IL MITO DI ORIONE = http://www.youtube.com/watch?v=yIYCo9IbhAQ&list=PL1F34E5A3F1F934D8&feature=plpp_play_all
A L N I L A M = Il Filo di Perle
http://www.youtube.com/watch?v=Uuw_Hh7z8sc
Forse furono furono proprio i commercianti e
naviganti alessandrini che frequentavano ed abitavano la parte alta di via
Mezzocannone (dove costituirono il Seggio del Nilo in contiguità con quello del
Porto) a far conoscere Orione ai marinai napoletani. A Napoli i popoli del
mediterraneo si sono sempre sovrapposti così come è sovrapponibile la
costellazione di Orione, cara agli egizi, alla figura del cacciatore simbolo dei
marinai napoletani.
A L N I L A M = Il Filo di Perle
Orione: il Guerriero Cosmico
http://www.youtube.com/watch?v=Uuw_Hh7z8sc
http://www.youtube.com/watch?v=yIYCo9IbhAQ&feature=relmfu
Alcuni studiosi
fanno risalire l'origine dei Seggi - una sorta di antichi quartieri cittadini -
all'epoca di Costantino, quindi al IV secolo, a seguito della trasformazione
delle fratrie, essi erano deputati alla cura della cosa pubblica. Detti
anche Sedili in epoca angioina furono ridotti a 6; di questi il Seggio di
Porto era situato all'angolo di via Mezzocannone in prossimità
dell'antica "stazione per le navi" come recita la targa posta sotto lo stemma
del seggio: un uomo velloso che sembra grondante d'acqua con un pugnale nella
mano destra.
Tale figura è riconosciuta come Orione e ad essa rendevano
culto i naviganti che popolavano il seggio. La costellazione di Orione ha avuto
un grosso significato per gli uomini di mare del Mediterraneo, in particolare
per gli antichi egizi che costruirono le 3 piramidi della valle di Giza
ripetendo in terra l'allineamento che le stelle della cintura di Orione
disegnano nel cielo.
Mitologia
Orione è la più splendente delle
costellazioni, caratteristica che ben si addice a un personaggio che secondo la
leggenda fu il più imponente e il più bello degli uomini. La costellazione è
messa in risalto dalle stelle brillanti Betelgeuse e Rigel, e ha tre stelle
distintamente allineate che formano la cintura di Orione.
«Nessun'altra costellazione rappresenta più chiaramente la figura di un uomo»,
dice Germanico
Cesare. Manilio la chiama «dorato
Orione» e «la più potente delle costellazioni», ed esagera la sua brillantezza
dicendo che, quando Orione si leva, «la notte simula la luminosità del giorno e
ripiega le sue ali scure». Manilio descrive Orione «che allunga le braccia su
una vasta estensione di cielo e che si solleva verso le stelle con un passo
altrettanto imponente». In effetti, Orione non è una costellazione molto grande,
occupa solo il ventiseiesimo posto in quanto a dimensioni (è più piccola, per
esempio, di Perseo secondo i
confini moderni tra le costellazioni), ma la brillantezza delle sue stelle dà
l'impressione che sia molto più grande.
Orione è anche una delle costellazioni
più antiche, essendo nota ai primi scrittori greci, quali Omero ed Esiodo. Persino nell'era spaziale
Orione rimane uno dei pochi raggruppamenti stellari che i non astronomi riescono
a riconoscere. In cielo Orione è raffigurato che affronta la carica del Toro sbuffante
della costellazione confinante, nonostante il mito di Orione non faccia nessun
riferimento a un tale combattimento. in ogni caso, la costellazione nacque con i
Sumeri, che
videro in essa il loro grande eroe Gilgamesh che combatteva
contro il Toro del Cielo.
Il nome sumero di Orione era URU
AN-NA, che significa luce del cielo. Il Toro era GUD AN-NA,
toro del cielo. Gilgamesh era l'equivalente sumero di Eracle, il che ci
porta a un altro rompicapo. Essendo il più grande eroe della mitologia greca,
Eracle merita una costellazione della brillantezza di questa, ma in realtà gli è
assegnata una zona di cielo molto più scura. È possibile, allora, che Orione in
realtà altro non sia che Eracle sotto mentite spoglie? Potrebbe essere, se si
pensa che una delle fatiche di Eracle fu
quella di catturare il toro di Creta e che in
cielo è raffigurato un combattimento tra Orione e il Toro. Tolomeo lo descrisse con
un bastone e una pelle di leone, entrambi noti attributi di Eracle, e così è
rappresentato nelle vecchie carte astrali. Ma, nonostante queste circostanze,
nessun mitologo accenna a una possibile connessione fra questa costellazione ed
Eracle.
Secondo il mito, Orione era
figlio di Poseidone, il dio del mare, ed
Euriale, figlia
del Re Minosse di Creta. Poseidone diede
a Orione il potere di camminare sull'acqua. Omero nell'Odissea descrive
Orione come un gigantesco cacciatore, armato di un bastone indistruttibile di
duro bronzo. In cielo i cani del cacciatore (le costellazioni del Cane
Maggiore e del Cane Minore)
lo seguono dappresso, all'inseguimento della Lepre.
