mercoledì 8 settembre 2010
§ * * * LE COSE PERDUTE * * *§ di Emiliano Bertocchi - Collana: Narrativa Contemporea
Le Cose Perdute,
di Emiliano Bertocchi
Collana: Narrativa Contemporanea
Edizioni Kult Virtual Press - http://www.kultvirtualpress.com
Responsabile editoriale Marco Giorgini, Via Malagoli, 23 - Modena
Le Cose Perdute
Emiliano Bertocchi
1
Le Cose Perdute
Le Cose Perdute
Morsi
Sunday Morning
Lavori In Corso
Vertigo
Il Ghigno Sbilenco Della Luna
Farmacopea
Cadaveri Di Gioia
La Felicità È Nelle Piccole Cose
Miguel Bosè, Un Bicchierino Di Rum E Un Nuovo Figlio In Arrivo
Undenied
Bondage
Senza Voltarsi
Billy Wilder
Un'altra Cosa Smarrita
Emiliano Bertocchi
Narrativa Contemporanea
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Le Cose Perdute
Qualcosa si era persa nelle pieghe degli anni, tra i riflessi degli
specchi, nella caduta della cenere delle sigarette, ferite tumorali aperte
e parlanti. Cellule disintegrate, sangue infetto, sporcizia diffusa nel
corpo, sotto le unghie, frammenti di epidermide come coriandoli di un
carnevale senza gioia e musica. Coriandoli di pelle sparsi in macabre
danze, tra grottesche maschere. Coltelli e lame insanguinate, tagli
profondi all'altezza del torace, delle gambe, della gola, dei polsi.
Camminavo curvo, con una tosse perenne. Camminavo sotto il peso di
perdite, rimorsi, paure. Avevo una stanza in affitto in un vecchio
albergo. Le ringhiere in ferro dei terrazzini mi facevano venire in
mente il vago ricordo di un'epoca felice, luminosa, nella quale i respiri
erano ancora così naturali, pieni, indispensabili. Acqua che scorre
dentro secchi bianchi e blu. Il mercato del pesce. Mani che sventrano e
sbudellano. Il sole a illuminare l'acqua in quei secchi. Un profumo
improvviso. Un tempo sapevo cosa significasse essere felici.
Lunghe camminate sulla scogliera. Il vento forte tra i capelli grigi e
radi. Mani dietro la schiena, intrecciate, in un ultimo e patetico
contatto con me stesso. E guardare lontano, verso l'orizzonte, nelle
giornate di pioggia sentivo più forte che mai il bisogno dell'oppio,
delle notti d'oriente, delle ombre danzanti. Le nuvole grasse, gravide
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di pioggia, madri puttane di vite bastarde, sputate sulla terra, a far
germogliare piante e alberi e nuove illusioni; da quelle scogliere,
risalire fino in cielo e volare tra i venti tumultuosi di tempesta, oltre il
confine delle stelle, più in alto per poi ricadere come macigno,
meteora sul mondo, profonda frattura della terra e ferita di magma,
solitario, in cima ad una scogliera, la forza degli elementi, l'attesa del
ritorno, di una cena silenziosa, di un mondo di cui non farò più parte,
guardare lontano, perso in una ebbrezza marina. Avevo bisogno di
altro oppio.
Tra i viottoli di Bonifacio, salire lungo i muri, schiacciato come
un'ombra tra le crepe della vita, topi che correvano sotto i miei piedi,
strane e improvvise paranoie, la ricerca dell'oblio e un insano orrore,
l'odore della malattia e della decomposizione, l'odore della terra,
avevo una testa di scimmia imbalsamata sul comodino della mia
camera d'albergo.
Chino, gli occhi bassi, una lapide dimenticata.
Le cose perdute, i volti scomparsi, le parole rubate dal tempo, tutto mi
divora dall'interno, come un gigantesco e insaziabile verme affamato,
non vi è pace nelle notti insonni, nei vagabondaggi del giorno, nelle
attese, nelle estatiche contemplazioni, tra le pagine dei libri, tra i voli
della fantasia, non vi è più pace e rifugio in nulla che possa toccare
con mano e fare mio.
Le cose perdute.
A eterna testimonianza di questa miseria.
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Le Cose Perdute
Morsi
Di soldi non ne vedevamo parecchi, però era bello stringerti la sera,
affamata e malinconica, mentre il sole tramontava e i nostri sogni
aspettavano la notte per incendiarsi ed esplodere ed infondere calore e
gioia ai nostri corpi e bere alcol sempre e comunque, rimanere storditi
e aggrappati mano nella mano sentendo il mondo crollare, sentendo
che il domani non poteva essere altro che una nuova fregatura, una
fitta allo stomaco, il morso della fame, ma bere e fumare era la giusta
medicina ai nostri disagi, con le nostre allegre commediole, in cui mi
rinfacciavi di aver osservato con troppo interesse il culo di un'altra
oppure mentre ti dimenavi come posseduta appena iniziavo a leccarti
tra le gambe, chiamandomi amore, dicendomi quanto volevi che te lo
mettessi dentro, spingendo sempre più a fondo per scacciar la paura e
la morte, per scacciare i brutti pensieri, per dimenticare la miseria, le
pance vuote, i piccoli furti, i lavori che ti spaccavano il culo, per
tornare a casa e almeno avere quattro pareti e un materasso sul quale
scopare e perdersi nelle fantasie dell'hashish e nell'ebbrezza del vino,
senza famiglie alle spalle, bastardi, luridi, inutili, aggrappati alla pelle,
a stringerci ancora e ancora fino a quando diventava doloroso
respirare.
Era bello camminare sul lungomare di notte completamente sconvolti,
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ridendo alla luna, ululando come cani, perdendosi nei propri odori,
sapendo che la fine era sempre più vicina e per questo afferrare la vita
e scuoterla, un privilegio solo nostro, ti ho amata con morsi, schiaffi,
calci nel culo. ti ho amata gonfiandoti la faccia a forza di sberle
mentre mi graffiavi la schiena, sputandomi in bocca. Ti ho amata tra
gli insulti, tra le paranoie, tra le tue crisi. Ti ho amata con pugni e
carezze, mentre tremando ti stringevi ancora più vicina e ridevi di me,
delle mie debolezze,. della mia incapacità.
E adesso, vieni amore mio, su questo materasso, tra sorci e scarafaggi,
vieni ed amami, colpiscimi più forte che puoi, vieni e fammi male,
vieni e dammi tutta la tua dolcezza. Stappa questa bottiglia di rosso e
bevi, bevi amore, brinda alla vita, bevi e dimentica la fame e il freddo,
la misera e il futuro. Nelle tue gambe adesso, spingo fino a farti urlare.
Infilami un dito nel culo e fammi godere, così, con i nostri corpi
sconvolti, tra sperma e livdi, ancora uniti, alla fine di tutto.
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Morsi
Sunday Morning
Le nuvole si diradano e il sole illumina la strada. Pura luce davanti ai
miei occhi. Freno lentamente e mi fermo. Guardo il cielo, respiro, la
luce è ovunque. Attendo qualche secondo, perché perso in questo
momento, non riesco a decidermi, se proseguire o rimanere immobile,
aspettando che tutto passi e si trasformi, cose di cui non mi interessa
nulla, persone, affari e lavori, è così delicato e fragile e meraviglioso
questo momento, racchiuso nei miei occhi, che non posso lasciarlo
fuggire via, farlo diventare un altro frammento di passato, che
dimenticherò e lascerò a riempirsi di polvere sugli interminabili
scaffali della memoria, pieni di cose inutili, di tutta una vita sprecata
per arrivare chissà dove. Perdersi, definitivamente. Rimanere ad
osservare lo scorrere multiforme delle illusioni. Solo. Silenzioso.
