C AR M E N C O V I T O |
Edizione d’Autrice
Racconti
dal Web
Carmen Covito
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Carmen Covito
Racconti dal Web
Edizione d'Autrice
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Ma chi è andato sulla Luna?
Sto sbirciando attraverso un buco nella siepe. Mica facile, con questi rametti
che tendono a scattare in fuori stile filo spinato mirando agli occhi.
Potatura malfatta. Il problema più serio, le ginocchia, comunque si
è risolto: non me le sento più da una mezz'ora. Bene. L'insensibilità mi
aiuta a concentrarmi sulla casa. Villetta, dovrei dire. È esattamente quel
tipo di ciarpame residenziale che i geometri definiscono "villetta": due
piani fuori terra più garage seminterrato e, certamente, tavernetta attigua.
Nel giardino, betulle. Ma la colpa non è di Lisa. Lei non è responsabile
dei faretti sul prato e dell'antenna satellitare spadellata sul tetto
a... Finalmente! Eccola. Si è aperto il portoncino blindato e lei è lì, qui,
a tre metri da me che mi emoziono e perdo l'equilibrio e mi spino la faccia
e... C'è mancato poco. Scricchiolio di rotule come una fucilata nel
silenzio. Ma lei non se n'è accorta. Guarda la Luna, lei. Forza, bella, av4
vicinati ancora un po', abbassa qella dolce testolina, sì, così, vieni, altri
due passi, ma, insomma! dài, come fai a non notare niente? Proprio lì,
tra Dotto e Mammolo, dove dovrebbe starci Pisolo, non la vedi la terra
che è scavata di fresco, tutta nera? L'ha vista. Ha già raccolto il volantino.
Lo sta orientando verso la luce di un faretto. “Comitato di Liberazione
dei Nani da Giardino” è scritto in grosso, quindi dovrei vedere subito
una reazione, a meno che questa ragazza sia venuta su talmente male
che... Sta ridendo! Sia ringraziato il cielo, sta ridendo. Mi sento meglio.
Il nodo di apprensione che cominciava a spremermi un filo fastidioso
di acidità su per la gola adesso si è allentato. Peperoni al cumino.
Con un angolo della mente, mi ripeto che dovrei farla finita con certi esperimenti
pesanti: alla mia età, cosa mi vado a mettere a imparare nuove
ricette thailandesi estive, e per cena poi! Ma erano buoni. E mi sono
davvero divertito a scivolare sotto il buco della siepe, prima, con la mia
zappetta di campeggio recuperata dallo sgabuzzino dei ricordi di gioventù...
"Papà, e dài, vieni fuori, lo so che sei qua attorno."
Vengo fuori. Cioè, comincio lentamente a raddrizzarmi appoggiandomi
al nano di gesso che ho liberato con destrezza dal giardino del nuovo
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marito della mia ex moglie, un cafone leghista pieno di velleità da prendi
tre-paghi-due, e sarebbe pure pieno di soldi, l'industrialotto celta, che
a averli io saprei come usarli con stile, tutti, ma è chiaro che il confronto
non potrebbe mai porsi, perché sul mio stipendio da professore di
scuole medie le tasse non le evado, io... oddio la schiena! su, con cautela,
con molta cautela... Suppongo che anche Lisa si possa definire un ricordo
di gioventù. O quasi: quando mi sono arreso all'idea di generarla
rasentavo i trent'anni... be', i trentacinque, ok. Adesso lei ne ha sedici. E
quella sciagurata di sua madre dice che se me la lasciasse vedere di più
finirei per corromperla. Io! Ho perso un pomeriggio intero a scrivere lo
stupido volantino didattico che adesso la mia bambina si diverte a sventolarmi
in faccia, bisbigliando: "Papà, sei tutto scemo. Se invece di uscire
io usciva qualcun altro, che facevi? e che vuol dire qui, "noi del piccolo
popolo ci battriamo per un'ecologia estetica", eh?"
"Era 'ci battiamo': un errore di battuta, appunto" le bisbiglio in risposta,
"e comunque in giardino a quest'ora ci esci sempre solo tu."
"Ci mettiamo a spiare, adesso? Sempre, quando?"
"Da tre giorni", confesso rimettendo il nanetto al suo posto. "E non ti
sto spiando, è solo che l'altroieri passavo di qua e, be', avevi una facci6
na... malinconicamente romantica, ecco. Qualcosa che non va con il tuo
filarino?"
"Perché non ti fai mai gli affaracci tuoi?" dice mia figlia, e sembra quasi
arrabbiata sul serio, ma poi, visto che litigare bisbigliando è praticamente
impossibile e se non bisbigliamo quelli là nella casa ci sentono, finiamo
per sederci fianco a fianco sull'erbetta bagnata. Quadro idilliaco di
padre e figlia in armonia su praticello all'inglese brianzolo. Perfettamente
silenziosi. D'altra parte, se Lisa mi dicesse che, tipo, il suo ragazzo è
un drogato sieropositivo con due teste e senza laurea, io potrei solo sorridere
e cercare di convincerla che, forse, non sarebbe la scelta più sensata.
Meno male che, invece, lei è tutta casa e scuola (istituto tecnico
per l'organizzazione aziendale, pazienza), ed è precisa, obbediente, rispettosa
delle regole e... Sconvolto dal pensiero che stavo per aggiungere
"banale", alzo la testa, vedo il gran tocco di Luna che ci pende sopra
e mi metto a parlare a vanvera.
"Lo sai che io c'ero? Il 20 luglio 1969. L'Apollo 11. Quando Buzz Aldrin
stava lì nel modulo di sbarco Eagle e il comandante Armstrong ha
fatto la sua camminata sulla Luna, con quella bella frase retorica, "un
piccolo passo per un uomo, ma un salto da gigante per l'umanità", avre7
sti dovuto vedere che tempi, anche da noi in provincia, in quello schifo
di provincia immobilista, che poi un paio d'anni dopo sono venuto su a
insegnare al Nord, sembrava proprio che si sarebbe riusciti a cambiare
tutto, assolutamente tutto, e, sai, anche quel primo passo al di fuori del
nostro vecchio mondo era, be', a modo suo, una rivoluzione. Perciò ci
commuoveva vedere un uomo, solo, goffo, chiuso nella sua tuta protettiva
da milioni di dollari come in un'armatura da cavaliere errante, saltellare
lassù... Che sto dicendo? Lisa, erano in due: perché dopo Neil
Armstrong scese anche Buzz, e anche se nelle foto le facce non si vedono
perché i caschi riflettono la luce, quello vicino alla bandiera americana
piantata nella Luna è proprio lui, e, hai presente quell'orma umana
stampata nella polvere lunare? Io preferisco la fotografia di Armstrong
sulla scaletta, è più documentaria, ma l'orma è diventata l'immagine più
forte, più simbolica, perché non ha importanza se è l'impronta del primo
o del secondo..."
Nessuno si ricorda mai che sull'Apollo 11 c'era un terzo uomo, ma io sì.
Si chiamava Michael Collins, era il pilota della navicella-madre Columbia,
è rimasto per tutto il tempo in orbita: alla Luna ha potuto soltanto
girarci attorno, lui, come io ho girato attorno alla vita... Ma questo a Li8
sa non lo posso dire. "Fantastica, quella lunghissima notte insonne davanti
alla televisione aspettando il collegamento con Houston" le dico
invece, "che Ruggero Orlando e quell'altro, come si chiamava, Tito Stagno!
dallo studio di Roma, non riuscivano a mettersi d'accordo, "ha toccato",
"non ha toccato", "ti dico che ha toccato!", e be', è stato importante
per la storia del nostro secolo: a mandare la fantasia al potere non ci
siamo riusciti, ma a spedire un paio di americani sulla Luna sì..." "Ma
non ci sono mica andati davvero", dice Lisa.
"Che?"
"Una simulazione, no? Come Auschwitz. Non c'è niente di vero. Hanno
fatto lo stesso anche per quel presunto sbarco sulla Luna. Tu e quegli altri
babbei davanti alla televisione ve la siete bevuta, la faccenda degli
astronauti, e invece quelli stavano in uno studio televisivo da qualche
parte in America. Lo dice il marito di mamma, lui lo sa, ha trovato in edicola
una videocassetta che spiega tutto."
Sarò rimasto a bocca aperta troppo a lungo, perché Lisa ha assunto un'espressione
preoccupata e poi mi ha bisbigliato gentilmente: "Domani
gliela frego e te la presto, sì?"
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Non potevo non farlo. Esercitando su me stesso una violenza estrema,
andando contro le mie convinzioni più profonde, con la morte nel cuore
e con un rombo di motori a razzo nel cervello, le ho mollato uno schiaffo.
E ho cominciato a urlare a squarciagola: "La vedremo! Domani vado
dall'avvocato! Ricorro al tribunale dei minori! Qui è tutto da rifare! Criminali!
Nazisti! L'educazione di mia figlia spetta a me!"
Stavolta, no. Stavolta, non mi arrendo. No pasarán. Ho ceduto su tutto,
sempre di più, negli anni ho dato via come se fosse niente il mio ruolo
politico di maschio, il mio ruolo sociale di docente progressista di scuola
media, le mie vecchie speranze, la dignità. Ma adesso, mentre la villa
dell'evasore esplode all'improvviso di luci trasformandosi nell'astronave
di Independence Day, grido il mio "basta" e non mi tiro indietro: io, a
quelli lì, la Luna non gliela voglio dare. Un altro olocausto, no.
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Bi-Sex più uno
Vieni con me. Sono l'uomo dei sogni di ogni donna e sono tuo, il tuo
principe azzurro per i momenti di relax. Puoi chiamarmi Azzurro senz'altro,
fa più casual e si intona benissimo al mio colore d'occhi, sai,
quel blu così particolare che la pelle abbronzata rischiara, sprigionandone
trasparenze di ghiaccio affascinanti. Ma non sarò mai freddo, con te.
Gli unici brividi che ti farò provare scintilleranno in te dal contatto casuale
- così sapientemente casuale - delle mie dita forse distratte, e forse
no, su una parte innocente del tuo corpo, una spalla, l'orecchio, la nuca,
la radice della tua schiena nuda o, indifferentemente, il dorso della mano.
Questo, la prima volta. Poi, quando mi toglierò gli occhiali per baciarti...
Oh sì, sono un po' miope, quel pochissimo che basta a darmi un
certo tono da studioso e a convincere te, già a prima vista, che questa
bronzea statua di muscoli splendenti non è vuota. So che una donna, og11
gi, non si accontenta della superficie. E io avrò il coraggio di lasciarti
entrare nelle profondità dei miei pensieri, per te tirerò fuori l'anima, o le
budella se mi preferisci più realista. Sarò sentimentale e carezzevole.
Ma all'occorrenza troverai due larghe spalle su cui appoggiarti, un carattere
saldo come i miei bicipiti ammirevoli. Sono alto un metro e ottanta,
faccio sport e non ne parlo molto. Ho il ventre piatto, le natiche sode: la
curva del mio dorso ti farà da sella docile se vorrai spogliarmi e cavalcare.
Poi, imbizzarrito per gioco, ti ribalterò che ridi e gridi di finto orrore
e spingi via con tutte e due le mani la mia fronte che prende posizione
sul morbido cuscino del tuo pube, e intanto mi trattieni annodando
le dita ai miei capelli, guidandomi. Sarò abile. Impazzirò molto a
lungo. Ci stai?