La costellazione di Orione nella sua interezza
Sull'isola di Chio, Orione corteggiò Merope, figlia del
Re Enopione, apparentemente senza successo, dato che una notte, reso spavaldo
dal vino, cercò di violentarla. Per punirlo, Enopione lo fece accecare e lo
bandì dall'isola. Orione si diresse a nord verso l'isola di Lemno dove Efesto aveva la sua fucina.
Efesto s'impietosì alla vista di Orione cieco e gli offrì come compagno e guida
uno dei suoi assistenti, Cedalione. Con il giovane sulle spalle, Orione si
diresse a est verso il punto in cui sorgeva il sole, dove, a detta di un Oracolo, gli
sarebbe stata restituita la vista. E infatti quando all'alba i raggi prodigiosi
del Sole caddero su
quegli occhi spenti, Orione miracolosamente ebbe resa la vista. In un mito
celeste Orione è legato all'ammasso stellare delle Pleiadi del Toro.
Le Pleiadi erano sette
sorelle, figlie di Atlante e Pleione. La storia
che si racconta solitamente dice che Orione s'innamorò delle Pleiadi e le
perseguitò con intenti amorosi. Ma secondo Igino, chi lui veramente
voleva in realtà era la loro madre Pleione. Zeus agguantò tutto il gruppo e lo
sistemò fra le stelle, dove Orione continua a incalzarlo ogni notte. Ci sono
numerose e conflittuali storie sulla morte di Orione. Mitografi astronomi come
Arato
di Soli, Eratostene e Igino
concordarono che vi fu implicato uno scorpione. Una versione, quella raccontata
sia da Eratostene che da Igino, sostiene che Orione si vantasse di essere il più
abile dei cacciatori.
Egli disse ad Artemide, la dea della caccia,
e alla madre di lei, Latona, che poteva uccidere
qualsiasi bestia sulla Terra. La Terra fremette
d'indignazione e da una spaccatura del terreno fece uscire uno scorpione che
punse a morte il gigante presuntuoso. Arato, invece, dice che Orione tentò di
rapire la vergine Artemide e che fu lei a causare la spaccatura della Terra
dalla quale uscì lo scorpione. Ovidio ha ancora un'altra
versione: dice che Orione fu ucciso nel tentativo di salvare Latona dallo
scorpione. Anche la dislocazione è diversa. Eratostene e Igino dicono che la
morte avvenne a Creta, ma Arato la fa accadere a Chio. In entrambe le versioni
il risultato fu che Orione e lo scorpione (la costellazione dello Scorpione)
furono sistemati su lati opposti del cielo, in modo che mentre lo Scorpione
sorge a est, Orione fugge sotto l'orizzonte a ovest. «L'infelice Orione teme
ancora di essere ferito dal pungiglione velenoso dello scorpione», notò
Germanico Cesare.
Una storia molto diversa, anche questa raccontata da Igino, è
quella che Artemide amava Orione e stava seriamente prendendo in considerazione
la possibilità di rinunciare al voto di castità per sposarlo. Essendo i più
grandi cacciatori maschio e femmina, avrebbero formato una coppia formidabile.
Ma ad Apollo, il
fratello gemello di Artemide, l'accoppiamento non piacque. Un giorno, mentre
Orione nuotava, Apollo finse di voler mettere alla prova l'abilità di Artemide
al tiro con l'arco e la sfidò a colpire un piccolo oggetto nero che ballonzolava
fra le onde. Artemide lo trafisse al primo colpo e rimase inorridita nello
scoprire che aveva ucciso Orione. Affranta, lo pose fra le costellazioni. C'è
una storia strana e persistente a proposito della nascita di Orione, che spiega
la versione più antica del suo nome, Urione (ancora più vicina all'originale
sumero URU AN-NA).
Secondo questa storia a Tebe viveva un vecchio
agricoltore di nome Irieo. Un giorno egli offrì ospitalità a tre stranieri di
passaggio che, guarda caso, erano gli dei Zeus, Poseidone ed Ermes. Dopo che ebbero mangiato, i
visitatori gli chiesero se ci fosse qualcosa che desiderasse. Il vecchio
confessò che gli sarebbe piaciuto avere un figlio e i tre dèi gli promisero di
appagare il suo desiderio. Si misero tutti e tre in piedi davanti alla pelle del
bue che avevano appena consumato e vi urinarono sopra, poi dissero a Irieo di
seppellirla. Da quella, a tempo debito, nacque un bambino che Irieo chiamò
Urione dato il modo in cui era stato concepito.