Calmo.
Riprendo a pedalare e seguo i canali, mi allontano dalla confusione del
centro, mi dirigo verso il Black Dharma.
Ordino un black tea aromatizzato alla vaniglia e una fetta di Space
Cake, mi vado a sedere vicino ad una delle vetrate che danno sulla
strada, un raggio di sole fa compagnia al mio braccio, le biciclette
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scivolano oltre il mio sguardo, la polvere danza nel vuoto. Mangio un
pezzo di torta, l'aroma della skunk è delizioso, il tè è in infusione,
attendo. Dalla sacca tiro fuori un quaderno, lo apro e rileggo gli ultimi
dialoghi. C'è da lavorarci ancora. Ritmo, ironia e fluidità.
Guardare. Fuori. Ancora. Una. Volta.
Sorseggio il tè lentamente e finisco di mangiare la Space Cake. Poso il
quaderno alla mia destra, prendo un po' di Northern Light da una
bustina e rollo soprappensiero una canna. Un altro sorso di tè ed
accendo. Fumo e continuo a bere. Molto lentamente.
Galleggiare. Sopra ogni cosa. Questo senso di incantato distacco.
Questo senso di meravigliosa e dorata quiete.
Lou Reed canta Sunday Morning.
I colori del mondo brillano.
La luce è ancora ovunque.
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Sunday Morning
Lavori In Corso
Arrivo al negozio verso mezzogiorno. Lego la bici e alzo le serrande.
Sbrigo le prime cose in maniera rapida e automatica, accendo il
ricambio dell'aria, il computer e la cassa. Poi lo stereo, scelgo Dummy
dei Portishead, volume contenuto, atmosfera rilassante. Sistemo un
paio di incensi all'oppio vicino all'entrata e un altro paio dentro il
negozio.
Arriva Liv, mi saluta con un bacio sulla guancia, sorride, mi chiede se
voglio un caffè, le dico che va bene. Liv va al Baba, prende due caffè
neri e forti, ce li beviamo in piedi, fuori dal negozio, mentre il sole
continua a salire e ad illuminare la strada e la vetrina, ci sistemiamo in
modo che la luce inondi i nostri volti, beviamo il caffè ad occhi chiusi,
in silenzio, intorno i rumori delle altre attività, il vociare dei turisti,
ogni volta che si apre la porta del Baba il profumo intenso dell'erba
raggiunge le mie narici, un odore incredibile.
Finiti il caffè, ci rolliamo una sigaretta e fumiamo tranquillamente.
- Dove li metto i dildo?
- Guarda, ieri dopo che te ne sei andata, ho fatto un po' di spazio sulla
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bacheca dei vibratori, potresti sistemarli lì, che ne dici?
- Mi sembra una buona idea, questi ultimi che hai ordinato sono
spettacolari, lisci, entrano che è una bellezza, senza attriti.
- Li hai provati?
- Certo.
- E che ne pensi?
- Te l'ho detto, sono fantastici, ne ho già preso uno per mia sorella, tra
poco è la sua festa, le piacerà da morire.
- E' parecchio che non vedo tua sorella, come sta?
- Così e così, ha avuto qualche casino con il suo ultimo ragazzo, si
sono lasciati e adesso è in un fase malinconica.
- Per questo le vuoi regalare il vibratore?
Arrivano gli ordini della settimana. Un ragazzo mi consegna alcuni
pacchi. Dvd, lingerie fetish, collari e fruste, manette, cock-ring e
alcune scarpe molto particolari che ho fatto arrivare da Utrecht, visto
che le fabbricano solo lì. Chiedo a Liv di darmi una mano ad aprire i
pacchi e a sistemare le cose. Mentre mi occupo dei dvd e li infilo per
genere negli scaffali, Liv inizia a controllare le scarpe, sorridendo e
sistemandole nel loro reparto. Poi dà una spolverata ai vibratori vicino
all'entrata e io ordino la parte sadomaso del negozio, la mia preferita,
quella a cui tengo di più.
I clienti entrano e danno un'occhiata. Ad alcune signore consiglio i
dildo da usare per iniziare, spiego le modalità di funzionamento dei
vibratori, insegno come utilizzare in maniera corretta le manette per
non lasciare segni sui polsi.
Verso le cinque dico a Liv che esco un attimo.
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Lavori In Corso
Entro al Baba, ordino una tisana alla menta e mi rollo una canna di
Orange Bud. Fumo in uno stato di assoluta tranquillità, ascoltando la
musica e guardando la vita fuori dalla vetrina del coffe-shop, che da
proprio sul mio negozio. Osservo la gente che entra, gli stranieri che
guardano incuriositi le vetrine, le persone che semplicemente stanno
camminando e pensano ai fatti loro.
Continuo a sorseggiare la tisana. Entra Penny e mi si siede accanto
con in mano una tazza di caffè fumante e una canna di Black
Bombay.
- Ciao bella, come te la passi?
- Bene e tu?
- Alla grande. Sono esattamente dove vorrei essere a fare quello che
vorrei fare.
- Domani ti va di venire a cena da me?
- Volentieri.
- Ho delle nuove ricette da farti assaggiare.
- Saranno buonissime.
- Tra un po' devo tornare al lavoro.
- Non mi sembri molto contenta.
- E' che mi sento stanca, non vedo l'ora di stare qualche giorno a casa.
La settimana prossima mi sa che me ne sto un po' per i fatti miei.
- E' sempre la cosa migliore, quando è possibile.
- Ieri un cliente mi ha chiesto di pisciargli in bocca.
- E tu l'hai fatto?
- Gli ho detto che per quello doveva andare a un altro indirizzo. Sai
com'è, per certe cose ci vogliono i luoghi adatti.
- Quindi non gli hai pisciato in bocca?
- No, però gli ho fatto un pompino che a momenti sveniva. Sai, gli
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Lavori In Corso
stranieri non durano neanche dieci minuti, non gli sembra vero che qui
possono aprire un porta, entrare, scopare o fare quello che vogliono e
poi uscire e continuare tranquillamente la loro giornata o nottata.
- E dove lo hai mandato?
- Da Meg, la dovresti conoscere anche tu, lavora in una casa dove
fanno roba sadomaso, hanno tutti gli ambienti adatti, i dungeon, gli
attrezzi, uno che va là trova una situazione giusta per le sue fantasie. E
poi le ragazze sono bravissime.
- Hai assolutamente ragione, ci sono stato anche io da Meg, è stata
un'esperienza molto emozionante.
- Senti non è che avresti un paio di manette da darmi, se qualche
cliente ne avesse voglia.
- Come no, entra un attimo in negozio.
Spengo la canna d'erba e la infilo nel pacchetto delle Camel. Meg
uccide la sua, mi fa un sorrisone, mi prende sotto braccio e usciamo
insieme nella luce della città.