Secondo livello: per Lui
Ciao! Mi chiamo Donna, sono la ragazza dei tuoi sogni. Vedi che tette?
Roba stratosferica, micino mio, roba autentica, niente silicone, e questa
quinta misura è tutta per te, per lo stallone preferito di Miss Strafiga,
dài, dacci dentro subito, sono qui che ti aspetto... Oh no, la prego, non
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lo faccia, sono solo una ragazzina, non l'ho mai fatto con nessuno, e anche
se lei è così deciso e attraente, no, no, non potrei, non qui così... La
lingerie che preferisco è frusciante e costosa, vado matta per i pizzi e i
laccetti e per la seta che scivola sulla pelle calda... Sono una professoressa
di matematica, indosso solo una goccia di profumo e tacchi a spillo,
cattivone, hai imparato la lezione? Stupidaggini, oh, quante stupidaggini!
Sono la tua zietta, ora ti metto a letto e, mentre comincio a togliermi
le mutandine, ti racconto la fiaba di Cappuccetto Azzurro... Azzurro,
amore mio, aiuto! dove sei? vieni a portarmi via! Sono una segretaria
molto efficiente, sono una porca, sono una signora perbene, sono
la tua puttana, sono una suora, basta, ma che volete da me? io non ne
posso più, io sono io e voglio Azzurro, voglio Azzurro, voglio Azzurro...
Universal Giochi, messaggio interno: da Roberto Piras
a Magda Colombo.
Brutta cretina, che mi hai combinato? Fino a cinque minuti fa Donna
funzionava benissimo, e adesso si è messa a dare i numeri, dice cose
che non stanno né in cielo né in terra, chiede perfino aiuto al tuo princi13
pe Azzurro del cavolo... Rettifico: cretino io, che ho permesso a una
programmatrice incompetente di ficcare il naso nella MIA parte del progetto.
Vieni immediatamente qui e, qualunque cosa tu abbia messo nel
mio computer, toglila!
Robbie The Sardman
Universal Giochi, messaggio interno: da Magda Colombo
a Roberto Piras.
Sei scemo? Io nel tuo computer non ho messo proprio niente. Se il mio
Azzurro funziona e la tua Donna no, vorrà dire che il programmatore incompetente
sei tu. E sei anche scorretto. Il semplice fatto di esserci visti
a cena un paio di volte non ti autorizza a insultare una collega pari grado.
Maga Magdò
Universal Giochi, messaggio interno: da Roberto Piras
a Magda Colombo.
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D'accordo, d'accordo, ritiro il "brutta cretina". Sei bellissima. Ma, per
favore, Magda, guarda che qui se questo "Bi-Sex" dell'accidente non è
pronto per la riunione di dopodomani ci licenziano tutti e due, perciò
che ne diresti di venire un momento nel mio ufficio a dare un'occhiata?
Donna è sul serio incasinata, e, ok, magari tu sei più brava di me a capire
dove ho sbagliato.
Robbie The Sardman
P.S. - Quello che è successo l'altra sera tu lo chiami "vedersi a cena"?
Universal Giochi, messaggio interno: da Magda Colombo
a Roberto Piras.
Però! Non sospettavo che tu fossi il campione mondiale di calata di braghe.
O meglio, avrei dovuto sospettarlo dalla velocità con cui ti sei calato
i pantaloni l'altra sera. Accetto le scuse: hai ragione, invece di litigare
per posta elettronica interna è meglio che sistemiamo il lavoro al più
presto. Finisco qui e vengo da te.
Maga Magdò
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P.S. Hai ragione anche sulla "cena" dell'altra sera. Credo che il termine
tecnico sia "petting pesante".
PP.SS. Ehi! Ho una mezza idea su quale può essere il problema di Donna.
Devi averle dato troppi parametri. Tipico di voi maschi: non sapete
che cosa volete, e noi poverette ci dobbiamo mettere addosso una quantità
di modelli femminili tra cui farvi scegliere. Si capisce che, poi, una
va in confusione e si attacca al primo uomo sensato e civile che le capita
a tiro. Arrivo subito.
Strettamente riservato alla direzione della Universal
Giochi Ltd.
Oggetto: analisi psico-relazionale della compatibilità
di programmatori maschi e femmine nella costruzione
di un videogioco per coppie di adulti.
Ieri martedì 25 maggio 1999 si sono felicemente concluse le mie osservazioni
sui due soggetti coinvolti nell'esperimento "Bi-Sex". Faccio rispettosamente
notare che avrei diritto a una gratifica in quanto dette osservazioni
si sono protratte ben oltre l'orario d'ufficio. Quale ispettore
prossimo alla pensione, mi sento inoltre in dovere di ripetere che l'idea
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di far lavorare due bravi programmatori a un progetto fasullo con il solo
scopo di verificare la loro produttività è particolarmente stupida; mi è
giunta voce che il collega Gerace, ideatore di questo incredibile spreco,
sostiene di poter ripianare le perdite mettendo realmente in produzione
il videogioco "Bi-Sex", eventualità sulla quale mi permetto di esprimere
il più energico dissenso: dalle ultime ricerche di mercato emerge infatti
che nessuna coppia media comprerebbe un videogioco in cui lui e lei
possono interagire con, rispettivamente, la donna e l'uomo ideali. Entrambi,
l'uomo e la donna reali intendo dire, si sentirebbero gelosi e umiliati,
condizione che la mia modesta persona ha avuto modo di esplorare
in ahimè lontane esperienze con alcune signore piuttosto vivaci:
non attizza per niente. A meno che la nostra rispettabile azienda non voglia
farsi trascinare dalla stupidità del giovane Gerace nella fascia di
mercato sadomaso, ipotesi alla quale mi rifiuto di pensare: è poco redditizia.
Comunque, i due soggetti Piras e Colombo si sono incontrati alle
ore 15 nell'ufficio di Piras e hanno lavorato d'amore e d'accordo al perfezionamento
della parte femminile di quell'inutile videogioco. A quanto
ho capito, la cosiddetta "Donna" aveva contratto un virus che la Colombo
denominava "autocoscienza"; virus che, per citare Piras, "l'aveva
fatta innamorare come una scema di", chiedo scusa, "quel coglione di
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Azzurro". Il problema è stato risolto in quarantacinque minuti circa. Poi
i due programmatori, che come al solito ignoravano di essere sotto costante
osservazione, hanno festeggiato molto vivacemente e in maniera,
oso dire, emozionante, fino alle 23 e 50, ora in cui si sono addormentati
esausti sul pavimento, e io pure nello sgabuzzino di osservazione. Al
mio risveglio ho provveduto a una sollecita ripulitura dello sgabuzzino
dagli inevitabili fluidi organici che l'osservazione mi aveva costretto a
spandere, ma non ho potuto fare niente per i pantaloni del mio completo
grigio quasi nuovo, cosa per cui mi chiedo se non avrei diritto a un rimborso
delle spese per la lavanderia. Allego intanto le registrazioni audio
e video, dalle quali si può dedurre che le relazioni sessuali tra programmatori
non pregiudicano l'efficienza del loro lavoro ma soltanto, al limite,
la resistenza fisica degli ispettori anziani. Per fugare ogni dubbio e
spinto unicamente dalla mia totale dedizione agli interessi dell'azienda,
mi dichiaro fin d'ora disponibile a ripetere l'esperimento con una seconda
coppia di programmatori (se possibile, lei la vorrei bionda).
Gian Antonio Manin
Ispettore di produzione
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L'elisir di Cambise
Agli occhi dei vicini di casa, la giornata normale di Camilla Cambise si
presenta grossomodo così: alle nove e cinque le persiane elettrificate del
suo appartamentino, terzo piano, si sollevano l'una dopo l'altra (sono
due in tutto: camera e soggiorno, poiché le finestrelle di bagnetto e cucina
affacciano all'interno di un cavedio, invisibili), e per mezz'ora circa
un rivoletto di musica rock ruscella giù in cortile (Radio Eurasia Tostissima,
hai capito la vecchia? ha gusti musicali che non c'entrano niente
con la sua età, però bisogna ammettere che il volume è discretamente
basso). Verso le nove e mezzo, nove e quaranta, che piova o ci sia il sole,
la Cambise viene fuori dal portoncino della scala B, attraversa il cortile
e va, modestamente ma impeccabilmente vestita con abitini a fiori o
in un austero cappottino nero a seconda delle stagioni in corso, a comprare
i giornali e a leggerseli al bar (il Bar Ciro, di solito: ma il martedì,
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che è il giorno di chiusura del Ciro, si sposta al Gran Caffè Roxane, un
po' più caro). Prima della pensione, la Cambise avrà fatto probabilmente
la professoressa, o forse lavorava in banca, chi lo sa, ma in ogni caso
dev'essere stata un tipo di concetto, se no non sprecherebbe tanti soldi in
giornali, no?, e non sarebbe divorziata o vedova o zitella o comunque
così del tutto abbandonata da poter consumare mattine intere sempre e
solo al bar, dove centellina un unico caffè e un bicchierone d'acqua naturale.
Di tanto in tanto capita che sollevi gli occhiali da lettura fin sui
capelli (grigi e tagliati maluccio) per guardarsi un po' attorno e indirizzare
un cenno di riconoscimento alle solite facce del quartiere, però nessuno
la disturba mai. Alle dodici e dieci minuto più minuto meno, quando
le cameriere si preparano per i panini caldi degli impiegati in pausa,
la Cambise lascia cortesemente libero il tavolino, poi la si vede fare una
puntata o alla Esselunga o al take-away cinese o, più frequentemente,
alla salumeria-rosticceria "Il Pollo d'Oro", che in caso di bisogno può
effettuare consegne a domicilio. Con i suoi pacchettini della spesa, eccola
quindi ritornare a casa e, salvo che non prenda verso le diciassette
il tram che porta in centro (va al cinema? a teatro? ad ascoltare qualche
conferenza? fatto sta che esce al massimo due volte a settimana), nessuno
la vedrà riattraversare il cortile o affacciarsi o riemergere in alcun
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modo dal suo bilocale fino alle nove e cinque del giorno successivo: gli
unici segni della sua esistenza sono nel pomeriggio occasionali attacchi
di musica, ridotta prontamente a un volume più basso, l'accensione di
una luce al crepuscolo, poi, mentre la serata scivola nella notte e sul
cortile scende un silenzio opaco, dalle tende ben chiuse del suo soggiorno
può scoppiettare fuori la stranezza di qualche risatina. Che cosa avrà
da ridacchiare tutta da sola, quella? Va bene che dalla sua finestra, fino
a quando, verso le tre di notte, il fruscio fastidioso del motorino elettrico
segnala la chiusura delle persiane, si può veder filtrare l'azzurrità di
un video: però, da ormai sei mesi, o forse sette, più nessuno ha sentito
provenire da quell'appartamento, neanche a volume minimo, nessun audio
di film né di programma televisivo alcuno. La Camilla Cambise avrà
voluto immergersi fino in fondo nel ruolo di condomina perfetta e
passerà le sere con una cuffia stereo sulle orecchie?
Sì, è così. O quasi. Da sei mesi Camilla sta facendo un videogioco, e lo
fa con la cuffia sulle orecchie, perché all'inizio aveva un po' vergogna.