I Nomi delle Stelle Principali
Orione è una delle poche
costellazioni in cui la stella Alfa non è la più brillante. La stella più
brillante di Orione è infatti Beta di Orione, chiamata Rigel dall'arabo
rijl che significa «piede», dato che Tolomeo la descrisse come quella che
segnava il punto del piede sinistro di Orione. Rigel è una stella supergigante
brillante blu-bianca. Alfa di Orione si chiama Betelgeuse, uno dei nomi di
stelle più famoso ma frainteso. Viene dall'arabo yad al-jauza, spesso
erroneamente tradotto come «ascella di quello centrale». In effetti significa
«mano di al-jauza». Chi (o cosa) era al-jauza? È il nome che gli
Arabi diedero alla
figura della costellazione che essi vedevano in questa zona, probabilmente una
figura femminile che includeva le stelle sia di Orione che dei Gemelli. La
parola al-jauza apparentemente viene dall'arabo jwz che significa
«mezzo», quindi la migliore traduzione che i commentatori moderni possono
offrire è che al-jauza significhi qualcosa di simile a «quella femmina in
mezzo». Il riferimento al «mezzo» può avere a che fare con il fatto che la
costellazione si trovi a cavallo dell'equatore celeste. Da come la descrisse
Tolomeo nel suo Almagest, Betelgeuse
rappresenta la spalla destra di Orione.
I Greci non diedero un nome né a
Rigel né a Betelgeuse, cosa che sorprende data la brillantezza delle due stelle.
Betelgeuse è una stella rossa supergigante, il cui diametro supera di parecchie
centinaia di volte quello del Sole, così grande che si espande e
si contrae, cambiando leggermente di brillantezza in questo procedimento. La
spalla sinistra di Orione è segnata da Gamma di Orione, nota come Bellatrix, un
nome latino che significa «la guerriera». La stella che segna il ginocchio
destro del cacciatore, Kappa di Orione, si chiama Saiph. Questo nome viene
dall'arabo «spada» e chiaramente è attribuito erroneamente. Le tre stelle che
formano la cintura - Zeta, Epsilon e Delta di Orione - si chiamano Alnitak, Alnilam e Mintaka. Sia
Alnitak che Mintaka vengono dalla parola araba che significa «cintura» o
«guaina». Alnilam viene sempre dall'arabo e significa il «filo di perle», un
altro riferimento alla cintura di Orione.
Le Dodici Fatiche Iniziatiche di Gilgamesh-Eracle-Ercole-Orione
: http://www.esonet.it/News-file-article-sid-264.html
Veniamo da Orione!
Almeno a una delle famose domande, da dove veniamo, abbiamo risposto! Per le altre due, chi siamo e dove stiamo andando, ci stiamo organizzando. Naturalmente, è saggio lasciare aperto ancora per un po’ qualche interrogativo, perché non si sa mai. Comunque, direi che mi sia stato utile partecipare venerdì 23 marzo alla conferenza “Miti e misteri egizi: loro relazione con il presente”, tenuta da Fabio Delizia a Codroipo, perché almeno sta cominciando a delinearsi pubblicamente quella che è la nostra origine extraterrestre. Noi stessi, che da millenni ci sentiamo attratti dal cielo e dall’ufologia, nonostante la nostra struttura fisica scimmiesca, abbiamo una patria da qualche parte, nel vasto universo, e i sospetti si accentrano sulla prima stella della Cintura di Orione. Già Alan Sorrenti cantava “Noi siamo figli delle stelle”, ancora nel 1977 e, assodato che con i film di Hollywood l’élite mondialista spesso lancia messaggi alla sonnolenta umanità, della cintura di Orione si parla nel primo Man in Black, con Will Smith e Tommy Lee Johns. Anche se bisognerebbe parlare più di cinturino che di cintura, visto che stava sul collo di un gatto, guarda caso proprio quell’animale adorato dagli egizi. I paleoastronauti venuti da Orione sulla Terra avranno avuto una qualche predilezione per il felino domestico? La Sfinge, infatti, non è altro che un grosso gatto e in lingua inglese anche leoni, leopardi e serval vengono chiamati cats. Se, arrivati sulla Terra dopo un lungo viaggio, prima di mettersi a manipolare i geni dell’Homo erectus, si fossero messi a giocare con i felini selvatici, ottenendo quella che i poeti chiamavano la tigre da salotto, diventa ridicolo pensare che gli egizi tenessero con sé i gatti solo per proteggere i granai dai topi. Per quello avevano già la mangusta. E diventa necessario spostare indietro la data della domesticazione del gatto, che al momento si attesta sui 5000 anni fa.
Ma, come ha spiegato Fabio Delizia, studioso d’arte piemontese, classe 1970, sono molte le conoscenze che andrebbero rettificate, con spostamenti indietro dell’ora legale della storia dell’umanità. Purtroppo, al momento, su un Fabio Delizia che illustra gli interrogativi insoluti e le possibili spiegazioni a un uditorio interessato, ci sono mille maestrine dalla penna rossa che raccontano storielle inverosimili a legioni di scolari demotivati. Si arriverà mai ad ottenere qualche modifica dei programmi ministeriali della Pubblica Istruzione? O dobbiamo seriamente cominciare a sospettare che c’è un complotto governativo volto a tenere il popolo nell’ignoranza?