Sei un tesoro - mi sussurra Meg nell'orecchio, quando si accorge che
insieme alle manette le regalo anche un frustino di vero cuoio.
Poi esce silenziosa, svolta un paio di angoli, attraversa un canale e
torna al lavoro.
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Lavori In Corso
Vertigo
Sull'orlo del baratro. Una voragine che cade nelle profondità della
terra, verde smeraldo e oscurità, odore di alberi e muschio, aria fredda
e una notte stellata, come un manto di gemme e illusioni.
In bilico su decisioni mai prese, uno sguardo nel vuoto, l'estasi
dell'attimo decisivo, quello in cui tutto cambia e ogni cosa scompare,
il momento dei tumulti del cuore e dell'inaspettata quiete, la velocità
della caduta, risucchiato dal buio, poi al rallentatore, fotogrammi di
una discesa in preda alla paura, la scomparsa della consapevolezza,
solo un enorme sbaglio, una confusione vorticosa di colori sempre più
scuri, lo schianto, l'esplosione, la comprensione del tutto che non
vuole arrivare, nessuna illuminazione, solo un misero errore e ancora
più giù, quando il tempo sembra svanire e ti aggrappi agli ultimi inutili
respiri, affannosi, soffocati, le mani che si muovono nel vuoto, uno
stupido burattino che cerca i suoi fili per salvarsi, ma non c'è nessuna
mano a sorreggerlo, solo un corpo di fango che precipita idiota verso
la sua fine.
Sull'orlo dell'abisso. Blu profondo e schiuma di mare. I fischi dei
gabbiani ad annunciare la sera e il tramonto. Tutti i colori dell'eternità
dorata davanti ai tuoi occhi. Basterebbe un passo per raggiungere il
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mistero. In bilico sui tuoi errori cerchi di dimenticare. L'ennesima
fuga, l'ennesima disfatta, l'ennesima delusione. E in questo momento,
quando il mondo inizia a sfumare e le sue forme si fanno delicate ed
amiche ti chiedi il perché di tutto il dolore che hai visto e provato, ti
chiedi il perché delle lacrime, della rabbia e delle urla, in questo
preciso istante, quando le voci della notte si fanno sensuali e le
promesse degli dei divengono sussurri d'amore, l'abisso che hai
davanti sembra dolce chiamarti, perdendosi nelle tenebre del cielo e
del mare.
Sul patibolo, completamente nudo, con un cappio sul collo. Panico
sensuale e odore di morte. Erezioni incontrollate. Eiaculazioni di pura
luce su un mondo di demoni.
Su un cornicione, di notte, al piano numero infinito, a contemplare le
luci delle strade, delle macchine, delle bombe che esplodono. Caos e
distruzione danzano tra le macerie di città stordite e fameliche. Corpi
in decomposizione lungo le vie, macchine arrugginite, file di ratti e
stormi di uccelli a divorare gli avanzi dell'umanità. Un ultimo sguardo,
un'ultima preghiera, il dolce conforto di una mano che ti accarezza, ti
giri ed il vento è l'unica voce che puoi udire. Tutto quello che hai
perso, tutte le persone che hai ucciso, tutte le vite che hai reciso e
mutilato, ancora quei bagliori, quelle fiamme, quelle grida. Sotto, il
vuoto risplende di lucida follia, un asfalto nero e interminabile, la
bocca vorace di enormi vermi che sbucano dal cemento, i corpi
sventrati di palazzi e chiese, mostruosi centri commerciali abitati da
esseri deformi senza occhi e orecchie, pelle marcia, putrefazione e
angoscia. Guardi in alto e le stelle sono nascoste. La scelta sembra
obbligata. Assapori l'ultima vertigine che ti è stata concessa e tirando
il fiato ti lasci cadere.
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Vertigo
Il Ghigno Sbilenco Della Luna
Avevo dimenticato come ci si comportasse ad una festa. La
compagnia delle altre persone aveva assunto nel corso degli anni delle
sfumature indeterminate, varie tonalità di grigio che rendevano tutti
uguali i volti e i corpi di chi mi stava attorno. Col passare del tempo
avevo perso dimestichezza nel parlare, avevo dimenticato le battute
giuste per le diverse occasioni, quello che bisognava dire per apparire
intelligenti e simpatici e purtroppo non avevo nessuno accanto che mi
suggerisse le parole adeguate, quelle che avrebbero acceso un
riflettore su di me, un cerchio di luce che mi avrebbe reso l'attrazione
della serata, con schiere di donne a chiedermi cosa ne pensassi dei vari
argomenti che galleggiavano negli spazi vuoti della festa, nuvole di
pensieri che attendevano di essere afferrate e tradotte in parole, in una
sintassi capace di aprire il cuore e forse anche le gambe di quelle
donne. Dovevano pendere dalle mie labbra, portarmi magari un drink
perché incuriosite dalla conversazione, poi quando si sarebbe stati un
po' brilli, un sussurro in un orecchio, una leggera carezza dietro la
schiena, magari a casa tua tesoro, dammi un altro bicchiere e poi
scopiamo che intanto alla fine non c'è mai un cazzo dire, che intanto
alla fine se non si scopa le parole sono solo un mucchio di merdate
che ci spalmiamo addosso per illuderci che ci sia davvero qualcosa di
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cui parlare. Il sesso elimina questi problemi, è una questione di pelle, è
un altro linguaggio.
Anche gli uomini mi avrebbero rispettato per le mie idee e per il modo
in cui le esponevo. Un cervello come il mio doveva essere conteso per
posti di lavoro prestigiosi, con segretarie in tacchi e gonne corte. Avrei
dovuto prendere decisioni importanti, smuovere capitali e uomini e
tutti mi avrebbero ammirato per le mie doti etiche e morali, per lo
spiccato senso dell'umorismo, per la capacità di risolvere sempre in
maniera brillante problemi e situazioni.
Seduto in un angolo, silenzioso e avvolto in una nuvola di fumo
azzurrino che sale dalle Camel che sto fumando a ripetizione, bevo gin
e acqua tonica. Sono riuscito a fregarmi una bottiglia di Tanqueray
che mischio con l'acqua tonica e con il ghiaccio che prendo a mani
nude da un contenitore.
Le donne sono bellissime e in tacchi alti, hanno gambe lunghe e
capelli fluenti e parlano con uomini in cravatta e teste lucide. I soldi
girano nelle loro parole e le bocche sono ghigni che non riesco a
decifrare, bevo molto velocemente, le luci girano, i pensieri sono
vorticosi e mi accorgo con orrore che le sigarette stanno finendo.
La presentazione di questo film è stata oscena. Le attrici hanno
recitato in maniera ignobile, eppure nei loro vestiti firmati, nei loro
seni al silicone e nei loro culi sfondati dai cazzi imbottiti di Viagra di
vecchi produttori risiedono moderne verità che ancora non riesco a
comprendere.
Negli occhi vuoti e negli aliti puzzolenti di uomini ingessati in vestiti
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Il Ghigno Sbilenco Della Luna
di plastica e polistirolo si muovono particelle atomiche che formano
delle realtà che ancora non riesco a percepire. Si formano uffici e
lunghe scrivanie di legno, pagine su pagine da firmare, contratti e
sceneggiature. E ce ne è una che ho scritto io, proprio in quell'angolo,
si proprio lì, sotto la macchina del caffè che altrimenti sporcava il
legno di quel mobile che il produttore si è fatto spedire dal Marocco.