Tutti quei rumorini sintetizzati, i cinguettii, gli urletti, e soprattutto i
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tuoni! La fanno sussultare ancora adesso, perché arrivano sempre all'improvviso,
e Camilla ridacchia e scosta di un millimetro la cuffia dalle
orecchie, scuotendo leggermente la testa. Aveva cominciato, su consiglio
del medico, con uno sparatutto per playstation. Sembrava infatti
che quei movimenti rapidi delle dita e del polso sul joystick fossero un
toccasana per riallenare i riflessi e ritardare la sclerosi: però si era sentita
molto a disagio a stare lì a far fuoco a ogni minimo guizzo sullo
schermo. Una volta capito il meccanismo, non c'era gioco. E inoltre, in
quarant'anni di onorato servizio nei Fucilieri Speciali Antirabbia e nonostante
le sue ben tre medaglie d'oro ai campionati interforze per Tiratori
Scelti, Camilla non ha mai trovato divertente uccidere. Tutte quelle
povere volpi, tutti quei cani con le fauci schiumanti e gli occhi tristi, e,
al tempo della Grande Epidemia, tutti quei ragazzini e le ragazze urlanti...
Dopo i primi due casi di studenti rabbiosi, Camilla si era chiesta
perché mai il suo Comando non avesse cambiato le normali pallottole
con qualche cosa di meno letale, e al terzo si era spinta ad avanzare formalmente
l'istanza di rimettere in uso le siringhe di sonnifero già avute
in dotazione quando si era trattato di un prezioso elefante dello zoo, ma
dalle vie gerarchiche le era disceso l'ordine di fare meno storie e, confidenzialmente,
le era stato spiegato che ogni dimostrazione di sensibilità,
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per quanto umanamente comprensibile, sarebbe stata pericolosissima:
avevano a che fare con un ceppo di Rabbia Politica terribilmente contagioso,
irrimediabilmente virulento, inguaribile. Abbattere ogni capo infetto
era un'odiosa necessità, tesa a salvaguardare la parte ancora sana
del Paese. Fu dunque con un senso di dovere ben riposto che Camilla
operò anche in quella campagna, ma negli anni seguenti, a mano a mano
che si avvicinava all'età pensionabile, qualche traccia di dubbio cominciò
a riaffiorare e, se non arrivò a farle mai tremare veramente la
mano sul grilletto, qualche volta inquinò la precisione della sua mira fino
a lasciar scappare una o due volpi con la pelliccia appena un po' strinata.
Perciò, Camilla non può divertirsi a far fuori a mitraglia alieni e
mostri: le riesce troppo facile e, sfortunatamente, la porta a risentirsi
giovane.
Al negozio dove tornò nella speranza di cambiare il gioco con un altro,
un commesso cortese la informò che, avendolo comprato, le toccava tenerselo:
ma perché non pensare a un piccolo investimento supplementare
e allargarsi alla gamma dei giochi per PC? Con una buona macchina,
il nipotino avrebbe anche imparato ad andare oltre i giochi. Camilla, ni23
potina di se stessa, ridacchiò ma cedette. E non se ne è pentita: installato
il computer, sbirciata qualche demo, si è subito imbattuta in questo gioco
di simulazione che, da sei mesi, la sta coinvolgendo piacevolmente.
È intitolato "Se fossi Dio" e consiste nella creazione di un intero mondo.
Non molto grande, per la verità: il pianeta ha soltanto un paio di
continenti un po' sperduti nell'Oceano Totale, poco più grossi di un
grosso isolotto. Ma a lei bastano. C'è tanto da fare!
All'inizio, incantata dalla bellezza dei paesaggi nudi, Camilla procedeva
lentamente: cieli altissimi senza ombra di nuvole si andavano iridando
dei riflessi rossi e gialli proiettati dalle terre deserte, rispecchiavano l'azzurro
profondissimo delle acque senza vita. Lei guardava, ammirando
l'abilità dei grafici e prendendo possesso: le piaceva quel mondo di poligoni
che, combinati in fini tessiture, generavano forme cristalline e tridimensionali.
E non le dispiaceva che gli unici rumori fossero un dolce
sibilo di vento e il ciclico respiro delle maree. Fu quasi controvoglia che
iniziò a raggruppare qualche macromolecola, ma, si sa, poi le cose ti
prendono la mano e dalle proteine si fa presto a arrivare ai protozoi.
Senza nemmeno rendersene conto, si era trovata piena di dinosauri, e
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già qualche mammifero sgattaiolava in giro nascondendosi nei cespugli.
Ora di darsi una regolata e cominciare a giocare sul serio.
"Se fossi Dio", che nelle versioni più diffuse può intitolarsi "Popoulous"
o anche "Civilization", e che sostanzialmente non è un gioco diverso dal
ben noto "Sim City", ha il semplice obiettivo di creare dal niente una simulazione
di umanità migliore: equilibrata, stabile, armoniosa, possibilmente
giusta. In sei mesi Camilla ha già ottenuto qualche risultato interessante
sul suo continente maggiore, che per un certo gusto di autoflagellazione
ha chiamato Volpizia: gli esseri umani qui sono passati in
fretta oltre la fase delle guerre tribali e stanno sviluppando una buona
tendenza alla cooperazione. Hanno federazioni di città, scuole, teatri, ospedali
efficienti, splendidi parchi pubblici popolati di deliziose volpi
sia rosse sia argentate. Ogni tanto qualcuno dei cittadini muore ancora
di rabbia, ma solo per ragioni che Camilla trova graziosamente infantili:
un individuo per esempio è morto perché gli altri non gli hanno lasciato
decorare la Mensa Collettiva con il poema spray da lui composto (e che
in realtà non era tanto brutto). Invece a Distopia, il continente piccolo
dove Camilla ha in corso gli esperimenti più audaci per lei, le due popo25
lazioni adiacenti ma rigorosamente separate di Ermafroditi e Amazzoni
vanno così d'accordo che hanno inventato per conto proprio le Olimpiadi
Sessuali Distopiche, un fantasioso rito sportivo che prevede l'incontro
periodico e pacifico di tutti gli individui adulti, e che strappa a Camilla
le risatine più convulse. In materia di sesso non ha molta esperienza:
quando si è Tiratrici Scelte, avere relazioni personali può riuscire difficile,
perché gli uomini o sono già scappati o stanno certamente mirando
ad altro, e lei infatti da anziana, di no in no, si è ritrovata sola, saggia e
amara, cioè nelle condizioni veramente ideali per recitare la parte di
Dio. Volpizia e Distopia sono la sua vendetta quotidiana, la sua curiosità
trainante, il suo elisir di vita piena. Tanto più che, due volte a settimana,
Camilla ha cominciato a frequentare le riunioni di un gruppo di appassionati
che, con i loro diari di creazione sottobraccio, si radunano al
Centro Sociale Pox per confrontare i rispettivi mondi. Ognuno, come
lei, studia con cura tutte le mattine le notizie economiche e politiche per
ricavarne alcuni principi generali e applicare ai suoi popoli l'opposto.
Come lei, ognuno sa che la simulazione non è niente di più che un gioco
ozioso, eppure si accalorano, discutono, manifestano i sintomi di una
Rabbia Politica attenuata e confusa ma non morta. Camilla è felicissima
di aver scoperto in tempo "Se fossi Dio". In mancanza di questo antido26
to potente, tipi come il signor Esposito, ingegnere disoccupato, o come
lo studente fuori corso e quarantatreenne Emilio Zork o come, be', praticamente
tutti i suoi amici del piccolo gruppo, si sarebbero già affacciati
un giorno a una finestra per mettersi di punto in bianco a sparare nel
mucchio dei vicini di casa. E nessuno di loro avrebbe fatto un centro.
Ma lei sì.
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Oggi, l'amore
Oggi, mercoledì, verso le tre del pomeriggio, mi sono accorta che stavo
cercando di parlare con me. Eh sì: telefonino cellulare nella mano sinistra,
cornetta del telefono da tavolo nella destra, avevo proprio detto
"pronto?" e me n'ero rimasta lì sciorinando un sorriso di circostanza in
mezzo ai due microfoni. Non si sentiva niente. Ho pensato: "Ma guarda,
non ci sono..." e mentre lo pensavo ho realizzato di colpo l'assurdità. E
mi sono allarmata. Ho lasciato cadere il cellulare sulla scrivania; poi, tirandomi
indietro e tenendolo d'occhio, ho allungato due dita e l'ho spento.
Comporre sul telefono da tavolo il numero di Werner, subito. Anche
se non è più il mio psicoanalista perché tre mesi fa si è convertito alla
meditazione trascendentale e ha smesso di esercitare, non sapevo a chi
altro raccontare la cosa. Ma il numero risultava occupato. Così gli ho
mandato un messaggio di posta elettronica urgente: "Sto diventando
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matta, aiuto". Quello l'avrebbe visto di sicuro. E infatti, neanche dieci
minuti dopo, mi ha richiamata lui.
"Giulia, tesoro, tu dovresti innamorarti" ha detto a bruciapelo, "è la cura
migliore."
Okay, ho pensato io, questo qui non ha voglia di perdere tempo con me,
okay. Però, anche se non è più il mio psicoanalista, la sua contabilità
gliela sbrigo sempre io, gratis, e io sono la più brava e costosa commercialista/
fiscalista telematica sulla piazza, perciò non mi poteva liquidare
così.
"Ma per favore, Werner! Di chi vuoi che mi possa..."
"Hai ragione" fa lui, un po' troppo in fretta. "Allora, ti consiglio di tenere
una diaria, è la seconda cura migliore."
"Una diaria?" faccio io stupidamente. "Ma... le diarie si danno a chi è in
trasferta, mentre io non vado da nessuna parte..."
"Una diaria, tesoro: un diario al femminile. Afferrato? Comprati un quadernetto
e scrivici giù tutto. Fa miracoli."
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"Scrivere? A mano? Ma..."
"Con una penna. Comprati anche la penna. O strappatene una, che così
fai prima. E adesso scusami, ocona mia bella, ma ho qui un giovane adepto
impaziente di cominciare la seduta di me..."
"...ditazione trascendentale" ho completato io automaticamente, però
forse i puntini sospensivi non c'erano e Werner aveva proprio voluto dire
"una seduta di me": appena prima che cadesse la linea, o che lui riattaccasse,
si era sentita come una risatina seguita da un urletto soffocato.
Un giovane adepto che soffre il solletico, già. Ma le trascendenze di
Werner non erano affari miei. Ho inserito la segreteria telefonica, il fax
e il servizio automatico di messaggeria, ho fatto una carezza di saluto al
mio fedele computer che ronfava, mi sono infilata la mascherina antismog
e gli occhialoni protettivi e ho fatto una corsa all'ipermercato qui
all'angolo.
Bisogna sempre correre, quando si attraversa la strada. È più prudente.
