"La Scienza dello Spirito" di Tiziano Bellucci
Riflessioni sull'Antroposofia
La Scienza dello Spirito
di Tiziano Bellucci
In questa rubrica vengono esposti contenuti
elaborati secondo la concezione antroposofica del mondo.
L'antroposofia è una "scienza spirituale" fondata da Rudolf Steiner.
È un tentativo di investigare e descrivere
fenomeni spirituali per mezzo della "osservazione animica mediante
metodo scientifico".
La ricerca antroposofica tenta di investigare e
descrivere un mondo spirituale che, come cerca di dimostrare, risiede
al di là del mondo dei sensi umani e delle esperienze, e ambisce a
raggiungere la stessa precisione e chiarezza dell'approccio scientifico
delle scienze naturali nell'investigazione e descrizione del mondo
fisico.
Le massime di base dell'antroposofia:
-
Al di là della percezione sensoriale esiste una realtà invisibile che chiamiamo mondo spirituale
-
L'uomo stesso è costituito di parti che sono invisibili ai sensi fisici
-
Esiste una vita tra nascita e morte e una vita tra morte e rinascita (reincarnazione e karma)
-
Il mondo fisico ha anch'esso una costituzione occulta ed è soggetto a morte e rinascita (evoluzione del mondo)
-
Esiste una via per conseguire la visione di queste realtà (cammino iniziatico)
-
Il tema centrale della storia umana è la venuta e l'azione dell’entità solare denominata “Logos”, Cristo
-
Esiste un momento storico situato nel
futuro, in cui umanità è destinata a superare la sua condizione fisica
per penetrare in un nuovo stadio evolutivo, privo di materia fisica
Tiziano Bellucci
Esercizio della concentrazione Marzo 2013
L’esercizio della concentrazione è il fondamento da cui parte
ogni pratica occulta: è la condizione indispensabile per attuare la
trasposizione della coscienza di veglia in stati superiori della
coscienza. Senza il pieno possesso della tecnica della concentrazione,
che conduce all’esperienza del pensiero libero dai sensi, non vi è meditazione,
preghiera o atto cultico che non sia soggetto a pericoli per l’anima e
per il corpo: tuttavia, nel migliore dei casi, ogni pratica sarà puro
tempo perso.
Si tratta di creare silenzio nella coscienza, facendo
astrazione da ogni percezione disturbatrice esteriore e interiore, per
evocare nella coscienza un oggetto prodotto dall’uomo, descrivendo a sè
stessi l’aspetto e la funzione dell’oggetto, sino a condensare il
tutto in una specie di immagine di sintesi. Dopodiché tale immagine va
tenuta davanti alla coscienza per almeno 3 minuti, avendo cura di non
voler vedere altro che quella.
In altri termini, si deve tendere a voler pensare univocamente
un semplice concetto relativo ad un dato ente, affinché esso si muova
vivo nella coscienza: dopodiché tutto il pensiero suscitato deve venire
riassunto in una singola immagine simbolica e osservato come
se fosse un oggetto esterno: ciò che prima si era voluto pensare, lo si
deve ora volere vedere. Vale da dire: smettere di pensare il pensiero, per volgersi ad osservarlo.
Ogni disciplina esoterica preparatoria antica o moderna, in realtà tende a questo scopo: far sperimentare al discepolo la Forza grazie alla quale si formano nella sua coscienza i concetti.
Tutte le ascesi esoteriche si fondano sulla capacità di imparare a conoscere e quindi a vedere
la forza del Pensiero come una forza impersonale, indipendente
dall’organismo psico-fisico nel quale si è normalmente identificati:
come un substrato energetico, o meglio un’Entità autonoma esistente
fuori dall’uomo, poggiante su se stessa.
Si tratta di pervenire all’esperienza delle proprie forze di coscienza di atto.
Il giusto atteggiamento per iniziare l’esercizio della
concentrazione è quello di un aspirante musicista, che si sedesse al
pianoforte per imparare a suonare.
L’esercizio è costituito di 2 fasi: costruzione analitica delle immagini; contemplazione della loro sintesi.
1° FASE: costruzione delle immagini
Forma e colore – origine dell’oggetto - Costruzione dell’oggetto – funzione e applicazione
Dapprima la rappresentazione dell’oggetto viene formata e
descritta dalla memoria, anche se ciò che è stato già pensato
nell’esercizio di ieri non dovrebbe essere ripetuto meccanicamente a
memoria, perché ciò non sarebbe più pensare.
Il pensare dovrebbe attuarsi assolutamente nel presente, e ogni
volta in forme nuove, con intensità uniforme. Ricordare ciò che è stato
pensato ieri non è pensare attivo, ma passivo; sopratutto non è
creativo. Si può pensare lo stesso oggetto ogni giorno, senza
rappresentarselo allo stesso modo. Ogni esercizio deve essere
un’occasione per inventarsi ogni giorno un modo nuovo per illustrare un
medesimo oggetto.
Dapprima serve molto materiale rappresentativo per immergersi
nel tema, poi piano piano l’area del tema diventa sempre più piccola.
Accade da sé. Il pensare si attiva e si avverte di essere padroni nel
proprio mondo di rappresentazione; comincia a vivere. Non è più
faticoso rimanere concentrati quanto lo era invece prima, diviene quasi
spontaneo quello stato, piacevole. E’ uno stato in cui si avverte una
lucidità senza uguali, in cui le preoccupazioni e i pensieri abituali
non penetrano, non si insidiano per loro volontà. Accade
un’unificazione fra pensare e volere.
Diventa un gioco. Un piacevole gioco mentale. Sorge una piena
felicità; ogni cosa che si pensa diventa spontanea. Non si deve più
sforzarsi a pensare, ma il pensare avviene in modo semplice e naturale.
Questo stato non può essere mantenuto in modo costante o permanente, e
non deve diventare un’occasione in cui bearsi, come giunti ad una fase
di liberazione conseguita. Sarebbe una distrazione. Deve esistere solo
il tema, di nuovo; non si deve dimenticare il tema per considerare la
propria beatitudine o alla propria leggerezza. Il tema è l’ideale, non
il successo o l’insuccesso dell’esercizio. Anche il pensare le
istruzioni per eseguire l’esercizio è distrazione.
Successivamente, il cerchio su qui muoviamo il tema deve
diventare più piccolo da solo, non lo si deve diminuire volontariamente.
Deve spontaneamente avvenire che il pensare diventi più intenso e più
lento. Si deve smettere di pensare con le parole. Più si pensa in
immagini, più il pensare si intensifica, basandosi sempre meno su se
stesso.
E’ utile annotare (finito l’esercizio) ogni ulteriore intuizione riguardante la tecnica, che sopravvenga durante l’esercizio.
Pensare le immagini senza usare troppe parole significa aver conseguito rettamente un buon grado di concentrazione.
2° FASE: contemplazione della sintesi delle immagini; intuire l’idea.
Si tratta in tale fase di scorgere la pura idea o concetto puro dell’oggetto.
Non si deve cercare una rappresentazione o un immagine di
questo, ma di ricercare “l’elemento comune” a cui ci siamo riferiti per
poter attuare il lavoro di costruzione rappresentativa precedente.
Occorre attendere che si riduca spontaneamente il cerchio (la quantità) delle rappresentazioni create.