Quella sceneggiatura nella quale ho messo la mia vita, me stesso, i
miei ideali, tutto il dolore che ho fatto crescere nel cuore per potere
avere qualcosa di reale da scrivere, quella sceneggiatura ora serve per
non sporcare quel mobile costoso e io aspetto seduto in un angolo
dell'inferno che qualcuno arrivi a salvarmi, a dirmi quanto valgo,
quanto sono stati idioti gli altri a non accorgersi delle mie potenzialità
, in un caldo abbraccio dal sapore di sigari e Four Roses, io ti ringrazio
chiunque tu sia per avermi dato fiducia, per avermi detto - sei stai
bravo, sei stato capace di esprimere qualcosa che pochi sarebbero
riusciti a dire con quelle stesse parole.
Divento violento e volgare e a te brutta troia ciucciacazzi che non vuoi
ballare con me urlo tutte le mie frustrazioni e la mie umiliazioni, tu,
piccola puttana dai capelli biondi, vieni qui a succhiarmi il cazzo che
quella bocca finalmente la usi per qualcosa di giusto, farmi godere,
bere tutta la mia sborra e
il pugno che mi arriva come un treno sulla faccia, quelle mani che mi
prendono e mi portano fuori, quel calcio nello stomaco che mi torna su
un ettolitro di gin che mi vomito addosso e poi sulla strada fredda,
sotto i misteri dell'universo, tremante e pieno di sangue, aspetto
qualcuno che mi salvi, che mi prenda tra le braccia e mi accarezzi i
capelli, e invece arrivi tu, stronzo pezzo di merda, e mi dici - non ti è
bastato? - e tiri giù la cerniera e mi pisci addosso.
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Il Ghigno Sbilenco Della Luna
Perdo i sensi sotto un cielo stellato.
Il morso del mio odio a divorare il ghigno sbilenco della luna.
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Il Ghigno Sbilenco Della Luna
Farmacopea
Piove.
Ed è sempre un bel momento quando posso restarmene chiuso in casa,
steso sul letto, dietro i vetri di una finestra accostata, a guardare le
gocce scendere e disperdersi nel cortile. Le vecchie mura del palazzo
si ingrigiscono, giallo ocra scrostato a ricordare i colori di un tempo.
E' una mattina in cui mi sento leggero, senza quella strana sensazione
di disagio e distacco, causata da un'assunzione ormai costante di alcol
e farmaci, un mix inaspettato che mi ha scaraventato in stanze mentali
bianche e ovattate nelle quali cantare mantra e sgranare rosari, da
piccole fessure, simili ai miei occhi, osservo quello che accade di
fuori.
I giorni passano.
Le persone camminano.
I gatti prendono il sole distesi sui cofani delle macchine.
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...
Mi era impossibile fare parte di tutto questo. Gli psicofarmaci erano
un lusso per drogati che non credevano di esserlo. Come me ce ne
erano in tutte le case. Persone che pensavano di curarsi, di prendere
delle medicine. Non ne sapevano nulla di dipendenza e astinenza e
credevano che quegli argomenti fossero solo roba da tossici. Non era
così. Gli scatti di ira o di gioia, le piccole allucinazioni visive, i vuoti
di memoria, i tremori, la bocca secca, le botte di calore, non erano
sintomi casuali, non erano piccoli incidenti dovuti all'età o alla
stanchezza, erano le manifestazioni fisiche di un'astinenza.
Le sostanze erano facilmente reperibili.
Xanax. Valium. Tavor. Dalmadorm. Halcion. Minias. Lexotan.
Ansiolin, Prazene. Control. Nottem. Stilnox
Di solito le fregavo a casa di mia nonna, che di questa roba era piena.
Da quasi venti anni prendeva gocce di ansiolitico per dormire. Eppure
lei come tanti altri non erano considerati dei drogati.
L'idea che arrivati ad una certa età la società si sarebbe presa cura di te
relegandoti in un paradiso artificiale bianco e ovattato era allettante.
Sarebbe bastato andare dal proprio medico di fiducia, descrivere
disturbi di ansia e panico o depressione e tristezza e lui con un
sorrisone ti avrebbe dato una ricetta per i tuoi sballi senili.
In aggiunta c'era la televisione che mischiata con queste sostanze dava
come effetto una completa alterazione della realtà.
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Farmacopea
Di queste cose, sui giornali, negli attacchi al mondo della droga, nelle
discussioni da salotto non si parlava mai. Di come le case
farmaceutiche creassero nuove droghe, di quanto gli psicofarmaci
fossero pericolosi, di come si abituava la gente a credere che una
pasticca potesse risolvere i propri problemi.
Insonnia. Depressione. Attacchi di panico. Calo di peso. Ansia. Paura.
Angoscia.
...
Piove.
Le parole mi stanno lentamente abbandonando.
Fumo una Camel guardando le vecchie pareti.
Il silenzio mi accompagna ovunque.
Ed è tutto quello di cui ho bisogno.
Adesso.
Per guarire.
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Farmacopea
Cadaveri Di Gioia
Mi aveva chiamato tua sorella. E ci avevo messo un po' a capire chi
mi stesse parlando dall'altra parte del telefono. Poi qualcosa si era
fatto strada dentro di me. Come una sfera di calore. Alla bocca dello
stomaco. Quella voce aveva messo in circolo dei brividi che avevo
dimenticato. Quella voce era dolce. E triste.
Quando mi disse quelle parole, qualcosa si bloccò. Il tempo, lo
scorrere del mio sangue, la voce che usciva dalle mie labbra. Poi
qualcosa si ruppe, come cristallo, come un oggetto di infinita
delicatezza tra le mani di uomini ruvidi e volgari.
Presi un treno. La mattina dopo. Avevo dormito malissimo, sogni e
ricordi avevano scavato tunnel nella mia mente, divorando i nostri
viaggi, le vacanze, gli anni di scuola, gli amici scomparsi, le scopate, i
milioni di canne che ci eravamo fatti insieme, i trip, la sabbia del
mare, le confessioni. Mentre sedevo accanto al finestrino, passava su
di esso un film doloroso e magnifico. Si alternavano, in un montaggio
caotico e fulminante, gli scenari naturali che il treno stava
attraversando con le immagini del tuo volto, dei sorrisi, i tuoi occhi
che mi scavavano dentro, le tue orecchie a cui avevo confessato i miei
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segreti.
Le sere in riva al mare a fumare e bere birra, i registi che avevamo
amato, Scorsese, Tarantino, Coppola, Kubrick, i libri di cui parlavamo
nelle interminabili e profumate e magiche notti d'estate, Kerouac,
Bukowski, Ellis, Palanhiuk, Welsh, la musica che mi avevi fatto
conoscere, i dischi di Coltrane e Miles Davis e Chat Baker, le stelle
erano scintillanti e le onde del mare delle fluorescenze misteriose.
Alla stazione, dopo essere sceso dal treno, comprai una bottiglia di
vodka e un paio di pacchetti di sigarette, così, per quel poco di
romanticismo che ancora avevo dentro al cuore, per brindare quando il
coraggio fosse venuto meno, per non essere come tutti gli altri
coglioni di questo mondo, perso dietro angosce e paure, inorridito
dalla vita. Avrei fatto quello che avevo sempre fatto. Essere
semplicemente me stesso.