Almeno, così dicono le istruzioni governative per la vita all'aperto: io,
grazie al mio lavoro che può essere svolto tutto da casa, non ho molti
contatti con l'ambiente. Certo, mi rendo conto che con uno stile di vita
come il mio si rischia di restare un po' isolati... Ma su questo Werner si
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sbaglia: io, quanto a storie d'amore, ne ho già avute abbastanza con il
mio ex marito: oltre alla mia con lui, c'erano tutte le storie sue. Mai capito
dove e come incontrasse tutte quelle altre donne. Dopo la separazione,
ho provato a conoscere qualcuno anch'io, via Internet, e un paio
di volte mi è sembrato di sentire un brividino, ma poi regolarmente la
storia si arenava sulla difficoltà di realizzare un incontro che non fosse
soltanto virtuale, perché io per me sarei stata anche disposta a rischiare
il tutto per tutto, ma mi sembrava giusto che il corteggiatore di turno rischiasse
prima lui quei quattro passi necessari: insomma, perché diavolo
avrei dovuto muovermi io per andare a incontrare uno che non si sogna
di muoversi per me?
Oggi però c'era un solo cadavere in mezzo alla strada, nemmeno tanto
fresco, e nessun cecchino sparava dai tetti, né all'andata né al ritorno.
Strano. La polizia dev'essere diventata improvvisamente più efficiente,
o magari è scoppiato uno sciopero dei terroristi. Sarebbe ora: i telegiornali
dicono che la gente non ne può più di doverci lasciare la pelle anche
nelle giornate di basso inquinamento. In effetti, oggi fuori si stava
benino: tenui raggi di luce foravano la nebbia graziosamente. Ho raggiunto
le casse dell'ipermercato senza essere stata rapinata né picchiata.
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E ho perfino trovato il quaderno e la penna.
Giovedì
Una visita! Era soltanto la figlia della mia vicina di pianerottolo, ma ricevere
qualcuno è comunque una tale emozione che quando Samarcanda
- la povera bambina si chiama Samarcanda, forse per questo ha quel
faccino triste, come schiacciato sotto l'abbondanza di boccoloni biondi:
infatti poi mi ha chiesto se, per favore, non potevo chiamarla semplicemente
Sam? - quando Sam dunque è entrata, mi è scappata di bocca una
sciocchezza: "Sono in ordine?". A una bambina, figuriamoci! E poi mi
ero appena cambiata per la mia cena a lume di candela da sola. Ma nel
vederla mi è venuto in mente che Irene, la mamma di Samarcanda, fa la
stilista di moda: mi sarebbe seccato sfigurare.
"Sei trendissima: quella gonna frappata è la fine del mondo, i buchi sono
tutti giusti, giuro."
Avrà detto così per gentilezza: lei aveva un abitino neo-nostalgico all'ultimo
grido, in una deliziosa tela di sacco con applicazioni di patate
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sintetiche. Ma sembrava sincera. Anzi, commossa: le tremavano stranamente
le labbra.
"Mi potresti prestare una mezz'ora di tempo-rete?" ha chiesto supplichevole,
"perché io devo fare i compiti e non posso, perché la mia maestra
elettronica è andata in tilt, perché la mamma si dev'essere dimenticata di
pagare l'abbonamento, perché la mamma è..." e a quel punto la gentile,
beneducata Sam si è trasformata in un polipo singhiozzante. Si rotolava
sul pavimento allungando braccia e gambe dappertutto. Scalciava. Ho
avuto un bel daffare a cercare di immobilizzarla e di capire che cosa urlasse,
intanto. A quanto pare, Irene è uscita una settimana fa e non è ancora
tornata. Ora mi spiego come mai c'era tanta tranquillità. I muri qui
sono così sottili che, di solito, posso regolare l'orologio sulle litigate di
Irene e Sam: basta che alzino un po' la voce (una media di sette volte al
giorno) e io sento tutto come se ce le avessi in casa. Fino a stasera la
bambina non si era preoccupata perché, andando via, Irene l'aveva lasciata
con molte scorte e aveva anche avvertito che facesse la brava,
non aprisse a nessuno e, al suo ritorno, avrebbe avuto una bella sorpresa.
Mi sa che la sorpresa, invece, sarà bruttissima. Peccato. Anche se Irene
l'ho intravista appena e poche volte, la sua voce mi teneva compa33
gnia. Mi mancherà. E oddio, certo, mancherà soprattutto a sua figlia.
Dopo che si è calmata, abbiamo fatto insieme i suoi compiti di scuola.
Poco rassicuranti: si trattava di una ricerca sulle donne dei paesi non industrializzati,
e cosa non è venuto fuori dai data base! Miseria, malattie,
disastri naturali, uomini che la fanno da padroni obbligando le donne a
starsene tra donne, senza vita sociale, e con tutti quei figli morti di fame...
Quanto siamo più fortunate, noi! Per invitare a cena Sam, mi è bastato
impostare un raddoppio delle dosi sul quadrante del mio Cuoco
Perfetto. Durante e dopo il pasto, la bambina non ha smesso un momento
di parlare: aveva preso confidenza, tanto che si è anche messa a curiosare
per casa mia in un modo abbastanza indiscreto. Quando ha visto
sulla scrivania questo quaderno, ha cacciato uno strillo: "Ma hai la Fata
Rifatta!"
"La che?"
Si riferiva al disegno sulla copertina: una specie di giovane top model
con enormi occhi perplessi, un vitino da vespa, ali da moscerino, le
gambe lunghe da qui a lì e al posto delle tette due coni di volume imbarazzante:
il tutto su uno sfondo di cielo in colorini caramellosi. Deve
trattarsi di una qualche famosa eroina dei cartoni animati, perché la mia
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piccola ospite mi è sembrata stupita, anzi scandalizzata che non la conoscessi.
L'ho delusa. Soprattutto quando, cercando di recuperare posizioni,
ho azzardato che questa Fata Rifata, be', certo, era carina.
"Ma che Rifata! Con due ti!" mi ha corretta severamente Sam. "Rifatta!
È una Fata Rifatta, non la vedi? Sei stupida?" e, decidendo evidentemente
che ero stupida ma recuperabile, si è messa a raccontarmi tutto il
cartone animato, a cominciare da quando la fata aveva ancora le gambe
corte e gli occhi piccolini e poi via con una magia dopo l'altra, cioè con
un intervento di chirurgia plastica dopo l'altro, che, dico io, che razza di
magia è? ma a quanto pare questa fata qui produce interventi istantanei,
con un colpo di bacchettina magica, su se stessa e sugli altri personaggi.
La bambola no, ha detto Sam: la bambola della Fata Rifatta, la più desiderata
dalle bambine di oggi, vendutissima, non è capace di trasformare
niente, lei ce l'ha e lo sa, ma però le piace un sacco perché ha dentro un
microregistratore con vari nastri di conversazione e ci si può parlare, e
bla bla e bla bla... Quando Sam finalmente se n'è andata, ho dovuto ingoiare
due pastiglie per il mal di testa.
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Venerdì
Lavorato tutto il giorno. Aiutato di nuovo Sam a fare i compiti. Stavolta
però non l'ho invitata a restare per cena. Stabilito tra me e me che, se la
madre non si fa viva entro lunedì, il suo abbonamento alla maestra elettronica
lo pagherò io: tutto tempo guadagnato per me.
Sabato
Credo che per Irene non ci siano più speranze. Oggi mi sono sorpresa
spesso a tendere l'orecchio verso il muro che divide il mio appartamento
da quello delle vicine e, a un certo punto, impensierita dal silenzio, sono
addirittura uscita sul terrazzino (i due appartamenti affacciano sullo
stesso terrazzino, che in teoria servirebbe per stendere il bucato, ma ovviamente
nessuno lo usa mai), ho scavalcato il basso divisorio che lo taglia
a metà e ho sbirciato dentro dai vetri della loro porta-finestra. Forse
provavo un po' di senso di colpa per non aver lasciato chiacchierare e
sfogarsi la povera Sam... Era lì buona buona che giocava con la bambola.
Nel pomeriggio, l'ho sentita chiamare a squarciagola la mamma, ma
nessuno le ha mai risposto. Io lo so come ci si sente quando qualcuno
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che ami ti abbandona... Se questa diaria deve servire a qualcosa, be', allora
devo scriverlo: non ho mai perdonato il mio ex marito per avermi
comunicato la sua decisione di lasciarmi via fax. Avrebbe potuto avere
almeno il coraggio di dirmelo per telefono. Invece neanche quello: un
messaggio di tre righe per avvertirmi che sarebbe passata una ditta di
trasporti a ritirare la sua roba e stop, segue lettera dell'avvocato, il vigliacco...
Ma cosa sto a lamentarmi? Lamentarsi è inutile. A questo
mondo non ci sono fate che ti possano ascoltare e correre a rifarti l'esistenza.
Se la madre di Sam è stata uccisa davvero, come credo, chi si
occuperà della bambina? Non mi sembra di aver mai visto né sentito un
padre, in giro. Sarà stata concepita in provetta. Eh sì. Brava, Irene. Voleva
una figlia e se l'è fabbricata da sé, senza fastidi di maschi irresponsabili
che ti tradiscono fino alla noia e poi vanno a eccitarsi con l'avventura
altrove. Sono quasi sicura che il mio ex se ne sia andato in uno di
quei paesi sottosviluppati "dove la terra è rimasta terra, il mare è rimasto
mare e gli uomini sono rimasti uomini" come dice la pubblicità per
turisti: e dove le donne sono rimaste sceme, dico io. Però non si può mica
mettere al mondo qualcuno e poi farsi ammazzare come se niente
fosse. Eh no. Ho deciso. Della bambina mi occuperò io. E pazienza per
il mal di testa.
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Domenica mattina
Sono stufa di questo diario inutile. Non ho niente da scrivere. Niente da
vivere.
Domenica sera
E invece sì! Accidenti, accidenti, accidenti! Calma. Cominciamo dall'inizio.
Mentre stavo guardando il noto telequiz "Scegliti la tua vittima!",
nell'appartamento a fianco è scoppiato un fracasso indiavolato. Sam gridava
"Va' via!" e "Non ci credo!" e di nuovo "Va' via!", assieme a rumori
di cose che andavano in frantumi, tipo bicchieri o piatti o soprammobili
scagliati contro i muri, forse addosso a qualcuno. Mi è sembrato
di sentire, in effetti, una seconda voce. Sarà tornata Irene, ho pensato.
Perciò mi sono limitata a alzare un po' il volume del televisore. Una
normale lite tra madre e figlia. Poi però si è sentita sbattere la portafinestra,
e già questo era meno normale. Poi... dietro il vetro, sul terrazzino,
che guardava dentro la mia porta-finestra, un uomo! Sono saltata
in piedi allarmatissima. Il tizio stava alzando i pugni per rompere... no:
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per bussare ai miei vetri. Sembrava disarmato. Boccheggiava. Ha anche
detto distintamente: "Giulia, la prego, mi faccia entrare". Come mai conosceva
il mio nome, e cosa ci faceva lì, sul terrazzino, senza respiratore
e senza maschera, quel bel ragazzo biondo e delicato? Delicato un po'
troppo: stava già cominciando a diventare viola in faccia, soffocava, i
suoi grandi occhi verdi, o azzurri, lacrimavano. In uno slancio di compassione
e senza considerare le eventuali conseguenze, ho aperto la porta-
finestra e l'ho lasciato entrare in casa mia. Mentre lo sconosciuto si
riprendeva dal principio di intossicazione, l'ho studiato per bene. Qualche
anno in più di quelli che a prima vista gli avrei dato. Sui trentacinque,
circa. Longilineo, elegante. Mica male, per trattarsi di un ladro o di
un volgare aggressore imbranato. E la cosa più strana era che mi sembrava
di... no, non proprio di conoscerlo già: ma di averlo conosciuto da
sempre. Perciò non sono poi rimasta tanto meravigliata quando, recuperato
il fiato e dopo aver finito di farsi un pianterello isterico, mi ha raccontato
che, nonostante le apparenze, lui era la mia vicina, Irene, diventata...
