantamento del mondo, l'attaccamento fuori dalla magia delle
cose, il lento inesorabile inaridimento delle antiche primavere.
Nessuna meraviglia che abbiamo la sensazione che qualcosa di
importante ci è stato rubato, poiché, come la mette G. Bateson non
siamo più risonanti al tratto che connette.

Nessuna meraviglia, anche, che come il Signore della Creazione, noi
possiamo aver conquistato la terra, scisso l'atomo, passeggiato sulla
luna e sappiamo ciò che siamo diventati: una lapide sonora o un
cimbalo tintinnante. Ora segni di desolazione e vuotezza oscurano i
nostri cieli. Noi stiamo raggiungendo la fase terminale di una
civilizzazione che risale alla fine del medioevo, e a dispetto
dell'evidenza della trasformazione, siamo ancora ad un lungo cammino
da ogni scala di grande rigenerazione. Un momento precario tra la
morte ed una nascita difficile.

C'è infatti un crescente numero di indicazioni che la strada che porta
fuori da questa mostruosa patologia, la patologia dell'arroganza e
vuotezza che caratterizza la nostra cultura, può solo essere indotta
da una reversione delle premesse sopra le quali la civiltà
rinascimentale poggia.
Il carattere del rinnovamento ci mostra che il rinnovamento della vita
viene fuori da quello che noi abbiamo coscientemente dispettato e
rigettato, giusto come, nella storia cristiana, il figlio di Dio nasce
in una stalla..
Se così è, e ci sono molti segnali per esso, è la mente o lo spirito e
non la materia che possono essere considerati il principio primo
dell'universo, il terreno della realtà..
Per me , questo è il risveglio che desidero supremamente. Questo è il
nuovo tema che dovremmo tentare di vivere.

Ho iniziato con un mistero, Lascaux e vorrei terminare con un altro,
Quarr. Non sono cattolico nè cristiano ma ogni anno io vado per alcuni
giorni in un monastero benedettino sull'Isola di Wight, dove questi
fogli sono stati scritti. Vado lì per un gran numero di ragioni ma
principalmente per fare esperienza di qualcosa che posso trovare solo
lì.
Chagall disse : nella nostra vita c'è un solo colore che come sulla
tavolozza del pittore provvede al significato dell'arte e della vita.
E' il colore dell'amore, io vedo in quel colore dell'arte tutte le
qualità che ci permettono di accompagnarci in altri campi. E' il
colore di cui faccio esperienza a Quarr.

Essa infatti mi è importante perché è la testimonianza di un modo di
vivere che è l'opposto della quadro materialista della realtà, E se,
come credo, nostro compito prioritario è riconoscere e sviluppare la
spiritualità e reclamare il perduto mondo dello spirito o renderlo di
nuovo fertile per la sua coltivazione, allora Quarr può essere uno dei
luoghi adatti nel mondo occidentale dove possiamo ancora scoprire
l'integrità dell'essere.
La religione di vita deve sprigionarsi non da proposizioni o astratte
speculazioni, come i sistemi dottrinali, ma dalla immediata ed
immaginativa percezione di amore bellezza e mistero.

Così Quarr è importante perché la compagnia degli uomini che vivono là
ci danno una testimonianza della loro vita in comunità con un
carattere di peculiare armonia e responsabilità.
Ovviamente non sono gli unici, ultimamente ho scoperto la stessa
sanità nello Zen Center di S. Francisco dove parecchie centinaia di
giovani uomini e donne hanno creato un ambiente non solo per
l'assistenza dello spirito, ma per una più grande armonia, che
include le immediate vicinanze stesse della città. Anche qui lo
spirito è soffiato sulla materialità del mondo moderno, producendo
cibo, tende e ben fatti manufatti emblematici della migliore e più
emblematica cura.

L'arte non esiste, la dimensione estetica è integrale, l'educazione
non esiste, essa cresce naturalmente da una passione per l'eccellenza
e l'ordine che è mantenuta ai giovani da vecchi che essi rispettano ed
amano.Il lavoro non esiste, è una parte essenziale della pratica, una
via per realizzare la natura e le necessità dell'esistenza sociale ed
ambientale.
E' difficile convogliare le qualità di una comunità in cui l'intera
natura degli esseri umani e le loro capacità possono essere fuse
insieme.

Ma a Quarr e nel lavoro quotidiano del Zen Center, ogni giorno lavora
la riverenza della vita, il senso di un gruppo di uomini
tutti-di-un-pezzo, allora questo può portare alla rivelazione di un
ordine umano che mette insieme armoniosamente le varie concezioni
della cultura.. Essi dimostrano che una vita integra è un ideale
ottenibile.
Intanto dobbiamo vivere in un mondo in cui la pressione su noi è
formidabile. Proiettati verso la bancarotta noi dobbiamo scoprire e
riscoprire dolcemente così tanto.
Dobbiamo riscoprire una vita di significati e propositi, non più
lontani dal nostro centro.
Dobbiamo scoprire l'importanza della creazione, l'atto immaginativo,
senza il quale non possiamo essere umani. Dobbiamo riscoprire l'arte e
la vita come una unità, l'arte che è un atto, non un oggetto, un
rituale, non una possessione.
Possiamo riscoprire che noi tutti possiamo svilupparci l'uno con
l'altro in una rete connettiva di affinità amore e responsabilità.
Dobbiamo riscoprire l'unità di tutte le cose, cosa lo spirito muove in
tutti gli esseri creati., Dio, bestie ed esseri umani e stelle e
piante, che lo spirito senza materia è meno del suo opposto.
Niente di meno e niente più di questo sarà più difficile da realizzare.


Fine

Messaggio proveniente dalla lista EstOvest@yahoogroups.com





Nessun commento:

Posta un commento