Abbracciai tua sorella fuori dalla stanza, era cambiata, erano anni che
non la vedevo. Come te, del resto. Tutto il tempo che eravamo stati
distanti senza più parlarci. avevo scordato il motivo del nostro
abbandono, del nostro silenzio. Ti avevo tagliato fuori dalla mia vita,
come tu avevi fatto con me. Non ti ho mai chiesto spiegazioni. Non ne
ho mai volute.
Gli occhi di tua sorella erano lucidi, bellissimi, consapevoli di
qualcosa che vedevo in lei per la prima volta. Il dolore è un maestro
inaspettato.
Entrammo nella stanza, tua sorella mi stringeva la mano. Il cuore
iniziò a battere più veloce, le ascelle a sudare. Le gambe divennero
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Cadaveri Di Gioia
molli, la bocca dello stomaco si chiuse. Eri disteso sul letto, immobile,
ormai quasi calvo. Un pupazzo, ecco cosa pensai. Poi ad un brutto
scherzo. Poi mi venne il dubbio che forse tutto questo era vero. In una
maniera atroce.
I ricordi esplosero ancora una volta come un'atomica nel mio cervello.
Arrivarono gli odori, le immagini.
Poi le lacrime, calde.
La stretta della mano di tua sorella si fece più salda.
Stavi morendo.
Adesso lo sapevo.
Mi sedetti da una parte e rimasi a guardarti.
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Cadaveri Di Gioia
La Felicità È Nelle Piccole
Cose
Era un periodo di apatia e stanche certezze. Le giornate seguivano un
copione scritto da altri, del quale mi ero ritrovato a far parte, senza
volerlo e soprattutto senza un ruolo principale. Ero solo una stupida
comparsa. In un ufficio a battere le dita sui tasti, a correggere testi che
aumentavano ancora di più la mia frustrazione e il senso di sconfitta
che da qualche mese mi serpeggiava nella bocca dello stomaco.
Ero sempre di cattivo umore, distante agli altri, perso in una serie di
aride considerazioni sulla vita e gli esseri umani. Parlavo giusto
l'indispensabile. L'improvvisazione era un'arte che non ero mai
riuscito ad imparare, le battute che dicevo erano sempre le stesse e io
perdevo smalto nel dirle, fino al punto in cui ogni frase era
automatica, meccanica. A determinate domande o frasi sapevo come
rispondere, altre mi mandavano in corto circuito, rimanevo ebete a
fissare il mio interlocutore, cercando di sorridere, ma anche il
semplice incresparsi delle labbra era un movimento che mi costava
una fatica infinita.
La sera era una cena al microonde e almeno una bottiglia di vino e un
pacchetto di Camel per dare un senso alla mia giornata. Avevo
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staccato il telefono e tolto il mio nome dall'elenco. La mia vicina, una
signora sui novantanni, era morta da qualche mese. Questo mi aveva
liberato dall'infernale volume del suo televisore, perennemente
accesso. E dalle conseguenti stronzate che mi dovevo sentire dall'altra
parte della parete le poche ore che potevo rimanere in casa. Quando la
nonnina era crepata avevo tirato un sospiro di sollievo, non me ne
fregava un cazzo di lei, della sua vita, dei suoi nipoti. Era solo un altro
fastidio, un'altra mosca che mi disturbava. Adesso il silenzio aveva
qualcosa di spirituale, un privilegio, un piccolo regalo degli dei,
almeno quello, un po' di silenzio quando tornavo a casa.
La mattina di nuovo la sveglia, lavarsi e vestirsi, colazione, metro,
lavoro. Gesti codificati dalla catena di montaggio della vita, sistemavo
i pezzi della mia esistenza, uno dopo l'altro, senza guadagnarci nulla,
nulla che valesse realmente, a parte i soldi che mi servivano per
campare. Le donne erano un sogno dimenticato, gli uomini non mi
interessavano, le droghe un lusso idiota. Rimanevano i libri, la musica,
le sigarette e il vino. E un senso di nausea, perenne, crescente. Le
domeniche erano giorni di ritiro, avrei dovuto farmi prete, ma di dio
non me ne era mai fregato un cazzo, di dio e dei miei simili, che cosa
avrebbe significato allora indossare l'abito e pregare? niente,
assolutamente niente, ma mi piaceva il silenzio e l'isolamento e l'idea
di aver una celletta tutta mia e il dover rispettare regole, qualcosa che
mettesse ordine al nulla che avevo dentro, che mi desse speranza o per
lo meno solo un'altra stronza illusione a cui credere.
Le domeniche erano un letto disfatto e un posacenere stracolmo di
cicche. Era il sole che percorreva il cielo. Era un odore di chiuso e
sporco. Era il mio corpo riverso su lenzuola che avrei dovuto cambiare
da troppo tempo. La domenica era l'apice della mia lotta, il momento
in cui serviva tutta la mia forza per non cedere e smettere di essere.
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La Felicità È Nelle Piccole Cose
Guardo fuori dalla finestra, le nuvole passano, alcuni dicono che la
felicità è nelle piccole cose, basta saperle prendere, ecco, io questa
cosa qui non sono mai riuscita a farla.
Mi accendo una sigaretta.
La cenere che si perde nel vento, i fiori appassiti dentro un vaso.
Chiudo gli occhi e faccio un altro tiro.
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La Felicità È Nelle Piccole Cose
Miguel Bosè, Un Bicchierino
Di Rum E Un Nuovo Figlio In
Arrivo
Ero seduto sulla poltrona del salotto, un bicchierino di rum in mano, a
guardare la televisione. Trasmettevano un programma di musica, non
che lo vedessi veramente, serviva per tenere il cervello in pausa,
incanalato nel flusso delle immagini. Solo così diventava mansueto e
docile. Malleabile. Lo stomaco digeriva lentamente la cena e ogni
tanto, quando un accordo era abbastanza potente o il rullante della
batteria saliva di rumore, mollavo una piccola scoreggia liberatoria,
poi, soddisfatto, davo un altro sorsetto al rum e continuavo a guardare
le bocche cantare e le mani suonare. Non ne capivo tanto di musica,
però le canzoni che passavano sullo schermo non mi sembravano
granché, molti nomi di gruppi o cantanti mi sfuggivano, il mio tempo
era andato, le mode erano ormai altre, i gusti musicali diversi, rispetto
a quelli di quando ero giovane.
Arrivò Miguel Bosé, sapevo che Carla, mia moglie, lo adorava, la
chiamai dalla cucina, sentivo il suo piccolo televisore blaterare di
risate e premi (stava vedendo un altro canale) e le dissi di venire.
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- Carla, c'è Miguel, vieni.
- Arrivo amore.
Aveva dei bigodini in testa e le maniche della camicetta arrotolate. Si
vedeva che stava stirando e domani sarebbe andata a fare compere con
una sua amica ad un centro commerciale, per questo si era fatta i
capelli. Si sedette sulla poltrona accanto al televisore.
- Vuoi qualcosa da bere?
- Madonna come si è invecchiato, me lo ricordo a metà degli anni
ottanta, tutto biondo, quanto mi piaceva.
- Un goccio di Bayles?
- A me e alla mia amica, Loredana, piaceva da morire, avevamo le
foto, i dischi, tutto il resto. Te la ricordi Loredana?