Che cosa ne pensavo di "Ireneo"? Per un maschio è un bel nome,
insolito: vuol dire "uomo di pace". Ma Samarcanda invece era rimasta
tutta spaventata, non voleva accettare né credere che lei, cioè, che "lui",
che lui l'aveva fatto per sua figlia, per lei, solo per lei. Perché, mi ha
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spiegato Ireneo, le più moderne teorie pedagogiche condannano i rapporti
esclusivi tra una madre e una figlia: fino a che è piccolina, sì, va
bene, la tenerezza e l'amore materno e tutto quanto, ma dopo no, dopo
un padre ci vuole. E ai nostri tempi, con la difficoltà che c'è di trovare
figure paterne disponibili e la facilità invece di cambiare aspetto e sesso...
L'idea le era venuta, ha confessato, a furia di guardare quella serie
di cartoni animati che piace tanto a Sam. Credeva di far bene, e adesso
invece...
"Giulia, ho sbagliato tutto. "
"Non lo so" ho detto io, fissando distrattamente la mano con cui Irene -
Ireneo! - si stava tormentando una lucente ciocca dei capelli cortissimi.
Una mano quadrata, forte, solida. "Scusa, ma tu... Voglio dire, con questo
cambiamento di sesso... sei andata proprio... cioè, fino in fondo?"
Lui si è alzato di scatto, ha camminato avanti e indietro per il soggiorno
con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, come sovrappensiero, o
in imbarazzo. Poi si è fermato e mi ha sorriso:
"Certo che sì. Mai piaciute le cose lasciate a metà."
"Allora non ci sono problemi... Voglio dire... vedrai che Sam si abitue40
rà. Capirà di essere stata fortunata, ad avere per madre... cioè, per padre,
una persona tanto... coraggiosa e sensibile."
"Tu credi?" ha detto lui, colpito.
"Oh, sì" ho risposto, e mentre lo guardavo dritto negli occhi - azzurri,
sono azzurri e profondi e più affidabili di un lago di montagna d'altri
tempi - ho sentito nel petto un palpitare di battiti convulsi, dolci e duri
come una mitragliata di confetti.
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Stand by me...
Mi ero già messa il mio maglione bianco e aspettavo sulla terrazza, al
buio, rabbrividendo nel vento dell'oceano. Quella sera era proprio uno
spettacolo: schiumava di onde lunghe e rabbiose, avventandosi contro la
spiaggia come se volesse mangiarla e poi mangiare me. C'era perfino
una lingua, no, come una lama di luce lunare che, filtrando da un cumulo
di nuvoloni neri, tagliava esattamente in due la superficie agitata. Uno
scenario adatto per un thriller, e io mi sentivo infatti nervosissima,
ma felice. Che strano. Sulle gambe mi saliva tutto un formicolio, come
se tanti animaletti in fila mi si stessero arrampicando addosso... Dalle
nuvole schizzò fuori un lampo, poi un tuono mi assordò, sentii i capelli
crepitare e drizzarsi sulla nuca, ma certo, ecco cos'era: un temporale estivo
che si stava avvicinando. Mi strinsi nel maglione e mi intristii:
quanto dovevo sembrare buffa, così sola davanti al mare a trepidare, coi
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capelli a ventaglio come un'aureola bionda e con la pelle d'oca su un
chilometro di gambe nude... Perché naturalmente sotto il maglione non
avevo niente.
A Jack piaceva tanto quel mio vezzo di non portare biancheria! Anche
se proprio quello aveva provocato il malinteso del 19 maggio che ci aveva
tenuti separati per ben sei settimane. Povero Jack, l'avevo messo in
imbarazzo il giorno del suo compleanno, ma io pensavo di far bene,
pensavo che per lui sarebbe stato un piccolo regalo supplementare vedermi
lì con quel vestito color carne strizzata che scintillava di seimila
strass e sembrava gridare "strappami, strappami"... Lo so, avevo sbagliato,
era stato imprudente da parte mia disabbigliarmi così per la sua
festa ufficiale, con centinaia di cineoperatori scatenati e sua moglie che
si era guardata bene dal venire a sentirmi cantare "Happy Birthday Mr
President" con la mia vocina innamorata. La strega deve avergliene dette
di tutte, dopo. E infatti da quel giorno Jack non mi aveva più telefonato,
e se chiamavo io si faceva negare: "Il Presidente è in riunione con
i servizi segreti, il Presidente è in riunione con gli esperti di missili", uffa,
non sapevano più che scusa trovare per tenermi lontana da lui, l'ultima
volta mi dissero perfino: "Il Presidente non può essere disturbato,
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sta decidendo se far saltare in aria il mondo o no". Ero ridotta alla disperazione,
dovevo essere proprio fuori di me se risposi di dire al Presidente
che o veniva al telefono o facevo saltare in aria lui. In realtà non
avevo nessuna intenzione di mandare ai giornali il mio diario privato,
ma all'inizio degli anni Sessanta eravamo tutti così, eravamo convinti
che le bombe atomiche sono un ottimo sistema per vincere una guerra
anche se non le usi, basta averle. E infatti Jack venne immediatamente
al telefono, si scusò, mi spiegò i suoi problemi con la moglie che lo ossessionava,
con i cubani che non lo lasciavano dormire, con i russi che
lo facevano ammattire, insomma fu dolcissimo. Lo perdonai all'istante.
Accettai di aspettare che trovasse il momento di inserire anche me nella
sua agenda. Solito posto, la nostra romantica villa sul mare in prestito
dal solito amico riservato. Sul quando, non sapeva essere più preciso di
un "molto presto, cara". Perciò, nel mio maglione di lana naturale e un
po' ruvida sulla pelle più delicata, io quella sera dell'ultima estate mi
sentivo davvero tutta un fremito: lo aspettavo da tanto! E con i lampi e i
tuoni del temporale in avvicinamento, avevo anche paura per lui. Ma
poi sentii il rumore inconfondibile dell'elicottero e tirai un bel sospiro di
sollievo: Jack era sano e salvo, stava atterrando sul tratto di spiaggia riparato
dagli alberi dietro la villa, proprio come al solito. Vidi saltare giù
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la squadra di marines in tenuta mimetica che sparirono subito nel buio,
bravi ragazzi, sempre così discreti, averli attorno era una sicurezza anche
per me. Col cuore in gola per la gioia, corsi in casa. Coi piedi che
volavano sulla moquette senza quasi sfiorarla, attraversai il soggiorno
verso la porta che si stava aprendo, eccolo!, finalmente!, il mio bellissimo
presidentone protettivo dal sorriso smagliante, dalle spalle larghissime...
Sembrava meno alto, più magro, un po' meno imponente, un po'
più... giovane? Accidenti alla mia terribile miopia: gli dovetti arrivare
praticamente tra le braccia prima di accorgermi che quello non era Jack.
Era Bob, suo fratello.
"Ma tu che ci fai qui?" gli domandai più tardi, dopo essere riuscita a sfilarmi
dalla bocca la sua cravatta tutta appallottolata, che oltretutto mi
stava facendo soffocare perché non era di seta pura ma di rayon come si
usava allora, e io per le fibre sintetiche ho sempre avuto un'allergia molto
in anticipo sui miei tempi, "E Jack? Dov'è? Quando saprà che tu.."
"Tranquilla, zucchero, Jack non si arrabbia" mi disse tutto allegro quel
delinquente rivolgendomi dall'alto il suo migliore sorriso sbarazzino (a
me sembrò piuttosto un sogghigno da squalo, ma quando le cose le vedi
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rovesciate non puoi mai scommettere sul loro significato, e io stavo ancora
lunga distesa sulla moquette mentre Bob si era girato e arretrava a
quattro zampe sopra di me cercando non so che cosa, forse gli slip, perciò
il sorriso fu sostituito subito da un bel paio di occhi azzurri e poi dal
suo gran ciuffo di capelli, così non ebbi modo di approfondire).
"Come sarebbe, che non si arrabbia?!" saltai su, "Tu... tu... tu vieni qui a
rubare l'amante a fratello e mi... mmmh" riuscii a dire, prima che Bob
trovasse quello che stava cercando e me lo ficcasse in bocca al posto
della cravatta (non erano gli slip, era la maglietta della salute, per fortuna,
cotone cento per cento). Si rigirò, mi si sedette sullo stomaco e mi
fissò negli occhi con quegli occhioni da ragazzino innocente.
"Jack lo sa. Ferma! Non dimenarti, è inutile che ti dimeni, le donne che
si muovono e parlano mi rendono nervoso: ora ti spiego tutto. Lui non
poteva venire, ha avuto un contrattempo all'ultimo minuto, le Nazioni
Unite, il Vietnam, non lo so, una roba del genere, e così mi ha chiamato
e mi fa, 'Bobby, dopo tutto questo tempo che lei ha passato a aspettarmi
sarebbe una vera crudeltà lasciarla sola in quella villa vuota, non me la
sento, lei è la donna più bella del mondo ma è anche la donna più insicura
del mondo, io non voglio ferirla, voglio farle capire che a lei ci ten46
go, perciò questa è la tua occasione, Bobby. Credi che non lo sappia che
sei innamorato di lei come una pera cotta anche tu? E allora vacci tu
stasera, va' da lei e rappresentami', così mi ha detto Jack, e io ho domandato
se per 'rappresentarlo' intendeva 'rappresentarlo in tutto', e lui
ha detto che questo sarebbe dipeso unicamente da te".
"Mmmmh" ho protestato io, e Bob si è messo a ridere e ha allargato le
mani, con la conseguenza che la gola mi è diventata tutta un brulicare
come di vermetti per la riattivazione improvvisa della circolazione.
"Lo so, lo so e mi scuso" ha detto Bob, "in effetti, temo di essere stato
un po' precipitoso, ma devi capire che era tanto che sognavo di... Appena
ti ho vista, ho perso la testa. Cosa posso fare per farmi perdonare?"
Ho cercato di agitarmi il più possibile e alla fine lui ha capito, ha detto
"Oh, che sbadato! scusa, ma è una mia vecchia abitudine con Ethel", e
non solo mi ha tolto la maglietta dalla bocca ma si è anche spostato un
po' dal mio diaframma, così sono riuscita a parlare.
"Ha detto proprio che non voleva ferirmi?"
"Giurin giuretta" ha dichiarato Bob sollevando due dita nel segno dei
boy scout.
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Mi sono messa cautamente a sorridergli, poi per prendere tempo ho tossito
un bel po'. Non mi riusciva di credergli. Ma lui sembrava proprio
sincero.
"E...?"
"E? Parla pure, zucchero, la tua voce è così roca, così eccitante!"
"E... Jack non diceva per dire, quando diceva che anche tu... be', insomma,
quella cosa della pera cotta..."
"Che sono innamorato di te? Ma, Marilyn!, come puoi dubitarne?! Io ti
amo alla follia! Ti amo talmente tanto che, guarda, potrei ucciderti."