Dopo aver pensato l’origine, la costruzione, l’uso e la funzione
dell’oggetto inizierà la seconda fase: quando produrremo molte
possibili versioni dell’oggetto, secondo le varie forme che possa
apparire. Per far questo dovremo riferirci a un elemento comune che
percorre le singole differenti forme. Solo questo elemento comune ci da
la possibilità e il diritto di poter creare i singoli oggetti diversi.
D’ora in poi questo “riferimento” ideale, o elemento comune, diventa il tema della concentrazione.
La particolarità di questa “idea” è che completamente
trasparente al pensare; non si sostanzia in una forma o un immagine, ma
appare simile alla sensazione che si trae di fronte ad una formula
matematica o una figura geometrica.
Un’altra particolarità è che non è mai finita. Non essendo conchiusa in una forma, non si percepisce l’inizio e la sua fine.
E’ diversa da una rappresentazione: quest’ultima viene
richiamata e prelevata dalla memoria, tramite uno sforzo volitivo e
dopodiché può essere osservata. Qui invece non è chiesto né sforzo
produttivo, né mnemonico. Essa viene recepita come un “quid” che era
presente anche durante il processo di costruzione, essendo l’elemento
di riferimento tramite cui ciò si è reso possibile: soltanto che non
era consciamente sperimentabile.
La si avverte come un flusso, una corrente in movimento, una luce, una musica.
In questo attimo, il tema e il pensare sono uniti. Non esiste
tema al di fuori del pensare. Il pensare stesso è tema e idea.
Concentrandosi su tale tema-idea, si può dire che si osserva la propria
attività pensante.
Non ci dovrebbe essere nulla da osservare. Al momento opportuno
sorge da sé la sensazione che è in atto un’esperienza di
sperimentazione cosciente del proprio pensare, che si sta vivendo il
processo pensante. E’ osservazione solo in senso figurato: non si vive
un “dentro” e un “fuori”. Non vi è oggetto. L’oggetto coincide con il
soggetto. La coscienza ottenuta esiste accanto al pensare. Essa è la
fonte stessa del pensare, il vero io sono. Appare il Sé umano. Un
essere sovrasensibile.
Quando si attua in noi la consapevolezza di aver attuato in noi
questo stato, si può prendere in esame un tema più universale, come
quello di triangolo o cerchio. Anche se è bene proseguire con il tema
iniziale.
Si potrebbe anche dire che il lavoro di costruzione precedente è
stato solo un pretesto per poter conseguire questo stato o fase; da
questo punto in poi si può eleggere qualsiasi altro tema, da cui
partire per avviare o una contemplazione su idea universale (forme
geometriche o frasi mantriche) o una meditazione su un sentimento
oggettivo (fratellanza, giustizia, gioia).
La seconda fase è assai più suscettibile di distrazione, poiché
in essa il tema esiste solo grazie alla nostra propria attività. Non vi
sono immagini, ma solo riferimenti ideali. Non vi sono elementi
concreti. E’ una fase di conoscenza non-mediata.
Con l’apparire della coscienza del Sé, i sentimenti egoici
diventano più superflui. I sentimenti si liberano, poiché l’io non ha
bisogno di nulla per affermare se stesso.
L’ego si sente, mentre invece l’io è.
L’ego ha bisogno di esprimere se stesso tramite pensieri,
sentimenti, azioni, per soddisfare le sue ambizioni, per affermarsi,
mentre l’io non pensa, non sente, non vuole: è semplicemente qui, è
tutto, non gli serve e non desidera nulla perché ha tutto in sé, è
tutto.
L’ego si regge sul bisogno di autoaffermazione avvalendosi di
cose a lui esterne; l’io non ha bisogno di nulla, perché contiene
tutto.
Difficoltà
Se durante la concentrazione la coscienza cade in uno semi
sognante, è bene interrompere l’esercizio perchè è richiesto invece uno
stato pienamente lucido e cosciente.
Può accadere anche che l’oggetto evocato cominci ad animarsi;
ciò non è buon segno, perché significa che esso ha assunto un aspetto
indipendente, ossia è “mosso” da qualcun’altro che è esterno alla
nostra volontà. Ogni cosa che creata da noi, nell’esercizio, deve
essere completamente sotto nostro dominio.
Qualora la concentrazione non si realizzi, ma ci si distragga
spesso, può essere utili raccontare a voce sussurrata i pensieri che
solitamente vengono elaborati mentalmente, come se volessimo
raccontarli ad un’altra persona.
Tiziano Bellucci
Amare senza desiderare: una mèta umana Febbraio 2013
Noi umani viviamo come occultati in un incantesimo, che ci nasconde la reale natura della condizione in cui viviamo.
La scienza dello spirito ci dice che se potessimo vederci con
gli “occhi dello spirito” vedremmo che noi umani non siamo separati gli
uni dagli altri e che come spiriti viviamo in una completa unità, in
una compenetrazione assoluta.
La realtà della nostra vita ci appare frammentata in percezione e concetto, soggetto e oggetto come due cose distinte, divise.
In sé la natura, le nostre entità non sono separate, ma parte di un unico corpo, di un'unica entità.
E’ solo a causa della strutturazione della nostra coscienza che
tutto appare duale, disunito: l’anima è fatta in modo da farci
sperimentare una “separazione”, una distinzione fra i corpi: io sono
qui, lui è là. Ed è anche un bene che sia così: non d’un tratto ci si
affacciasse la reale condizione in cui siamo posti (condizione che
viviamo durante lo stato di sonno e dopo la morte) ci scopriremmo parte
di una realtà “marina” in cui come onde viviamo gli uni negli altri,
senza possibilità di poterci afferrare in un nucleo individuale, perché
di continuo, immergendoci nell’ambiente e negli altri, saremmo di
continuo trasformati in ciò che attraversiamo. Saremmo soggetti ad una
continua e perenne metamorfosi: diventeremmo sempre qualcosa di altro
rispetto noi stessi.
La saggia natura corporea ci ha posta quindi in un “incantesimo
benedetto” entro il quale dobbiamo vivere l’illusione di essere
separati.
Questo genera la particolare stato di coscienza umano: ma è
anche la base su cui si origina ogni sofferenza, nostalgia e
malinconia.
L’umano appare come un “eterno insoddisfatto” perché
mancandogli di continuo la coscienza dell’unità con il mondo e gli
altri, tenta di sopperire a questa tramite artificiosi sotterfugi.
Soprattutto nei sentimenti.
L’umano desidera una compagna e la vorrebbe legare a sè per
sempre, compiendo un assurdo: vorrebbe compiere un unione, una
saldatura che è invece già realizzata dall’eternità: ella è già legata a
lui, essendo parte dell’universo dove entrambi ne sono un particella
costitutiva.
Di certo l’ambizione di “fare dei due una carne sola” è una
meta che appartiene di più ad un processo che deve compiere la
coscienza, che non un fatto fisico. Anche se nei corpi è incantato il
“presentimento” di una possibilità di afferrare questa unione occulta:
presentimento che si invera “facendo l’amore” perché esso è uno dei
pochi momenti in cui l’unità di cui si è accennato sinora, si realizza e
diviene un fatto reale esperibile da entrambi. Ci si sente “uno”.