D’altra parte, sarebbe in linea con le mistificazioni compiute nei secoli dagli apparati religiosi e non ci sarebbe da stupirsi se anche nel campo della conoscenza ci viene sistematicamente tenuta nascosta la verità. I meccanismi sono sempre gli stessi: gli eretici venivano messi al rogo dalla Chiesa e gli archeologi controcorrente vengono ridicolizzati dall’archeologia accademica. La guida turistica John Anthony West, che si accorse dell’erosione pluviale alla base della Sfinge, sta ancora aspettando che qualcuno gli spieghi il perché, dato che in quella zona non piove dalla fine dell’ultima glaciazione. Robert Duvall è dal 1993 che afferma che i cosiddetti condotti di aerazione all’interno della Grande Piramide sarebbe più giusto chiamarli “pozzi stellari”, ma nei testi scolastici continuano ad essere definiti con la prima versione. Poi la faccenda, a volte, assume i toni del giallo se si pensa che i reperti trovati nei pozzi stellari che si dipartono dalla camera della regina sono spariti dal British Museum dov’erano sistemati. Che fine ha fatto la sfera di bronzo, l’uncino e quel pezzo di legno di cedro che erano sicuramente originari del periodo in cui la piramide fu costruita? Avrebbero potuto essere sottoposti alla prova del Carbonio 14, così da fugare ogni dubbio sulla data della costruzione, ma invece non si trovano più.
Altre incongruenze inerenti la costruzione della Grande Piramide – e Fabio Delizia lo ha spiegato molto bene – derivano da semplici calcoli. Secondo la storiografia ufficiale, la piramide di Cheope fu costruita in vent’anni. Poiché i blocchi di cui è composta sono 2 milioni e mezzo, gli operai avrebbero dovuto collocarne 342 al giorno, con un ritmo di uno ogni cinque minuti circa. E siccome ogni blocco pesa almeno due tonnellate e mezza, quante persone avrebbero dovuto lavorarci attorno a forza di corde e pulegge per trascinare, issare e sistemare con perfezione millimetrica quei massi uno sopra l’altro? Oltretutto, non si trattava di blocchi tutti uguali, ma di solidi con incastri pazzeschi come quelli che si vedono nei templi Inca in Perù, con volte e giravolte da far venire il mal di testa. O almeno da lasciare stupefatti.
Con la tecnologia di cui disponiamo non siamo ancora capaci di fare una cosa del genere e i libri di storia pretendono di darcela a bere, mostrando antichi operai che non conoscevano neanche la ruota e che tiravano e spingevano blocchi pesantissimi? Magari sotto le sferzate dei capimastri. Quale tecnologia avevano quegli antichi costruttori per sollevare un masso di tre tonnellate a 130 metri d’altezza? Se fosse vera la spiegazione delle rampe di legno su cui facevano scorrere i blocchi, spingendoli verso l’alto sopra tronchi rotolanti, dove sono finite le rampe stesse? Avrebbero avuto bisogno di un’intera foresta per ottenere il legname necessario. Una foresta in un deserto? E poi, i blocchi venivano da mille chilometri di distanza: come li hanno trasportati fin lì? E’ credibile che li abbiano fatti navigare sul Nilo a bordo di imbarcazioni? Con tutto quel peso? In soli vent’anni?
Io alla fine avanzerò un paio di ipotesi alternative, che non sono state dette dal relatore, ma per ora andiamo avanti con le incongruenze. Gli storici si affidano molto sulle fonti, quelle che ci sono pervenute, almeno. Ebbene, sulla costruzione delle piramidi, della Sfinge e dei due templi che furono costruiti con il materiale di riporto non c’è alcuna documentazione. Gli egizi erano abituati a documentare anche le cose più banali, come la fabbricazione di profumi e lo spennamento delle oche, ma di un lavoro immane che coinvolse qualcosa come 100.000 operai e loro famiglie non c’è nulla di nulla. Tutti gli altri monumenti sparsi per l’Egitto pullulano di geroglifici, ma sulle piramidi e sui due templi della piana di Giza, di cui solo il Tempio della Valle si presenta in maniera quasi integra, non c’è alcun segnetto inciso. Da nessuna parte. Non vi sembra un po’ strano?
Diventa meno strano se si pensa che la Piana di Giza fu predisposta da una civiltà anteriore, molto più antica dei 3.000 anni a cui si fa riferimento normalmente, e che gli egizi semplicemente trovarono i manufatti già sul posto, eredità di un popolo che essi divinizzarono senza averlo mai conosciuto.
Solo da un paio di secoli la Grande Piramide viene definita la tomba di Cheope e questo perché un archeologo dinamitardo disse di aver trovato il nome del faraone inciso nella roccia, oltretutto scritto male, all’interno della piramide. Ma la cosa curiosa è che di questo Cheope possediamo solo una statuetta di otto centimetri, mentre per altri faraoni come Tutankamon si hanno sparsi per i musei un’infinità di testimonianze, sotto forma di statue, dipinti ed effigi varie. Pure Kefren e Micerino, titolari ufficiali delle altre due presunte tombe, non avevano nulla di meno glorioso di Cheope, rispettivamente padre e nonno. E allora perché tutta la granitica gloria a Cheope e le briciole ai suoi discendenti? Di Kefren, per esempio, presso il museo egizio del Cairo, c’è un’enorme statua in diorite, che è la pietra più dura che esista e anche questo testimonia il fatto che la lavorazione dei massi veniva fatta con accuratezza e non certo in maniera frenetica.