Il signore con cui sto adesso dice che non era vero niente. Dice che quei
due si sono approfittati del mio bisogno di calore umano, che insomma
mi hanno fatta su come un salame. Dice che Jack mi ha ceduta al fratello
perché stavo diventando troppo pericolosa sia per la sua carriera che
per la sicurezza nazionale. Dice che, a guardare la cosa anche dall'altro
punto di vista, non bisogna dimenticare che Bob era un ottimo avvocato:
non fu certo difficile per lui convincere il fratello maggiore a passargli
il giocattolo invece di buttarlo via subito, dato anche che restava
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quella faccenduola del diario da trovare.
"Ma dunque, almeno Bob mi amava, mi voleva", ribatto sempre io, e il
signore con cui sto adesso mi sorride con tenerezza e dice con affetto
infinito: "Bimba mia, e chi non ti voleva? Tu eri Marilyn Monroe, mica
uno straccio per i pavimenti, ti decidi a crederci o no? Oggi ti amano
tutti, e anche quando eri viva sei stata molto amata. Però non da quei
due, da quei due proprio no."
"Sarà", borbotto io facendo il broncio. "Ma per me con Jack e Bob hai
esagerato, poverini, morti ammazzati tutti e due... Io sarò troppo buona
come dici, ma Tu sei stato un po' troppo vendicativo."
E allora Lui si mette a ridacchiare e io mi devo sorbire per la milionesima
volta la Sua citazione preferita tra tutte le battute dei miei film, sempre
la stessa, ecco che sta per dirla, lo so già, ora la dice: "Nessuno è
perfetto".
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"Non vero (e bello)"
La probabile storia di Guido Gozzano e della signorina
Felicita
Nel 1907 il "coso con due gambe detto guidogozzano" era un ventiquattrenne
fragile, biondino, con le orecchie un po' a sventola e le spalle
spioventi. Gli era successo di tutto, in quell'anno: l'uscita della prima
raccolta di poesie, i primi scambi di lettere amorose con la collega Amalia
Guglielminetti, il primo serio attacco di tubercolosi. La scoperta
di avere la malattia del secolo precedente mise a rischio il suo senso
dell'umorismo: ma come, proprio lui, l'antiromantico per eccellenza, colui
che canticchiò il primo vero ritmo della crisi del Novecento, doveva
ritrovarsi a morire di un male ottocentesco? Per lo shock le sue rime si
affilarono. Ridusse gli aggettivi. Ora era quasi pronto a scrivere una po50
esia bellissima. Gli serviva soltanto una leggera spinta, così leggera da
condurlo a fare ancora un passo avanti nel desiderio e subito uno indietro
nella realtà. Gli serviva un modello di vita da invidiare. E qui intervengo
io.
"Felicita, perché stai nascondendo le riviste?" mi domandò mio padre,
in apparenza intento a esplorare il fornello della pipa. Caro papà. Gli avrei
potuto cambiare sotto il naso tutto l'arredamento del salotto e non
se ne sarebbe reso conto, ma bastava un fruscio di carta ed eccolo che
drizzava le orecchie. "Ti sei dimenticato che aspettiamo una visita?"
"Ah, già: il tuo giovanotto di città, la giovane promessa della letteratura..."
"L'avvocato, papà. Ricordati di chiamarlo 'avvocato', e se gli chiedi
anche qualche consiglio legale sulla proprietà è meglio." "Meglio, dici?
Non so. Avvocato o poeta, resta un'indiscrezione importunare un ospite
con storie di... Ma come ti sei conciata?!" Aveva alzato gli occhi e
li sgranava con una meraviglia così offensiva che mi sentii di colpo
molto incerta: "Eravamo d'accordo..." balbettai. "Non ti ricordi? In questa
casa siamo gente semplice, noi, agiata ma semplice. E io mi sono
vestita di conseguenza... Non ti piace la mia pettinatura?" "Ridicola"
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bofonchiò lui, e si mise a camminare avanti e indietro tra il divano corinzio
e la specchiera. "Tutta questa faccenda è ridicola. Accidenti a te e
alle tue amiche di Torino e accidenti anche a me che non ti so dire mai
di no. Non che mi importi della figura da ignorante che mi farete fare,
ma dover vedere la mia unica figlia con addosso i vestiti della serva e
tutta fiera di quelle treccioline da cretina... copiate pari pari da un interno
di Vermeer, oltretutto... Ma ti sei guardata? Sei quasi brutta, priva di
lusinga." "Questa me la segno" dissi io, con una smorfia dispettosa. Meno
male: papà invecchiando stava diventando sempre più pedante e
sempre più distratto, ma non aveva perso la memoria. E in ogni caso sarebbe
stato troppo tardi per tirarsi indietro: suonavano alla porta, Maddalena
stava già andando a aprire, Guido Gozzano era arrivato. Mi rassettai
le gonne prese in prestito e gli andai incontro, ancora un po' nervosa.
In realtà, non avevo niente di cui preoccuparmi: la scena era perfetta. Fu
perfetta per tutto il mese. Il primo giorno gli facemmo fare il giro dei
saloni (Odore d'ombra! Odore di passato!/ Odore d'abbandono desolato...)
e mentre lui osservava le nostre sovrapporte decorate con temi mitologici
noi strillavamo che sicuramente ci sarebbe piaciuto buttare via
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il vecchiume, rinfrescare la casa, ma con quello che costano i lavori... e
a proposito di fresco, l'Avvocato non avrebbe gradito un giretto in giardino,
cioè nell'orto? Mio padre fu impeccabile nel mostrarsi buzzurro e
non gli risparmiò le lamentele sul fattore infingardo e gli elogi sui cespi
d'insalata, ma superò anche me quando gli raccontò di propria iniziativa
un completo romanzo d'appendice sul come e sul perché la villa aristocratica
si sarebbe trovata nelle mani della nostra famiglia di borghesi:
che l'ultima Marchesa era scappata, che lo scandalo, e che il frutto del
peccato, e le spese azzardate, e le ipoteche, e la gran confusione degli
accatastamenti in quel lontano 1810... Lo annoiò così bene che quando
aprii la porta del fumoir e gli comparvi innanzi col vassoio e il centrino
di pizzo e le tazzine da caffè scompagnate sembrai sicuramente una cosa
da amare, anzi lo fui. Fui un abbaglio magnifico nel buio. (E rivedo
la tua bocca vermiglia/ così larga nel ridere e nel bere/ e il volto quadro,
senza sopracciglia,/ tutto sparso d'efelidi leggiere/ e gli occhi fermi,
l'iridi sincere/ azzurre d'un azzurro di stoviglia...) L'ho amato, è vero.
In modo gozzaniano. Per lui ho taciuto pomeriggi interi, ho sorriso,
ho ascoltato. Per lo più mi parlava di farfalle. E il Parnassus Apollo, e la
Pieris Brassicae, e l'Ornitottera Pronomous... "Vede, nelle crisalidi si distinguono
due lati opposti: dorso e ventre. Sul ventre si scorgono rialzi
53
fatti e disposti come le bende che portano sul capo le mummie: il dorso
è dentato e crostoso...", e io dietro a rammendare le lenzuola di lino, tutta
lieta, rassicurante, scema. Quando però sentii che elogiava con toni
malinconici la peluria dorsale dell'Acherontia Atropos, grossa farfalla
volgarmente detta "Testa di Morto", decisi che il crepuscolo era troppo
avanzato.
Mi alzai, con innocenza gli proposi di metterci al coperto e, di scala in
scaletta, trascinai la mia preda in solaio. Il sensibile Guido fu colpito dal
ritratto della Marchesa antica. Un'opera in realtà pregevole, che sia da
attribuire o no, come credo, all'Appiani: portarla su in soffitta era stato
difficile, mio padre non voleva e non voleva, però quella bianchezza neoclassica
sontuosa contro lo sfondo scuro di mobili in disuso era secondo
me un effetto speciale irrinunciabile. Mi servì a bisbigliare con un'ingenuità
molto credibile qualche frase spezzata su paure infantili, coprendomi
la bocca sussurrai che la Marchesa a volte usciva dal suo quadro
e passeggiava per i corridoi, e Guido mi sorrise con riaffermata superiorità
e passò a interessarsi d'altro. Avevo avuto ragione io: senza
trucco, la mia rassomiglianza con lei, con la trisnonna, non attirava affatto
l'attenzione. Ma il senso di trionfo per quel piccolo inganno incor54
niciato nell'inganno grande mi trasportò a un eccesso. Con la stampa
raffigurante Torquato Tasso incoronato d'alloro esagerai: nessuna signorina
di campagna avrebbe domandato come mai quel signore aveva in
testa un ramo di ciliegie. Ero scema sul serio? Come avevo potuto non
pensare che quelle lì l'alloro lo conoscono eccome? Mi ero tradita! Avrei
dovuto fare, piuttosto, un bel commento sugli odori da aggiungere
all'arrosto. Ma Guido non si accorse dello sbaglio (e infatti poi citò nella
poesia la mia frase infelice senza rendersi conto che stonava). Era commosso,
perso in un suo sogno, meditazione o fantasticheria. L'avevo in
pugno. Rimirammo insieme "la pianura autunnale/ dall'abbaino secentista,
ovale,/ a telaietti fitti, ove la trama/ del vetro deformava il panorama/
come un antico smalto innaturale./ Non vero (e bello)..." e a quel
punto ovviamente si parlò di matrimonio, poi ci chiamarono a cena, poi,
come sempre, vennero il Dottore e il Notaio per la partita a carte.
Eravamo in parecchi, nel mio piccolo complotto. Oltre a mio padre, avevo
dovuto persuadere praticamente tutti i maggiorenti del paese a non
farsi sfuggire una parola sulla mia laurea, ed era stata dura, perché a
quei tempi noi donne istruite eravamo bestiole molto rare e quindi un
55
argomento di conversazione prezioso. Avevo avuto per mia fortuna un
valido alleato nel nostro farmacista, che scrivendo anche lui qualche
verso ogni tanto era propenso a mettersi nei panni di un artista, ma penso
proprio che nemmeno lui comprendesse lo scopo o almeno il senso
della mia operazione culturale. Lasciai dunque che tutti si illudessero di
stare compiacendo un mio capriccio appena un po' più elaborato del solito.
Certo che, dopo un mese di tutto quel teatro con un solo spettatore,
qualcuno incominciava a non resistere: il Sindaco decise di anticipare il
suo viaggio annuale e, sostenendo di dover andare per campi e fratte
nelle vicinanze, partì per Londra con i suoi bauli di camicie da stirare
(trecentosessantacinque, più una per i bisestili: secondo lui non c'erano
lavanderie migliori di quelle inglesi). Ma ormai il grosso era fatto. La
seconda fase del mio intervento su Guido comportò solo alcuni lavoretti
di fino. Dimostrai qualche sintomo di romanticheria, fui stucchevole e
fin troppo svenevole nell'esibire la normale pudicizia delle ragazze da
marito, poi gli somministrammo un magistrale tocchetto di volgarità
con le chiacchiere del gentile farmacista che gli parlò della mia dote esigua
e delle voci già corse in paese...