“L’io che si identifica con la sua forma terrestre sente
come propria, la separazione fra lui e l’altro, e soffre la nostalgia
dell’unità con l’altro, che invece nel suo intimo già possiede. La
ravvisa, ove la forma bramata dell’altro possa risalire al vero essere,
che è il suo essere: il suo io. L’io spirituale è uno con la realtà
dell’altro, ma di ciò non se ne ha mai coscienza. L’atto sessuale
sembra realisticamente ripristinate tale unità: ma ciò è soltanto il
gioco della luce riflessa suscitato dal gioco della forma astratta.
Nell’atto sessuale con l’altro, sorge la sensazione di
beatitudine, perché in esso vi è la condizione tramite cui si attua
una proiezione sensibile di ciò che invece è una realtà compiuta nel
mondo spirituale. L’anima cerca mediante il corpo ciò che è suo da una
remota infinità, o da un tempo originario; lo fa però tendendo verso
l’esterno, ignorando che l’altro è già dentro di lei”.
L’atto sessuale è l’illusa, tentata immersione dell’io nell’altro io”.
Tuttavia al principio, si deve cercare se stessi attraverso
l’altro: altrimenti non avrebbe senso la vita sociale e di coppia. Si
deve amare l’altro per divenire capaci di trovare l’amore in se stessi.
Il contrario è quasi impossibile. L’umano è sostanza di amore: ma
quell’amore deve passare attraverso l’imbuto dell’egoismo e scadere
nella materia, per ridiventare un amore divino. La cosa fondamentale
che deve e doveva essere coltivata affinché sorgesse nell’uomo una
retta capacità di amare non poteva essere altro che lo sviluppo della
sua piena autocoscienza. Portatore del vero amore non può essere
nient’altro che un io indipendente che sperimenta l’essenza
dell’egoismo gradualmente, di incarnazione in incarnazione. Può nascere
la massima capacità di amare solo se si conosce e si sperimenta il suo
contrario: l’odio e l’egoismo. E questo poteva solo succedere su un
pianeta predisposto: la Terra. Solo un amore divenuto egoista, quindi
un amore prigioniero delle sue brame e passioni, può risorgere come
amore libero, che ama senza desiderare. Che è la mèta dell’uomo.
Vi è bisogno di amore. Di tenerezza e di calore. Non attraverso
la sola conoscenza e l’astrattezza dei concetti realizzeremo il
progetto divino. Ma attraverso la reale pratica d’amore. Che è sempre
più tendere a “com-prendersi”, ad accettare ad accogliere l’altro come
un essere che come noi, ha i nostri stessi desideri. In realtà non vi
umano che non abbia bisogno d’amore e non voglia amare, come noi:
soltanto che non lo sa ancora. Si tratta soltanto di accorgersene. E di
cominciare ad incontrarci su questo piano. Ora.
Tiziano Bellucci
La conoscenza, il perfezionamento di sé e il destino in anticipo Gennaio 2013
Apprendere, acquisire conoscenza significa
divenire sempre più consapevoli e più partecipi dello stato delle cose
riguardo il senso della vita e la missione dell’uomo sulla terra.
Qui per “conoscenza“ non si intendono le nozioni
scientifiche, ma le rivelazioni provenienti da indagini chiaroveggenti
di individui predisposti.
Più conosco e più mi si “svela” il mondo, i suoi
esseri e i suoi propositi. Più apprendo è più vengo a sapere cosa devo
fare e cosa non devo fare: che cosa si attende da me il cosmo. Mi si
rivela il mio ruolo nell’economia universale come essere umano.
Al contempo tramite il conoscere mi vengono
messe a disposizione soluzioni, giuste indicazioni per come operare in
modo retto, sano e fecondo nel mondo.
Se eseguo in modo corretto quelle indicazioni
(che spesso implicano una “modificazione” morale di me stesso) allora
opero nel mondo e contribuisco al divenire: tutto sarebbe in armonia.
Ma cosa accade se pur conoscendo cosa non mi è
utile, cosa “non è bene che io faccia” io faccio il contrario? Pur
sapendo che la linea generale è “smettere di far quel che mi pare” per
adempiere invece ai propositi che sono scritti nel mio destino, cosa
accade se io mi abbandono ai miei utilitarismi, rinnegando i qualche
modo la conoscenza e la mia coscienza?
Accade un fatto sconveniente.
Di solito un iniziato, sa che “per ogni passo
verso la conoscenza deve fare tre passi verso i perfezionamento di se
stesso” : conoscere significa “moralizzarsi”, ossia diventare individui
eticamente responsabili di tutto.
Un iniziato è un individuo che precorre nel
tempo l’intera umanità: compie in una vita ciò che la globalità degli
uomini realizzerà in millenni. Acquisisce doti e facoltà interiori,
poteri spirituali che sono conseguibili solo a mezzo di una severa
disciplina occulta.
Questo comporta che, anticipando il suo futuro e
quello dell’umanità debba trovarsi davanti anche quegli eventi, quegli
incontri del destino che si sarebbero svolti solo in un lontano
futuro, in vite future. In altri termini egli si trova in una sola vita
a far fronte a “risolvere” legami di destino che forse avrebbe potuto o
dovuto adempiere solo in tante vite. “Molti colpi di destino “ gli
arrivano: viene investito da molti effetti karmici che come attratti da
una calamita si precipitano verso lui. Solitamente tali “effetti
karmici” si presentano come eventi dolorosi. Solitamente l’iniziato è
dotato di potenti forze per far fronte a ciò: in altre parole, la sua
iniziazione è connessa con il suo karma.
Egli si dedica al propri perfezionamento, affinchè in lui si generino
forze capaci di affrontare il destino in modo adeguato e di risolverlo.
Solo se “diventa un essere perfetto, morale e giusto”, risolvendo,
perdonando e amando può conseguire le sue doti e al contempo “liberarsi
dal suo destino”.
Cosa accade invece se un uomo comune, non
sottoposto a discipline, non dotato di enormi forze di compassione e di
perdono, e quindi per nulla motivato ad essere “saggio ed elevato”,
cosa succede se si dedica allo studio, al conoscere tanto da
“riempirsi” di infinite rivelazioni spirituali?
Ciò che avrebbe dovuto conoscere per via
naturale in tante vite lo viene a conoscere in una vita: il suo livello
di consapevolezza cresce e pur conoscendo nulla, non fa nulla per
migliorarsi.
Accade che come all’iniziato il crescere di
conoscenza e consapevolezza, accresce il carico del suo destino, che
gli viene incontro, travolgendolo. Incidenti, scontri, malattie, liti e
discussioni di tante vite, arrivano in una sola vita e reclamano di
essere risolti in modo impellente, ora. L’individuo incapace di gestire
tale impeto, privo di forze e protezioni è destinato a soccombere.
Questo è il pericolo del tempo odierno.
Siamo circondati da libri, individui che in poco
tempo e parole semplici senza richiedere all’uditori il minimo sforzo
(spesso viene chiesto denaro) donano la conoscenza occulta: essa viene
diffusa. Si ricevono “iniziazioni in un week end” o per corrispondenza.
All’individuo vengo rivelati dati fatti occulti,
che lo destano e lo potenziano, senza affiancare al sapere una
appropriata disciplina interiore compensatrice.
Ovunque veniamo bombardati da nozioni occulte:
ogni “saggezza” acquisita senza sforzo, senza metterla in pratica reale
comporta “attirare” destino futuro in questa vita. Senza esserne
consapevoli, accrescendo la nostra conoscenza ci assumiamo la
responsabilità di impegnarci a far fonte giù da ora a grosse
preoccupazioni di destino.