Sempre a proposito delle fonti, assodato che in nessun papiro e in nessun geroglifico si parla della costruzione dei monumenti di Giza, cosa ci dicono gli storici dell’epoca? L’unico che avrebbe potuto dirci qualcosa è Manetone, sacerdote di Eliopolis, ma di lui ci restano solo frammenti e sono pertanto solo gli storici posteriori a riferirci il suo pensiero. E in effetti qualcosa sappiamo. Sappiamo che Manetone divide la storia del suo paese in tre parti: l’epoca in cui regnavano gli Dei, quella in cui regnavano i semidei, che erano anche semiveggenti ed erano chiamati seguaci di Horus, e quella delle trentuno dinastie dei faraoni venute dopo Menes.
Il papiro di Torino va oltre le 31 dinastie, anzi oltre il faraone Menes, che fu l’ultimo dell’epoca dei semidei. Tuttavia, succede che gli storici se accettano come veritiere le parole di Manetone riguardanti il terzo periodo, non accettano quelle riguardanti i primi due, definendoli frutto di fantasia mitologica. Succede la stessa cosa con Platone: ci va bene finché ragiona come filosofo, ma ci va meno bene quando parla di Atlantide. In altre parole, gli storici accettano solo quello che fa loro comodo.
Eppure è nello Zep Tepi, il tempo primordiale in cui regnarono gli Dei che si nasconde la chiave di volta di tutta la faccenda. Cosa intendeva Manetone per Dei? E’ possibile che, in quanto tali, avessero strumenti divini atti ad innalzare le piramidi? Delizia ha mostrato una diapositiva in cui si vedeva un faraone gigantesco in proporzione ai piccoli sudditi che gli recavano ceste di mani tagliate ai nemici e ha spiegato che questa mancanza di proporzione dipende dal fatto che l’incisore del bassorilievo intendeva mettere in risalto la “grandezza” e la magnificenza del monarca e non tanto la sua statura fisica. A questo punto della conferenza avrei voluto far notare al relatore che Zaccaria Sitchin parla di giganti, e non solo lui, e questo cambierebbe un po’ le cose perché sollevare un blocco di tre tonnellate per un uomo alto un metro e sessanta è una cosa, ma cosa ben diversa è se a sollevarlo è un uomo di quattro o cinque metri. E’ una questione di forza fisica.
Non si può interrompere un relatore e me ne sono stato zitto, ma anche nel consueto dibattito post conferenza mi pare che nessuno abbia sollevato la questione. Ma continuiamo con i dati alternativi spiegati da Fabio Delizia.
Vista la mancanza di documenti scritti attestanti la costruzione dei monumenti di Giza, vista l’assenza di testimonianze da parte degli storici, cosa ci dicono le ultime scoperte?
A parte le molte affinità con Orione, riguardanti la posizione in cielo delle sue tre stelle principali con la collocazione al suolo delle tre piramidi; a parte la perfezione con cui la Grande Piramide guarda al nord magnetico; a parte le misure del perimetro, dell’altezza e di altri particolari che hanno tutte una correlazione con le misure della Terra, gli studiosi alternativi hanno scoperto che i nostri più lontani antenati erano dei provetti astronomi e sapevano che tra un’epoca e l’altra dei dodici segni zodiacali in cui è diviso il cielo visibile, passano 2160 anni e se al momento ci troviamo nell’era dei pesci, che sta per finire e lasciare il posto a quella dell’acquario, andando a ritroso nel tempo siamo passati attraverso quella del cancro, del toro e dell’ariete, per finire in quella del leone.
Se pensiamo che i costruttori dei manufatti di Giza volessero omaggiare la costellazione in cui vivevano, una sfinge a forma di leone, lunga 73 metri e alta 20, ci sta proprio bene. E’ azzeccata! E se pensiamo che nei secoli seguenti sono stati in auge il toro per gli assiro-babilonesi, con il bue Api per gli egizi, e l’ariete per il giudaimo, con l’agnello di Dio qui tollit peccata mundi, preannunciato nel Vecchio Testamento, per arrivare ai pesci del cristianesimo, si deve ammettere che la simbologia celeste è sempre stata di grande importanza per i nostri antenati e la Sfinge insieme alle piramidi finisce per collocarsi intorno al 10.500 avanti Cristo.
Un ragionamento che non fa una piega!
Chi c’era in Egitto 12.000 anni fa che costruiva opere architettoniche impossibili o da noi moderni ritenute tali? Posso avanzare qualche ipotesi? Fabio Delizia non se ne avrà a male? Ebbene, scartando quella teoria poco credibile secondo la quale i costruttori usassero una sostanza che scioglieva la roccia, rendendola malleabile, e permetteva di riversarla senza fatica dentro stampi collocati sul posto finale in attesa che la roccia riprendesse la sua consistenza naturale, vorrei spendere sue parole sull’ipotesi aliena.