Me la ricordavo benissimo l'amica di mia moglie, ero riuscito pure a
scoparmela durante una vacanza che avevamo fatto una decina di anni
fa. Era l'estate prima che nascesse Luca. L'ultima estate di libertà.
Dopo Luca era venuta Martina, a due anni di distanza. Entrambe le
volte Carla me l'aveva detto così, all'improvviso. Come una notizia
che andava data, senza particolari inclinazioni della voce, aspettando
una mia reazione, cercando di capire come mi sarei comportato.
La prima volta era successo a tavola, davanti alla televisione, c'era un
gioco a premi. Stavo stappando una Peroni. Sono incinta. Avevo
versato la birra nel bicchiere. Una signora di Treviso stava per vincere
duecento milioni di lire. Sono incinta, aveva ripetuto. Avevo distolto
lo sguardo dalla televisione. Lei si era seduta, composta, mi guardava
e aspettava una mia reazione. Avevo bevuto la Peroni - E' una notizia
stupenda, davvero.
- Sei contento?
- Certo amore, ma non me lo aspettavo.
- Nemmeno io, è successo.
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Miguel Bosè, Un Bicchierino Di Rum E Un Nuovo Figlio In Arrivo
- Già.
Avevo versato un altro bicchiere di birra, la signora di Treviso aveva
perso, Carla mi aveva messo una doppia razione di mozzarella in
carrozza, avevo fatto un piccolo rutto, avevo cambiato canale e poi
avevo iniziato a mangiare. La seconda volta, invece che a cena, me
l'aveva detto a pranzo. Invece della birra bevevo vino e invece del
gioco a premi c'era il telegiornale. Le nostre frasi erano state le stesse.
- Allora, Loredana, te la ricordi?
- Certo amore che me la ricordo, è parecchio che non la vediamo,
come sta?
- Ma guarda che borse sotto gli occhi - Carla stava indicando
l'immagine di Miguel Bosè - è proprio vero che il tempo passa per
tutti. Non è così, tesoro?
- Si amore. La vuoi qualcosa da bere?
- Bella questa canzone, che me lo trovi il cd? Magari da qualche tuo
amico in ufficio. Senti io vado a finire di stirare.
Se ne era tornata in cucina e io mi ero versato un altro bicchierino di
rum. E così una settimana fa mi aveva dato l'ennesima notizia di
gravidanza. E così ne doveva arrivare un altro. E questo voleva dire
spese e dottori e pannolini e alzarsi la notte e almeno un paio di
vacanze del cazzo in qualche albergo per vecchi e famiglie e poi la
scuola e gli altri genitori e i vestiti e i giocattoli e tutta una serie di
impegni di cui non me ne fregava niente, come non me ne era fregato
niente per quelli degli altri due. Certo, era bello quando ti venivano
vicino o ti si addormentavano in braccio, quando ti guardavano con
quegli occhi carichi di amore. Ma non potevo negare che fosse più
bello starsene a scopare con una bella troia o andare un fine settimana
fuori con gli amici a bere e a raccontarsi cazzate. Era più bello
starsene per conto proprio su una spiaggia, a mangiare, prendere il
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Miguel Bosè, Un Bicchierino Di Rum E Un Nuovo Figlio In Arrivo
sole e ruttare, senza quelle continue richieste e quei fastidiosi
gridolini.
Adesso Luca e Martina dormivano, domani saremmo andati a pranzo
dai genitori di Carla, un'altra domenica inutile che avrei affrontato
mangiando e ubriacandomi per poi crollare su una poltrona, davanti
alla partita che il padre di Carla avrebbe messo sul decoder e con Luca
e Martina che se ne sarebbero stati a giocare sul terrazzo.
E così, come per le altre volte, davanti alla televisione Carla mi aveva
dato la notizia.
Sono incinta - mi aveva detto.
- Ma è meraviglioso amore.
Sembrava sollevata.
Ci eravamo abbracciati.
Con l'occhio avevo guardato di sfuggita lo schermo della televisione.
Le veline ballavano. Il loro culo sembrava carico di dolci promesse.
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Miguel Bosè, Un Bicchierino Di Rum E Un Nuovo Figlio In Arrivo
Undenied
eri appena uscita dal bagno. ero steso sul letto, nudo, a toccarmi i
coglioni. il sole entrava dalle finestre, fuori scorreva la rambla, con i
suoi colori, le voci, le risate, la vita. ti sei stesa accanto a me, hai tolto
l'accappatoio, hai socchiuso gli occhi e hai iniziato a baciarmi sul
collo. mi sono girato e ho incontrato le tue labbra, erano umide, dolci,
sicure. ti succhiavo le labbra, morbide, fino a fartele aprire, poi sono
state le nostre lingue a incontrarsi e a giocare e a scambiarsi saliva e
sapori.
eri a gambe aperte davanti a me. avevo il cazzo duro. ti sono entrato
dentro in maniera semplice, naturale. toccarti aveva la stessa essenza
del profumo di un fiore, di una notte stellata, dell'odore del mare, del
vento che attraversava gli spazi. abbiamo iniziato a scopare nella luce
e nel bianco delle lenzuola. le pareti risplendevano, il tuoi capelli
erano ancora bagnati, il tuo corpo aveva un buon odore, sentivo il
cazzo che entrava e usciva, ti sentivo gemere, sempre con gli occhi
socchiusi, le labbra semi aperte, il calore del tuo respiro dentro la mia
bocca.
ti ho fatto venire, ti sei aggrappata alla mia schiena, le guance sono
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diventate più rosse, il tuo volto aveva un'espressione bellissima,
qualcosa che solo in questi momenti poteva prendere forma, qualcosa
di misterioso e magico, semplice e irripetibile.
ti ho sborrato dentro la fica.
distesi sul letto continuavamo a galleggiare nella luce, non c'era più
tempo, altro a cui pensare che non fosse la stanza in cui eravamo, i
nostri corpi quieti, soddisfatti. posavi la testa sul mio petto. ti
accarezzavo i capelli.
alcuni pensano che il dolore sia un motivo sufficiente per odiare e
maledire la vita.
se solo sapessero che la grazia del mondo non è altro che un fiore che
vibra nel silenzio della notte.
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Undenied
Bondage
mi chiedevi di picchiarti, legata sul letto. le guance rosse, gli occhi
socchiusi. ombre colavano dalle pareti. avevo il cuore che batteva in
maniera incontrollata. sapevo di amarti. sapevo di farti godere. sapevo
che il dolore è quanto di più eccitante possa esistere. i tuoi capezzoli
erano duri, li strinsi e li tirai. la tua bocca emetteva piccoli gemiti, un
filo di saliva ti scendeva dalle labbra. mi avvicinai e lo leccai. aveva
un buon sapore. avevi le gambe aperte, legate. non potevi chiuderle.
iniziai a toccarti. infilai un dito dentro la fica. era bagnata. iniziai a
muoverlo. facendolo entrare e uscire. i tuoi gemiti aumentavano. presi
un dildo e lo infilai nella fica. muovendolo avanti e indietro. presi un
paio di clip e te le misi sui capezzoli. volevo fati venire. beth cantava
undenied, le candele erano accese. avevo dei brividi che mi
spezzavano la colonna vertebrale. tolsi il dildo e iniziai a scoparti. mi
calmai. la tua bocca aperta era invitante. ci sputai dentro, facendo
colare piano la saliva. spingevo il cazzo lentamente, poi lo tiravo
fuori. aspettavo. la tua fica si muoveva, il tuo bacino spingeva. eri
legata. non potevi decidere nulla. continuai così. facendo crescere il
tuo desiderio. i tuoi occhi erano ancora chiusi. le parole erano
qualcosa di maledettamente superfluo.