Conoscere significa attivare un anticipazione di destino.
Qui, non si vuole dire che occorre"smettere di
conoscere": ma piuttosto avvisare dell'effetto che "ingenue" nozioni o
"leggeri" insegnamenti possono fare sul carico di vita umano.
Vi sono cose che agiscono ed esistono anche se non vi crediamo.
Conoscendo, ci si responsabilizza senza saperlo.
Se decidiamo di conoscere, cerchiamo dunque di
farlo armandoci delle qualità morali adeguate al contrappeso che ci
verrà richiesto.
Tiziano Bellucci
Il ruolo del maschile e del femminile per il Divenire della terra Dicembre 2012
La donna in un tempo antico aveva un rapporto
diretto con le entità dell’universo. Aveva un ruolo di “ponte” fra la
materia e lo spirito. Riceveva dallo spirito le ispirazioni, le
direttive dal mondo sovrasensibile: le cosiddette “muse”, indovine
erano donne chiaroveggenti che effondevano nell’umanità bellezza e
creatività. Attraverso la donna si è creata tutta la conoscenza
religiosa del passato, tutta la tendenza verso il bello e il buono.
Erano le donne che trasmettevano all’umanità dei primordi la direzione
morale attingendola direttamente dalle regioni superiori spirituali.
Dal quarto secolo A. C. (in Grecia, Egitto,
Roma) avvenne un cambiamento: nel maschio fluirono potenti forze di
razionalismo che andarono a sostituirsi all’azione ispiratrice del
mondo femminile. L’umanità smise di venire ispirata dalle donne, e
cominciò a diventare “razionale”. Perse il contatto con il divino, la
guida saggia delle femmine, per venire addestrata dalla mente maschile.
Il materialismo cominciò a diffondersi. Da quel momento avvenne anche
la “discesa” sociale della donna, la quale venne accantonata,
disprezzata, violentata moralmente, fisicamente e associata
impropriamente a forze oscure (vedi streghe medievali). La donna
cominciò a subire la supremazia del maschio e smarrì la connessione con
il divino. Venne a scadere sia socialmente, che spiritualmente. Perse
le sue facoltà a causa dell’oppressione maschile.
Il materialismo fu un fatto necessario per
l’individuazione del singolo, che deve però essere superato. Doveva
venire reciso a mezzo dell’uomo il legame con il mondo spirituale,
affinchè si potesse poi rifondarlo su una base nuova, cosciente. Se
l’umanità avesse continuato ad essere condotta da un mondo spirituale
che operava tramite il femminile, l’umano non avrebbe mai potuto
conseguire l’individualità, sarebbe stato un essere guidato dal mondo
celeste in modo automatico.
Oggigiorno dobbiamo essere capaci di compiere grandi gesti: atti eroici, soprattutto interiormente.
Essere capaci di vedere la passata sottomissione
della donna come una “fase” dettata da una precisa volontà superiore
di fare sprofondare l’umanità nel materialismo, richiede una grande
spregiudicatezza.
Parlare di “necessità” del maschilismo è indubbiamente qualcosa di infame.
Ma pensare che doveva “necessariamente”
interrompersi quell’antico “matriarcato” spirituale in cui la
Saggezza del mondo spirituale dominava l’umanità come rigida
“genitrice” rende tutto plausibile.
La Madre del cosmo, istruiva l’umanità
attraverso il mondo femminile, il quale riportava tali leggi e
direttive entro il consorzio umano. Questo era in realtà il
“matriarcato”: l’edificazione e la conduzione della coscienza morale
umana secondo indicazioni provenienti dal mondo spirituale. Una
“educazione” occulta, tramite il femminile.
L’avvento del “Patriarcato” interruppe la
comunicazione e la possibilità di venire addestrati dal cosmo
spirituale. L’uomo divenne libero dalle leggi divine, ma anche più
solo, abbandonato a se stesso. Tale solitudine lo spinse a cercare
simulacri di Dèi nel mondo fisico. Il materialismo, la soddisfazione di
sé tramite beni materiali, soppiantò l’antica guida del cosmo
femminile.
L’umanità doveva arrivare ad una fase in cui
toccando il basso, doveva avvertire una spinta che la facesse risalire
verso l’alto.
Il tempo del "matriarcato" è paragonabile ad un
tempo in cui l'umanità era bambina, ed era irresponsabile, incapace di
autonomia: era guidata dal mondo spirituale che tramite il mondo
femminile indicava la direzione da seguire.
Il tempo del "patriarcato" è invece il tempo
dell'adolescenza dell'umanità, ove entra in scena una ribellione, in
cui gli individui smettono di prendere norme dal mondo spirituale e si
rimettono ai loro impulsi, alle loro necessità interiori.
Ora ci troviamo nel 21° secolo e l'umanità ha acquisito l'età della maturità, la "maggiore età".
Non è possibile qualificare i tempi antichi come
migliori degli attuali: non si può dire che l'infanzia è meglio
dell'adolescenza. Sono entrambi "fasi" della vita che servono per
costruire l'individualità. Una volta diventati adulti, non si può più
tornare indietro. Si vede il passato come un periodo necessario al
proprio sviluppo.
In futuro non vi sarà più un cosmo che guida
l’umanità. Né un patriarcato o un matriarcato. Ma una maschio e una
femmina che consapevoli dei loro passati ruoli, come bambini cresciuti,
adulti, cammineranno insieme verso il luogo da cui sono provenuti.
Torneranno alla loro casa, portando con sé il frutto del loro lavoro
insieme e intraprenderanno un processo di collaborazione consapevole
con le entità del mondo spirituale.
Il mondo spirituale che un tempo guidava la
Terra tramite le ispirazioni del mondo femminile non imporrà più la sua
volontà, ma la condividerà con l'umanità futura. L'umano interagirà
con il cosmo, divenendo egli stesso un collaboratore e amministratore
delle leggi del cosmo. Diverrà un essere della decima gerarchia: un
angelo che dopo aver attraversato il massimo materialismo, ha edificato
la massima libertà, la massima capacità di amare in modo libero.
Matriarcato e Patriarcato appariranno così come due "fasi" necessarie
all'edificazione di quell'entità spirituale futura: l'umanAngelo.
Quando oggigiorno, le varie confraternite dicono
che la donna “deve tornare ad innalzarsi, ad essere ciò che era” si
intende che si deve riportare la donna all’antico splendore, quando era
in grado di farsi ispirare dallo spirito le leggi estetiche e morali.
Le antiche qualità femminili sono come “state
dimenticate” dalla donna, riposte in lei, seppellite da secoli di
pregiudizi e ingiustizie. Si tratta di farle nuovamente riaffiorare, di
ripristinare le condizioni affinché la donna possa ricollegarsi con il
divino in modo cosciente. Tali capacità perdute possono essere
riacquisite tramite un cammino di autoconoscenza.
L’uomo deve riconoscere la donna come colei che
può farlo emergere dal materialismo, attraverso la forza
dell’ispirazione e della Speranza. Il ruolo dell’uomo sarà di
accogliere i contenuti femminili, conferendo loro una forma.
La donna è la forza, l’uomo la forma.
Tiziano Bellucci
Il Pensare ritrovato Novembre 2012
Tutte le passate, antiche forme di conoscenza
si basavano sul principio dell’osservazione della natura:
l’osservazione dei fatti, l’analisi dei fenomeni in sé già completi. E’
andato perduto tale antico metodo: quello che donava una conoscenza
“artistica” del mondo.