Che non è certo una teoria recente, ma che mette d’accordo un po’ tutti, ufologi, archeologi controcorrente e indagatori del mistero. Posto che i pozzi stellari della camera del re guardano in direzione di Orione e considerati i numerosi miti non solo egizi che ci definiscono figli delle stelle, le piramidi, la Sfinge e i due templi che ne sono derivati dal materiale avanzato, furono costruiti mediante apparecchiature che vincevano la forza di gravità e che rendevano i monoliti leggeri come piume. Questo tipo di tecnologia, in possesso di altre culture sia in Sudamerica che in Cina, non apparteneva al nostro mondo ma veniva da “fuori”, magari insieme a quegli stessi scienziati alieni, che Sitchin chiama Anunnaki, che avevano poco prima preso un ominide per trasformarlo in Homo sapiens. In tal caso, si capisce che le proporzioni tra il faraone raffigurato sulla pietra e i suoi sudditi erano reali e l’atteggiamento degli esseri umani non poteva che essere di venerazione verso persone così potenti. Il Genesi li chiama Nephilim e li descrive come discendenti di angeli accoppiatisi con le “figlie degli uomini”. I greci, molto più tardi, nei loro miti parlavano di titani e altri supereroi prometeici. Per tacer di Polifemo!
Per concludere, sorvolando sulle idee di Rudolf Steiner riguardanti il nostro passato di uomini-pesce atlantidei (anche se l’antroposofo austriaco collocando il diluvio universale a 12.000 anni fa è probabilmente andato molto vicino al vero), vorrei finire con una bella frase su cui riflettere della quale ringrazio Fabio Delizia: “Vivere con la domanda ci avvicina alla risposta”.
Non so se è sua, del suo maestro Steiner o di qualche altro pensatore, ma io la trovo, ringraziando Delizia, semplicemente deliziosa. Solo chi non vive con l’assillo delle domande non si avvicinerà mai a nessuna risposta.
Ma, come ha spiegato Fabio Delizia, studioso d’arte piemontese, classe 1970, sono molte le conoscenze che andrebbero rettificate, con spostamenti indietro dell’ora legale della storia dell’umanità. Purtroppo, al momento, su un Fabio Delizia che illustra gli interrogativi insoluti e le possibili spiegazioni a un uditorio interessato, ci sono mille maestrine dalla penna rossa che raccontano storielle inverosimili a legioni di scolari demotivati. Si arriverà mai ad ottenere qualche modifica dei programmi ministeriali della Pubblica Istruzione? O dobbiamo seriamente cominciare a sospettare che c’è un complotto governativo volto a tenere il popolo nell’ignoranza?
D’altra parte, sarebbe in linea con le mistificazioni compiute nei secoli dagli apparati religiosi e non ci sarebbe da stupirsi se anche nel campo della conoscenza ci viene sistematicamente tenuta nascosta la verità. I meccanismi sono sempre gli stessi: gli eretici venivano messi al rogo dalla Chiesa e gli archeologi controcorrente vengono ridicolizzati dall’archeologia accademica. La guida turistica John Anthony West, che si accorse dell’erosione pluviale alla base della Sfinge, sta ancora aspettando che qualcuno gli spieghi il perché, dato che in quella zona non piove dalla fine dell’ultima glaciazione. Robert Duvall è dal 1993 che afferma che i cosiddetti condotti di aerazione all’interno della Grande Piramide sarebbe più giusto chiamarli “pozzi stellari”, ma nei testi scolastici continuano ad essere definiti con la prima versione. Poi la faccenda, a volte, assume i toni del giallo se si pensa che i reperti trovati nei pozzi stellari che si dipartono dalla camera della regina sono spariti dal British Museum dov’erano sistemati. Che fine ha fatto la sfera di bronzo, l’uncino e quel pezzo di legno di cedro che erano sicuramente originari del periodo in cui la piramide fu costruita? Avrebbero potuto essere sottoposti alla prova del Carbonio 14, così da fugare ogni dubbio sulla data della costruzione, ma invece non si trovano più.
Altre incongruenze inerenti la costruzione della Grande Piramide – e Fabio Delizia lo ha spiegato molto bene – derivano da semplici calcoli. Secondo la storiografia ufficiale, la piramide di Cheope fu costruita in vent’anni. Poiché i blocchi di cui è composta sono 2 milioni e mezzo, gli operai avrebbero dovuto collocarne 342 al giorno, con un ritmo di uno ogni cinque minuti circa. E siccome ogni blocco pesa almeno due tonnellate e mezza, quante persone avrebbero dovuto lavorarci attorno a forza di corde e pulegge per trascinare, issare e sistemare con perfezione millimetrica quei massi uno sopra l’altro? Oltretutto, non si trattava di blocchi tutti uguali, ma di solidi con incastri pazzeschi come quelli che si vedono nei templi Inca in Perù, con volte e giravolte da far venire il mal di testa. O almeno da lasciare stupefatti.