56
Quando Guido Gozzano se ne andò, eravamo tutti felici e contenti. Lui
perché adesso aveva la sua più bella "rosa non colta" da rimpiangere,
noi perché non ne potevamo proprio più di tutta quella vita sana. Mentre
io mi rimettevo i miei abitini di Poiret e cominciavo a cercare come un'indemoniata
le sigarette turche che avevo nascosto troppo bene, mio
padre si rimise a compilare le schede da spedire a Vienna... Perché sono
in pochi a saperlo, ma è stato papà a fornire a Sigmund Freud il materiale
grezzo per i suoi casi clinici: quell'anno lavorava su una relazione tra
la scrittura creativa e i sogni a occhi aperti, credo. Ma questa è un'altra
storia. Quando ebbi ritrovato le sigarette, non mi restò che aspettare le
cartoline della Guglielminetti. Amalia mi teneva al corrente sui progressi
di Guido meglio di una gazzetta letteraria, e infatti mi mandò quasi
subito una prima versione della mia poesia di Gozzano, che si intitolava
L'ipotesi e non ci piacque molto. Eravamo sicure tutte e due che il ragazzo
potesse fare di più, anche se devo dire che la povera Amalia, con
tutti i suoi slanci para-dannunziani e i suoi grandi cappelli da seduttrice
liberty, non gli facilitava il compito. Forse sarebbe stato mio dovere occuparmi
di lei invece che di lui. Ma perfino una Musa ha dei limiti: co57
me si fa a ispirare la tua migliore amica, una che hai conosciuto tra i
banchi del collegio delle suore e che ti ha dato sui nervi già allora? Mi
guardai bene dal rivelare a chiunque che la mia interpretazione della signorina
Felicita era stata modellata proprio su Amalia, naturalmente in
una prospettiva del tutto ribaltata. Sofisticata lei? Semplice io. Stracittadina
lei? E io campagnola.
Con il senno di poi, posso affermare che fu la scelta giusta per aiutare
Guido e fu anche una vendetta mica male su quella pretenziosa della
Guglieminetti. Lei adesso nella storia letteraria è una figura di secondo
piano, un'autrice minore e un po' sfocata, mentre io campeggio in grande
con l'immortalità dei personaggi. Ma questo lo so adesso. Nel 1909,
quando La signorina Felicita fu finalmente pronta e stampata, io quasi
non ci pensavo più. Avevo altro da fare. Ero a Parigi con la mia amica
Valentine de Saint-Point, mi ero tagliata i capelli cortissimi e avevo
completamente perso la testa per un tizio molto moderno, molto originale,
che con la mia assistenza aveva appena pubblicato un manifesto
pieno di energia... Caro il mio Marinetti! Un tantino esaltato, ma così
bravo con le pubbliche relazioni e le onomatopee! "Noi vogliamo glorificare
la guerra... le belle idee per cui si muore e il disprezzo della don58
na", diceva il Manifesto del Futurismo, e Valentine era convinta di essere
lei la donna. Povera illusa. Anche se quell'ingrato di Filippo Tommaso
non ha mai voluto fare nomi, a ispirargli "l'insonnia febbrile, il
passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno" sono stata assolutamente
io.
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Lo spaiato
Guardandosi allo specchio per il Controllo dell'Impeccabilità, Giov'Hanna
scoprì una macchiolina che il giorno precedente, ne era certa,
non c'era. Pessimo segno. Se la pelle comincia a ribellarsi alle leggi
centrali producendo per conto suo decorazioni non autorizzate, dove si
va a finire? Per fortuna la macchia era comparsa soltanto sulla faccia di
sinistra, quella riservata da sempre alle creazioni emozionali delle ragazzine:
le colleghe in ufficio avrebbero pensato che la vecchia buona
Giov'Hanna-34 aveva dei problemi ad accettare il Passaggio alla Fascia
di Età Razionale, e morta lì. Molto peggio sarebbe stato se la macchia
avesse compromesso la sua faccia di destra o, Klarità ne scampi!, addirittura
la faccia di mezzo. Gli scatti di carriera le sarebbero stati invalidati,
riportandola giustamente al Livello iniziale, perché chi mai potrebbe
fidarsi di una Funzionaria di Klarità in preda a manifestazioni cuta60
nee irregolari? L'esterno è esattamente speculare all'interno: questo lo
sanno anche i bambini Neutri, il che è tutto dire, pensò Giov'Hanna
scrutando preoccupata la superficie di tutte le sue facce, ma no, la macchiolina
rimaneva una sola, lì, proprio sul naso della faccia di sinistra...
Strana forma: sembrava un tratto nero seguito da una specie di minuscolo
ricciolo, come un accenno di punto interrogativo... Sovrappensiero,
Giov'Hanna sollevò il quarto paio di braccia per dare una sistematina alla
complessa architettura di trecce, già perfettamente in ordine, che lega
le tre teste di ogni vera Signora imbrigliando la loro naturale propensione
a zuzzurellare in giro sui lunghi colli azzurri, e intanto provvedeva
con le braccia inferiori a pelare via gli ultimi resti delle bucce notturne,
indifferente al fatto che, come tutte le mattine, assieme ai resti delle
bucce piombava a terra anche il suo Simbionte Sessuale Notturno d'ordinanza.
Come tutte le mattine, il Simbionte sentendosi strappare al suo
bell'orifizio caldo e piumato scoppiò a piangere con lamenti disperati.
"Piantala, Elliot" disse Giov'Hanna irritata, "è solo per quattordici ore.
E guarda che ieri sera ho notato un alone di impurità sul pavimento del
modulo-soggiorno: invece di perdere tempo a spettegolare telepaticamente
con i tuoi amichetti, cerca di stare più attento con le pulizie, d'accordo?".
"Ma io ti amo" pigolò il minuscolo Simbionte, però stava già
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cominciando, obbediente, a mangiare le bucce sparse sul pavimento.
Giov'Hanna si strinse nelle multispalle e, nuda di tutto punto, uscì per
andare nel suo ufficio al diciannovesimo piano dell'astronave.
C'era la solita atmosfera isterica dei giorni di lavoro pre-invasione, con
una quantità di Neutri che schizzavano tra le postazioni delle Funzionarie
sui pattini a rotelle incorporati. Giov'Hanna si avviò con cautela verso
il suo trespolo di elaborazione. "Per Klarità!" la salutò T'Nina girando
cerimoniosamente una testa. "Altrettanto a te" disse Giov'Hanna, esitante.
Perché mai la collega l'aveva salutata di destra? La macchia, dunque,
era così visibile, così grave? Giov'Hanna si portò istintivamente un
paio di mani a nascondere la faccia di sinistra. T'Nina la guardò meglio
e saltò giù dal trespolo in un vortice di braccia tese: "Anche tu? Anche
tu?" chiocchiolava, invasata da un'incomprensibile commozione. Facce
a facce con lei, finalmente Giov'Hanna si rese conto: la macchia sopra il
naso di sinistra ce l'aveva anche T'Nina, uguale. Ecco perché l'aveva salutata
con la testa Logaritmica! per nascondere quella Emozionale!
Chiocchiolarono insieme per un po', scambiandosi le necessarie espressioni
di condolimento, ma, mentre ancora stavano chiocchiolando, arrivò
un Neutro Espresso con la chiamata a una Grande Assemblea straor62
dinaria del Gruppo Dirigente. Giov'Hanna-34 e T'Nina-106 si accodarono
subito alla fila di Funzionarie dirette verso il modulo di riunione, e si
accorsero allora di non essere un'eccezione. La strana macchia a forma
di trattino e punto interrogativo sulla faccia sinistra ce l'avevano tutte,
proprio tutte.
Molto lontano dall'astronave delle Signore di Klarità, a cinquecento metri
sotto il traforo del Frejus, nell'Unità di Crisi Planetaria gestita in faticosa
collaborazione dalle Nazioni Unite e dai Liberi Territori Commerciali
Terrestri, un tecnico cinese guardò l'orologio e alzò il pollice in un
antico segno convenzionale, dando alla Generala Elisabetta Arpista l'occasione
di dire per la prima volta in vita sua: "Ok, ragazzi, ci siamo!
Portate il prigioniero", come nei film di guerra del XX secolo. Un nugolo
di tecnici nord-e-sud-irlandesi spinse al centro del salone una gabbia
blindata. La Generala si alzò, si rassettò la gonna, raggiunse il pesante
portello ed entrò, premurandosi prima di chiedere sottovoce: "È permesso?".
"Avanti" borbottò il prigioniero extraterrestre, accucciato come al
solito sul fondo della gabbia. La Generala si accostò a mezzo metro da
lui, si piegò e disse cordialmente: "Sigaretta?".
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Il Simbionte di Klarità scosse la testa in un gesto di rifiuto tanto depresso
che la Generala si sorprese a pensare di nuovo che, perbacco, quell'essere
indubbiamente alieno anche se notevolmente carino era identico
in tutto a un maschio umano... cioè, proprio in tutto no: data la sua ostinata
inclinazione a fare a pezzettini e divorare ogni tipo di indumento
non appena si cercava di coprirlo in qualche modo, il Simbionte appariva
fornito di un'attrezzatura genitale normalissima quanto a forma ma di
dimensioni... fuori scala? inaudite? a dir poco parecchio esagerate. Un
giovane marine senegalese del commando panafricano che lo aveva recuperato
vivo dalla navicella schiantatasi sui Monti Futa Gialon si era
suicidato due ore dopo, ufficialmente in seguito al trauma di averlo dovuto
districare a picconate dall'immenso cadavere di una gigantessa azzurra
con tre teste e otto braccia; ma la Generala Arpista, conoscendo i
suoi uomini, sospettava che il povero ragazzo si fosse suicidato per pura
umiliazione. Lei non aveva di questi problemi.
"Allora, caro il mio Bill-Athos, come va lassù, eh? come va?"
"E io che ne so."
"Andiamo, andiamo, non fare i capricci. Vuoi deludere il tuo amico Elliot?
Vuoi deludere noi, che siamo così buone con te?"
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Il prigioniero abbassò la testa e bofonchiò: "Che senso ha? La mia Signora
Ka'Rla è morta, è morta..."
La Generala lo afferrò per i capelli e dette un bello strappo: "È per questo
che devi collaborare, pirla! Vuoi che noi scateniamo tutte le nostre
armi? Vuoi che muoiano anche le Signore degli altri Simbionti? Vuoi
che il tuo amico Elliot diventi come te, uno Spaiato?!"
"No, no!" gridò Bill-Athos, inorridito, e la Generala Arpista si concesse
un sorrisetto interiore. Perfettamente manipolabili, questi alieni maschi,
bastava usare un pizzico di psicologia e si bevevano tutte le balle che
una gli raccontava. Meglio ancora, erano così ingenui da non saper nascondere
niente, né un'emozione né un piano di invasione segreto. Avere
a che fare con le femmine sarebbe stata tutta un'altra storia, erano intelligenti,
determinate, tanto da cominciare a procurarsi anche un appoggio
interno: in India già milioni di fanatici affollavano i templi preparandosi
a ricevere le Nuove Dee che secondo loro dovevano scendere
dal cielo per beneficarli, mentre qualunque altro imbecille avrebbe capito
che quelle lì volevano venire a fare le Signore anche qui sulla Terra,
purtroppo totalmente disarmata dopo la conversione degli eserciti in,
per carità, utilissimi EPPIAYE (Enti Protettivi Paracadutabili In Apnea
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Yoga Elementare). Ma l'Unità di Crisi era pronta a respingere per sempre
nello spazio le mostruose entità, sfruttando i punti deboli svelati dall'incauto
Bill-Athos e l'aiuto prezioso anche se non del tutto volontario
del Simbionte Ribelle Elliot, capo di una congiura che cascava a fagiolo.