Si deve essere consapevoli che procedere nell’indagine del mondo
secondo il canone scientifico attuale, significa creare un collegamento
fra i fatti empirici esteriori (osservazione) e qualcosa di costruito
in modo completamente interiore (leggi concettuali). E’ l’uomo che
“inventa”, deduce o suppone una logica che opera nei fenomeni
percepiti: non sono mai le cose che parlano di sé, ma l’uomo che le
precede, tentando una spiegazione di esse.
Goethe
ha cercato di rivalutare e ricostruire in forma moderna un nuovo
metodo scientifico, basandosi su un principio di osservazione,
“artistica”.
Egli “non usava la ragione per ricercare
qualcosa dietro i fenomeni, ma per osservarli in modo che si spiegassero
a vicenda e si componessero in una unità”.
Goethe aveva istituito un metodo di
osservazione pura, in cui usava il pensiero non per “ragionare” o
dedurre significati intellettuali dalle cose: usava la ragione per leggere le cose.
Noi leggiamo uno scritto, formando un tutto con
le singole lettere: ogni singola riga ci consegna un determinato senso
o concetto. Analizzare le singole lettere non ci porterebbe a nulla.
Nel linguaggio ordinario si deve smettere di prestare attenzione
(dimenticare) della forma delle varie lettere alfabetiche che
compongono una parola, se si vuole arrivare ad apprendere il senso che è
espresso nella parola intera. Non porta a nulla considerare la forma
della “C” o della “L” se si vuole arrivare al concetto della parola
“cielo”.
Si deve operare una sintesi: dimenticarsi della
totalità delle lettere, per accogliere il significato che tutte
insieme contengono, esprimono nella loro totalità.
Goethe faceva lo stesso con i singoli fenomeni
della natura. Non filosofeggiava sulle vibrazioni del suono, della
luce, delle forze misteriose che potrebbero esistere dietro ad un
processo. Non usava la ragione per speculare cosa opera dietro i
fenomeni. Ma così come noi leggendo uno scritto dobbiamo collegare ogni
lettera e dimenticarci delle forme della scrittura per cogliere il
significato concettuale, egli riunisce tutti i singoli fenomeni in modo che sia possibile leggerli nel loro insieme.
Goethe adopera il pensiero come un mezzo di “lettura cosmica”. Egli
attende che la contemplazione dei singoli fenomeni lo porti a far si
che essi si spieghino a vicenda componendosi in una unità. Non cerca
qualcosa dietro al singolo fenomeno, ma cerca di “leggere” nei fenomeni
che accadono spazialmente e nel tempo, un significato superiore. “Non si cerchi nulla dietro i fenomeni, sono essi stessi l’insegnamento.”
Accade qualcosa di analogo, quando in termini occulti, rosicruciani, si parla de “La lettura della scrittura occulta,” la modalità esoterica di definire la coscienza ispirata. La “capacità di leggere i caratteri di cui sono composti i nomi divini”. Di fatto i “caratteri” di siffatta scrittura occulta sono quelle immagini
eteriche che appaiono al discepolo attorno agli oggetti che egli
contempla tramite l’immaginazione, dopo aver superato la fase di
concentrazione del pensiero: tali rappresentazioni immaginative devono
venire composte insieme, o meglio dimenticate per poter far affiorare
il significato globale di ciò che dietro ad esse vive e si può
esprimere.
Come scienziati dello spirito, si deve riuscire
addirittura arrivare a superare lo stesso Goethe (che era il
precursore di questo nuovo modo di indagare) per arrivare a conseguire
un tal sentimento di unificazione con i processi stessi. Si deve voler
vivere entro i fenomeni, desiderare di immedesimarsi in essi, vivendoli
intensamente. In tal modo si realizza quell’atteggiamento di dedizione
amorevole nell’atto della ricerca: l’unico che conferisce risultati
alla ricerca occulta.
Secondo le indicazioni di Goethe, dobbiamo
quindi rieducarci alle fenomenologia e all’osservazione. Ma la vera
novità dell’indagare goethiano sta nella fase finale dell’osservazione.
Immaginiamo per esempio che l’indagine sia
rivolta verso una determinata pianta o un dato minerale; anche se
questo è applicabile anche a fatti o eventi umani.
Dopo essersi familiarizzati con l’intero
decorso spaziale/temporale dei vari fenomeni, dopo aver analizzato,
realizzato diverse e attente osservazioni delle singole fasi esprimenti
il tema indagato, occorre ritrarsi in un ambiente appartato e
silenzioso. Occorre cominciare a ricordare esattamente e
chiaramente tutte le osservazioni compiute, tutti i singoli particolari
investigati. Possibilmente senza usare le parole e la dialettica, ma
solo evocando le immagini di ricordo le osservazioni compiute. Accade
allora che fra i ricordi e unitamente all’attività del ricordare si
affaccerà una nuova immagine ben densa e pregna, nella nostra
coscienza. Si tratterà poi di cancellare tutto, di reprimere tutto per
deliberazione interiore: attivando la coscienza ispirata. Si dirigerà
ora l’attenzione soltanto verso la forza animica di dedicazione impiegata. La coscienza deve essere sgombra di immagini: impregnata solo dell’eco della forza di sentimento spesa sinora.
E si attenderà così pazientemente, un responso
dal mondo spirituale. Che non tarderà ad arrivare al di là dell’abisso.
Apparirà una conoscenza che mostrerà un altro lato dell’esistenza.
Ma ci si potrebbe chiedere: come mai è possibile ottenere una conoscenza che si basa sulla percezione (osservazione), anziché sui concetti?
In conseguenza all’applicazione di questa
metodologia goethiana non solo si può ottenere una coscienza siffatta,
ma si svela anche la missione della forza del pensiero e il suo ruolo
nell’economia conoscitiva umana. Si comprende cosa è il Pensiero vivente.
Come espressione della corrente di vita dell’universo che intesse con
la sua trama, ogni cosa esistente nel mondo: un principio di
“unitarietà” organica del cosmo, pervaso e legato in una comune vita.
Si viene a sapere che ogni cosa o essere è
collegata, permeata dalla stessa corrente di vita unitaria. Il pensiero
ordinario nell’uomo è una frammentaria e momentanea espressione di tale
vita unitaria, che si mostra come facoltà di ragionare. “Scade” dalla
sua natura vivente per metamorfosarsi in pensiero astratto.
Ma perché chiamarlo “pensiero vivente”, essendo
come natura più affine alla natura di un qualcosa di vita vegetale, di
impersonale, un qualcosa di così dissimile dal concetto di pensare
umano, esprimente razionalità e intellettualità? Perché non chiamarlo
in altro modo?
Invece è appropriato chiamarlo “pensiero”
perché nella sua essenza reca più “intelligenza e saggezza” di quello
che vi è nel pensare umano.
La natura del pensiero di fatto si palesa come un
essenza titanica di vita fluente incessante, un tessuto sovrasensibile
ove si intrecciano colloqui spirituali, deliberazioni di volontà
promananti da entità divine: impulsi connotati secondo progetti e
intenzioni di una saggezza sovrumana. In esso fluttua la “parola primordiale” cantata di coro in coro, di angelo in arcangelo.
Il pensiero usuale è quindi un “non pensiero”
ossia, un cadavere. Ma deve divenire tale, per poter essere cosciente
di sé. Deve diventare pensare umano, per essere ritrovato come pensare
divino.