Con la tecnologia di cui disponiamo non siamo ancora capaci di fare una cosa del genere e i libri di storia pretendono di darcela a bere, mostrando antichi operai che non conoscevano neanche la ruota e che tiravano e spingevano blocchi pesantissimi? Magari sotto le sferzate dei capimastri. Quale tecnologia avevano quegli antichi costruttori per sollevare un masso di tre tonnellate a 130 metri d’altezza? Se fosse vera la spiegazione delle rampe di legno su cui facevano scorrere i blocchi, spingendoli verso l’alto sopra tronchi rotolanti, dove sono finite le rampe stesse? Avrebbero avuto bisogno di un’intera foresta per ottenere il legname necessario. Una foresta in un deserto? E poi, i blocchi venivano da mille chilometri di distanza: come li hanno trasportati fin lì? E’ credibile che li abbiano fatti navigare sul Nilo a bordo di imbarcazioni? Con tutto quel peso? In soli vent’anni?
Io alla fine avanzerò un paio di ipotesi alternative, che non sono state dette dal relatore, ma per ora andiamo avanti con le incongruenze. Gli storici si affidano molto sulle fonti, quelle che ci sono pervenute, almeno. Ebbene, sulla costruzione delle piramidi, della Sfinge e dei due templi che furono costruiti con il materiale di riporto non c’è alcuna documentazione. Gli egizi erano abituati a documentare anche le cose più banali, come la fabbricazione di profumi e lo spennamento delle oche, ma di un lavoro immane che coinvolse qualcosa come 100.000 operai e loro famiglie non c’è nulla di nulla. Tutti gli altri monumenti sparsi per l’Egitto pullulano di geroglifici, ma sulle piramidi e sui due templi della piana di Giza, di cui solo il Tempio della Valle si presenta in maniera quasi integra, non c’è alcun segnetto inciso. Da nessuna parte. Non vi sembra un po’ strano?
Diventa meno strano se si pensa che la Piana di Giza fu predisposta da una civiltà anteriore, molto più antica dei 3.000 anni a cui si fa riferimento normalmente, e che gli egizi semplicemente trovarono i manufatti già sul posto, eredità di un popolo che essi divinizzarono senza averlo mai conosciuto.
Solo da un paio di secoli la Grande Piramide viene definita la tomba di Cheope e questo perché un archeologo dinamitardo disse di aver trovato il nome del faraone inciso nella roccia, oltretutto scritto male, all’interno della piramide. Ma la cosa curiosa è che di questo Cheope possediamo solo una statuetta di otto centimetri, mentre per altri faraoni come Tutankamon si hanno sparsi per i musei un’infinità di testimonianze, sotto forma di statue, dipinti ed effigi varie. Pure Kefren e Micerino, titolari ufficiali delle altre due presunte tombe, non avevano nulla di meno glorioso di Cheope, rispettivamente padre e nonno. E allora perché tutta la granitica gloria a Cheope e le briciole ai suoi discendenti? Di Kefren, per esempio, presso il museo egizio del Cairo, c’è un’enorme statua in diorite, che è la pietra più dura che esista e anche questo testimonia il fatto che la lavorazione dei massi veniva fatta con accuratezza e non certo in maniera frenetica.
Sempre a proposito delle fonti, assodato che in nessun papiro e in nessun geroglifico si parla della costruzione dei monumenti di Giza, cosa ci dicono gli storici dell’epoca? L’unico che avrebbe potuto dirci qualcosa è Manetone, sacerdote di Eliopolis, ma di lui ci restano solo frammenti e sono pertanto solo gli storici posteriori a riferirci il suo pensiero. E in effetti qualcosa sappiamo. Sappiamo che Manetone divide la storia del suo paese in tre parti: l’epoca in cui regnavano gli Dei, quella in cui regnavano i semidei, che erano anche semiveggenti ed erano chiamati seguaci di Horus, e quella delle trentuno dinastie dei faraoni venute dopo Menes.
Il papiro di Torino va oltre le 31 dinastie, anzi oltre il faraone Menes, che fu l’ultimo dell’epoca dei semidei. Tuttavia, succede che gli storici se accettano come veritiere le parole di Manetone riguardanti il terzo periodo, non accettano quelle riguardanti i primi due, definendoli frutto di fantasia mitologica. Succede la stessa cosa con Platone: ci va bene finché ragiona come filosofo, ma ci va meno bene quando parla di Atlantide. In altre parole, gli storici accettano solo quello che fa loro comodo.
Eppure è nello Zep Tepi, il tempo primordiale in cui regnarono gli Dei che si nasconde la chiave di volta di tutta la faccenda. Cosa intendeva Manetone per Dei? E’ possibile che, in quanto tali, avessero strumenti divini atti ad innalzare le piramidi? Delizia ha mostrato una diapositiva in cui si vedeva un faraone gigantesco in proporzione ai piccoli sudditi che gli recavano ceste di mani tagliate ai nemici e ha spiegato che questa mancanza di proporzione dipende dal fatto che l’incisore del bassorilievo intendeva mettere in risalto la “grandezza” e la magnificenza del monarca e non tanto la sua statura fisica. A questo punto della conferenza avrei voluto far notare al relatore che Zaccaria Sitchin parla di giganti, e non solo lui, e questo cambierebbe un po’ le cose perché sollevare un blocco di tre tonnellate per un uomo alto un metro e sessanta è una cosa, ma cosa ben diversa è se a sollevarlo è un uomo di quattro o cinque metri. E’ una questione di forza fisica.