"Avanti" ripeté la Generala, "tu sei in contatto telepatico con il tuo amico
e lui è in contatto psico-ormonale con la sua Signora, eccetera, quindi
adesso tutto quello che devi fare è dirmi come stanno andando le cose
lassù, forza."
"Le Dirigenti sono in riunione" sussurrò Bill-Athos, di malavoglia. "Si
sono accorte che la macchia apparsa sulla loro faccia Emozionale è in
realtà una scritta a caratteri microscopici..."
"Microscopici per loro!" esplose la Generala Arpista, che in fondo era
un tipetto collerico (anche se il suo rigoroso addestramento le permetteva
di non sembrarlo: aveva frequentato la prestigiosa Scuola di Non-
Pace delle Neogesuite). "Noi facciamo del nostro meglio per proiettare
il messaggio a caratteri cubitali nella mente microcefala del tuo amico
del cacchio, e quelle elefantesse manco lo vedono!"
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"Le Scienziate stanno ingrandendo la scritta. Hanno chiamato le Linguiste
per interpretarla."
La Generala si rilassò e cercò di sorridere: "Benissimo! Ora si passa alla
Fase Due. Ricordi? Fase Uno: attirare la loro attenzione per spingerle a
riunirsi. Fase Due: attaccare e convincerle! Imprimiti bene nella mente
questa immagine e trasmettila a Elliot."
L'alieno prese il foglietto, lo guardò e fece una smorfia disgustata.
"Mah... Siamo sicuri che questa roba servirà a far capire alle Signore
che noi Simbionti abbiamo diritto a un trattamento più amoroso?"
"Sicurissimi!" disse la Generala, "Puoi fidarti, lo giuro su mia mamma!"
e, nello sforzo di apparire sincera e convincente, arrivò a dargli un bacio.
Nel modulo di riunione della Grande Assemblea straordinaria del Gruppo
Dirigente di Klarità, seicentonovanta teste si girarono di scatto verso
Giov'Hanna-34. Non era mai successo che una Funzionaria urlasse all'improvviso
in quel modo scomposto, a tutte bocche: perciò un brusio
indignato cominciò a serpeggiare dall'uno all'altro trespolo, disturbando
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ulteriormente la relazione della Linguista An'Thonia e costringendo la
Delegata Settimanale a sbattere a otto mani il martelletto sul tavolo della
presidenza.
"Come stavo dicendo" riprese An'Thonia lanciando un paio di occhiatacce
alla Funzionaria urlatrice che nel frattempo si era ammutolita e aveva
assunto un colore violaceo assai poco gradevole, "la prima parte
dell'iscrizione in linguaggio terricolo standard è chiara, e interpretabile
come 'Sto malissimo', ma la seconda parte rimane indecifrabile. Letteralmente,
vorrebbe dire 'Non avresti un cachet?', cosa che a mio parere è
del tutto insensata... Oh, ma insomma!"
Un altro strillo triplice aveva lacerato l'aria tesa del modulo di riunione,
e un attimo dopo ce ne fu altro, e poi un altro ancora, e nel giro di meno
di un minuto più di metà delle duecentotrenta Dirigenti stava, in sequenza,
urlando terrorizzata, ammutolendo e diventando violacea.
"Silenzio!" supplicò la Delegata Settimanale, poi urlò terrorizzata, ammutolì
e diventò violacea anche lei. Un'immagine orrenda si era presentata
alla sua mente Emozionale, trasmettendosi all'istante nella mente
Armonizzante e nella mente Logaritmica, che aveva fatto presto a trarne
le angosciose deduzioni. A quanto pareva, qualche cosa di simile stava
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succedendo a tutte loro. L'ultima ad attraversare la sequenza urloammutolimento-
violaceità fu la Linguista An'Thonia, e fu anche quella
che ci mise più tempo a riprendersi dallo shock. Le Dirigenti vicine alla
pedana delle Oratrici la sentirono balbettare a lungo tra sé, sé e sé: "Sto
malissimo, non avresti un cachet? Sto malissimo, non avresti tre
cachet?".
In seguito a una concitata discussione si accertò che tutte le Dirigenti
(duecentotrentuno includendo la Delegata Settimanale) avevano ricevuto
in successione la stessa immagine mentale, raffigurante una donna di
evidente tipologia terrestre con un'espressione facciale orribilmente
contorta, un coltello che le spaccava in due l'unica testa e, ripetuta tutto
intorno non soltanto in linguaggio terricolo ma anche in Klaritese puro,
la dicitura "Emicrania". Secondo l'antica consuetudine di far dimostrare
pubblicamente a una sola ciò che tutte sapevano già, la Dirigente che aveva
ricevuto l'immagine per prima fu incaricata di esporre il problema.
Giov'Hanna-34, dunque, ancora un po' violacea specialmente intorno all'orifizio
inferiore (che anche nelle Funzionarie migliori è sempre l'ultimo
a recuperare il controllo) ma stando a fronti alte davanti all'Assemblea
e con voci sicure, disse: "Non sapevamo che una cosa del genere
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esistesse. Bisognerà indagare sull'origine dell'immagine. Ora però,
chiunque l'abbia proiettata nella nostra mente, l'importante è che le immagini
non mentono mai. L'esterno è l'interno. Di conseguenza, questo
strano male è certamente tipico degli abitanti del pianeta che ci accingiamo
a conquistare. Sarà contagioso? Non lo sarà? In ogni caso, e considerando
per prudenza l'ipotesi meno favorevole, la nostra situazione è
facilmente riassumibile in termini simbolici". Con una giravolta aggraziata
raggiunse la lavagna, afferrò un po' di gessetti e con un paio di mani
disegnò una testa e un coltello, mentre con le altre sei disegnava tre
teste e tre coltelli. Poi fronteggiò di nuovo l'Assemblea e, utilizzando la
sola voce centrale, chiese solennemente: "Per Klarità, siete disposte a
correre il rischio?"
"No!" risposero in coro duecentoventinove voci centrali (la Linguista
An'Thonia stava ancora balbettando in vari toni di dubbio: "Non avresti
un cachet?" e "Non avresti tre cachet?").
Fu così che la Grande Assemblea delle Signore di Klarità, unica specie
nella Galassia a non aver mai avuto né tre né due né un solo mal di testa,
rinunciò all'invasione della Terra e di ogni altro pianeta suscettibile
di ospitare quel temibile morbo. Il settimanale scandalistico "Sopra e
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Sotto l'Universo" riferisce che i duecentotrentuno piccoli traditori capitanati
dal Simbionte Elliot continuarono per parecchi anni-luce a scambiarsi
telepaticamente strizzatine d'occhio e gomitatine di congratulazioni,
tutti contenti perché, disoccupate e annoiatissime, le loro Signore
trascorsero la maggior parte del viaggio di ritorno ben avvolte nelle
bucce da letto. Sulla Terra, l'astuta Generala Capo di Stato Maggiore Elisabetta
Arpista diventò Generalissima e fu ospitata in molti talk-show
televisivi dove illustrò con brillante successo il tema "È vero che le immagini
non mentono mai? No, non esattamente". In ambienti ben informati
si mormora che in seguito a una sua raccomandazione, soffiata in
un momento di stanchezza nell'orecchio del direttore del Circolo Ricreativo
"Gay Power Endurance" delle Truppe Corazzate EPPIYAE, anche
Bill-Athos lo Spaiato poté poi godere di una popolarità altrettanto larga
e profonda, se non di più.
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Nota dell'autrice
Tutti questi racconti, tranne Lo spaiato, sono già da tempo a libera disposizione
dei lettori attraverso il sito www.carmencovito.com. Ora mi è sembrato simpatico
approfittare delle tecnologie e-book per diffonderli anche in forma di raccolta
e, simultaneamente, approfittare della raccolta per attirare l’attenzione di lettori,
editori e scrittori italiani sulle nuove opportunità offerte dalla tecnologia e-book.
In altre parole, mi sto divertendo divertendo a imparare i vari trucchi di cui può
disporre un autore per confezionare i vari tipi di libri elettronici oggi disponibili
e diventare, se lo vuole, editore di se stesso.
Nella presente forma digitale, Racconti dal Web può essere liberamente letto e
anche distribuito via Internet, a condizione che la distribuzione avvenga a titolo
gratuito e senza alcuna modifica al file originario, e che nella pagina di distribuzione
siano presenti link espliciti al mio sito. Il testo può essere stampato unicamente
per uso personale e non può essere altrimenti riprodotto senza autorizzazione.
Tutti i diritti d’autore rimangono di mia proprietà. In altre parole, chiedo
ai miei lettori di essere gentili: per favore, non commercializzate questi racconti
in nessun modo e su nessuno dei supporti esistenti o futuri.
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Bibliografia
Carmen Covito è nata nel 1948 a Castellammare di Stabia (Napoli). Vive e lavora
a Milano. È autrice dei romanzi:
La bruttina stagionata (Bompiani 1992, Premio Bancarella 1993), Del perché i
porcospini attraversano la strada (Bompiani 1995), Benvenuti in questo ambiente
(Bompiani 1997).
Alcuni racconti non inclusi in questa raccolta sono pubblicati nel volumetto
Scheletri senza armadio (La Tartaruga 1997).
Il "sito romanzesco" www.carmencovito.com, totalmente autogestito e autoprodotto,
è presente nella Rete dal 1997.
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Carmen Covito
Racconti dal Web
Edizione d'Autrice
ISBN 88-900599-0-7
© 2001 Carmen Covito
Tutti i diritti riservati
http://www.carmencovito.com
e-mail carmen@carmencovito.com
I racconti contenuti in questa raccolta sono precedentemente apparsi in forma isolata nelle seguenti
pubblicazioni:
"Oggi, l'amore" in Donna marzo 1998
"Ma chi è andato sulla Luna?" in Corriere della Sera 17 Agosto 1998
"Bi-Sex più uno" in Amica n 40, 2 ottobre 1998
"L'elisir di Cambise" in Corriere della Sera 29 agosto 1999
"Stand by me..." in Amica n 34, 23 agosto 2000
"Non vero (e bello)" in Corriere della Sera 22 agosto 2000
"Lo spaiato" è apparso con il titolo "Un mal di testa galattico" in una brochure pubblicitaria riservata
ai medici (Nella mente delle donne. La scrittura. Quattro scrittrici per quattro storie, esemplare
fuori commercio, Marchesi Grafiche Editoriali, Roma 1999)
In copertina: Kinnari e maschere di Giovanna Caruso (acquerello, luglio 2000)
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Indice
Ma chi è andato sulla luna? pag. 3
Bi-Sex più uno pag. 10
L'elisir di Cambise pag. 18
Oggi, l'amore pag. 27
Stand by me... pag. 41
Non vero (e bello) pag. 49
Lo spaiato pag. 59
Nota dell'autrice pag. 71
Bibliografia pag. 72
Copyright pag. 73