Tiziano Bellucci
La concentrazione del pensiero Ottobre 2012
Vi è una precisa differenza fra pensare e
osservare: pensare è assistere passivi allo scorrere di pensieri che
fluiscono nella mente in modo associativo, automatico; osservare è
guardare la propria produzione di pensieri, proiettare nella propria
visuale interiore nuovi pensieri tratti non dalla memoria, ma dalla
propria capacità creativa secondo una logica di concatenazione e di
conformità al succedersi dei fatti. Osservare la produzione della
propria sostanza mentale. E’ come dire: si sperimenta ciò che esiste nei pensieri quando sono lasciati a se stessi. Ci si accorge così che piano piano si smette di usare il cervello, per cominciare ad usare il corpo eterico.
Lo sforzarsi ad arrivare ad “osservare, a considerare le proprie forze
di coscienza in atto” tramite un atto di estrema concentrazione e
dedicazione, causa una rafforzamento del pensare che cessa di essere
astratto, e diventa vivente. Prende un movimento e una vita sua
propria: cessa di essere rappresentazione, elucubrazione per diventare
una forza viva impersonale, prima di connotazioni egoiche. Avere
l’esperienza di vivere l’essenza del proprio corpo eterico significa
sperimentare questo particolare pensare: un pensare come forza
vivente. Energia eterica: l’esperienza di un qualcosa che “tesse” oltre
i pensieri: qualcosa che è “più” del solito pensare.
Si comincia solo allora a saggiare cosa
significhi usare consapevolmente il proprio corpo eterico, cosa
rappresenti pensare usando un organo eterico e non fisico: che equivale
a vivere il pensare non come “pensiero” o facoltà di pensare, ma come
esperienza di percezione degli esseri spirituali agenti nelle cose. Si
scopre solo allora che “pensare” è vivere nelle cose, avere un atto di
comunione intima con le cose. Ci si accorge che sinora non si aveva
mai pensato veramente, ma solo connesso insieme ricordi e nozioni tratte
dalla memoria. Si aveva “associato e confrontato”, non pensato.
Pensando davvero, si può dire che si cessa di pensare in modo
ordinario, trasformando ciò che si chiamava prima “pensiero” in organo
di percezione animico purissimo, in grado di consegnare all’io
percezioni pure: percezioni che l’io traduce in intuizioni
coscienti. In altri termini si diviene consapevoli che sinora si aveva
usato impropriamente un “occhio” (il corpo eterico) a guisa di
“associatore di pensieri”, di memoria. Riportando il pensare al suo
ruolo universale, lo si riporta alla sua dignità di strumento di
percezione della vita universale.
Il pensare “occhio” di Rha egizio, risorge nell’anima.
Al contempo ci si accorge che il pensare non è legato alla materia. Esso è di natura sovrasensibile.
Il pensare, se viene rafforzato, sviluppato da
divenire ricco, mobile e denso interiormente tramite la concentrazione,
esso si solleva dalla sua apparente ordinaria natura, e ci trasporta
direttamente entro una nuova condizione della nostra coscienza. In
quello stato, sperimentiamo come se il valore e la qualità della nostra
coscienza si fosse eccezionalmente accresciuta. Lo sforzo
concentrativo ci ha “spostati” all’interno del corpo eterico, facendo
si che la coscienza non si immedesimi più con il cervello e il corpo
fisico, ma con il corpo eterico. In altri termini il nostro reale essere
spirituale si presenta direttamente ora entro il nostro corpo eterico,
senza la mediazione della riflessità conferita dal corpo fisico.
“Diveniamo” ora davvero l’io, assaggiando una natura qualitativa
diversa di noi stessi. Di fatto viviamo sempre nell’esclusione di
questa esperienza: la natura reale del nostro essere spirituale ci è
sempre “celata”. Durante l’evento del “pensare vivente” l’Io vive nel
corpo eterico e noi ci ritroviamo allora “cambiati”, perché ci
sperimentiamo come esseri non più dentro al corpo fisico sottomessi
alle sue espressioni, ai suoi istinti: ma fuori di esso. Questa nuova
condizione realizza un esperienza particolarissima. Ciò che eravamo
prima, ciò a cui dicevamo “io” diventa ora un essere esterno a noi, un
oggetto indipendente a noi. Questo perché il nostro essere spirituale
viene “strappato” fuori dalla vita del corpo tramite gli esercizi
animici, contenuti nella Scienza occulta o L’Iniziazione di R. Steiner.
Immedesimandosi nel pensare vivente, puro, libero dal sistema nervoso,
ci si scopre quindi estranei a ciò che ordinariamente dicevamo “io”.
La somma di attributi, istinti, passioni che prima costituivano il
nostro “essere io” diventa un “tu”. Non ci si sente più legati alle
proprie ambizioni e determinazioni usuali, ma le si vedono come qualcosa
che non ci appartiene. Questo accade perché si vive nel vero “io” che
non ha bisogno di nulla oltre a se stesso per essere.
Il rafforzamento, fa cessare la dipendenza
dell’anima dal sistema neurosensoriale: si realizza il cosiddetto
“pensiero libero dai sensi”.
Il pensare ordinario è troppo limitato
dall’influenza dell’anima legata al corpo: non è in grado di entrare
nel mondo spirituale. Il corpo impronta e predispone il pensare
ordinario secondo una caratteristica che lo lega ad elementi che
esprimono soggettività, quindi separazione, personalismo, egoismo. I
sensi rapportano il pensiero agli oggetti materiali, e l’anima apprende a
desiderarli e a usufruirne per suo vantaggio: questo determina una
legame dell’anima con il mondo dei sensi e le sue manifestazioni. Sino a
che l’anima è legata ai sensi, non è in grado di penetrare nel mondo
spirituale, perché le manca la forza dell’impersonalità, impregnata
nella convenienza utilitaristica egoica. Solo attraverso una pratica
esoterica l’anima diviene capace di svincolare il pensare dal proprio
essere abituale, egoico, scollegandosi dal corpo fisico. Proprio perché
l’anima diviene capace di smettere momentaneamente i sensi e il corpo,
elevandosi alla coscienza immaginativa, vivendo entro il corpo
eterico, riesce ad accedere alla soglia del mondo spirituale.
Occorre superarlo, tramite diversi esercizi di
pensiero che aiutino a svincolare il pensare usuale dai sensi. Si
tratta di un pensare troppo debole per percepire lo spirituale.
Gli esercizi atti a conseguire un distacco dal
pensare ordinario, si attuano a mezzo dell’analisi di pensante di
rappresentazioni simboliche. Sono pratiche tramite cui, con energica
concentrazione, portiamo l’attenzione preferenzialmente verso pensieri
con carattere di immagine. Si deve aver cura di considerare pensieri
che si possano dominare con lo sguardo interiore, e che dei quali si
possa ben essere certi che siano stati formati da noi, che siano nostre
produzioni. Non deve trattarsi di ricordi o reminescenze: devono essere
pensieri creati a nuovo per l’occasione. Cosa fondamentale a questo
punto, fatto l’esercizio è la ripetizione. Siccome il “ripetere” il
lavoro varie volte su uno stesso simbolo
può portare ad automatismi, è bene cambiare volutamente sempre i
concetti e i pensieri di cui egli è formato per timore di ricadere in
un ripetere automatico. La forza animica non deve svilupparsi tramite
un “ricordare” ma un “creare” ex nuovo. E’ importante ripetere lo
stesso simbolo: proprio perché si ritorna sempre allo stesso concetto
simbolico, lo si separa dalla vita consueta del pensare ordinario e lo
si “affida” al mondo spirituale che lo elabora senza di noi. Con il
tempo, accadrà che dopo anni si reincontrerà quel lavoro di pensiero
che si aveva “consegnato” al mondo spirituale: si accederà allora ad
una fra la più importanti esperienze interiori che introduce al gradino
successivo nella conoscenza spirituale: la conoscenza/esperienza del
proprio corpo eterico.