Non si può interrompere un relatore e me ne sono stato zitto, ma anche nel consueto dibattito post conferenza mi pare che nessuno abbia sollevato la questione. Ma continuiamo con i dati alternativi spiegati da Fabio Delizia.
Vista la mancanza di documenti scritti attestanti la costruzione dei monumenti di Giza, vista l’assenza di testimonianze da parte degli storici, cosa ci dicono le ultime scoperte?
A parte le molte affinità con Orione, riguardanti la posizione in cielo delle sue tre stelle principali con la collocazione al suolo delle tre piramidi; a parte la perfezione con cui la Grande Piramide guarda al nord magnetico; a parte le misure del perimetro, dell’altezza e di altri particolari che hanno tutte una correlazione con le misure della Terra, gli studiosi alternativi hanno scoperto che i nostri più lontani antenati erano dei provetti astronomi e sapevano che tra un’epoca e l’altra dei dodici segni zodiacali in cui è diviso il cielo visibile, passano 2160 anni e se al momento ci troviamo nell’era dei pesci, che sta per finire e lasciare il posto a quella dell’acquario, andando a ritroso nel tempo siamo passati attraverso quella del cancro, del toro e dell’ariete, per finire in quella del leone.
Se pensiamo che i costruttori dei manufatti di Giza volessero omaggiare la costellazione in cui vivevano, una sfinge a forma di leone, lunga 73 metri e alta 20, ci sta proprio bene. E’ azzeccata! E se pensiamo che nei secoli seguenti sono stati in auge il toro per gli assiro-babilonesi, con il bue Api per gli egizi, e l’ariete per il giudaimo, con l’agnello di Dio qui tollit peccata mundi, preannunciato nel Vecchio Testamento, per arrivare ai pesci del cristianesimo, si deve ammettere che la simbologia celeste è sempre stata di grande importanza per i nostri antenati e la Sfinge insieme alle piramidi finisce per collocarsi intorno al 10.500 avanti Cristo.
Un ragionamento che non fa una piega!
Chi c’era in Egitto 12.000 anni fa che costruiva opere architettoniche impossibili o da noi moderni ritenute tali? Posso avanzare qualche ipotesi? Fabio Delizia non se ne avrà a male? Ebbene, scartando quella teoria poco credibile secondo la quale i costruttori usassero una sostanza che scioglieva la roccia, rendendola malleabile, e permetteva di riversarla senza fatica dentro stampi collocati sul posto finale in attesa che la roccia riprendesse la sua consistenza naturale, vorrei spendere sue parole sull’ipotesi aliena.
Che non è certo una teoria recente, ma che mette d’accordo un po’ tutti, ufologi, archeologi controcorrente e indagatori del mistero. Posto che i pozzi stellari della camera del re guardano in direzione di Orione e considerati i numerosi miti non solo egizi che ci definiscono figli delle stelle, le piramidi, la Sfinge e i due templi che ne sono derivati dal materiale avanzato, furono costruiti mediante apparecchiature che vincevano la forza di gravità e che rendevano i monoliti leggeri come piume. Questo tipo di tecnologia, in possesso di altre culture sia in Sudamerica che in Cina, non apparteneva al nostro mondo ma veniva da “fuori”, magari insieme a quegli stessi scienziati alieni, che Sitchin chiama Anunnaki, che avevano poco prima preso un ominide per trasformarlo in Homo sapiens. In tal caso, si capisce che le proporzioni tra il faraone raffigurato sulla pietra e i suoi sudditi erano reali e l’atteggiamento degli esseri umani non poteva che essere di venerazione verso persone così potenti. Il Genesi li chiama Nephilim e li descrive come discendenti di angeli accoppiatisi con le “figlie degli uomini”. I greci, molto più tardi, nei loro miti parlavano di titani e altri supereroi prometeici. Per tacer di Polifemo!
Per concludere, sorvolando sulle idee di Rudolf Steiner riguardanti il nostro passato di uomini-pesce atlantidei (anche se l’antroposofo austriaco collocando il diluvio universale a 12.000 anni fa è probabilmente andato molto vicino al vero), vorrei finire con una bella frase su cui riflettere della quale ringrazio Fabio Delizia: “Vivere con la domanda ci avvicina alla risposta”.
Non so se è sua, del suo maestro Steiner o di qualche altro pensatore, ma io la trovo, ringraziando Delizia, semplicemente deliziosa. Solo chi non vive con l’assillo delle domande non si avvicinerà mai a nessuna risposta.
<///> *S O L O L'A M O R E, L A C O M P A S S I O N E, L A V E R I T A' P O S S O N O S A L V A R E L' U M A N I T A' T U T T A !!! <///> |
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