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legata. bellissima. un mistero di sangue e ossa.
la pelle bianca, liscia, sudata.
mentre il mio cazzo si muoveva dentro di te. la mente oltrepassava i
confini della scatola cranica ed esplodeva, in maniera delicata, di lei
non rimaneva niente, una incredibile leggerezza. quel movimento
ipnotico del mio bacino mi portava oltre me stesso, non so neanche io
dove, in luoghi in cui non esisteva più niente, in cui l'ordine del
mondo e delle cose non avevano più importanza, luoghi oscuri e
luminosi, luoghi che avevano odori e colori e immagini e sensazioni
che non si potevano trovare da nessuna altra parte.
le tue gambe iniziarono a tremare, tolsi le clip dai capezzoli e li
succhiai con dolcezza. la tua fica si contraeva, sospiravi, piccole grida
dalla tua bocca. avrei voluto entrarti dentro la pelle, nel cuore, negli
occhi, sotto le unghie, avrei voluto essere il tuo sangue, la tua saliva,
le tue lacrime, la tua vita. tirai fuori il cazzo, avevi la bocca ancora
aperta e mentre i tuoi orgasmi continuavano ci sborrai dentro. poi te lo
rimisi nella fica, muovendolo in maniera dolce. assaggiai dalle tue
labbra la mia stessa sborra. ce la passammo con lingua.
ti slegai.
ci abbracciammo.
ci promettemmo qualcosa che non aveva nome.
ti baciai piano.
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Bondage
ci sono nodi da cui non riuscirò mai a liberarti.
36
Bondage
Senza Voltarsi
lei era seduta da una parte, le gambe accavallate, assorta a leggere un
libro. lui la guardava e si chiedeva cosa stesse leggendo. lei posò il
libro sul tavolino che aveva davanti, prese una sigaretta dal pacchetto
e l'accese. lui si disse che se solo lei l'avesse guardato, la sua vita
avrebbe preso un'altra direzione. lui pensò che se solo avesse avuto
l'opportunità di stringere le mani della ragazza fra le sue non le
avrebbe più lasciate, le avrebbe tirate verso il suo cuore, le avrebbe
fatto sentire quel battito, avrebbe detto alla ragazza che era bellissima,
che i suoi capelli erano pura luce. avrebbe sentito il suo profumo nelle
narici. avrebbe dimenticato in un solo attimo il dolore e l'apatia, il
freddo e l'angoscia. lei tirava lente boccate di fumo, il bicchiere con il
martini risplendeva nel sole. lei tornò al suo libro, i suoi occhi erano
rapiti dalle parole che stava leggendo. lui si alzò e le si avvicinò. le
chiese cosa stesse leggendo. i loro occhi si incontrarono.
viaggerò fino al fondo del tuo cuore, vedrò con i tuoi occhi, respirerò
con i tuoi polmoni. sarai la mia aria, il mio sangue, i miei nervi, le mie
vene. sarò le tue gambe dovunque deciderai di andare, sarò le tue
labbra qualsiasi uomo deciderai di baciare, sarò i tuoi seni e il tuo
ventre. sarai le mani che mi accarezzeranno, la voce che mi sussurrerà
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l'amore, l'alba di ogni mattina, le stelle infinite, sarò le braccia della
notte che afferreranno e scrolleranno i tuoi sogni. sarai la mia vita.
i loro occhi si lasciarono. lui tornò a sedersi, ordinò una birra e disse al
cameriere di portare un martini alla ragazza. lei continuò a leggere. il
martini arrivò sul suo tavolo. lei alzò di nuovo gli occhi e gli sorrise.
lui fece lo stesso.
che tu possa essere libera e amare chiunque voglia.
che io possa essere libero e amare chiunque voglia.
che il nostro amore sia eterno.
che il nostro amore duri come un soffio, un sussurro, un bacio sulle
labbra.
lui si alzò.
si accese una sigaretta.
e se ne andò senza voltarsi.
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Senza Voltarsi
Billy Wilder
vedevamo le vecchie commedie di billy wilder, quelle con jack
lemmon e tu fumavi sigarette fatte a mano e bevevi vino rosso con
molta eleganza, le tue mani sapevano come muoversi nell'aria, come
afferrare un pacchetto di fiammiferi, come scrollarsi di dosso la
stanchezza di una giornata, rimanevo spesso a fissarle, magari quando
non te ne accorgevi, poi le prendevo delicatamente tra le mie dita e le
accarezzavo. mi avvicinavo al tuo collo e ne aspiravo il profumo, con
le labbra sfioravo il tuo orecchio, la lingua che giocava con un
orecchino, poi erano sottili sussurri, il canto del mare, le silenziose
melodie del cielo.
ci siamo sposati troppo giovani e le tue scenate di gelosia erano atti
unici di cui eri una magnifica interprete. i tuoi monologhi erano così
pieni di passione e rabbia, di paura e amore, che rimanevo travolto
dalla tua forza, dall'energia dei tuoi sentimenti, ero spaventato da tanta
vita, mi rinchiudevo in uno stupido mutismo. non c'è stato attimo in
cui non ti abbia amato.
mi eccitava vedere le foto che ti scattavi, sapevi cogliere la tua
bellezza in un un modo unico e irripetibile. mi piaceva masturbarmi su
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quelle foto, immaginarti diversa, una donna ancora da conquistare, mi
seducevano i tuoi vestiti, le calze, i tuoi piedi, le linee del culo, la tua
fica aperta. sborravo spesso, pensandoti, poi era musica e luce e
lunghe poesie piene d'amore.
in alcuni momenti, dentro una stanza, in macchina, per strada, mi
volto ancora per parlarti, per farti guardare una cosa, per dirti qualche
cazzata, per vedere dove sei, cosa stai facendo, poi mi ricordo che
adesso sei da un'altra parte eppure ho sempre la sensazione di averti
accanto, silenziosa, piena di desiderio, addormentata, triste, stanca,
appena sveglia, era bello stringerti sotto le lenzuola, il calore del tuo
corpo, l'odore delle scopate della notte precedente, ti stringevo più
forte, ti accarezzavo i capezzoli, sentivo il tuo culo che si muoveva, si
faceva più vicino, poi chiudevo gli occhi e il letto diventava sabbia e
mare e noi due distesi in silenzio, perduti nel tempo, passato e futuro,
nell'attesa di stelle e universi, di un nuovo giorno che avesse ancora il
tuo odore.