Per poter accogliere e registrare le esperienze
che si fanno tramite il proprio corpo eterico, durante l’indagine del
mondo spirituale tramite il proprio corpo eterico, occorre sviluppare
una particolare facoltà: il colpo d’occhio, la presenza di spirito. Le
visioni spirituali si manifestano con carattere di “fulmineità” sono
attimi velocissimi, immagini immediate. Se non si sviluppa questo, può
accadere che non si veda nulla, non perché nulla si è manifestato, ma
perché non si è stati in grado di “registrarlo”. Questo gradino della
chiaroveggenza non penetra ancora nel reale mondo spirituale, ma nei
suoi avamposti. Si osserva il contenuto del proprio corpo eterico.
Solitamente ci si ricorda di un sogno
perché nell’attimo del risveglio, essendovi un legame fra l’astrale e
l’eterico le esperienze fatte nel mondo spirituale si rispecchiano nel
corpo eterico, rimanendo presenti in esso. Il rispecchiamento avviene
quando il sonno non è abbastanza profondo e il corpo astrale sta per
rientrare nel corpo: quando esiste una connessione fra l’eterico e
l’astrale.
L’essenza del pensare è qualcosa a cui noi
partecipiamo, tramite il nostro corpo eterico. Il pensare universale è
la potenza di vita che intesse e organizza ogni cosa del mondo: vive
nei corpi eterici di vegetali, animali e umani. Nella pianta è sola
vitalità, nell’anima istinto, nell’uomo pensiero consapevole.
I pensieri ordinari, sono prodotti dall’azione
dell’io umano che si “appoggia” sul cervello. Il pensare reale è di
natura sovrasensibile: esiste fuori dal corpo, prima del corpo. Esiste
senza il corpo, ma può apparire in essere solo in virtù dell’incontro,
del “cozzare” con il corpo fisico. E’ come se passeggiando su un
terreno fangoso, osservando le orme di un uomo si credesse che quelle
orme sono realizzate dalle forze del terreno, non dal fatto che
qualcuno vi sia “appoggiato” sopra. Così come “orme” sono le tracce
dell’attività del camminare, i “pensieri” sono tracce dell’attività del
pensare. Le immagini rappresentative sono “le impronte” del passaggio
del pensare cosmico entro l’uomo.
Tiziano Bellucci
Lo spirito "perduto": l'io umano Settembre 2012
Viviamo in un tempo in cui sempre più l’uomo
deve divenire consapevole del suo ruolo cosmico, del senso della sua
esistenza. Questo “senso” della vita è legato alla conoscenza che
l’uomo può formarsi di se stesso. Non indagando il mondo e le sue
leggi, arriverà la soluzione di questo compito umano; neppure navigando
nello spazio cosmico si verrà a scoprire chi sia l’uomo stesso;
tantomeno se ne troveranno tracce esplorando la sua vita psichica. Si
potrà ottenere qualche cognizione soltanto cercando di afferrare la sua
natura più intima. Esiste infatti nell’uomo un nucleo interiore,
misterioso, a lui per ora in conosciuto che si nasconde in lui, al suo
interno: è il suo Spirito, il suo Io. Mai come in quest’era, in
occidente, è andata perduta la conoscenza di cosa sia lo Spirito: e mai
come ora è necessario che l’uomo riconquisti la conoscenza di questo
elemento.
Dietro la parolina “io” è incarnato un arcano
avviluppato da tanti veli; molti ignorano che dietro a tale parolina vi
dimori l’elemento primordiale che compone la sostanza di ogni
particella dell’universo: in esso è presente lo stesso principio che si
trova insito in ogni cosa del mondo. Così come lo Spirito è la base di
ogni esistenza universale, Il nostro io è il fondamento del nostro
essere, la nostra essenza. L’io è lo spirito in noi. Ma è’ possibile
arrivare ad una comprensione e un’esperienza della presenza
dell’elemento “spirito” in noi?
Il concetto di Spirito venne abolito dalla
coscienza umana tramite un Concilio ecumenico di Costantinopoli nel 869
dopo Cristo: a quei tempi, venne deciso che l’uomo doveva essere
costituito di corpo e anima, la quale aveva qualità spirituali. Mentre
prima si designava ovunque l’uomo tripartito di corpo (soma), anima (psiche) e spirito (pneuma), accadde che egli divenne un “bipede” bipartito in due elementi: uno fisico e uno psichico.
I filosofi greci sapevano che nell’uomo vi era
un elemento della stessa natura del divino che penetrava in un corpo
unendosi ad un anima, vivendo e morendo, per ritornare poi in ripetute
terrene, tornando successivamente in corpi e anime sempre diverse.
Questo “quid” era lo spirito immortale, la scintilla di Dio. Vi fu una
necessità evolutiva che ebbe il compito di nascondere questa
conoscenza: l’uomo doveva perdere la consapevolezza di possedere un
elemento immortale che ritornava e si reincarnava in vite ripetute.
Nello stesso tempo in cui lo spirito scomparve da dentro l’uomo, come
elemento individuale, “comparse” all’esterno come Dio dell’universo, un
legislatore esteriore.
All’uomo venne inculcato che doveva vivere una
vita sola e gli era concesso di vivere come “immortale” solo dopo la
morte (se conduceva una vita “retta”). In questo modo la vita umana
perse di significato: divenne un mistero. Andò perduta l’occasione per
l’uomo l’occasione di potersi “spiegare da sé”, di sostenersi da sé:
ebbe bisogno di un istituzione esterna che lo guidasse, che desse un
senso alla sua esistenza: sorse la chiesa. Ciò designò anche l’origine
del dogmatismo religioso, che impossibilitato di “spiegare” indicava di
affidarsi alla “fede cieca”.
Queste sono le cause esteriori della scomparsa
dell’elemento spirituale. E’ possibile sperimentare in sé l’esistenza e
la presenza dello spirito?
Si provi a risalire indietro ai nostri primi
ricordi: si arriverà ad un punto in cui compare il primo ricordo. In
genere esso è attorno ai tre anni: il momento in cui il bimbo comincia a
dirsi “io”. Prima egli si dice: “Marco ha fame, Marco vuole giocare;
non dice “io ho fame, io voglio giocare”. Non è presente ancora in lui
un elemento individuale.
Si porti l’attenzione sulla percezione
che si può avere di se stessi mentre si cerca di “afferrare” lo stato
della coscienza di quel ricordo lontano, e anche di altri ricordi,
accaduti durante la vita. Si avvertirà che la qualità della “presenza”
della coscienza non cambia: se avevamo 6 anni oppure 31, non vi era
modificazione dello stato di coscienza. Ci sentiamo come muoverci in un
elemento sempre uguale a se stesso, non connotabile con una età. Colui
che “era presente” durante il prodursi degli eventi non si sente
inferiore, più piccolo, più immaturo: l’analisi viene compiuta tramite
un elemento perenne, slegato dalla condizione temporale. Una sorta di
“osservatore” senza età. Questo testimone/osservatore è il nostro io.
Vi è inoltre un altro modo per “cogliere” l’agire in noi dello spirito, durante la vita ordinaria.
- Possiamo acquisire cognizioni tramite
l’attività di percezione: attraverso i sensi riceviamo le percezioni
visive, uditive, tattili, ecc. Tramite esse possiamo farci pensieri e
sensazioni, sperimentare l’esistenza di un mondo esterno. Questo
avviene a mezzo dei sensi inseriti nel corpo fisico.
- Una volta ricevuta una percezione possiamo
decidere se essa può esserci utile o dannosa, se possiamo goderne o
rifiutarla: sentire se ci piace o no.
Questo è possibile tramite l’elemento dell’anima.
- Quando abbiamo percepito, giudicato un
oggetto, possiamo compiere un terzo processo: domandarci circa la
natura di esso, le leggi che lo governano, il suo uso e significato.
Questa prerogativa di indagarne i nessi ci è data dal nostro spirito.
Tuttavia sarebbe una concezione errata quella che afferma che la mente è
lo spirito: essa non è l'elemento spirituale, ma una sua funzione. Noi
possiamo pensare perché vi è in noi uno spirito pensante. Occorre ben
dividere ciò che pensiamo da ciò che pensa in noi, ed essere consci che
il pensiero non viene da noi prodotto, ma solo manifestato.
Possiamo dire che lo Spirito, il nostro io è
quell’elemento che può da un lato consegnarci e rivelarci la conoscenza
del mondo e insieme, l’intuizione di noi stessi, come spiriti operanti
sulla terra dentro un corpo e un anima.
Tiziano Bellucci
L'Era Dell’Acquario: Il Tempo Della Conoscenza Agosto 2012
La scienza dello spirito Europea (nata al principio del secolo scorso tramite l'impulso di Rudolf Steiner) può e vuole essere un riferimento per tutti coloro che sono in cerca del senso della vita.
“A lato della scienza ufficiale,” egli dice “esiste ed è sempre
esistita un’altra scienza che si occupa di indagare ciò che vuole
essere la verità totale del mondo: essa è antichissima, anzi nata prima
della stessa scienza materialista ufficiale; essa è denominata
"esoterismo", o scienza dello Spirito.”
Chiunque può constatare che il 1900 è stato il
primo secolo in cui siano mai state conseguite così tante scoperte in un
lasso di tempo breve, rispetto i millenni addietro.
Tale fatto è in collegamento con la presenza di
una particolare Forza che agisce nel pensiero umano, dalla fine del
secolo diciannovesimo sino ad ora, la quale reca imponenti impulsi di
pensiero, ritrovabili come possanza, solo nel periodo greco, ai tempi
della filosofia greca: è difatti il medesimo periodo in cui questa
stessa Forza agiva anche allora.
Questa Forza, non ha solo il compito di
promuovere le scoperte scientifiche ed intellettuali, ma ha anche lo
scopo di infondere nell’uomo particolari forze di pensiero atte a
praticare il ricongiungimento con Essa stessa: si tratta di un’energia
metafisica, che si trova condensata ed espressa in un uomo solo, in
tutto il pensiero di R. Steiner: la scienza dello spirito.
Egli scrive: “L’uomo vede solo gli effetti sensibili di cause invisibili che sfuggono alla sua percezione;
queste cause sono attività di Forze che dimorano al di fuori del mondo
degli effetti: quest’ultimo è soltanto una loro manifestazione.”
In altre parole: “Noi vediamo per prima solo una
parte del mondo: non siamo abilitati a vedere i legami tramite i quali
vengono azionati gli ingranaggi del mondo; tale movimento è
determinato dalle Forze che stanno alla base del cosmo, le quali sono
invisibili ai sensi.
In realtà l’uomo vede solo gli effetti sensibili che vengono prodotti da cause extrasensibili.”
Tale scienza spirituale si propone di elaborare
un metodo scientifico di conoscenza delle realtà invisibili e
inconoscibili, altrettanto rigoroso ed esatto di ciò che oggi si
pretende dai metodi scientifici nel campo delle scienze naturali. Lo
sguardo dello scienziato dello Spirito deve possedere la stessa
precisione che viene applicata dal fisico o dal matematico usuale. Si
tratta di esattezza dei particolari nell’indagine soprasensibile.
Come la scienza fisica utilizza materiali e
sensi fisici per l'indagine del fisico, la scienza dello spirito
utilizza materiali e sensi spirituali per indagare lo Spirito.
Il problema di come poter giungere alla visione
della realtà che è al di là della materia, si basa però non su un
potenziamento degli organi di senso, ma su un superamento degli stessi:
essi devono invero tacere; l’uomo deve elevarsi in uno stato superiore
di coscienza.
Così come nel sogno
l’uomo pur avendo gli occhi chiusi vede e vive se pur passivamente una
realtà che gli appare reale, allo stesso modo lo sperimentatore lascia
che il corpo si addormenti, e attivamente segue le fasi del sonno,
sino a penetrarvi e a parteciparvi sapendo che il suo corpo sta
dormendo.
Non gli appare più un mondo di simboli e immagini oniriche: gli si svela quella parte del mondo che prima nella veglia del corpo gli era celata.
Steiner giunge a poter affermare che è
possibile dapprima per tutti gli uomini attraverso il pensiero,
afferrare e comprendere in forma di pensieri, di concetti e immagini
ciò che un “iniziato” o uno sperimentatore dello spirito, può
comunicare circa le sue visioni o percezioni, ottenute attraverso lo
sviluppo di determinati organi di senso capaci di percepire
manifestazioni che rimangono invisibili ai sensi ordinari.
Comunque egli sostiene che tali rivelazioni
possono e devono venir effettuate e confermate da qualsiasi uomo che si
dedichi alla conformazione di tali organi, attraverso particolari
tecniche.
“Non devi credere a quello che ti dico, ma solo
lasciarlo agire in te; verrà un tempo che tu stesso perverrai ad una
visione extrasensibile, e allora ti accorgerai che queste comunicazioni
oltre che ad essere vere, non erano quindi solo astratti pensieri, ma
forze attive che hanno fatto nascere in te facoltà di percezione
spirituale.”
Il principale lavoro di Steiner sarà di
divulgare, oltre alle molteplici conoscenze spirituali, vari metodi ed
esercizi di tirocinio esoterico onde poter conseguire una personale
facoltà di percepire la realtà spirituale; tali esercizi attuano
modificazioni superiori nella struttura morale dell’anima: l’individuo
che li pratica si eleva dal comune gradino di umanità, modificando la
sua costituzione interiore animica. Lo stato di coscienza si innalza,
mutandosi in una “supercoscienza” tanto da poter entrare in contatto
con tutto ciò che è al di là e al di sopra del comune stato di
coscienza. Uno dei primi gradini è appunto di portare la coscienza di
veglia attiva, nello stato di sogno e di sonno.
Tale “elevazione morale” causa lo schiudersi di
organi di percezione spirituale sopiti nell’uomo stesso, ma presenti in
lui da tempi remotissimi.
Tiziano Bellucci
X-X C A M A L E O N T E X-X
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