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Billy Wilder
Un'altra Cosa Smarrita
Guardavo l'orizzonte nelle prime luci del mattino. L'odore dell'aria era
una strada di ricordi e illusioni. Potevo camminarci sopra, entrare
dentro me stesso, perdermi nei volti dei fantasmi che aleggiavano
ancora tra i resti degli anni che avevo attraversato. Gente scomparsa,
amici abbandonati, amori bruciati. I ricordi erano dolorosi. Erano
spine nella carne. Ogni respiro apriva ferite. L'odore dell'aria che mi
entrava dentro. Le illusioni brillavano in una parte del cuore. Pronte a
sbocciare. Preferivo smarrirmi dentro le loro promesse. Una vita
diversa. Era un piccolo svago. Un momento di poetica sospensione. In
piedi, su queste scogliere immense, di un bianco lucente. L'oro del
cielo e l'azzurro del mare, più tardi, verso l'ora di pranzo, avrebbero
ingabbiato il mio sguardo. Ma io sarei stato altrove, seduto in
macchina, in viaggio, verso un lavoro da compiere. Eliminando
pensieri e angosce. Rinchiudendo i ricordi nelle gabbie della volontà.
Relegando le illusioni in luoghi sbiaditi e grigi. In questo modo non
avrebbero potuto distrarmi. Farmi andare da altre parti. Sapevo dove
tenerle, al momento giusto le avrei liberate.
Risalii il sentiero fino ai resti delle torri e degli edifici della legione
straniera. Mi fermai a guardare i muri scrostati, i tetti che cadevano.
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Le macerie della memoria. Nulla era in grado di durare. Gli uomini
erano i primi a scomparire. Il mondo, invece, continuava ad esistere.
Le rocce, il mare, il sole, le stelle. Il miracolo era nel loro immutabile
mostrarsi. L'illusione era nella luce che svelava il mondo. L'inganno
era crederci. Pensare che la vita fosse reale. Che il mondo fosse
nostro. Era una stronzata. Noi eravamo solo di passaggio. Poco più
importanti di un fiore o di un sasso. Della sabbia e delle onde. Eppure
ci credevamo unici. E forse lo eravamo. Nella nostra inguaribile
stupidità.
Presi un caffè e fumai un cigarillo wilde. Il sole iniziò la sua salita.
Tornai a casa e mi preparai, misi alcune cose nella mia piccola valigia
da viaggio. Nera. Presi le chiavi della macchina. Poi uscii, camminai
per le piccole stradine, scesi verso il porto e come sempre una stretta
di malinconia mi afferrò il cuore. Amavo quel posto, quei vicoli,
l'odore del mare. Amavo quel grado di solitudine che mi colmava la
vita. Amavo parlare con le persone che abitavano in quelle case. A
volte. Seduto in un cafè o in un ristorante. Parlavamo. Le donne
avevano ancora misteri da svelare. I bambini ridevano. I vecchi
odoravano di anni scomparsi. La memoria galleggiava come una
nuvola di fumo. Le bambine mi guardavano con i loro occhi curiosi.
Arrivai al parcheggio, montai in macchina e sistemai la pistola in una
fessura tra i sedili posteriori che avevo fatto da solo. Una piccola
misura di sicurezza. Misi in moto. Avevo un uomo da ammazzare. Il
sole continuava a salire. I ricordi erano lontani. Le illusione smarrite.
Uscii dal porto. Mi accesi una sigaretta a abbassi un finestrino. L'aria
aveva perso gli odori dell'alba.
Solo un'altra cosa smarrita.
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Un'altra Cosa Smarrita
Feci un tiro e diedi gas.
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Un'altra Cosa Smarrita
Emiliano Bertocchi
Mi chiamo Emiliano Bertocchi. Sono nato a Roma il 22 giugno 1979.
Perchè scrivo? Credo sia questa la domanda a cui debba rispondere.
Scrivo perchè ne ho bisogno. Niente di più e niente di meno. Scrivere
non è un hobby, o uno svago, o una cosa da fare tanto per fare.
Almeno non per me. Io ne Sento il bisogno. Quando sto male, quando
mi rode, quando sono incazzato, quando vorrei distruggere qualsiasi
cosa ho davanti, quando amo, quando sto fuori, quando vivo. L' altra
volta sono andato a un reading di poesie e mi sono accorto che leggere
le mie poesie davanti ad altri è stato come andare in giro a raccontare
a degli sconosciuti la propria vita. Preferisco stamparle e farle leggere
le mie cose, piuttosto che leggerle io stesso. C'è meno intimità. E poi il
lettore ritrova sempre se stesso nelle pagine che legge ed è preferibile
che non si specchi troppo con chi le ha scritte. Scrivere è la mia
libertà, il foglio bianco è la mia Anarchia, perchè lì sono veramente
libero di poter dire, essere e fare tutto quello che voglio e come lo
voglio. Gli scrittori che mi hanno fatto iniziare sono stati Charles
Bukowski e Jack Kerouac. Grazie. E un grazie anche alle parole... le
mie dolci amiche... vi prego non lasciatemi... non lasciatemi mai.
E-MAIL: e.bertocchi@tiscali.it
WEB: http://lascimmiasullaschiena.splinder.com
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Narrativa Contemporanea
Questa è la lista di e-paperback pubblicati fino ad ora in questa
collana:
13 Fiori Fatui
Hannan
Ai trenta all'ora
Donatella Placidi
Asìntote e Triguna
Antonio Piras
Attraverso la notte
Emiliano Bertocchi
Benaresyama
Federico Mori
Blu notte
Marco Giorgini
Buio
Emiliano Bertocchi
Dieci Racconti
Raffaele Gambigliani Zoccoli
Donne dall'abisso
45
Sergio Bissoli
Ferrovia
A.Zanardi
Fragola Nera
Christian Battiferro
Francesco
Enrico Miglino
Futureline
AA.VV.
I Fori Nel Respiro
Andy Violet
Identità Perdute
Claudio Chillemi
Il Bacio del Serpente
Mario Campaner
Il Crepuscolo del Nazismo
Enrico Di Stefano
Il Guardiano di Notte
Claudio Chillemi
Il Passo Più Piccolo
Claudio Chillemi
Il segreto della Old Tom
Pasquale Francia
Inevitabile Vendetta
Fabrizio Cerfogli
La crisi di un detective
Marco Benazzi
La lampada diabolica
Fabio Larcher
La Maledizione del Teschio
46
Narrativa Contemporanea
Pasquale Francia
La morte facile e altri scenari
Giuseppe Cerone
La Radiosveglia
Raffaele Gambigliani Zoccoli
La Sibilla di Deban
Claudio Caridi
La vigna
Silvia Ceriati
Lavare con Cura - Scheletri.com
AA.VV.
Le Bestie
Lorenzo Mazzoni
Lo Scafo
Marco Giorgini
L'Ultima Fantasia
Andrea Nini
L'uomo che scompare
Pierluigi Porazzi
Ondas nocturnas
Karmel
Onde Notturne
Karmel
Passato Imperfetto
Enrico Miglino
Privilegi
Lorenzo Mazzoni
Punto di rottura
Claudio Gianini
Resolution 258
47
Narrativa Contemporanea
Peter Ebsworth
Risoluzione 258
Peter Ebsworth
Sangue Tropicale
Gordiano Lupi
Segale
Christian Del Monte
Semplicemente Zombi - scheletri.com
AA.VV.
Sette Chiese
Christian Del Monte
Sogni
Massimo Borri
Sogni infranti
Alec Valschi
Steady-Cam
Christian Del Monte
Storia di un ragazzino elementale
A.Zanardi
Tienimi la porta aperta
Alessio Arena
Ultima notte di veglia
Enrico Bacciardi
48
Narrativa Contemporanea
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